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Autore: Anna Santarello

Il Signore della guerra Hekmatyar rifiuta la democrazia in Afghanistan

di Mirwais Adeel, 16 febbraio – Rawa News

Hekmatyar è ora alleato ai Talebani, ma il sospetto reciproco resta forte da entrambe le parti

kabul during civial war of fundamentalists 1992 6Gulbuddin Hekmatyar, signore della guerra e fondatore di Hezb-e-Islami, il Partito Islamico Afghano, ha dichiato che il numero delle vittime della guerra civile in Afghanistan fu di circa 1000 civili e si dice pronto a rifiutare qualsiasi proposta di collaborazione con le principali istituzione del paese, negando democrazia e libertà di parola al suo popolo.

In un’intervista esclusiva rilasciata al canale televisivo afghano 1TV, Gulbuddin Hekmatyar ha ribadito il proprio odio nei confronti della democrazia in Afghanistan.

Nel corso dell’intervista Hekmatyar ha negato ogni suo coinvolgimento nella guerra civile scoppiata negli anni Novanta nella capitale, affermando che in quegli scontri furono coinvolti fazioni e partiti estranei al suo.

Ha poi affermato che furono circa 1000 i civili uccisi a Kabul durante la guerra civile che colpì principalmente la parte meridionale e orientale della capitale.

‘Il bilancio delle vittime della guerra civile a Kabul fu di circa 1000 civili. La maggior parte degli scontri avvenne nell’area meridionale e orientale della capitale, allora controllata dal Partito Islamico Afghano e costantemente nel mirino dell’artiglieria, dei carriarmati e dei missili del governo’, ha affermato Hekmatyar al canale televisivo afghano 1TV.

Tuttavia, il Partito Islamico Afghano guidato da Gulbuddin Hekmatyar è tutt’oggi considerato il maggior responsabile del bagno di sangue avvenuto a Kabul durante la guerra civile negli anni Novanta.

Secondo un’organizazzione non-governativa in difesa dei diritti umani in Afghanistan, i civili uccisi a Kabul durante i quattro anni e quattro mesi di guerra civile furono in realtà più di 60 000.

Gulbuddin Hekmatyar nega di aver avuto alcun ruolo durante quegli scontri: ‘Fummo coinvolti solo in quattro o cinque scontri con l’allora coalizione; ci limitammo solamente a rispondere agli attacchi del governo’.

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Afghanistan: raid Nato, strage di donne e bambini

 13 Febbraio 2013, redazione di Contropiano

Il presidente USA Barack Obama annuncia un consistente ritiro dall’Afghanistan delle truppe statunitensi. Ma un bombardamento Nato su un villaggio fa strage di donne e bambini.

f0772c7aedd7bbd496f6626bc60bc85fSono soprattutto donne e bambini le dieci vittime – il bilancio è provvisorio – causate da un bombardamento aereo e da una parallela offensiva terrestre condotta da un contingente dell’Alleanza atlantica con il sostegno dell’esercito dell’Afghanistan nelle ultime ore: lo ha confermato il governatore di Kunar, la provincia nord-orientale dove è avvenuta la strage.

Secondo Sayed Fazulullah Wahidi, il bombardamento è avvenuto durante la notte ad opera di alcuni elicotteri della Nato. A perdere la vita sono stati cinque bambini, quattro donne e un giovane civile. Situata lungo il confine con Pakistan, Kunar è ritenuta una delle province dove è più forte la presenza dei guerriglieri talebani in lotta dal 2001 con il governo di Kabul e i suoi alleati della Nato.

Il conflitto in Afghanistan è stato ieri sera uno dei temi principali affrontati dal presidente statunitense, Barack Obama, durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione.

Obama si è impegnato a ritirare dal paese asiatico 34.000 militari entro l’inizio del 2014, dimezzando di fatto il contingente militare statunitense già parzialmente ridotto negli ultimi mesi. Secondo il presidente, la riduzione della presenza degli Stati Uniti si accompagnerà a un graduale trasferimento delle responsabilità in materia di sicurezza a circa 350.000 soldati e poliziotti afgani. I talebani in un comunicato hanno affermato che la mossa statunitense non cambia nulla sul fronte della guerra che dura ormai dal 2011.

Salviamo Manhiza e la sua “vita preziosa”

Di Cristiana Cella,  3 febbraio 2013 – L’Unità

VitePreziose2312121Manizha, 20 anni. Racconta:
‘Ci sono entrata spontaneamente in casa loro, due anni fa. Mio padre mi vuole bene, non mi aveva costretto. Ho accettato io di sposare quell’uomo. È il figlio maggiore di mio zio, ripara motociclette. Lo fa con cura, con delicatezza, è bravo. La sorpresa era dietro quella porta. Sono arrivata nella sua famiglia con le migliori intenzioni. Volevo essere una brava moglie e fare del mio meglio perché tutti stessero bene. Mi sono sforzata di renderli felici. Non me lo hanno permesso. Ho capito subito che non ero una moglie, né una nuora, nemmeno una donna, solo una schiava.

Mi facevano fare i lavori più pesanti, fuori, al freddo, sotto la neve. Ma il peggio doveva ancora arrivare. La mia condanna è cominciata presto. La stanza, dedicata a me, era la cantina. Buia, fredda. Ci ho passato settimane intere con le mani e i piedi legati. Non c’è nemmeno una piccola parte del mio corpo che sia sana. Mio marito usava bastoni, catene, fruste. Pugni e calci sul viso che non posso più guardare. Ho perso le unghie delle mani e i miei piedi non sono più in grado di muoversi. Sua madre era d’accordo. Erano tutti d’accordo.’

hqdefaultHumayoun, padre di Manizha. Racconta:
‘Spingo un carretto di legno per la città, trasporto qualsiasi cosa, è questo il mio lavoro. Non ho soldi per ottenere giustizia in qualche tribunale. Non posso correre di qua e di là, tanto lo so, se non puoi pagare, non hai giustizia. Ma difenderò mia figlia a qualsiasi costo. Seguirò il suo caso a mani vuote e la terrò lontana da quel criminale di suo marito.

Quando ho saputo che Manizha in quella famiglia veniva torturata, sono corso a Moqor, (Ghazni) dove abitano e l’ho portata via, con la scusa di una visita a sua madre. L’ho portata a Kabul, in salvo. Potrà vivere al sicuro, nella casa protetta di Hawca, per ora è in ospedale. Ho contattato la famiglia di suo marito, ho chiesto che venissero a Kabul a testimoniare, perché quell’uomo sia punito, deve pagare per quello che ha fatto.’

Un giornalista della BBC afghana, Wahid Paykan, ha incontrato Manizha nella casa di un parente, a Kabul. Lei non poteva vederlo, non vedeva più niente, gli occhi spariti, tumefatti. Paykan racconta la sua sofferenza, la disperazione incredula della madre, la determinazione del padre. È stata affidata ad Hawca che, prima di tutto, la sta facendo curare. I medici dell’ospedale di Aliabad, dove è ricoverata, fanno il possibile per restituirle un corpo e una vita normale. Sta meglio, dicono, ma le torture subite hanno sconvolto profondamente la sua mente. Intanto le avvocate si preparano a ottenere giustizia per lei in tribunale. Il marito è stato denunciato e Hawca seguirà il suo caso, con il permesso della famiglia.

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Londra. Armi ai dittatori per uscire dall’Afghanistan

di: F.C. – 9 febbraio – Rinascita

53753644 53750617 2La Gran Bretagna è disposta a vendere armi a quello che riconosce come un regime dispotico pur di trovare una via di uscita dall’Afghanistan per le tonnellate di mezzi ed equipaggiamenti accumulati in un decennio di guerra
Lo ha spiegato ieri lo stesso segretario alla Difesa britannico Philip Hammond. Intervistato dal Times, Hammond ha reso noto che, in vista del ritiro dell’Afghanistan, Londra sta raggiungendo un accordo con il vicino Uzbekistan che permetterà alle forze armate di Sua Maestà di attraversare il Paese centro-asiatico su ferrovia e su gomma. Tuttavia, l’accordo con Tashkent, capitale dell’Uzbekistan, prevede anche la vendita di armi britanniche al governo di Islam Karimov.

Presidente della Repubblica dal 1990 (un anno prima della dichiarazione di indipendenza dall’Urss), Karimov viene puntualmente riconfermato con percentuali superiori al 90% ed è al centro di diverse accuse per violazioni dei diritti umani.

Hammond non ha precisato che tipo di apparati militari verranno venduti agli uzbeki, ma ha fatto capire che Londra non considera come un ostacolo la pessima fama di Karimov. Fino al 2009 l’Uzbekistan è stato sottoposto a embargo militare Ue a causa della soppressione nel sangue di manifestazioni nel 2005.

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Bambini uccisi in Afghanistan: scontro Onu-Usa

8 febbraio 2013 – Globalist.it

NEWS 75115Il Comitato Onu sui Diritti dell’Infanzia denuncia il crescente numero di giovani vittime sotto le bombe delle truppe Usa e Nato. La replica: «Numeri falsi».

Il Comitato Onu sui Diritti dell’Infanzia ha espresso la sua «preoccupazione» in relazione a un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel mese di aprile, secondo cui nel 2011 gli attacchi delle forze americane e afghane sotto l’ombrello Nato in Afghanistan avrebbero provocato la morte di 110 bambini e il ferimento di altri 68.

In un rapporto stilato dal Committee on the Rights of the Child e anticipato dall’agenzia France Presse, l’ufficio di Ginevra condanna «l’uso indiscriminato della forza» da parte delle truppe Usa e lamenta una mancanza di giustizia nei confronti di coloro ritenuti responsabili degli omicidi.

Ma dal quartier generale delle forze statunitensi in Afghanistan è arrivata immediata la replica: sono «categoricamente infondate», «prive di sostanza» e «totalmente false» le informazioni contenute nel rapporto del Comitato dell’Onu sui diritti del bambino. Nei fatti, si dice in un comunicato americano, la forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato), di cui le forze statunitensi sono la maggioranza, «hanno ridotto nel 2012 del 49% le vittime civili rispetto all’anno precedente».

In particolare, si legge ancora nella nota Usa, «il numero di bambini che sono morti o sono rimasti feriti come risultato delle nostre operazioni aeree è sceso del 40% lo scorso anno rispetto al 2011». Non si deve dimenticare, prosegue la presa di posizione, che «nel rapporto sulle vittime civili pubblicato in agosto 2012 dalla Missione dell’Onu di assistenza all’Afghanistan (Unama) si sostiene che l’84% di tutti i civili uccisi o feriti nel paese sono caduti vittime degli insorti».

AFGHANISTAN: ONU, FORTE AUMENTO DELLA CORRUZIONE NEL 2012

di Luca Pistone, 8 febbraio 2013 – Atlasweb

Nel 2012 la metà degli afghani ha pagato una qualche forma di tangente ai pubblici funzionari, facendo così aumentare fortemente i costi della corruzione in Afghanistan.

Lo rivelano, in un rapporto congiunto, lo United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc) e l’unità anti-corruzione afghana, secondo i quali i costi della corruzione hanno raggiunto nel 2012 i 2,9 miliardi di euro, un aumento del 42% rispetto al 2009.

Nel 2012, precisa l’Onu, gli afghani hanno pagato in mazzette l’equivalente del doppio delle entrate nazionali del paese.

Nell’indagine, basata su un campione rappresentativo di 6.700 cittadini residenti in ogni regione del paese, si afferma che lo scorso anno oltre il 68% degli intervistati ha ritenuto “accettabile” che un funzionario pubblico integrasse il suo stipendio, “basso”, con piccole tangenti.

Inoltre, il 67% considera “a volte accettabile” che un funzionario pubblico venga assunto grazie a legami familiari o di amicizia.

Lo scorso dicembre il presidente Hamid Karzai aveva affermato che “gli stranieri hanno la maggior parte della colpa dell’aumento della corruzione” in Afghanistan, sostenendo che il ritiro delle truppe Nato nel 2014 consentirà al paese di liberarsi da questo fardello.

CONFERENZA DI PARIGI: NON PERDONEREMO NÉ DIMENTICHEREMO!

Da: RAWA.org

tokyo taliban meetingPREFAZIONE DEL CISDA – COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE: il seguente comunicato cita nomi di personaggi, gruppi o partiti politici afghani prevalentemente sconosciuti alla maggior parte della popolazione italiana. Si sottolineano il coraggio e la determinazione dell’Assocazione RAWA che vuole denunciare apertamente tutti coloro che hanno commesso e stanno commettendo infamie e crimini, causando infinite sofferenze alla popolazione afghana.

Il nostro popolo non vuole le basi americane e nemmeno un governo composto da Jihadisti, Talebani e assassini del partito di Gulbuddin o codardi dei partiti Parcham e Kahlq.
A quali giochi penosi e offensivi è sottoposta la nostra sofferente nazione! Questa volta assistiamo all’agonizzante messinscena della Conferenza di Parigi, con l’approvazione e il sostegno degli Stati Uniti, che hanno riunito i nemici dell’Alleanza del Nord, i Talebani, il partito di Gulbuddin, Al-Qaeda, il Fronte Unito, l’Alto Consiglio Afghano per la Pace, la Coalizione Nazionale, il Partito di Verità e Giustizia e molti altri, allo scopo di portare “la pace” alla nostra gente.

In realtà, non è penoso il fatto che questi gruppi di killer professionisti, con le bocche piene di sangue, siedano intorno a un tavolo e parlino di “pace”, e nemmeno è penosa l’ipotesi che questi traditori assassini raggiungano un “accordo” per la costituzione di un governo congiunto che potrà così macellare la popolazione nella massima comodità. La vera questione è che la macchina propagandistica degli Stati Uniti e dei suoi alleati ha creato un clamore enorme  attraverso i cosiddetti “esperti”, “analisti” e servitori locali quali Zarif Nazar di Radio Azadi, il Dr. Akbar Wardak, il Dr. Ahmad Mahjoor, Wahid Muzhda e altri che definiscono un “evento” la Conferenza di Parigi e ne parlano con un tale entusiasmo, come se la popolazione afghana avesse solo questa scelta: se vuole la pace deve sottomettersi a questi assassini, poiché sono gli indiscussi leader del paese. Uno di questi gruppi è già al potere, un altro costituisce la “rispettabile opposizione armata”, un altro ancora la “rispettabile opposizione disarmata” dell’Alleanza del Nord… e con il loro accordo ci saranno pace e stabilità in Afghanistan! Tuttavia, questi traditori corrotti sbagliano a valutare il nostro popolo e lo credono stupido.

La pace si può ottenere solo attraverso la condanna e la punizione di questi criminali e traditori nazionali. Se si sacrifica la giustizia, il nostro popolo non vedrà mai la pace.

La popolazione afghana sa molto bene che questi personaggi che hanno giurato sul Corano e poi rotto il loro giuramento, i peggiori traditori che hanno provocato conflitti tribali, religiosi e linguistici, sono stati i primi importatori del virus di Osama Bin Laden e dei suoi intermediari arabi. La nostra gente sa anche che non dureranno a lungo senza combattersi gli uni con gli altri, causando ulteriori sofferenze al paese. Banché si siano rimpinzati di miliardi di dollari con truffe e raggiri, il loro desiderio di pace e di porre fine ai crimini è sempre più lontano. Queste bande, che hanno commesso i tradimenti e i crimini più atroci, temono ora di essere processati e impiccati dal popolo. Questo è il motivo per cui approvano leggi sull’impunità a loro favore senza nessuna vergogna. Sono disposti ad accettare qualsiasi oltraggio pur di rimanere al potere, e non intendono nemmeno condividerlo poiché non detenerne il monopolio non avrebbe gusto, ma nel contempo temono di essere sconfitti da questo o quel rivale. Nonostante il loro principale interlocutore siano gli Stati Uniti, questi personaggi sono così privi di scrupoli che corteggiano anche l’Iran, il Pakistan, l’Arabia Saudita, la Turchia ed altri paesi.

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Intervista a Radio Popolare dei bambini afghani dell’orfanotrofio AFCECO

DOMENICA 3 FEBBRAIO ALLE ORE 9.00

Cinque bambini dell’orfanotrofio afghano AFCECO, ospiti in Italia presso alcune famiglie di San Giuliano Milanese (MI) – viaggio organizzato dall’Associazione Liberi Pensieri di San Giuliano Milanese – saranno ospiti a RADIO POPOLARE insieme alla loro accompagnatrice.

Le vedove afghane “preferiscono morire”

Da: RAWA.ORG

afghan widows for foodIn un paese in cui il futuro di una donna dipende dal marito, le vedove sono spesso impotenti

Le vedove afghane lottano per la sopravvivenza. Dopo la morte del marito, le donne sono sottoposte a stupri, povertà, condanna sociale. Una di loro ritiene che la sua vita fosse finita prima ancora di cominciare.
Il mondo di Gulghotay si è distrutto quando ha saputo della morte del marito. Erano sposati da soli tre mesi ed ora, improvvisamente, era morto. Tuttavia, Gulghotay non voleva condurre la vita di una vedova. Così decise di bere una bottiglietta di acido e porre fine anche alla sua vita.

Gulghotay vive nella provincia orientale afghana di Maidan Wardak. Stava facendo i lavori domestici quando una bomba collocata su una bicicletta scoppiò di fronte ad una stazione di polizia nella vicina provincia di Ghazni, uccidendo due persone. Sette civili vennero portati in ospedale, fra questi il marito di Gulghotay. Morì poco dopo per le gravi ferite riportate. Mohammad Azim, fratello della giovane vedova, afferma che la sua morte fu uno shock per  Gulghotay.
Azim racconta che sua sorella era molto felice col marito. Tuttavia, ora è molto preoccupato per lei. “Gulghotay era a casa con un’amica quando ha bevuto l’acido”, dice. Per fortuna, l’amica è riuscita a portarla velocemente in ospedale.

Donne spinte ad un “punto di rottura”
Il destino di Gulghotay è simile a quello di molte altre donne afghane. Negli ultimi tre decenni migliaia di donne hanno perso i mariti o altri parenti maschi durante la guerra. Poiché dipendono dagli uomini, per loro è  molto difficile affrontare la perdita sia dal punto di vista emotivo che finanziario, e cadono spesso in uno stato depressivo.
Mohamad Hemat, direttore dell’ospedale della città di Ghazni, afferma che in media tre donne alla settimana vengono ricoverate in ospedale per aver tentato il suicidio.
“Per la maggior parte, abbiamo a che fare con stati di stress emotivo e problemi familiari che spingono sovente le donne ad un punto di rottura” racconta Hemat. “Fortunatamente, Gulghotay è arrivata in ospedale appena in tempo. Ora le sue condizioni sono buone e si trova in uno dei nostri reparti” aggiunge il direttore.
Gulghotay è stata fortunata ed è ora in grado di riprendersi, ma la sua principale preoccupazione non è la salute fisica. Alla giovane età di 22 anni, è ora costretta a continuare la sua vita come vedova. È improbabile che trovi un altro marito. Secondo la tradizione afghana, la vedova deve risposarsi con il cognato.

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Donna afghana cita in giudizio la polizia per l’assassinio della figlia

Da: RAWA.ORG

anisa azam woman daughter killed by husbandNon ci sono norme in Afghanistan a tutela delle donne, non esistono leggi.

Anisa Azam è una piccola donna dotata di un coraggio straordinario. Il suo volto segnato la fa sembrare più vecchia dei suoi 40 anni, ed è circondata da un alone di costante tristezza.

Sua figlia Khatera è stata uccisa lo scorso marzo. Anisa aveva cercato di prevenire l’assassinio. Poche settimane prima della morte, lei e sua figlia si erano recate presso una stazione di polizia di Kabul per denunciare le minacce e le violenze domestiche inflitte a Khatera. Secondo quanto riportato da Anisa, oltre ad assalirla, il genero Mohammed aveva anche minacciato sua figlia con un’arma.

La polizia mandò via Anisa e Khatera. “In pratica, i poliziotti dissero loro di tornare quando Khatera fosse morta”, afferma Kimberley Motley, l’avvocato di Anisa.

Secondo gli articoli 5, 7, 15 e 26 del codice della polizia e secondo la legge del 2009 sull’eliminazione della violenza contro le donne, la polizia avrebbe dovuto registrare la denuncia e, come minimo, indirizzare le donne al Ministero degli Affari Femminili.

“Non ci sono norme in Afghanistan a tutela delle donne, non esistono leggi. Come avrebbe potuto Khatera essere aiutata?”.
Anisa decide di intraprendere l’unica strada possibile, cioè fare causa alla polizia per non aver portato a termine il proprio lavoro, e per non aver protetto Khatera quando era ancora in vita.
Motley non crede esistano casi precedenti in cui un cittadino abbia intentato una causa civile contro un governo che non ha compiuto il proprio dovere, soprattutto quando la vittima è una donna.
Motley e Anisa hanno intentato la causa con l’ufficio legale generale afghano all’inizio di dicembre.

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