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Autore: Anna Santarello

Farkhunda, 11 agenti condannati a un anno, gli altri prosciolti. Delusi gli attivisti.

19 maggio 2015 – Il Fatto Quotidiano

Farkhunda afghanistan 675I poliziotti che nulla fecero per impedire il linciaggio della giovane donna massacrata da una folla inferocita. “Ci aspettavamo una dura punizione – dice Humaira Qaderi, attivista sociale afghana – non solo per gli autori materiali dell’omicidio di Farkhunda, ma anche per chi aveva evitato di proteggerla”

Sono passate solo due settimane dalla sentenza alla pena capitale quattro civili condannati a morte per il linciaggio di Farkhunda, una giovane afghana di 27 anni accusata ingiustamente di blasfemia e per questo massacrata da una folla inferocita sotto lo sguardo indifferente della polizia, i giudici di Kabul hanno emesso un nuovo verdetto proprio per quei poliziotti che nulla fecero per impedire il linciaggio: a tutti è stato inflitto un anno di carcere: si tratta di undici agenti che assistettero alle violenze senza intervenire.

Eppure la ragazza non aveva bruciato copie del Corano come sostenuto da qualcuno. Per protestare contro quell’esecuzione le donne afghane portarono a spalla la bara della vittima.

Il giudice di primo grado, Safiullah Mujaddedi, era già intervenuto contro i 49 imputati dell’assassinio della donna, avvenuto il 13 marzo scorso, con quattro condanne a morte ed otto a 16 anni di prigione. Per i 19 agenti coinvolti, invece, aveva deciso di posporre la sentenza sostenendo che erano necessarie ulteriori indagini. Al termine delle quali è giunta la condanna, lieve, per “negligenza” ad un anno nei confronti di undici di essi, mentre altri otto sono stati prosciolti per insufficienza di prove.

Come già aveva avvertito in occasione della prima sentenza, il magistrato ha ricordato che, se insoddisfatte del suo operato, sia l’accusa sia la difesa hanno la possibilità di presentare appello ad un livello superiore della giustizia. Questo non ha placato la rabbia dei rappresentanti dei movimenti sociali per la pena lieve inflitta agli agenti in servizio quel giorno e soprattutto per l’assenza sul banco degli imputati di alti responsabili della polizia.

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Perché la Nato non abbandonerà l’Afghanistan.

formiche.net – Michele Pierri, 15 maggio 2015

timthumb copyFormalmente è terminata a dicembre, ma Washington e i suoi alleati hanno da subito compreso che non sarebbe stato troppo semplice abbandonare la missione in Afghanistan, ancora troppo instabile e insicuro.Che il Paese non sia ancora in grado di camminare con le proprie gambe lo dimostrano gli ultimi avvenimenti.

Due giorni fa, un talebano armato di kalashnikov e pistola, ucciso dalla polizia prima che azionasse la sua cintura esplosiva, ha attaccato la Guest House Park Plaza, un residence frequentato da stranieri a Kabul, ammazzando quattordici persone, nove delle quali straniere.

Tra queste anche un italiano, il quarantottenne cooperante bergamasco Alessandro Abati, ucciso insieme alla fidanzata di origine kazaka.Così i ministri degli Esteri dei 28 Paesi dell’Alleanza atlantica, riuniti ieri in Turchia, hanno deciso di prolungare la presenza del contingente Nato nel Paese anche oltre il 2016.

LE RICHIESTE DI KABUL
Di fronte al rafforzamento dell’attività e dell’efficacia dell’azione talebana – scriveva a marzo il Centro Studi Internazionale diretto da Andrea Margelletti -, l’evidente degenerazione dello stato di sicurezza interno aveva già spinto, nei mesi passati, il presidente afghano, Ashraf Ghani, a chiedere agli Stati Uniti di prolungare la presenza delle proprie Forze armate nel Paese. Benché, fino ad ora l’amministrazione Obama abbia sempre prospettato il 2016 come anno per un completo ritiro dei propri contingenti, i dubbi sull’effettiva capacità delle Afghan National Security Forces (Ansf) nel rispondere alla minaccia dell’insorgenza potrebbe ora spingere Washington a prorogare di almeno due anni il ritiro delle 10800 unità ancora impegnate sul territorio“.

Una conferma in questa direzione, proseguirono gli analisti, era giunta anche dal nuovo segretario alla Difesa americano Ashton Carter, che recatosi in visita a Kabul lo scorso 21 febbraio, aveva espresso la disponibilità di Barack Obama a riesaminare i propri piani di ripiegamento “per continuare a garantire il proprio supporto per la sicurezza del Paese“.

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L’analista dell’Afghanistan: “Talebani all’attacco per riprendere l’egemonia del jihad”

Repubblica.it – esteri, di Giampaolo Cadalanu – 14 maggio 2015

234604251 d01ed945 5e88 43c1 b15a 4b5272eea912L’attentato alla guest house di Kabul sembra indicare una prova di forza eclatante per riassumere centralità dopo l’avanzata dell’Is nel Paese, che sta reclutando tra i comandanti

L’attacco alla guest house di Kabul serve ai Talebani per riprendere l’egemonia della guerriglia islamica nel paese, messa in discussione dall’avanzata del sedicente Stato Islamico. E’ l’ipotesi proposta da Fabrizio Foschini, studioso dell’Afghanistan Analysts Network, da anni osservatore privilegiato degli “studenti coranici” e della politica afgana.

Come va interpretato l’assalto alla guest house? Fa parte della tradizionale offensiva di primavera?
“Così è stato annunciato dai Talebani ma in realtà l’idea di un’offensiva di primavera vale solo per Kabul, per il semplice fatto che altrove quest’anno la pausa invernale degli scontri non c’è stata. Nel nord dell’Helmand, nelle zone di Musa Qala o Sangin, i combattimenti sono stati molto intensi. Lo stesso vale per la provincia di Kunduz, in cui i Talebani controllano sostanzialmente tutte le vie di accesso, ma anche per tante altre zone”.

Allora, qual è il senso dell’assalto?
“Credo che sia una prova di forza dei Talebani: un attacco di alto profilo, nel cuore della capitale, contro gli stranieri, serve per riprendere il centro della scena. Gli ‘studenti coranici’ vogliono segnalare che sono vivi e vegeti, anche se sono infastiditi dall’arrivo in Afghanistan di Daesh, lo Stato Islamico, a cui alcuni comandanti di medio peso hanno giurato fedeltà”.

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Attentati e corruzione, l’Afghanistan ostaggio dei suoi fantasmi.

La Stampa – Mondo – 14 maggio 2015

AfghanistanJPEG 05385 1431586991 1771 kXKG U1050203686887lXB 700x394LaStampa.itL’attentato di Kabul conferma le difficoltà del processo di transizione.

L’attentato di Kabul, nel quale hanno perso la vita l’italiano Sandro Abati, la compagna di orgini kazake e altri dodici civili di diversa nazionalità, conferma le difficoltà del processo di transizione dell’Afghanistan. Il cambio di mandato della missione Nato, da Isaf, ovvero prevalentemente offensivo, a Resolut Support che prevede soprattutto attività di addestramento e assistenza, lascia progressivamente la gestione della sicurezza del Paese alle forze afghane.

Questo dopo tredici anni di conflitto e di presenza delle forze dell’Alleanza sul territorio, mentre l’offensiva dei taleban prosegue, sia da un punto di vista militare, sia con attentati, come dimostrano quello di ieri nella capitale e l’altro ad Helmand dove sono morte due persone.

A Kabul le violenze sono riprese da circa due anni con una serie di attacchi di piccole e medie dimensioni che hanno visto tra le vittime soprattutto civili e poliziotti.

Basti pensare che la Missione Onu per l’assistenza all’Afghanistan (Unama), solo dall’inizio dell’anno ha registrato un numero record di attacchi a civili (974 morti e 1.936 feriti), in aumento del 16% rispetto allo stesso periodo del 2014. L’inizio dell’anno è stato assai pesante anche per le forze di sicurezza del Paese che hanno registrato un aumento del numero di morti e feriti del 70% rispetto al 2014, e il bilancio, con l’inizio della stagione dei combattimenti, potrebbe farsi anche più pesante.

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Terrore talebano a Kabul.

14 maggio 2015- Blog di Enrico Campofreda

image 1L’annunciata campagna di primavera dei talebani prosegue e diffondere una scia di sangue anche sui civili. Dopo gli assalti ai mezzi pubblici dei Tehrek-e Talib ieri a Karachi, nella serata anche il ramo afghano dei turbanti ha sferrato un attacco del terrore.

Colpita da un commando una festa nella guesthouse Park Palace di Kabul dove doveva esibirsi la cantante classica Altaf Houssain. Hanno perso la vita in quattordici, fra cui nove stranieri, quattro indiani, un americano e un italiano

Per il nostro connazionale la notizia è confermata dalla Farnesina, è Sandro Abati, un cooperante di 48 anni che aveva iniziato a curare affari di un’azienda d’investimenti, fidanzato con una kazaka rimasta anche lei vittima.

In precedenza la Cnn indiana aveva parlato di due italiani morti su un totale di nove stranieri e precisa che non si tratterebbe d’un commando di tre uomini, come inizialmente diffuso, bensì d’un unico attentatore kamikaze. Del resto la rivendicazione giunta da un portavoce dei talebani locali fa anche il nome dell’attentatore “Muhammad Idrees, della provincia di Logar, dotato di armi da fuoco e cintura esplosiva che ha colpito un’importante riunione che vedeva la presenza di occidentali e diversi statunitensi”.

Nella fase di passaggio che dallo scorso gennaio vede le forze armate afghane occuparsi in esclusiva della sicurezza del territorio, compresi gli obiettivi sensibili della capitale, la debolezza di quest’ultime e l’inconsistenza dei piani di servizio messi in atto dal ministero dell’interno risultano palesi.

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Afghanistan: le occasioni perdute e le minacce per il futuro. Intervista a Thomas Ruttig.

eastonline – Daniele Grassi – 14 Maggio 2015

610x397xthomas ruttig.jpg.pagespeed.ic.hbPmtGEEYmDopo oltre un anno dalle elezioni, in Afghanistan si è finalmente riusciti a formare un governo. Intervistiamo Thomas Ruttig, co-fondatore dell’Afghanistan Analysts Network, sulla situazione del Paese e sulle prospettive che il nuovo esecutivo può offrire alla risoluzione dei drammatici problemi nazionali e della regione.

Dopo un’attesa di oltre sei mesi, Ghani e Abdullah sono infine riusciti a completare la formazione della loro compagine di governo, sebbene il ministero della Difesa sia ancora vacante. Qual è la sua opinione sull’esecutivo e quali le sue aspettative circa la capacità del governo di soddisfare le enormi esigenze della popolazione afghana?

È ​​troppo presto per dirlo, il governo è appena stato creato ed è composto quasi interamente da volti nuovi. Dobbiamo quindi concedergli almeno il beneficio del dubbio e vedere che cosa può fare. Ci sono alcuni ministri che hanno esperienza pregressa di governo e ciò lascia supporre un certo livello di professionalità.
Ma ci è voluto molto tempo per comporre l’esecutivo e ciò ha deluso molti Afghani, tra cui molti degli elettori e anche le persone che appartengono allo schieramento del Presidente, che avevano sperato in un processo più rapido, così che il governo potesse cominciare presto a lavorare per il Paese.

Le difficoltà nella formazione dell’esecutivo potrebbero essere state dettate anche dalla complicata coabitazione tra Ghani e Abdullah. Lei crede che questo governo sia destinato a durare?

Quel che credo è che questa forma di coabitazione, nata come scorciatoia per risolvere problemi che nessuno dei due schieramenti era in grado di superare nemmeno con l’aiuto della comunità internazionale, continuerà. Non tanto per le due personalità ai vertici del governo, quanto per come si è configurato il sistema politico afghano negli ultimi 12/13 anni, in particolare sotto il Presidente Karzai. Mi riferisco, in particolare, a come le reti clientelari sono state radicate nella vita politica afghana, mentre le istituzioni formali rimangono tuttora molto deboli. Nel Paese vi sono molte personalità potenti, dotate di armi, milizie e denaro, almeno in parte provenienti da attività illecite. Entrambi i gruppi hanno mobilitato queste persone e queste reti per accaparrarsi voti durante le elezioni, anche in questo caso sia con mezzi legali sia per vie illegali, e in questo modo Ghani e Abdullah si sono resi dipendenti da queste persone.
E ciò sta funzionando, almeno secondo gli standard afghani. Il problema è che queste persone ora chiedono una ricompensa, sotto forma di posizioni influenti, per l’aiuto fornito durante le elezioni. Questo contraddice non solo ciò che in particolare il Presidente Ghani e anche Abdullah hanno affermato, vale a dire che intendono mettere fine a questo sistema clientelare, ma finisce anche per minare la professionalità e le nomine basate sul merito.

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Uomini in burqa, film di Bollywood. Scene di vita dal «nuovo Afghanistan»

di Viviana Mazza – La27 ventisettesima Ora – Blog del corriere.it – 13 maggio 2015

immagini 465x310“C’è quest’immagine delle donne afghane come delle creature timide e deboli. Ma in realtà sono proprio loro a spingere veramente con tutte le forze per il cambiamento”

Ragazze che vanno a scuola, una donna che vende libri per strada, bancarelle che vendono film di Bollywood e canzoni di Britney Spears.

Sono immagini di un altro Afghanistan, diverso da quello delle bombe e delle stragi che vediamo in continuazione sui giornali. Ne ha parlato la scrittrice afghana-americana Nadia Hashimi qualche giorno fa sul Corriere della Sera, accompagnando una serie di immagini scattate dalla fotografa Jessica Fulford-Dobson.

Ne abbiamo parlato con Kubra Khademi, l’artista venticinquenne che è andata in giro a Kabul con un’armatura di metallo contro le molestie: lei si definisce un prodotto dell’Afghanistan che cambia, come lo sono gli uomini in burqa (una ventina in tutto) che in occasione dell’8 marzo hanno manifestato nella capitale afghana per i diritti delle donne.

Perciò abbiamo chiesto ad Aaquib Khan, fotografo indiano che vive e lavora in Afghanistan, di autorizzarci a ripubblicare su questo blog alcune sue foto diffuse online nei giorni scorsi.

[ndr. segnaliamo questo articolo in particolare per le immagini del fotografo Aaquib Khan]

‘Voglio solo andare a scuola’: come la legge afgana continua a fallire nei confronti delle spose bambine.

Sune Engel Rasmussen – The Guardian – Global development Women’s rights and gender equality in focus – 11 maggio 2015

41a49ff8 6a08 4935 8bf2 1180b8beb4b9 bestSizeAvailableHerat- Il debole sistema giuridico in Afghanistan ha portato a ricorrere abitualmente a sistemi di giustizia informali che mercificano le giovani donne e le lasciano vulnerabili agli abusi.

Banafsheh siede su un divano, timida e vestita con l’uniforme della scuola, e racconta il suo divorzio. All’età di sette anni, i suoi genitori l’hanno data in moglie a un ragazzo di 16 anni, in cambio di una moglie per il suo fratello.

Banafsheh ha subito abusi e violenze dal marito e dalla suocera-marito, che avrebbero picchiata e costringerla a fare lavori manuali pesanti in montagna.

Quando finalmente suo fratello decise di liberarla dai suoi suoceri, il marito pretese come compensazione la sorella minore, Shogofa.
Dopo essere fuggite dal loro villaggio vicino al confine iraniano, Banafsheh e Shogofa, che adesso hanno 13 e 11, hanno trovato assistenza al rifugio per donne maltrattate nella città di Herat.

Le ragazze in Afghanistan sono abitualmente utilizzate come baratto, per risolvere controversie o organizzare matrimoni tra famiglie. Nonostante i tentativi della comunità internazionale per rafforzare il sistema di giudiziario formale del paese, che prevede che l’età minima per sposarsi sia 16 anni per le donne e 18 per gli uomini, gli afghani preferiscono ancora in larga misura le mediazioni tradizionali alle sedi giudiziarie.

In particolare al di fuori delle città, la maggior parte degli afgani considerano il sistema legale formale corrotto, poco professionale, inefficiente e lento. Invece, consigli dei villaggio e gli anziani delle tribù applicano la giustizia basata sulla tradizione religiosa e con accordi reciproci.

Suraya Pakzad, fondatore della Voice of Women Organisation, che gestisce il rifugio di Herat, ha detto che un caso giudiziario formale può richiedere diversi anni e può essere costoso a causa di tangenti e di viaggi verso la città. La mediazione tradizionale, in confronto, è più veloce e meno corrotta.

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“Non ci fermeranno mai”. I trafficanti d’oppio alimentano l’epidemia afghana. Le autorità appaiono incapaci o poco disponibili a fermare il traffico multimiliardario.

Steve Chao & Philip J. Victor, Al Jazeera America – Rawa news – 8 maggio 2015

drug afghanistan 08 may 14 300x210L’Afghanistan è preso nella morsa di un’epidemia di droga che alcuni dicono peggiore del pericolo talebano. E coloro che sono dietro al traffico hanno un atteggiamento di sfida verso gli sforzi per eliminare la loro presenza dal paese.

“Non ci fermeranno mai. Abbiamo assaggiato il gusto del profitto, così non ne faremo più a meno”, ha detto uno spacciatore quando gli è stato chiesto se il governo sarà mai capace di fermare il traffico illecito.

“Qualche volta ci sono dei tentativi d’irruzione, ma abbiamo tanti laboratori e luoghi per nascondere la merce. Il confine è anche molto poroso, così non c’è modo di fermare il flusso.”

I campi di papavero afghani ora suppliscono più del 90% dell’eroina mondiale e le autorità non sono capaci o, come qualcuno suggerisce, disponibili a fermare quelli dietro l’industria multimiliardaria del traffico. La coltivazione ha raggiunto i livelli più alti lo scorso anno, secondo le Nazioni Unite.

La ripresa della produzione del papavero ha portato alla devastazione della popolazione, con un numero di drogati che raggiunge i 3 milioni.

Il Vice  Comandante della Narcotici Nasrullah Khan, che per anni è stato responsabile della sicurezza sulle autostrade e solo recentemente è stato incaricato di affrontare il problema della droga nel paese, ha detto che le autorità sono sorpassate e disarmate nella loro battaglia contro i signori della droga e i talebani.

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Quattro condanne a morte nel processo per l’uccisione di una donna in Afghanistan 

Internazionale – 6 maggio 2015

414437 img650x420 img650x420 crop 300x193In Afghanistan un giudice ha condannato a morte quattro persone ritenute colpevoli di aver partecipato all’omicidio di una donna uccisa in un linciaggio.
Nel processo sono imputate altre 49 persone, di cui 19 sono agenti di polizia. Le altre sentenze saranno pronunciate nel corso della giornata.

La donna, 28 anni, identificata solo con il nome di Farkhunda, è stata uccisa il 19 marzo. Il suo corpo è stato bruciato e gettato in un canale dopo che un mullah l’aveva accusata di avere bruciato alcune pagine di una copia del Corano.

La morte di Farkhunda ha innescato una serie di proteste della popolazione e migliaia di persone hanno partecipato al suo funerale il 23 marzo.