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Autore: Anna Santarello

Le bombe americane uccidono 11 civili in Afghanistan e Karzai s’arrabbia

Giornalettismo – 10.9.2014

L’ennesima strage di civili scatena la reazione del leader afgano, da tempo in attrito con gli Stati Uniti per i troppi «danni collaterali». Le bombe americane uccidono 11 civili in Afghanistan e Karzai s’arrabbia. 

Secondo gli afgani le 14 vittime di un bombardamento nella provincia Nord-orientale di Kunar erano «per la maggior parte civili», 11 su 14. Accertamento che ha fatto partire ancora una volta una dura condanna degli statunitensi da parte del presidente afghano Karzai.

Karzai 2 770x642Il presidente afgano Karzai con il presidente americano Obama

C’È ANCORA KARZAI – Amid Karzai a quest’epoca avrebbe già dovuto lasciare il posto al suo successore, se non fosse che il favorito Abdullah Abdullah è uscito sconfitto dal ballottaggio dopo un rovesciamento del risultato del primo turno determinato da milioni di voti in più finiti al suo rivale Ashraf Ghani, appoggiato da Karzai.

Abdullah aveva già abbandonato dopo il primo turno alle presidenziali precedenti, denunciando brogli massicci a favore di Karzai, ora il paese è bloccato, con gli americani che provano a convincere i due a siglare un accordo di power sharing, che poi in pratica significa Abdullah ad accettare la sconfitta per merito dei brogli, visto che persino il riconteggio è stato sabotato e non ne è uscito un risultato condiviso dai due candidati.

ERANO QUASI TUTTI CIVILI – Secondo Abdul Ghani Musamem, portavoce del governatore della provincia di Kunar, tra le 14 vittime ci sono 11 civili, compresi due bambini e dei donne, e tra i 13 feriti ce ne sono altri 12. Come spesso accade in casi del genere, per ora non c’è nessun commento immediato da parte del comando dell’International Security Assistance Force (ISAF) o della NATO o degli americani, che di solito rispondono a distanza di settimane dopo aver svolto le loro indagini.

LA DINAMICA DELL’EVENTO – Il bombardamento sarebbe seguito a un agguato a una pattuglia congiunta tra soldati afghani e della NATO, che hanno chiamato i rinforzi dal cielo e quindi scatenato un bombardamento nel quale sono rimasti colpiti diversi civili. Secondo i testimoni locali ci sono state due ondate di bombardamenti, la prima che ha colpito quattro uomini che tornavano dal lavoro e la seconda che ha investito quanti stavano cercando di recuperare i corpi dei morti e soccorrere i feriti.

LA CONDANNA DI KARZAI – Aimal Faizi, portavoce di Karzai, ha scritto su Twitter che il presidente «Condanna duramente un bombardamento che ha ucciso e ferito civili, compresi donne e bambini, nella provincia di Kunar».

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Summit NATO: non lasciare l’Afghanistan, con un lascito di impunità

Comunicato Stampa Amnesty International – 3/9/2014

Civilian Casualties 150x150La NATO rischia di lasciare l’Afghanistan con un lascito di impunità a meno che le uccisioni illegali di civili da parte delle forze internazionali che si sono protratte per più di un decennio non vengano affrontate con procedimenti di giustizia e riparazione.

Queste le dichiarazioni di Amnesty International ad un vertice internazionale che si è tenuto il 4-5 settembre a Newport, nel Galles. Tra i punti all’ordine del giorno per i capi di Stato dei Paesi NATO che hanno partecipato, il sostegno e la formazione delle Forze di Sicurezza Nazionale dell’Afghanistan (ANSF) che assumeranno pienamente la responsabilità della sicurezza nel paese entro la fine dell’anno.

“Con la fine della transizione di sicurezza è un momento fondamentale per affrontare la quasi totale mancanza di assunzione di responsabilità per le vittime civili. Ciò è chiaramente illegale e totalmente inaccettabile”; queste le dichiarazioni di Richard Bennett, Direttore Asia Pacifico di Amnesty International.

“Coloro che si sono resi responsabili dell’uccisione di civili in violazione di legge dal 2001, anno d’inizio dell’intervento internazionale, devono essere portati nelle corti di giustizia. Alle famiglie e ai superstiti devono essere forniti riparazioni in conformità con gli standard internazionali. Le truppe afghane necessitano anche maggior supporto per prevenire, monitorare e gestire violazioni dei diritti umani”.

In un recente rapporto, Amnesty International ha documentato la quasi totale mancanza di giustizia per le vittime civili causate dagli Stati Uniti e dalle altre forze della NATO in Afghanistan. Il Rapporto si è incentrato principalmente sulle forze americane – la maggioranza delle forze internazionali in Afghanistan – che sono state implicate nel più alto numero di casi di vittime civili.

Amnesty International stima che circa 1.800 civili siano stati uccisi in operazioni militari internazionali tra il 2009 e il 2013, il periodo coperto dalla relazione.

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Dodici milioni di afgani guadagnano meno di 45 centesimi al giorno

The Killid Group – 24 agosto 2014

poverty kabulQuasi dodici milioni di afghani vivono in povertà. Nove milioni soffrono la fame e sono in pericolo di morire di fame.

Il 18 agosto, l’Unione Europea (UE) ha deciso di stanziare 125 milioni di euro (167 milioni di USD) per i produttori per compensarli delle perdite subite a causa dei prodotti alimentari deperibili. Lo stesso giorno, la Reuters ha riferito che le armi statunitensi vengono utilizzate per distruggere le armi statunitensi.

La madre di questa follia internazionale è la guerra in Afghanistan, Iraq e Ucraina. Secondo le stime di Reuter, se un F-16 decolla dalla base dell’Air Force in Turchia, vola due ore per Erbil in Iraq e colpisce con le sue bombe un singolo bersaglio, ciò costa agli Stati Uniti dagli 84.000 ai 104.000 dollari per la sortita a cui si aggiunge la distruzione di equipaggiamento made in USA requisito dagli Jihadisti ISIS per un valore che va da un minimo di un milione di dollari a un massimo di 12 milioni di dollari.

Russi e ucraini si stanno affrontando con carri armati, pistole, bombe e aerei tutti realizzati negli stessi stabilimenti. Solo 23 anni fa facevano parte dello stesso Paese. E anche dopo hanno mantenuto stretti legami militari fino a qualche mese fa, quando USA-UE-NATO hanno cercato di fare dell’Ucraina un alleato occidentale e la Russia si è opposta.

Il’ sostegno dell’Unione europea ai suoi agricoltori è dovuto al fatto che la Russia ha replicato alle sanzioni occidentali contro l’Ucraina con il proprio veto alle importazioni di prodotti alimentari provenienti da Europa, Stati Uniti, Australia, Canada e Norvegia.

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Afghanistan: un elenco con 5.000 vittime

BBC NEWS MAGAZINE – 25 Agosto 2014 – Articolo di David Loyn – BBC News – Kabul

 76751487 topcompoUn anno fa, un pubblico ministero olandese pubblicò un elenco di 5.000 nomi che causò immediatamente il cordoglio pubblico dell’Afghanistan.

Si trattava di persone uccise in seguito al colpo di stato comunista nel 1978. Alcuni degli assassini con le mani sporche di sangue vivono attualmente in Europa.

Secondo quanto afferma il pubblico ministero, esistono prove sufficienti per arrestare per crimini di guerra diversi Afghani che vivono in Olanda e anche altri che si trovano in vari paesi europei, anche se alcuni di questi paesi stanno seguendo questi casi in modo più approfondito di altri.
I sospettati non sono a conoscenza di queste indagini e l’elenco è stato pubblicato solo quando uno di loro morì prima di essere processato.

I documenti lo segnalavano solamente come “Comandante O”, ma ora il suo nome completo – Amanullah Osman – può essere reso pubblico.
In Olanda, Osman non nascondeva di aver fatto parte della polizia segreta afghana, sicuro che questo avrebbe facilitato la sua richiesta di asilo. Era certo che rivelando il suo passato non lo avrebbero fatto rientrare in Afghanistan, dove la sua vita sarebbe stata in pericolo. Non immaginava che anche in Olanda sarebbe stato processato per crimini di guerra.

 76753049 deathlist cutUn estratto dell’elenco

Ulteriori scoperte
Quando gli venne chiesto se qualcuno era stato maltrattato sotto la sua custodia, Osman rispose: “Certamente, ed ero io responsabile dei maltrattamenti. È così che vanno le cose in Afghanistan”.
Per il suo processo vennero raccolte molte prove, inclusi documenti originali da lui firmati che autorizzavano torture ed esecuzioni.

Dopo la morte di Osman, il pubblico ministero Thijs Berger ha pubblicato on-line parte di queste prove affinché i parenti delle vittime potessero accedervi, fra cui un elenco di circa 5.000 nomi di persone uccise fra il 1978 e il 1979.

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Afghanistan: Safa non c’è più, ma il suo cammino non si fermerà

Hambastagi – Partito della Solidarietà dell’Afghanistan – 27 agosto 2014

854 safa ahmadSafa Ahmad, 17 anni, ha vissuto in povertà, ma lavorava duramente per aiutare il suo popolo. Nonostante la sua giovane età aveva una straordinaria passione e un grande desiderio per un futuro migliore.

Purtroppo, i criminali avvezzi all’uso delle armi che non sopportano persone ambiziose e orgogliose come Safa, lo hanno ucciso durante un litigio, e hanno cercato di fermare il seme della libertà.

Safa Ahmad (23 giugno 1997 – 27 luglio 2014) era uno studente dell’undicesima classe (corrispondente al nostro quarto anno di scuola superiore N.d.R.) e uno dei giovani attivisti del Partito della Solidarietà dell’Afghanistan (Hambastagi).

Il Partito della solidarietà è in lutto ed esprime le sue condoglianze alla famiglia di Safa, ai suoi amici e a tutti i membri del partito per la scomparsa di un giovane indomito e consapevole, ed è deciso a trasformare il dolore in forza.

Safa Ahmad è nato nel villaggio di Haibatkhel, nel distretto di Saikhel della provincia di Parwan, da una famiglia povera il cui reddito era costituito dai prodotti agricoli ricavati da 1-2 ettari di terreno. Era ancora un bambino quando i talebani attaccarono con violenza la valle dello Shamili (a nord di Kabul); la famiglia di Safa cercò rifugio prima nella valle del Panshir, poi nel distretto di Tagab e infine a Nimruz (una provincia occidentale ai confini con l’Iran). La povertà e la condizione di profugo costrinsero Safa, insieme a suo fratello maggiore, a passare l’infanzia lavorando come venditore di bolani – un pane tradizionale afghano condito con verdure – per riuscire a guadagnare qualche soldo che consentisse alla sua famiglia di sopravvivere.

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Safa, vittima del Far West afghano

Dal blog di Enrico Campofreda – 26 agosto 2014

Safa ahmadQuella di Safa Ahmad è una storia di povertà e morte. Come altre mille e mille in Afghanistan, Paese che vede la terza generazione soffocata dai conflitti. Ma accanto alla scia di sangue Safa lascia un presidio di sogno e riscatto, spezzati purtroppo da ex miliziani trasformati in vagabondi, volto oscuro d’una nazione dove la quotidianità è soffocata dalla violenza degli occupanti occidentali e dei sempiterni Signori della guerra.

Polvere e soprusi vagano nell’aria della capitale e dei villaggi dove bambini, donne, anziani pagano le conseguenze più dolorose. Safa è stato ucciso per una lite di strada, che pur nei suoi giovani diciassette anni cercava d’evitare, perché chi in quei luoghi nasce povero (la quasi totalità dei 32 milioni di abitanti) ha ben altri problemi da risolvere che sprecare inutili energie in sciocchi contenziosi.

Non quando s’incrociano criminali matricolati come Raqib, l’assassino, non privo di passato politico. Lui era stato uno dei comandanti della Shura-e Nezar, organismo paramilitare guidato da Shah Massud, Signore della guerra considerato eroe nazionale.

Da questo passato Raqib ereditava il sopruso con cui s’era impossessato dei terreni di taluni paesani che, a causa di bombardamenti (negli ultimi tredici anni della Nato), s’erano stabiliti nei dintorni di Kabul. Aveva proseguito con le proprie infamie, aumentandole in occasione del reclutamento di suoi due fratelli nella polizia di frontiera grazie al programma governativo di “disarmo, smobilitazione, rintegrazione”.

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Afghanistan: chi governa per chi

Dal blog di Enrico Campofreda – 25 agosto 2014
 
cippiafghaniIl panorama istituzionale afghano che – verifiche delle schede a parte – viaggia verso la creazione d’un “governo d’unità nazionale” coi contendenti Abdullah e Ghani uniti nel cogestire il piano preparato da Washington, potrebbe trovare qualche ostacolo. Una delle sorprese politiche che prende corpo è l’allargamento del fronte di Unità nazionale anti americano contro le basi militari.

 
Una sedicente Jirga della pace sorta per iniziativa di Shah Ahmadzai, ex primo ministro del mujaheddin Rabbani, l’eminente esponente dell’Alleanza del Nord che finì i suoi giorni in un attentato, s’oppone all’occupazione perenne del Paese da parte delle truppe Nato.

 
Nel mirino c’è il Bilateral Security Agreement, l’accordo creato nel momento di rapporti ancora buoni fra Karzai e Obama, che prevede la continuazione della presenza militare statunitense in molte province afghane, soprattutto attorno alle basi aeree, per un controllo strategico sul versante militare e su quello economico.

 
L’ex presidente s’è poi sfilato dalla promessa di apporre la firma definitiva al patto e nel novembre scorso ha passato la palla alla Wolesi Jirga (la Camera bassa). Oggi i due pretendenti alla carica di Capo dello Stato si mostrano disponibili a firmare e John Kerry è felice.

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Afghanistan, attacchi al Partito della Solidarietà

dal blog di Enrico Campofreda – 22 Agosto 2014

10606586 835941846418929 2585911239717108907 n 300x225Nonostante accordi e aggiustamenti fra le parti i clan di Abdullah e Ghani (e tutta la pletora degli alleati con turbante e senza ma certamente con le armi) assieme alla Commissione Elettorale Indipendente, benedetta da Nazioni Unite e da Kerry, continuano a patteggiare il difficilmente patteggiabile: la divisione delle poltrone. Un potere che dovrebbe seguire la comparsata delle verifiche d’un numero imprecisato di urne elettorali. Le ultime cifre ne indicano 14.516, magari fra qualche giorno quel riferimento aumenterà di nuovo.

Si va avanti in tal modo da fine giugno e in condizioni normali si potrebbe pensare a un ‘work in progress’, non è così. Quello che procede a Kabul è un negoziato che ai sorrisi e alle strette di mano dei due politici intenti a decidere come spartirsi la guida della Repubblica Islamica e dividere la torta degli aiuti internazionali (compresi quelli della cooperazione che spesso prendono le vie dei locali ministeri), contrappone le tensioni dei loro sostenitori. Non solo fra gli attivisti di strada, ma fra gli incravattati funzionari che constatano come i voti sui database non corrispondono affatto a ciò che compare sulle schede rivisitate.

Un peccato comune a entrambi i candidati, perché le presidenziali andate in scena di falso hanno l’intero meccanismo, basato su brogli e voto di scambio. Martedì scorso qualche parola di troppo fra gli schieramenti ha prodotto una mega rissa all’interno della sede della commissione, non sono spuntati i kalashnikov ma coltelli e forbici sì, e con essi diversi addetti si sono bucati le carni finendo in sei all’ospedale.

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Giustizia: fine all’occupazione straniera e processo ai criminali

dal sito di Saajs, (Associazione Sociale per la Giustizia in Afghanistan), 19 Agosto 2014

28 asad 2014 300x187Novant’anni fa, il 19 Agosto 1919, gli agguerriti combattenti per la liberazione del nostro paese hanno issato la bandiera della libertà e dell’indipendenza sacrificando le loro vite nella lotta contro le forze occupanti inglesi.

Il re Amanullah e i suoi alleati, Mahmood Tarzi, Ghulam Mohmmad Khan Charkhi, Wali Khan Darwazi, Sarwar Joya, Abdul Rahman Lodin, insieme a molti altri valorosi combattenti avevano giurato di non arrendersi al potente nemico e continuare invece la loro lotta per l’indipendenza.

Dinnanzi al nostro popolo unito, le truppe inglesi ormai decimate avevano capito che il loro governo non sarebbe durato a lungo, e così si arresero, accettando la sconfitta e concedendo l’indipendenza all’Afghanistan. Ovviamente, non prima di aver vagliato ogni possibile alternativa che garantisse continuità alla loro sanguinolenta occupazione.

La determinazione del governo Amani nel resistere alle forze inglesi, e le riforme culturali, politiche ed economiche di questo governo che avevano posto le basi per un futuro migliore per il paese, spaventarono i nemici interni e stranieri.

Coloro che non accettavano l’idea di un Afghanistan progressista tentarono di ostacolare il processo di riforme del governo Amani creando disparità tra gli innocenti, il tutto con la stretta collaborazione degli inglesi. Inizialmente, Habibullah fu chiamato a destabilizzare il governo e spianare la strada al noto Nadir, il principale braccio destro degli inglesi, che mirava al trono.

Nadir rese vani tutti i progressi ottenuti fino a quel momento e instaurò un regime dispotico. Il nemico approfittò della situazione per rivendicare la propria sconfitta ed eliminare i principali sostenitori progressisti e patriottici di Amanullah, arrestandoli o uccidendoli. L’obiettivo degli inglesi era quello di intimidire il nostro popolo e mettere a tacere la resistenza. Il regime dispotico di Nadir e della famiglia durò per diversi decenni e soppresse con violenza ogni tentativo di ribellione da parte del popolo.

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IL LUNGO CAMMINO DEL PROGETTO VITE PREZIOSE.

di Cristiana Cella – Cisda Firenze

HAWCALogo copyDa tre anni il progetto Vite Preziose sostiene la vita e le speranze di 28 donne afghane, vittime della violenza maschile fondamentalista. Da tre anni, donne e uomini italiani , con un contributo mensile di 50 o 25 euro, o con una donazione ‘una tantum’, sono al loro fianco nelle difficili battaglie quotidiane e sulla rischiosa strada del loro riscatto. Siamo fieri dei nostri sponsor, che con generosità ed entusiasmo continuano a seguirci, , e delle piccole/grandi conquiste che abbiamo ottenuto.

Il progetto portato avanti insieme alla Ong di donne afghane Hawca (Humanitarian Assistence of women and Children of Afghanistan), e al Cisda, ha trovato grande spazio e sostegno sulle pagine e sul sito dell’Unità, dove è stato lanciato nel 2011. Oggi, dopo la, speriamo provvisoria, chiusura, il nostro progetto sarà ancora più presente su Osservatorio Afghanistan, raccogliendo tutti gli aggiornamenti e le notizie che ci arrivano da Kabul.

In questi tre anni, la vita e le condizioni della popolazione civile afghana non hanno fatto che peggiorare. La guerra dimenticata continua il suo devastante corso. Miseria, droga, vittime di bombardamenti e attentati sono aumentate ogni anno. Mentre il fondamentalismo dilaga e si rafforza sempre di più, nelle famiglie, nel Governo, nelle Istituzioni e nella giustizia, le sofferenze delle donne sono tragicamente cresciute.

E il coraggioso lavoro di Hawca diventa sempre più difficile e pericoloso. Proprio per questo è importante che il nostro sostegno, questo piccolo ponte di solidarietà, continui con forza il suo percorso, aiutando, se possibile, un numero sempre maggiore di madri di famiglia, bambine, ragazze, vedove e affiancando le battaglie politiche di Hawca e delle altre organizzazioni democratiche che sosteniamo da anni. Perché ognuna di loro e l’Afghanistan stesso, possano avere un futuro.
Ecco le storie aggiornate di alcune delle donne che partecipano al progetto. Per ulteriori informazioni, notizie o dubbi, scrivete a: vitepreziose@gmail.com


SAFIA – LA STORIA
Ho 32 anni vivo alla periferia di Kabul. Sono nata quando i russi sono entrati nel mio paese. La pace non so cosa sia, è un tempo lontano, nei ricordi di mia madre. Sembra una favola, finta. Era il ’96 quando mio marito è morto. Da quattro anni i capi mujahiddin si sbranavano come cani rabbiosi intorno a un osso, Kabul. Si moriva anche solo per andare a cercare un po’ d’acqua. Vivevamo come topi, chiusi, terrorizzati, nelle nostre case. Allora sono arrivati i talebani, dicendo, come dicono tutti prima di sparare, di portare la pace.

Nel mio quartiere, eravamo tagiki, lì si era installato Massud per attaccare i talebani. I combattimenti erano feroci. Massud ha perso, è scappato nella sua roccaforte del Panshir. Lui e i suoi sono scappati. Ma noi siamo rimasti, da soli, a subire la vendetta talebana. Molte persone innocenti sono state massacrate, bastava la nostra faccia, bastava che venissimo dal Panshir. Mio marito è stata una di queste vittime. Ero giovane allora, e avevo già tre figli, molto piccoli. Per i bambini vivere era una scommessa. Il mio figlio maschio si è ammalto. Tubercolosi.

Due anni fa è morto. Finché c’era lui, vivere con la famiglia di mio cognato era sopportabile, mi difendeva. Ma da due anni, io e le mie figlie siamo prigioniere di questa famiglia. Mio cognato non vuole che vadano a scuola, né che io lavori fuori casa. Mia cognata mi grida tutto il giorno: ’Fino a quando dobbiamo darvi da mangiare?’ Minaccia continuamente di buttarci fuori casa. Quando mio cognato torna dal lavoro, ci accusa di qualsiasi sciocchezza e lui ci picchia, ogni sera. La mia speranza sono le mie figlie. Che possano avere un’altra vita, che non debbano sentirsi vecchie a 30 anni. Se avessi un po’ di soldi miei, potrei mandarle di nuovo a scuola, potrei lasciare questa casa, dove non ci vogliono, e cercare un piccolo lavoro. Trovare almeno la pace dentro.

GLI SVILUPPI
L’aiuto di Paola, che è al suo fianco da un anno e mezzo, comincia a cambiare la sua vita e a riportare un po’ di speranza. Con il sostegno che riceve, si libera dal ricatto economico della famiglia e può provvedere alle necessità sue e delle figlie. Non deve più subire gli insulti e le violenze che accompagnavano ogni sua richiesta, anche solo di sopravvivenza. Come sempre qui, la via della liberazione per le donne passa dalla scuola e Safia vuole fermamente che le sue figlie riprendano a studiare, per costruirsi una vita diversa dalla sua.

Con l’aiuto della sua sponsor e delle assistenti di Hawca, riescono a ottenere questo prezioso traguardo. Ma i guai non sono finiti. Il cognato si mette in mente di sposare la figlia maggiore, ancora bambina e la ossessiona con le sue pressioni. Safia lotta con le unghie e coi denti per proteggerla. Come spesso succede, il sostegno economico diventa un’arma di difesa.

‘Se le ragazze non vanno a scuola, il sostegno finirà’ così dicono ai loro uomini molte delle nostre amiche. E gli uomini si convincono. Il cognato molla la presa ma propone il figlio. Vuole assolutamente che la bambina sposi il cugino.
La ragazzina, che ha già imparato a combattere, rifiuta e grazie ad Hawca che l’appoggia, riesce a sventare anche il pericolo di questo matrimonio forzato. Continua a studiare con ottimi voti. Safia riesce anche a lavorare fuori casa adesso, come donna delle pulizie , e guadagna qualcosa. Il sogno è quello di andare a vivere da sola con le figlie, una cosa difficilissima in Afghanistan, ma ora che il percorso è cominciato e non è più sola , è convinta che ce la farà. Lasciare l’inferno di quella casa sarà la sua vittoria più grande.
Per questo cerca un lavoro migliore, per poter mettere da parte il necessario. La sua amica italiana, che ringrazia ogni giorno, è la sua principale alleata in questa difficile battaglia.

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