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Autore: Anna Santarello

Nuova frontiera: il Kurdistan iracheno. La Turchia si prepara a una potenziale escalation del conflitto al confine

Ilfattoquotidiano.it Roberta Zunini 28 giugno 2024

Ci sarebbero preparativi in corso per un attacco contro l’aeroporto internazionale di Sulaymaniyah, una risorsa significativa per l’intera regione semi autonoma

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La Turchia ha intensificato la presenza militare nella regione semi autonoma del Kurdistan iracheno, segnalando una potenziale escalation nel conflitto di lunga data con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) di Ocalan, secondo quanto riportato dai media filo-governativi e filo-curdi.

Yeni Şafak, il giornale turco più allineato, ha sottolineato che ci sono preparativi in corso per un attacco contro l’aeroporto internazionale di Sulaymaniyah, una risorsa significativa per l’intera regione semi autonoma. Secondo il quotidiano, l’aeroporto è diventato un “centro logistico” per il PKK, utilizzato sia dagli Stati Uniti che dall’Iran per fornire armi all’organizzazione i cui guerriglieri sono riparati in massa dal 2014 specialmente sulle montagne del Kurdistan iracheno, al confine con la Turchia. Se la Turchia rileva un’altra consegna di armi, colpirà dunque l’aeroporto. Ankara cerca da tempo di convincere la fazione Talabani, che controlla Sulaymaniyah, a limitare le attività del PKK in città.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, due mesi fa, nella sua visita di Stato – a dieci anni dall’ultima – alle autorità governative centrali dell’Iraq, era riuscito a convincerle ad approvare la messa al bando del Pkk di Ocalan dopo essere riuscito a convincere il clan Barzani a fare altrettanto.

La regione semi autonoma del Kurdistan iracheno – la più ricca di gas e petrolio pregiato dell’intero Iraq – è da decenni governata da due clan curdi rivali che si spartiscono il potere e, di conseguenza, i proventi della vendita di combustibile: il filo-turco Barzani che guida la “capitale” Erbil con tutta la zona occidentale e la tribù Talabani che ha il controllo della zona orientale, con capoluogo la città di Sulaymaniyah, al confine con l’Iran con cui ha stretti rapporti commerciali – sottobanco – specialmente in ambito energetico. L’Iran, vale la pena ricordarlo, possiede enormi giacimenti che però sono zeppi di petrolio di bassa qualità. Non avendo le infrastrutture per raffinarlo, il regime iraniano lo vende al clan Talabani in cambio di quello naturalmente già sfruttabile estratto in Kurdistan. Il clan Barzani invece vende gas e petrolio alla Turchia che ne è del tutto priva.

Pochi giorni fa il notiziario con sede in Kurdistan, Rojnews, ha pubblicato immagini che mostrano presumibilmente un nuovo dispiegamento di truppe turche nella regione. Il giornalista curdo Erdal Er, commentando gli sviluppi tramite il suo canale YouTube, ha interpretato questi movimenti come “un segno di una guerra molto più grande che verrà“. Ha anche affermato che le aree civili su entrambi i lati del confine sono già interessate da questi preparativi militari che impongono “sfollamenti interni e migrazioni all’estero”.

Il giornalista ha suggerito che l’aggravarsi e l’estendersi della guerra, con Sulaymaniyah che diventa un obiettivo, è dovuto al tentativo di bilanciare la superiorità aerea nelle operazioni meridionali della Turchia, quell’area con capoluogo Diyarbakir dove origina il Pkk e vive da sempre la maggior parte del popolo curdo. “Finora i turchi avevano un vantaggio o credevano di averlo nella guerra contro il movimento di libertà curdo. Usavano droni e UAV armati ottenuti o trasferiti da Paesi europei, dagli Stati Uniti e dalla Nato. Uccidevano, sparavano missili contro individui come se sparassero proiettili… Poi anche la guerriglia ha acquisito la tecnologia per abbattere gli UAV”. L’equilibrio nella guerra è cambiato: l’era del gioco unilaterale ha sconvolto i calcoli di Ankara. “Poiché il governo di Erdogan ha legato il proprio destino alla continuazione e addirittura alla vittoria di questa guerra, non hanno altra storia”, ha spiegato Er.

A marzo, il PKK ha annunciato di aver acquisito armi per contrastare i droni turchi, pubblicando filmati che presumibilmente mostravano l’abbattimento degli UCAV. Sebbene il gruppo militante non abbia specificato le armi utilizzate, diversi rapporti suggeriscono che potrebbero essere droni kamikaze di fabbricazione iraniana.

Dal 2019, la Turchia ha condotto una serie di operazioni militari contro il PKK nel nord dell’Iraq, note collettivamente come operazioni “Claw” (artiglio) attraverso una combinazione di presenza militare permanente con attacchi e raid più precisi in coordinamento politico con il governo regionale del Kurdistan (KRG), più precisamente con i peshmerga del clan Barzani che esprime il primo ministro. Questa presenza è sostenuta dalla sorveglianza continua e dagli attacchi dei droni, con circa 5.000-10.000 soldati turchi sul terreno in quasi tre dozzine di siti, secondo una valutazione della Jamestown.

Insomma la Turchia vuole “la pace” nel mondo a giorni alterni.

Afghanistan, giornalista fugge da Talebani: da Russia costretta a tornare a Kabul

adnkronos.com 26 giugno 2024

Kobra Hassani era fuggita dal suo paese, Mosca non le ha dato asilo

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La giornalista tv e attivista afghana Kobra Hassani, fuggita dal suo Paese dopo il ritorno al potere dei Talebani nel settembre del 2021, ha lasciato ieri Mosca per Kabul, dove rischia di essere condannata alla pena di morte, ha reso noto il sito di notizie Fontanka, citando fonti della diaspora afghana in Russia.

Hassani, che ha 27 anni, era inizialmente approdata in Ucraina, dopo aver passato il confine fra Afghanistan e Tagikistan, ma in seguito all’inizio dell’invasione russa aveva cercato di trasferirsi in Polonia. Era invece stata truffata e portata nei territori occupati dalla Russia e infine in Russia, dopo un viaggio tortuoso. “Non mi hanno lasciato andare in Europa, e non mi hanno dato asilo in Russia”, aveva testimoniato.

In Russia era stata poi arrestata a San Pietroburgo insieme ad altri 12 connazionali nel maggio del 2022 mentre cercava di partire con l’accusa di aver provato a lasciare la Russia illegalmente per entrare in un Paese dell’Unione europea insieme ad altri nel quadro di un complotto. Un anno dopo un tribunale aveva ordinato la deportazione di Hassani. Alla fine dello scorso anno aveva presentato una richiesta di asilo, ma a gennaio le autorità russe avevano respinto la sua richiesta. A febbraio, è stata condannata a due anni di prigione. Considerato anche il periodo trascorso in carcere in attesa di processo, è stata rilasciata, e l’ordine di deportazione cancellato.

Ieri ha preso un aereo da Mosca a Kabul. Avrebbe potuto provare a chiedere asilo ad altri Paesi, come l’Albania o la Germania, ma non aveva denaro o energie, ha spiegato il suo avvocato, Maria Beliaeva al Moscow Times. L’ipotesi dei suoi avvocati, informati della partenza della loro assistita da altri afghani in Russia, è che non avesse più le forze per rimanere in Russia e non avesse più fiducia di potersi effettivamente trasferire in un Paese terzo. La Russia sta preparandosi a cancellare i Talebani dall’elenco delle organizzazioni terroristiche, aveva anticipato l’agenzia Tass lo scorso aprile, citando gli sforzi del ministero degli Esteri.

Talebani a conferenza Onu a Doha, la richiesta: niente donne afghane. E’ polemica

adnkronos.com  26 giugno 2024

Le Nazioni Unite hanno ceduto alla richiesta. Ex ministra afghana per gli Affari femminili: “Sottomissione indiretta alla loro volontà”

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Una delegazione dei talebani guidata da Zabihullah Mujahid, portavoce del movimento che nell’agosto del 2021 riprese il controllo dell’Afghanistan, parteciperà a una conferenza delle Nazioni Unite in programma il 30 giugno e il primo luglio a Doha, in Qatar. Ma la loro presenza è un caso.

I talebani, come riporta un articolo del Guardian, hanno espressamente legato la loro presenza al fatto che nessuna afghana sia autorizzata a partecipare alla riunione dell’Onu organizzata per discutere l’approccio della comunità internazionale al Paese e che i diritti delle donne non vengano messi all’ordine del giorno.

Nel tentativo di portare i talebani al tavolo delle trattative, l’Onu ha ceduto alle loro richieste, come ha sottolineato l’ex ministra afghana per gli Affari femminili, Sima Samar. “Questa situazione è una sottomissione indiretta alla volontà dei talebani. Il diritto, la democrazia e la pace sostenibile non sono possibili senza includere metà della popolazione della società che è costituita da donne. Non abbiamo imparato nulla dagli errori del passato.”, ha dichiarato.

Habiba Sarabi, un’altra ex ministra e prima governatrice donna dell’Afghanistan, ha affermato che la comunità internazionale sta dando priorità all’impegno con i talebani rispetto ai diritti delle donne. “Purtroppo la comunità internazionale vuole trattare con i talebani ed è per questo che la loro agenda è sempre stata più importante per loro delle donne afghane, della democrazia o di qualsiasi altra cosa”, ha sostenuto Heather Barr, di Human Rights Watch, ha aggiunto: “Ciò che sta accadendo in Afghanistan è la più grave crisi dei diritti delle donne nel mondo e l’idea che le Nazioni Unite convochino un incontro come questo senza discutere dei diritti delle donne e senza includere le donne afghane è incredibile”.

I talebani non hanno partecipato a precedenti incontri delle Nazioni Unite all’inizio di quest’anno, con il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che spiegò che il gruppo aveva presentato una serie di condizioni per la sua partecipazione che “ci negavano il diritto di parlare con altri rappresentanti della società afghana” e che erano “inaccettabili”.

L’Afghanistan sempre di più vive un’emergenza umanitaria senza precedenti

unicef.it 13 giugno 2024

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L’Afghanistan sempre di più vive un’emergenza umanitaria senza precedenti che, prolungata negli anni, vede il sovrapporsi di crisi molteplici e concorrenti, tra insicurezza, instabilità politica ed economica, disastri naturali e sfollamento di popolazioni, nel quadro di una violazione sistematica dei diritti di donne e bambine. Nel paese, 23,3 milioni di persone versano in drammatico bisogno di assistenza umanitaria: di queste, 12,6 milioni sono bambini sotto i 18 anni d’età.

Tra i paesi più esposti ai rischi climatici, i rigidi inverni e disastri naturali ricorrenti come inondazioni e siccità aggravano condizioni di instabilità economica persistenti, con appena il 16% degli afgani che riescono a soddisfare i bisogni primari.  Il 67% della popolazione non ha accesso ad acqua sicura, con un pericolo crescente di diarrea acuta e colera. Rischi, che insieme a epidemie di malattie come il morbillo e a un’insicurezza alimentare su livelli d’emergenza, accrescono fortemente i pericoli di mortalità infantile.

Nella crisi in atto, 20,8 milioni di persone non hanno accesso ad acqua sicura e servizi igienico-sanitari di base, 17,9 milioni di persone sono prive di assistenza medica, 7,4 milioni necessitano supporto nutrizionale, con quasi 900.000 bambini in immediato pericolo di vita per Malnutrizione Acuta Grave.

Un’emergenza ulteriormente aggravata dai terremoti che ad ottobre hanno colpito l’Afghanistan occidentale, con effetti che hanno lasciato oltre 96.000 bambini in bisogno di aiuto umanitario, e dalle ultime devastanti alluvioni abbattutesi nel nordest del paese, con centinaia di morti e più di 3.000 abitazioni distrutte.

LA CRISI IN NUMERI

12,6milioni

BAMBINI BISOGNOSI DI AIUTI E ASSISTENZA

900mila

BAMBINI A RISCHIO PER GRAVE MALNUTRIZIONE

20,8milioni

PERSONE IN BISOGNO DI ACQUA E IGIENE

 

La condizione di donne e bambini•in costante peggioramento

Le donne e le ragazze afgane subiscono gli effetti peggiori della crisi, con una mancanza di rispetto dei loro diritti in continuo peggioramento, con restrizioni alle libertà fondamentali, di accesso ai servizi e della possibilità stessa di guadagnarsi da vivere. Semplicemente inconcepibile e sconcertante la decisione di vietare alle donne afgane di lavorare con l’ONU, UNICEF compreso.

Il divieto per le ragazze di accesso all’istruzione secondaria implica gravi rischi di apprendimento e protezione, rafforzando le disuguaglianze di genere preesistenti, con la progressiva esclusione di donne e ragazze dalla vita pubblica avrà effetti devastanti per le generazioni future.

In tale contesto, 8 milioni di bambine e bambini hanno bisogno di sostegno per l’istruzione, 9,2 milioni tra bambini e adulti con in cura minori di servizi di protezione.

Rimanere nel paese, per il bene dell’infanzia

Dopo la transizione politica in Afghanistan, la risposta umanitaria ha in gran parte evitato una catastrofe umanitaria. Ciò nonostante, la situazione rimane estremamente difficile, in primo luogo per donne e bambini.

Il contesto operativo in Afghanistan resta estremamente complesso, con ostacoli burocratici imposti dalle autorità di fatto talebane che sono aumentati, insieme  a minacce e intimidazioni contro gli operatori umanitari – e alle restrizioni imposte alle operatrici – ostacolando la fornitura di servizi salvavita fondamentali.

I bambini non dovrebbero pagare il peggioramento della crisi con la loro infanzia. L’UNICEF, operativo nel paese sin dal 1949, rimane in prima linea nella risposta umanitaria in Afghanistan, continuando a sostenere l’accesso ai servizi di assistenza senza restrizioni e in linea con i principi umanitari. Il nostro obiettivo è ottenere risultati concreti per l’infanzia: dove ci sono bambini bisognosi, l’UNICEF è e rimane presente.

Nel corso di oltre 70 anni in Afghanistan, l’UNICEF ha costruito un rapporto di fiducia con le comunità, negoziato con tutte le parti in conflitto l’accesso ai bisognosi, intervenendo per assicurare forniture salvavita nelle circostanze più difficili. Dalla presa del potere dei talebani, nell’agosto 2021, una serie di misure restrittive hanno progressivamente limitano le libertà fondamentali, soprattutto di donne e ragazze.

Attraverso una pianificazione dinamica delle contingenze, e la negoziazione di esenzioni ai divieti imposti al lavoro femminile, l’UNICEF lavora per preservare obiettivi e modalità operative dei programmi di intervento sul campo. In base all’Appello d’Emergenza per il 2024, l’UNICEF necessita 1,44 miliardi di dollari per rispondere ai bisogni di oltre 19,4 milioni di persone in Afghanistan, di cui più di 10,5 milioni sono bambini con meno di 18 anni.

L’azione dell’UNICEF

I bisogni dei bambini afgani e delle loro famiglie sono senza precedenti. Per rispondere alla crisi, come UNICEF sosteniamo interventi umanitari dando priorità alle misure salvavita, per il potenziamento immediato dei servizi nutrizionali e di salute infantile, idrici e igienico-sanitari, educativi e di protezione dell’infanzia. Fondamentale è scongiurare il collasso dei sistemi essenziali, e salvaguardare i progressi faticosamente raggiunti negli anni, incluso per i diritti delle donne e delle bambine.

Tra gli obiettivi dell’UNICEF per il 2024, opereremo per la nutrizione infantile per raggiungere con terapie di cura 815.000 bambini con Malnutrizione Acuta Grave e per assistere con cure mediche più di 19,4 milioni di persone. Per l’acqua e l’igiene, miriamo a raggiungere 5,5 milioni di persone con acqua sicura e 3,2 milioni con servizi idrici e igienico-sanitari appropriati.

Per la protezione dell’infanzia, opereremo per fornire a 3,6 milioni tra bambini e persone con in cura minori sostegno psicosociale e per la salute mentale. Per l’istruzione delle bambine e dei bambini afgani, l’obiettivo è raggiungerne 5 milioni con programmi d’emergenza, e assicurare protezione sociale  a155.000 famiglie vulnerabili. Tra i nostri obiettivi, assistere con informazioni chiave 10 milioni di persone, per la prevenzione di rischi e l’accesso ai servizi essenziali.

Risultati raggiunti

Grazie al nostro coraggioso personale, soprattutto quello femminile afgano, e nonostante un contesto operativo sempre più difficile, nel corso del 2023 ben 20.321.455 persone hanno ricevuto accesso a servizi sanitari sostenuti dall’UNICEF, 15.082.823 bambini sotto i 5 anni hanno beneficiato di diagnosi della malnutrizione e 715.480 di terapie salvavita. Un totale di 2.139.504 persone hanno ricevuto accesso ad acqua sicura e 1.128.381 a servizi igienico sanitari appropriati per differenze di genere.

Tra le misure di protezione, 3.997.806 tra bambini ed adulti con minori hanno beneficiato di sostegno psicosociale e per la salute mentale, 3.978.419 di attività di sensibilizzazione sui rischi mine ed ordigni inesplosi, 1.994.304 di prevenzione contro abusi e sfruttamento sessuale. Un totale di 387.106 donne e bambini sono stati assistiti contro le violenze di genere, 69.706 bambini soli o a rischio con servizi di protezione individuali.

Per l’istruzione, nel corso dell’anno 5.654.399 bambini sono stati assistiti con supporto scolastico d’emergenza, 685.974 bambini vulnerabili con attività educative nelle loro comunità. Nella drammatica crisi afgana, 11.472.166 persone sono state raggiunte con informazioni salvavita sui rischi di crisi umanitarie ed epidemiche, 170.405 famiglie hanno beneficiato di protezione sociale finanziata dall’UNICEF.

Dai documenti delle Nazioni Unite: aumentano gli attacchi anti-talebani in Afghanistan

voanews.com Ayaz Gul 21 giugno 2024

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ISLAMABAD—
Un rapporto trimestrale delle Nazioni Unite sulla situazione in Afghanistan ha documentato un aumento degli attacchi da parte di gruppi armati che combattono il dominio talebano. Ha inoltre rilevato tensioni interne “persistenti” tra i leader de facto afghani.

La Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, o UNAMA, ha pubblicato la valutazione venerdì, sottolineando che il Segretario generale Antonio Guterres l’ha recentemente presentata al Consiglio di Sicurezza.

Il rapporto afferma che l’opposizione armata “non ha rappresentato una sfida significativa” al controllo territoriale dei talebani da quando hanno ripreso il potere nell’agosto 2021.

“Due gruppi di opposizione hanno condotto attacchi durante il periodo in esame: l’Afghanistan Freedom Front [AFF] e il National Resistance Front [NRF]”, sostiene il documento.

L’ONU ha affermato che entrambi i gruppi si sono concentrati sull’attacco alle forze di sicurezza talebane nella capitale Kabul.

Il rapporto dice che la NRF ha effettuato “29 attacchi confermati” negli ultimi tre mesi, di cui 20 a Kabul e il resto nelle province settentrionali afghane di Takhar, Baghlan e Parwan. L’AFF ha condotto 14 attacchi, tutti avvenuti nella capitale.

“Entrambi i gruppi hanno utilizzato di fatto tattiche mordi e fuggi contro le forze di sicurezza , lanciando granate in 22 attacchi e utilizzando ordigni esplosivi improvvisati in altri sette”, riporta il rapporto delle Nazioni Unite.

Ha detto che un attacco rivendicato dalla NRF il 26 febbraio ha preso di mira la zona militare gestita dai talebani dell’aeroporto internazionale di Kabul, sparando tre colpi di mortaio sull’installazione ma non causando danni o vittime.

Un portavoce della NRF ha contestato la valutazione delle Nazioni Unite, affermando che è “profondamente deludente” vedere l’organismo mondiale minimizzare la sicurezza e altre crisi in Afghanistan.

“In particolare, quest’anno il Fronte di resistenza nazionale dell’Afghanistan ha condotto con successo oltre 160 operazioni a Kabul e in varie province, ma solo 29 sono state segnalate”, ha detto Ali Maisam Nazary sulla piattaforma di social media X. “Questa mancanza di resoconti accurati mina la vera situazione sul campo e rende un disservizio al popolo afghano”, ha scritto.

I risultati delle Nazioni Unite arrivano mentre la repressione dei talebani sui media ha reso estremamente difficile per i giornalisti accedere a informazioni autentiche e verificare le affermazioni dei ribelli.

I funzionari talebani non hanno ancora commentato il rapporto delle Nazioni Unite.

I gruppi ribelli afghani, NRF e AFF, sono costituiti da funzionari politici e militari del governo di Kabul, sostenuto a livello internazionale, che fu estromesso dal potere dagli allora ribelli talebani.

Le autorità talebane hanno anche minimizzato l’insurrezione armata, sostenendo di aver ripristinato la pace nell’Afghanistan devastato dalla guerra con il sostegno pubblico e di aver stabilito il controllo su tutte le 34 province del paese.

Il governo talebano, composto da soli uomini, è isolato a livello internazionale e condannato per le sue radicali restrizioni all’accesso delle donne e delle ragazze afghane all’istruzione e al lavoro.

Nessun paese ha riconosciuto formalmente la leadership talebana, né alcun governo straniero, compresi gli Stati Uniti, ha incoraggiato una guerra contro i governanti de facto afghani.

È una minaccia

Il rapporto delle Nazioni Unite ha inoltre documentato sei attacchi da parte di un affiliato dello Stato Islamico con sede in Afghanistan, noto come Stato Islamico-Khorasan, nel periodo in esame. Le violenze hanno preso di mira principalmente i talebani, compreso un attentato suicida fuori da una banca nella città meridionale di Kandahar il 21 marzo.

Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, l’esplosione di Kandahar ha ucciso almeno 25 forze di sicurezza talebane e ne ha ferite altre 45, insieme a cinque civili afghani. Funzionari talebani hanno formalmente confermato solo tre vittime, affermando che l’attacco ha ferito circa una dozzina di persone, anche se non hanno identificato le vittime.

I comandanti militari e i capi dell’intelligence statunitensi hanno descritto l’Isis-Khorasan come la minaccia più potente al dominio talebano non solo in Afghanistan. Il governo di Kabul sostiene che le sue continue operazioni antiterrorismo hanno notevolmente diminuito la presenza dell’IS-Khorasan nel paese, insieme alla sua capacità di lanciare attacchi internamente o esternamente.

Spaccature talebane

Il rapporto delle Nazioni Unite pubblicato venerdì ha anche osservato “alcune opinioni divergenti” all’interno dei talebani sulle questioni di governance.

“Le autorità di fatto mantenevano l’unità pubblica ed esercitavano il potere su tutto il territorio nazionale, anche se persistevano alcune tensioni interne alla loro struttura. Hanno continuato a collaborare con le comunità per colmare le lacune e ottenere il loro sostegno, riducendo allo stesso tempo lo spazio per uomini e donne per condurre attività civili e politiche”, afferma la valutazione trimestrale.

I funzionari talebani hanno ripetutamente respinto come propaganda occidentale le accuse di spaccature interne che coinvolgevano il loro solitario leader supremo, Hibatullah Akhundzada, e il ministro degli Interni Sirajuddin Haqqani.

“Queste sono solo voci, non vere”, ha detto Suhail Shaheen, il capo dell’ufficio politico dei talebani con sede in Qatar, in una breve dichiarazione giovedì quando gli è stato chiesto di commentare le presunte divisioni.

Sant’Egidio, il benvenuto ai profughi dell’Afghanistan arrivati coi corridoi umanitari

vaticannews.va 22giugno 2024

Ieri sera, 21 giugno, 191 profughi afghani, tra cui donne e minori, finora rifugiati in Pakistan, sono giunti in Italia grazie ai corridoi umanitari promossi da CEI, Comunità di Sant’Egidio, Chiese protestanti e Arci, d’intesa con i ministeri di Interno ed Esteri. Nel pomeriggio festa in Via di San Gallicano con familiari e mediatori che contribuiranno alla loro integrazione

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Sono arrivati ieri sera, 21 giugno, con un volo proveniente da Islamabad, 191 profughi afghani grazie ai corridoi umanitari promossi da Conferenza Episcopale Italiana, Comunità di Sant’Egidio, Chiese protestanti italiane e Arci, d’intesa con i ministeri dell’Interno e degli Esteri. Questi nuclei familiari e singoli – tra loro 71 minori e 70 donne – erano rifugiati in Pakistan dall’agosto 2021 e hanno trascorso quasi tre anni in condizioni estremamente precarie in un campo informale nel centro di Islamabad. Perché, dopo la caduta di Kabul e la grande mobilitazione iniziale, molti tra gli afghani riusciti a salvarsi rifugiandosi nei paesi confinanti, restano ancora in attesa di reinsediamento.

Un momento di benvenuto

Oggi, alle 16, presso la Scuola di lingua e cultura italiana in via di San Gallicano 25a, i profughi parteciperanno a un momento di benvenuto e di festa assieme ai loro familiari e ai mediatori che contribuiranno alla loro integrazione, a partire dall’apprendimento della lingua italiana, dalla scuola, per i minori, e dall’inserimento lavorativo, per gli adulti.

Oltre 7.400 rifugiati grazie ai corridoi umanitari

Complessivamente i corridoi umanitari, promossi dalle diverse realtà associative, hanno finora consentito l’arrivo in sicurezza di oltre 7.400 rifugiati in Europa, tra cui 1200 afghani. Questo progetto, interamente autofinanziato, è realizzato grazie a una rete di accoglienza diffusa, sostenuta dalla generosità di tanti cittadini italiani, e rappresenta un modello di successo, che coniuga solidarietà e sicurezza.

Afghanistan, l’allarme dell’Onu: aumentati i suicidi tra le donne

lettera43.it 19 giugno 2024

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Viste in negozi o mercati, sono sempre di più le donne etichettate come infedeli e dunque sottoposte a fustigazione solo per aver indossato male l’hijab, essersi truccate o aver seguito corsi di lingua inglese. Il «sistema di discriminazione istituzionalizzata» contro le donne e le ragazze in Afghanistan, messo in atto dai talebani, ha avuto enormi conseguenze sulla loro salute mentale, «come dimostra lo scioccante aumento dei suicidi nell’ultimo anno». Lo ha dichiarato Nada Al-Nashif, vice Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, invitando la comunità internazionale «a non normalizzare o tollerare tale sistematica ed estrema discriminazione e violenza» di genere.

I talebani hanno annunciato la reintroduzione della lapidazione per le donne adultere

Con l’intenzione di far rispettare rigidamente la loro interpretazione della legge islamica, i talebani alla fine di marzo hanno annunciato la reintroduzione della lapidazione delle donne per il reato di adulterio. Male, malissimo poi sul fronte dell’istruzione: dal 2022 il governo talebano ha vietato alle adolescenti di frequentare le scuole secondarie. Tre anni senza andare in classe, pari a 3 miliardi di ore di lezione perse, come ha sottolineato l’Unicef. Da marzo del 2024, poi, in alcune province sono state abolite anche le classi primarie superati i 10 anni.

Per le Nazioni Unite”le violazioni contro le donne possono equivalere a crimini contro l’umanità”

«Le violazioni contro le donne e le ragazze in Afghanistan sono così gravi e diffuse che possono equivalere a crimini contro l’umanità, compresa la persecuzione di genere», ha affermato Richard Bennett, relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nel Paese asiatico: «Credo anche che questo sistema di dominazione e oppressione delle donne e delle ragazze dovrebbe spingere il dibattito sulla codificazione dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità e violazione dei diritti umani, definiti in modo inclusivo».

L’oppressione di genere sistemica in Afghanistan può equivalere a crimini contro l’umanità

news.un.org  Diritti Umani 18 giugno 2024

L’oppressione sistematica contro le donne e le ragazze afghane è “così grave ed estesa che sembra formare un attacco diffuso e sistematico” che potrebbe equivalere a crimini contro l’umanità, ha affermato  Richard Bennett , l’esperto indipendente di diritti che monitora l’Afghanistan, rivolgendosi al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sul tema martedì.

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Le autorità di fatto in Afghanistan, i talebani, sono tornate al potere nell’agosto 2021 e hanno rapidamente iniziato a limitare i diritti delle donne, imponendo codici di abbigliamento più severi, vietando l’istruzione superiore per le ragazze, escludendo le donne dal mercato del lavoro e limitando la libertà di movimento in pubblico. spazi pubblici.

Secondo l’ultimo rapporto dell’esperto delle Nazioni Unite, questa repressione è rafforzata dall’uso della violenza da parte dei talebani, principalmente attraverso omicidi, sparizioni forzate, torture, stupri e altri atti disumani.

“L’istituzionalizzazione da parte dei talebani del loro sistema di oppressione delle donne e delle ragazze, e i danni che continua a radicare, dovrebbero scioccare la coscienza dell’umanità “, ha affermato Bennett.

“Apartheid di genere” sistemico

Dalla presa del potere da parte dei talebani,  una serie di decreti verbali e scritti hanno di fatto eliminato le libertà fondamentali delle donne e delle ragazze afghane, facendo ricorso alla violenza per far rispettare i loro editti.

Secondo il rapporto, l’oppressione sistematica indebolirà le donne afghane per generazioni, radicando il loro status socioeconomico inferiore e la dipendenza dagli uomini imposta dallo Stato.

Bennett è fermamente convinto che l’“apartheid di genere” incapsula pienamente questa ingiustizia in corso, data la sua natura istituzionalizzata e ideologica.

L’ esperto nominato dal Consiglio per i diritti umani raccomanda agli Stati membri di riconoscere il concetto di apartheid di genere e di promuoverne la codificazione. È convinto che così facendo si affronterà efficacemente l’ineguagliata crisi dei diritti umani che le donne afghane si trovano ad affrontare.

E’ necessario l’approccio “Tutti gli strumenti”.

L’esperto delle Nazioni Unite chiede ai Talebani di adottare misure immediate per ripristinare i diritti fondamentali delle donne e delle ragazze. Sta anche spingendo per un approccio “tutti gli strumenti” per smantellare il sistema istituzionalizzato di oppressione di genere dei talebani e per chiedere conto ai responsabili.

Ciò comporterebbe meccanismi di responsabilità internazionale, tra cui la Corte penale internazionale (CPI) e la Corte internazionale di giustizia ( ICJ ). Comprenderebbe anche il perseguimento di casi a livello nazionale.

Bennett si oppone a qualsiasi legittimazione della leadership talebana  finché non si realizzeranno miglioramenti concreti, misurabili e verificati sui diritti umaniO

“Gli afghani, in particolare le donne e le ragazze afghane, hanno mostrato un coraggio e una determinazione straordinari di fronte all’oppressione dei talebani. La comunità internazionale deve accompagnare tutto ciò con protezione e solidarietà , compresa un’azione decisa e basata su principi, che metta i diritti umani al centro”, ha affermato l’esperto delle Nazioni Unite.

 

 

Aggiornamento del Comitato “Free Marjan Jamali”e Rete 26 febbraio sulla detenzione in Italia di due giovani curde iraniane.

Comitato “Free Marjan Jamali” e Rete & Febbraio 17 giugno 2024

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FREE MARJAN JAMALI

Oggi 17 giugno, come Comitato “Free Marjan Jamali” insieme alla Rete 26 Febbraio, abbiamo preso parte, presso il Tribunale di Locri, alla prima udienza del processo in cui la giovane iraniana Marjan Jamali, fuggita dal suo paese in cerca di condizioni di vita più umane per lei ed il figlio di 8 anni, è ingiustamente accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Scampata dalla violenza domestica che nel contesto del regime iraniano non ha alcuna persecuzione giuridica, arrestata appena due giorni dopo lo sbarco, avvenuto a Roccella il 26 ottobre 2023, e subito tradotta nel carcere di Reggio Calabria, Marjan, il 27 maggio, ha finalmente ottenuto dal Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, gli arresti domiciliari e si è potuta ricongiungere con il suo bambino. Ma il suo incubo continua.

L’accusa contro di lei si basa esclusivamente sulla testimonianza dei tre iracheni che l’hanno sessualmente molestata durante la traversata. Numerose irregolarità hanno caratterizzato le indagini e le fasi preliminari del processo.

Vogliamo segnalare che oggi, all’inizio dell’udienza, il collegio giudicante ha rigettato la richiesta di poter effettuare riprese fotografiche, al fine di “evitare un’eccessiva esposizione mediatica del processo”. L’avvocato difensore ha sottolineato le difficoltà riscontrate nell’accesso agli atti del procedimento ed ha depositato contestualmente la ricevuta del pagamento dei 14.000 dollari versato dalla famiglia di Marjan ad un’agenzia turca, come pagamento del viaggio suo e del figlio per l’Europa.

presidio processo Marjan

La nostra presenza alle udienze s’impone per far sentire a Marjan tutta la nostra solidarietà e vicinanza e per esprimere il nostro dissenso verso leggi come il Decreto Cutro e il Decreto Piantedosi e lo stesso articolo 12 del Testo Unico Immigrazione, che criminalizzano le stesse vittime della tratta di esseri umani e stanno portando alla deriva la giustizia italiana sulla pelle di persone innocenti.

Marjan è sfuggita da soprusi e violenze in Iran, ma come Maysoon Majidi, l’attivista curda iraniana arrestata e detenuta anche lei qui in Calabria ma a Castrovillari, è finita nel tritacarne della giustizia del nostro Paese in cerca di capri espiatori, così come tantx altrx migranti. Persone che scappano da persecuzioni di ogni sorta, cambiamento climatico, guerre per cercare una vita migliore, un futuro diverso da quello a cui sono destinate per colpa di un sistema d’ingiustizie globalizzate.

Il loro caso è ormai denunciato a livello nazionale ed europeo.

Non possiamo fare a meno di ripensare all’ondata di sdegno e tagli di capelli solidali che si è sollevata dalle fila delle nostre deputate di vari schieramenti politici, durante le fasi più accese della rivolta Donna Vita Libertà, che ha infiammato l’Iran, proprio a partire dalle province curde e bollarla oggi come frutto di grande ipocrisia. Abbiamo già dimenticato la violenza della polizia morale, la repressione e le condanne a morte?

Noi non vogliamo essere complici di questa ipocrisia. La libertà di movimento è un diritto non è un reato. Ora più che mai è necessario fare pressione, affinché Marjan e Maysoon vengano liberate e le leggi ingiuste vengano cancellate.

Saremo presenti alla prossima udienza, che si terrà il prossimo 8 luglio, in cui saranno ascoltati gli investigatori e i testimoni dell’accusa.

Comitato “Free Marjan Jamali”

Rete 26 Febbraio

https://www.facebook.com/carovanemigranti/posts/pfbid0933jJ43YAHSpndFBSNe6hEdbFYQFrijGLPRzPDFtA93uEkDQStdqt1PKhrkZvKiAl

https://www.dinamopress.it/news/non-ce-donna-vita-liberta-senza-maysoon-e-marjan-libere/

https://www.ilreggino.it/cronaca/2024/06/16/locri-processo-a-marjan-jamali-accusata-di-essere-una-scafista-domani-si-apre-il-dibattimento/

Comunicato stampa 10 maggio:

La Rete 26 febbraio ed il Comitato Free Maysoon esprimono profonda preoccupazione e sgomento per la vicenda delle due donne curde-iraniane detenute in carcere da diversi mesi con pesanti quanto incredibili accuse. Il 10 maggio si è tenuto l’incidente probatorio davanti al Gup del tribunale di Crotone per Maysoon Majidi, di 27 anni, da cinque mesi reclusa nel carcere di Castrovillari. Maysoon è un’attivista che si è apertamente schierata contro il regime iraniano ed è stata costretta a fuggire. Poiché anche per lei, come per tante vittime di guerre, terrorismo e persecuzioni, non ci sono vie legali e sicure di ingresso è stata obbligata al viaggio della speranza, imbarcandosi con suo fratello per raggiungere l’Europa. Qui, nella tanto decantata Europa democratica, anziché essere accolta è stata incriminata sulla base di improbabili accuse di altri due migranti. Accuse che gli stessi, in una intervista in cui hanno parlato di un probabile errore di traduzione, negano di aver detto. Nell’ultima udienza, uno di loro, Asan Hosenzadi, che avrebbe dovuto essere sentito in merito, per la polizia giudiziaria è risultato irreperibile. Cosa strana, visto che l’avvocato della difesa ha il suo recapito ed il numero di telefono, al punto che subito dopo l’udienza ha parlato con lui in video chiamata davanti a telecamere e giornalisti. Per giunta, vivendo in un centro di accoglienza tedesco, il suo recapito è certamente noto alle autorità del posto. Maryam, l’altra donna curdo-iraniana detenuta in Calabria, è invece arrivata con suo figlio di 8 anni ma anche lei è accusata, guarda caso da due uomini che avevano tentato di violentarla, di essere una scafista; nei fatti, tale aggressione a cui lei ha resistito, le sta costando il carcere da fine ottobre 2023. Non bastasse ciò, il bambino le è stato tolto ed è stato affidato ad un centro di accoglienza. Ci chiediamo: quale scafista porta con sé un bambino di otto anni? Come si può lasciare in carcere una ragazza di 27 anni, che in 5 mesi ha perso già 15 chili, con anche solo il dubbio che sia lì per un errore dell’interprete? E ancora, Come si può non dare subito i domiciliari a queste due donne e a quanti e quante si trovano nella loro stessa situazione? Si tratta, al minimo, di condizioni che traumatizzano vite di bambini e adulti costretti a rischiare la loro vita in questi viaggi. E poi, per entrare ancora nel merito della vicenda processuale, perché pur avendo chiesto più volte di essere sentita, Maysoon non è stata ancora interrogata? Davvero lo Stato italiano non riesce a trovare un migrante ospite in un centro di accoglienza tedesco, pur avendo telefono e indirizzo? Davvero basta così poco per rimanere stritolati nelle maglie della giustizia? Davvero si crede che trafficanti e criminali si trovino sulle carrette del mare in balia delle onde? Continuiamo ad essere fortemente indignati, così come dopo i fatti di Cutro, e avversiamo questa retorica propagandistica che trasforma le vittime in colpevoli, pensando di costruire consenso sulla pelle di donne e bambini. Chiediamo giustizia per Maysoon e Maryam, giustizia vera, quella che tutela i diritti e la dignità di ogni essere umano, soprattutto dei più vulnerabili. Ben sapendo, purtroppo, che alcune inumane leggi europee e nazionali riservano lo stesso trattamento ad oltre un migliaio di migranti.

https://www.pressenza.com/it/2024/05/giustizia-per-maysoon-e-maryam-curde-iraniane-ingiustamente-detenute-da-mesi/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR3dS5eehMotrCZtenMuabRpxuTLenIqbK9_qX3NeUvDM9nwbXMIqqov95M_aem_AWlpou_nr6npHdBJeDKRBllwCe1PcVw52hqoI165hh0RXZmHFvMfGfB3UQl_QDmgV0K_4gcChFBaAGE01vYQv-rV

Anche l’Afghanistan diventa un paese esportatore di petrolio, grazie alla Cina

scenarieconomici.it   Giuseppina Perlasca 11 giugno 2024

I talebani in dieci giorni iniziano ad avere un flusso finanziario non indifferente derivante dallo sfruttamento del petrolio, condotto congiuntamente con società cinesi

L’Afghanistan ha venduto 150.000 tonnellate (1,1 milioni di barili) di petrolio greggio dal bacino di Amu Darya per oltre 80 milioni di dollari negli ultimi 10 giorni, con l’investimento di Pechino nel Paese che inizia a dare i suoi frutti.

oil tankers 19 aug 13Domenica, Humayun Afghan, portavoce del Ministero delle Miniere e del Petrolio talebano, ha rivelato che il gruppo ha venduto 130.000 tonnellate di greggio per 71,6 milioni di dollari, prima di mettere all’asta con successo altre 20.000 tonnellate (146.000 barili) di greggio per un valore di 10,5 milioni di dollari nello stesso giorno. Questo segna un’inversione di fortuna per una delle regioni più volatili del Medio Oriente, con il Paese che in precedenza importava i 50.000 barili di petrolio che consumava quotidianamente dai Paesi vicini, come l’Iran e l’Uzbekistan.

Tutto è iniziato un anno fa, quando la cinese Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Co, o CAPEIC, ha firmato un contratto di 25 anni con le autorità talebane in Afghanistan. Il contratto prevede che CAPEIC investa 150 milioni di dollari entro il primo anno e un totale di 540 milioni di dollari entro il 2026.

Finora, l’investimento di CAPEIC di 49 milioni di dollari in Afghanistan ha contribuito a incrementare la produzione giornaliera di petrolio grezzo del Paese a più di 1.100 tonnellate metriche (8.000 barili al giorno), un volume che potrebbe aumentare in modo significativo se l’azienda dovesse rispettare il contratto. Secondo un alto funzionario talebano, CAPEIC non ha raggiunto il suo obiettivo di investimento a causa di stime imprecise dei costi dei materiali e della manodopera e di un ritardo di tre mesi nell’approvazione del suo piano finanziario da parte delle autorità afghane.

“Gli investimenti si sommeranno come previsto dal contratto”, ha detto il funzionario talebano a VOA in condizione di anonimato, aggiungendo che la tesoreria dei talebani ha guadagnato circa 26 milioni di dollari dal progetto l’anno scorso.

Il bacino dell’Amu Darya, che si estende tra l’Afghanistan e il Tagikistan, si stima contenga 962 milioni di barili di petrolio grezzo e 52.025 miliardi di piedi cubi di gas naturale, secondo una valutazione del 2011 del Servizio Geologico degli Stati Uniti. Per sfruttare questo potenziale, CAPEIC prevede di scavare 22 pozzi aggiuntivi nel 2024, con l’obiettivo di aumentare la produzione giornaliera a più di 2.000 tonnellate, o~15.000 barili.

Pechino si è avvicinata a Kabul da quando gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Afghanistan nel 2021 dopo una presenza di 20 anni. I diplomatici cinesi hanno incontrato le loro controparti afghane quasi settimanalmente dall’insediamento di un governo talebano a Kabul, e gli analisti occidentali hanno alluso a una sorta di “cooperazione” emergente. A gennaio, il Presidente cinese Xi Jinping ha ricevuto le credenziali diplomatiche dell’ambasciatore dei Talebani a Pechino. La mossa ha confuso sia i nemici che gli amici, perché nessun Paese ha dichiarato formalmente il suo riconoscimento del governo talebano. Tuttavia, non è chiaro se l’azione di Pechino costituisca un riconoscimento diplomatico.

“Sebbene l’attrazione delle risorse minerarie ed energetiche dell’Afghanistan sia forte, c’è una considerevole diffidenza da parte dei cinesi riguardo alla situazione della sicurezza interna, all’affidabilità delle rassicurazioni dei Talebani riguardo agli investimenti stranieri e alle scarse infrastrutture dell’Afghanistan”, ha dichiarato a VOA Andrew Scobell, distinguished fellow per la Cina presso lo United States Institute of Peace.

Nel frattempo, altri analisti geopolitici hanno ipotizzato che la motivazione principale di Pechino nei suoi rapporti con l’Afghanistan sia la mitigazione del rischio in un potenziale vuoto di sicurezza, una ragione valida considerando che i due Paesi condividono un confine lungo 92 chilometri. L’anno scorso, Pechino e Islamabad hanno concordato di includere l’Afghanistan nel Corridoio Economico Cina-Pakistan. Il CPEC fornisce un progetto di cooperazione civile-militare che mira a migliorare la connettività dei partecipanti.

Ci sono pochi dubbi sul fatto che la Cina voglia proiettare il suo potere sull’Asia Centrale per diversi motivi. In primo luogo, la regione è una componente centrale dell’Iniziativa Belt and Road, una strategia di sviluppo infrastrutturale globale adottata dal Governo cinese nel 2013 per investire in oltre 150 Paesi e organizzazioni internazionali. In secondo luogo, a livello regionale, Pechino vorrebbe che Kabul la considerasse un alleato di primo piano rispetto a potenze concorrenti come la Russia e l’India, che hanno entrambe una certa influenza sull’Afghanistan.

Da parte sua, il governo degli Stati Uniti e altri legislatori sono più preoccupati dalla possibilità che la Cina prenda il controllo dell’aeroporto di Bagram, a nord di Kabul, che i suoi militari hanno utilizzato come base principale durante la guerra in Afghanistan. Però è tardi, dovevano pensarci prima di fuggire dal Paese con la coda fra le gambe. 

“Non vediamo l’Afghanistan come un luogo in cui dobbiamo competere con i cinesi e i russi”, ha dichiarato Thomas West, rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Afghanistan. Ormai è perso.

Gli Stati Uniti e la Cina hanno adottato approcci diplomatici molto diversi nei confronti dell’Afghanistan. Mentre Pechino ha scelto la strada degli investimenti e della cooperazione per la sicurezza, gli Stati Uniti rimangono il principale donatore umanitario dell’Afghanistan, fornendo più di 2 miliardi di dollari in assistenza umanitaria da quando i Talebani hanno preso il potere.