Skip to main content

Autore: Anna Santarello

Gli orfani afghani sperano che la loro musica trionfi sui “cuori americani” alla Carnegie Hall

BBC News

In un paese in cui le arti e la musica sono state pesantemente represse dal regime talebano, giovani musicisti – incluse molte ragazze – rappresentano il potenziale nel futuro dell’Afghanistan.

KABUL, Afghanistan – Dal freddo seminterrato di un orfanotrofio di Kabul, il ritmo della batteria rimbomba nelle sale.

Ai piatti e ai cembali vediamo Laila, un’orfana di 13 anni, unica donna batterista in Afghanistan.
“Mi piace suonare la batteria e non ci sono altre ragazze batteriste in Afghanistan”, ci dice Laila con un gran sorriso. “Sono l’unica e voglio diventare famosa come ‘la ragazza afghana batterista’”.
Per ora suona in un seminterrato, ma presto suonerà al D.C.’s Kennedy Center e alla Carnegie Hall di New York.

Laila e altre 10 ragazze del suo orfanotrofio faranno parte degli ensemble musicali dell’Istituto Nazionale Afghano della Musica al loro debutto negli Stati Uniti.
Per molti dei musicisti sarà la loro prima volta fuori dal paese e il loro primo viaggio in America.
“Ho sentito dire che l’America è un luogo molto pulito e che ha dei grossi edifici, e poi avete una tale libertà…”, ci dice Sapna, di dieci anni. “Ho dimenticato il nome del vostro presidente, ma ho sentito parlare di lui”.

Sapna suona il piano e le piacciono le “canzoni veloci” che le permettono di muovere rapidamente le sue piccole dita sui tasti.
La musica è parte del programma formativo di questo orfanotrofio gestito da Andeisha Farid, direttrice esecutiva di AFCECO – Afghan Child Education and Caring Organization.

Continua a leggere

Afghanistan: countdown verso il 2014 tra accuse di torture e bilanci nefasti

Da: RESET – 30/1/2013

Saranno certamente le prossime elezioni presidenziali in Afghanistan, a pochi mesi dal ritiro delle truppe combattenti americane (la presenza nel Paese degli Stati Uniti andrà avanti ben oltre l’aprile 2014), a segnare il bilancio di tredici anni di missione Isaf e a far intravvedere quella “fine responsabile” di cui ha da poco parlato Barack Obama. Ma, nell’attesa, il countdown sembra già iniziato sia a Kabul, sia a Washington, ma mentre nel primo caso la Commissione Elettorale Indipendente Afghana è al lavoro, con netto anticipo, per arrivare al suo traguardo sperando di risolvere i soliti problemi che hanno fatto guadagnare alle precedenti tornate accuse di irregolarità, negli Stati Uniti sono i numeri delle ultime settimane a pesare non poco sulle previsioni di analisti e osservatori.

Con una media giornaliera di circa 50 attacchi da parte dei cosiddetti insurgent, sono 2158 i militari americani morti recentemente. Il Pentagono ha diffuso i nomi nei giorni scorsi. Tutto questo a fronte di una missione costata agli Stati Uniti 83 miliardi di dollari, dal 2001 ad oggi.

Ma c’è anche un’altra cifra che pesa sulla situazione afghana: 139 è il numero delle pagine del rapporto della Nazioni Unite sul trattamento dei prigionieri nel Paese.
E anche in quest’ultimo caso le notizie non sono buone. Treatment of Conflict-Related Detainees in Afghan Custody: One Year On è il titolo del nuovo documento di Unama sulle condizioni dei detenuti nelle prigioni afghane. Nuovo perché segue quello dell’ottobre 2011 (Treatment of Conflict-Related Detainees in Afghan Custody) che ha rivelato per la prima volta i trattamenti delittuosi ai danni dei prigionieri afghani.

Un anno dopo aver incontrato e intervistato 379 detenuti in attesa di giudizio, rinchiusi in quarantasette istituti di 22 province, e dopo aver denunciato le torture e maltrattamenti, il panorama che si è presentato agli inviati di Unama non è migliorato.

Continua a leggere

Obama rinuncia ufficialmente a chiudere Guantanamo

Da: RINASCITA – 29.1.2013 – Articolo di Ferdinando Calda

220px Camp x ray detaineesDopo aver fatto sognare gli elettori e aver guadagnato un secondo mandato e un premio Nobel, l’amministrazione Obama sta apertamente riposizionando le priorità degli Usa. La vicenda del funzionario della Casa Bianca Daniel Fried riassume egregiamente questo cambio di direzione. Ieri il Dipartimento di Stato Usa ha annunciato con un comunicato di aver privato Fried della carica di “inviato speciale per la chiusura del penitenziario di Guantanamo bay”, che era stata istituita nel 2009 dal neoeletto Barack Obama. Dalla Casa Bianca hanno spiegato anche che nessuno prenderà il posto di Fried, il quale assumerà invece l’incarico di coordinatore per le politiche sanzionatorie a carico di Iran e Siria.

La decisione di chiudere definitivamente l’ufficio di Fried rappresenta di fatto la comunicazione ufficiale della decisione della Casa Bianca di gettare la spugna su una delle principali promesse del presidente democratico. Fu proprio Obama che all’inizio del 2009 – come prima azione del suo mandato – promise di chiudere Guantanamo “entro un anno”.

Ma mantenere il proposito si è dimostrato più difficile del previsto e il presidente Usa ha dovuto ben presto fare i conti – oltre che con l’opposizione del Congresso di celebrare i processi contro i detenuti di più alto profilo nei tribunali ordinari sul territorio degli Stati Uniti – con la difficoltà di giudicare in tribunali “normali” (e non militari) uomini arrestati nella più completa illegalità e dei quali per anni sono stati sistematicamente violati i più elementari diritti. Lo stesso Fried ha passato anni in giro per il mondo per valutare la possibilità di rimpatriare detenuti “di basso livello”, o per convincere nazioni terze ad accoglierne altri che erano stati scagionati ma non potevano essere rispediti in Patria.

Continua a leggere

Afghanistan: uno stupro che non andava raccontato, scrittore minacciato di morte

Frontierenews.it – 28 gennaio 2013 – Articolo di Nasim Fekrat – traduzione di Basir Ahang

Taqi bakhtyariL’Afghanistan è considerato uno dei paesi peggiori per i giornalisti nel mondo. Da quando il regime dei talebani è collassato, circa 25 giornalisti sono stati uccisi e decine feriti. I giornalisti dicono che solo nel 2012, ci sono stati 77 casi di violenza contro giornalisti: 48 casi sono stati commessi da ufficiali del governo, 8 casi sono stati commessi dai talebani e 4 casi dalle truppe straniere.

Gli scrittori e i giornalisti fronteggiano in Afghanistan una situazione sempre peggiore. Alcuni temono che i successi ottenuti nel campo della libertà di parola scompariranno con l’uscita delle forze straniere dal Paese.

CONDANNATO A MORTE PER UN LIBRO
Lo scrittore dell’Afghanistan Taqi Bakhtiari è stato “condannato a morte”, dopo la pubblicazione del suo libro Gumnami (che significa “anonimato”), da fondamentalisti religiosi. Questi ultimi, legati alla scuola Qom in Iran, si riferiscono a Bakhtiari come al “piccolo Salman Rushdie.” La notizia è stata riportata dal sito Deutsche Welle Farsi ed è presto diventato virale sui social network, soprattutto su Facebook. Più tardi la BBC Persian ha pubblicato un rapporto dettagliato sulla questione.

UNO STUPRO DA NON RACCONTARE
Gumnami parla di Mirjan, un giovane sciita Hazara, che viaggia verso l’Iran per studiare in una madrasa. Dopo essere stato accettato in una madrasa religiosa di Isfahan, Mirjan viene stuprato dal suo insegnante iraniano, un Ayatollah. Di fronte agli abusi e ai maltrattamenti dell’Ayatollah iraniano, il sogno del ragazzo di intraprendere un percorso religioso finisce in frantumi. Mirjian inizia a leggere libri non religiosi e più tardi ritorna in Afghanistan.

Qui l’esperienza pregressa del ragazzo lo porta ad essere costantemente depresso e disilluso. Anche se Mirjan è cresciuto come un ragazzo religioso guidato da tradizioni tribali, Mirjian in seguito alla violenza cambia e finisce per diventare ateo.
Bakhtiari, lo scrittore del libro, ha riferito alla BBC che la storia è basata su eventi reali. La critica di figure religiose, specialmente degli Ayatollah, che sono alte autorità nella giurisprudenza islamica sciita, è inusuale tra la minoranza sciita dell’Afghanistan. Secondo la BBC e Deutsche Welle, lo scrittore si trova attualmente in una località nascosta, dopo aver ricevuo minacce di morte da parte di numerosi seguaci del religioso locale, Sayyid Mohsen Hujjat, il quale ha trascorso molti anni a Qom. Hujjat ha dichiarato il libro “blasfemo” e ha chiesto che lo scrittore venga punito.

Continua a leggere

Afghanistan: vendere la propria bambina per pagare un debito. La storia di Naghma, sei anni, piccola sposa suo malgrado.

BBC News – 29.01.2013 – Articolo di Bilal Sarway

 65574056 naghma cutNaghma è troppo piccola per capire cosa le stia accadendo

Taj Mohammad si sforza di trattenere le lacrime mentre descrive la decisione più dolorosa della sua vita.
“Ho dovuto vendere mia figlia di sei anni Naghma ad un parente per risolvere un vecchio debito”, ha detto Mohammad, lo sguardo fisso verso il telone a brandelli che fa da tetto al suo piccolo rifugio di fango.

Una ragazzina timida con un viso sorridente, Naghma è ora fidanzata con un ragazzo di 10 anni più grande di lei. Il Sig. Mohammad dice che sua figlia potrebbe andare a casa del ragazzo nel quartiere Sangin Helmand in un anno.
La moglie e la suocera piangono inconsolabili mentre cercano di proteggere Naghma e i suoi sette fratelli dal rigido inverno afghano fuori.

“Tutti in famiglia sono tristi”, dice la nonna di Naghma, che è stata lei stessa una sposa bambina. “Si piange. Siamo nel dolore. Ma che altro potevamo fare?” chiede prima di rispondere alla sua stessa domanda.
“I parenti volevano i soldi indietro. Taj non poteva pagare, così è stato costretto a dare loro Naghma.” Il silenzio scende sul piccolo, squallido rifugio di una stanza, uno dei centinaia al campo profughi Qambar alla periferia di Kabul.

La lunga pausa è interrotta dalla tosse rauca di un bambino. “Per mantenere in vita la mia famiglia, ho preso un prestito di 2.500 dollari da un lontano parente”, ha detto Mohammad. Anni di guerra e di povertà hanno costretto il signor Mohammad a lasciare la sua casa nella provincia meridionale di Helmand per rifugiarsi nelle capanne di fango a Qambar.

Dice che stava lottando per riprendersi dalla perdita di suo figlio di tre anni e di uno zio, entrambi morti nel freddo all’inizio di questo mese, quando il lontano parente ha inviato un messaggio chiedendo indietro i suoi soldi. “Voleva indietro i suoi soldi. Ma non potevo pagare. Nessuno mi avrebbe prestato i soldi “, dice. “Poi un parente mi ha suggerito di dare mia figlia al posto del denaro.”

Continua a leggere

A Kabul liberati centinaia di prigionieri talebani per “favorire” la pace

Le Monde – 8/1/2013 di Jacques Follorou

ill 1814007 e06c 266047Il governo afghano ha liberato 250 detenuti ribelli nelle carceri di tutto il paese. Ottanta di loro erano detenuti a Pul-e-Charkhi, il più grande centro di detenzione che si trova a est di Kabul. I rilasci sono stati effettuati tra il 4 e il 7 gennaio.

Più di 150 ulteriori talebani dovrebbe trovare la libertà entro breve, secondo un portavoce del ministero della Difesa afghana intervistato da Le Monde. “Questa azione è stata condivisa con l’Alto Consiglio per la Pace che ha il compito di condurre il dialogo nazionale, dice questa fonte, e tutti i beneficiari hanno firmato un documento in cui si impegnano a deporre le armi.”

NEGOZIAZIONI CONTRASTANTI

Questa decisione arriva dopo quelle adottate dal Pakistan per liberare, da metà novembre, 26 capi talebani afghani detenuti nelle sue carceri. Le autorità militari pakistane intendevano manifestare il loro ruolo come attori centrali della futura riconciliazione afghana. Questo paese in effetti ospita sul proprio territorio i dirigenti del movimento talebano che considera utili ai suoi interessi nella regione.

Più in generale, queste misure contribuiscono a un movimento che sembra accelerare verso una soluzione politica negoziata tra il governo afgano ei talebani per mettere fine a un conflitto già vecchio di dodici anni.

Il 25 dicembre, il ministro degli affari esteri Zalmai Rassoul, aveva comunicato al Parlamento, facendo eco a diversi processi di riconciliazione avviati al di fuori del paese, in particolare in Francia, che i negoziati dovranno essere tenuti in Afghanistan. Allo stesso tempo, ha annunciato l’imminente apertura a Doha, in Qatar, di un ufficio di collegamento dei talebani.

Continua a leggere

Un ponte Piadena-Afghanistan Farangis, Samia e Mashal in 3ªA

La provincia di Cremona, 12 gennaio 2013

AquilonePiadena 150x150PIADENA — La più piccola, anche se in realtà è la più alta tra le tre, è nata il 1 gennaio 2002 e si chiama Farangis. Poi ci sono Samia, del 5 settembre 2001, e Mashal, del 4 gennaio 1999. Sono arrivate giovedì dall’Afghanistan e ieri mattina hanno visitato quella che sarà la loro scuola a partire da lunedì prossimo sino alla fine di febbraio, ossia l’istituto comprensivo ‘Gian Maria Sacchi’, e in particolare la classe 3ªA delle medie.

L’iniziativa, denominata ‘Aquilone 2’, è stata avviata dai gruppi ‘Amici di Emmaus’ e ‘Donne 8 marzo’ con il patrocinio del Comune, che offre la disponibilità della mensa e dello scuolabus, e prevede l’ospitalità di giovanissimi provenienti da case-famiglia gestite dall’associazione afghana Afghan Child Education and Care Organization (Afceco), per offrire loro un’opportunità di crescita personale e conoscenza culturale in un contesto sereno.

Farangis è ospite in casa di Adele Cantoni, mentre Samia e Mashal di Laura Anghinoni e del marito Romolo Magri. Ieri mattina le tre ragazze, accompagnate anche da Alida Canova, responsabile della Comunità Emmaus di Canove de’ Biazzi, sono state accolte in un clima di grande cordialità dal dirigente scolastico Sergio Pinsi e dalla professoressa Rosanna Belicchi: «Grazie al dottor Pinsi e a Rosanna è stato possibile l’inserimento di Mashal, Samia e Farangis a scuola», spiega Alida. Dopo una visita degli uffici amministrativi e della presidenza, le giovanissime sono state presentate ai loro compagni di classe, che hanno dato loro il benvenuto in inglese. Poi sono state presentate anche agli alunni della terza B. A loro volta le ragazze, apparse sempre sorridenti ed estremamente educate, si sono presentate.

Continua a leggere

Se Kabul strizza l’occhio a Pechino

Famiglia Cristiana – 7/1/2013 di Romina Gobbo 

Gobbo Karzai 150x141Hamid Karzai durante la visita ufficiale a Pechino (Reuters)

L’Afghanistan strizza l’occhio alla Cina.
In settembre Zhou Yongkang, responsabile supremo della sicurezza cinese, si è recato a Kabul. Questa visita ha fatto seguito a quella del presidente afghano Hamid Karzai in Cina, per l’annuale riunione dell’Organizzazione di cooperazione di Shangai (la Sco è un organismo intergovernativo fondato nel 2001 tra Cina, Russia, Kazakistan, Kirgizistan, Tagikistan e Uzbekistan, con l’obiettivo della sicurezza internazionale, oltre che per la cooperazione economica e culturale).

L’Afghanistan vi è stato ammesso lo scorso giugno in qualità di osservatore, ma la senatrice Belquees Rochan, membro della Commissione diritti umani e giustizia del Parlamento afghano, incontrata qualche mese fa a Kabul, e in questi giorni raggiunta telefonicamente, è critica: «L’Afghanistan è come la carcassa di una mucca, di cui gli avvoltoi si stanno nutrendo, e la Cina è uno di questi. Se riuscirà a comprarsi economicamente l’Afghanistan, otterrà una posizione forte nei confronti della Russia e degli altri membri della Sco».  L’avvicinamento tra Cina e Afghanistan si è concretizzato con la firma di accordi milionari per le risorse minerarie ed energetiche (il valore del sottosuolo afghano è stato stimato fra i mille e i tremila miliardi di dollari). La compagnia petrolifera statale Cnpc (China National Petroleum Corporation) ha ottenuto lo sfruttamento per 25 anni di alcuni giacimenti nel bacino del fiume Amu Daria (nel Nord dell’Afghanistan).

Dal punto di vista strategico, il disimpegno previsto per il 2014 di Usa e alleati pone alcune questioni. Da una parte, Pechino ne trarrebbe vantaggio in termini di influenza sull’area. «È naturale che la Cina, come ogni grande potenza, sia in competizione con l’America e voglia ridurre, non solo la presenza americana, ma anche la russa, indiana…, non solo in Afghanistan, ma in ogni angolo del mondo», spiega Belquees. Dall’altra parte, però, un’eventuale caduta di Karzai porterebbe con sé il rischio di un ritorno al potere dei talebani. Un regime islamista a Kabul rischierebbe di contagiare in chiave jihadista la regione abitata dai musulmani uiguri (Xinjiang, provincia dell’estremo Ovest), che periodicamente tentano di scrollarsi di dosso il dominio cinese.

Continua a leggere

Afghanistan: previsioni sconfortanti per il 2013

RAWA.ORG – 2/1/2013

kab jan05 8L’Afghanistan detiene molti fra gli indicatori umanitari peggiori del mondo. Il 34% della popolazione soffre per mancanza di cibo e il 10% dei bambini muore prima di iniziare la scuola primaria.

Le organizzazioni di aiuti internazionali affermano che nel 2013 si prevede un peggioramento della situazione umanitaria e un ulteriore aumento della violenza in Afghanistan.

Secondo il nuovo Piano d’Azione Comune Umanitario per il 2013 (Common Humanitarian Action Plan – CHAP) pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), a causa del peggioramento dei conflitti negli ultimi cinque anni i civili continueranno a soffrire per la violenza armata e la situazione umanitaria si deteriorerà ulteriormente.

Il report elenca le maggiori sfide umanitarie che l’Afghanistan dovrà affrontare nel 2013, anno che vedrà il costante ritiro delle forze internazionali: entro giugno le forze di sicurezza afghane prenderanno il controllo dei tre quarti del paese.

L’Afghanistan detiene molti fra gli indicatori umanitari peggiori del mondo. Il 34% della popolazione soffre per mancanza di cibo e il 10% dei bambini muore prima di iniziare la scuola primaria.

Tenendo conto che a gran parte della popolazione è negato l’accesso a servizi primari quali educazione, acqua, assistenza sanitaria di base e abitazione, la comunità umanitaria richiede 471 milioni di dollari per coprire il costo dei progetti previsti nel 2013.

Molti analisti ritengono che il progressivo ritiro delle forze internazionali nel 2013, che si concluderà definitivamente nel 2014, causerà un incremento della violenza poiché le forze di sicurezza nazionali non saranno in grado di far fronte ai movimenti anti-governativi che rafforzeranno la loro posizione.

Continua a leggere

Afghanistan: freddo mortale nei campi profughi

Euronews – 01/01/2013

Freddo polare e neve seminano morte nei campi profughi afghani.

Almeno due le vittime tra i bambini a Kabul, dove convergono da tutto il paese migliaia di sfollati in fuga dalle violenze intestine e dalla povertà.

Servono aiuti immediati, dicono le Nazioni Unite, per far fronte all’emergenza di un inverno troppo rigido che, stando alle previsioni, può solo peggiorare.

“Abbiamo un sacco di problemi, la nevicata dell’altra notte ha distrutto la nostra casa di fango”, dice Haji Abdul Wahabi, arrivato a Kabul dalla provincia nord occidentale di Helmand, “i nostri figli vivono in tende di plastica, fa molto freddo e per questo si sono ammalati. La vita è dura qui ma almeno è un posto sicuro e non ci sono bombardamenti.”

Nei centri di accoglienza, l’agenzia Onu per i rifugiati distribuisce viveri, vestiti e coperte. C‘è l’acqua calda, ma servono stufe, carburanti e medicine per mezzo milione di sfollati e per evitare che, come l’anno scorso, muoia un centinaio di bambini.

L’inverno non lascia scampo neppure a chi cerca di emigrare: almeno dieci persone sono morte congelate la settimana scorsa al confine con il Pakistan.