da Lavocedinomas Ilaria Brusadelli
È da poco scoccato l’inizio di un nuovo anno. Il sette ottobre, infatti, è iniziato il decimo anno della guerra in Afghanistan. Una missione di pace che da qualche tempo ha il coraggio di presentarsi per quella che è: una guerra che uccide, che mutila, che ferisce e che di fatto impedisce il progresso logico e naturale di un Paese verso il raggiungimento di uno Stato con una popolazione libera.
Libera di poter pascolare le proprie pecore senza saltare su una mina, libera di essere donna, libera di essere curata, nutrita. Samia Walid, attivista dell’organizzazione RAWA – che da 32 anni si batte contro i nemici dell’Afghanistan () – così parla dell’inizio di questa guerra: «Nove anni fa gli Stati Uniti e i loro alleati hanno invaso l’Afghanistan alle parole d’ordine di “libertà”, “democrazia”, “diritti delle donne”. Il popolo afgano era pieno di speranza: finalmente dopo 30 anni di guerra e oscurantismo giungeva a godere della libertà, la democrazia, i diritti. Ma quel sogno, quel desiderio si è infranto sin dai primissimi giorni successivi alla caduta dei talebani con la nomina e quindi la salita al potere dei signori della guerra: i jihadisti dell’Alleanza del Nord. Tutto il popolo afgano, le donne, gli uomini, i vecchi, i giovani, perfino i bambini erano pienamente coscienti che mai avrebbero potuto ottenere gli obiettivi che Stati Uniti e i suoi alleati occidentali avevano con tanta veemenza promesso. No, con i più determinati nemici della democrazia, con coloro che più di ogni altro hanno violato i diritti delle donne, non si poteva sperare di formare un governo democratico, fautore dei loro diritti. Oggi, quindi, siamo testimoni di come l’Afghanistan e il suo popolo siano schiacciati nella morsa del governo corrotto e mafioso di Karzai, degli occupanti stranieri, dei signori della guerra e dei talebani, e la minaccia di essere uccisi è una realtà presente in ogni minuto della nostra vita; oggi più che in qualsiasi altro momento storico del nostro paese, il popolo afgano si trova in mezzo ai giochi incrociati che rispecchiano gli interessi politici strategici che contrappongono Stati Uniti, Gran Bretagna, Pakistan, Iran, India e Israele; oggi le organizzazioni mafiose che trafficano nella droga, delle ong e delle banche aggrediscono il nostro popolo succhiandogli il sangue fino all’ultima goccia».
Anche il più convinto detrattore della guerra ha avuto, forse, il dubbio legittimo della necessità di un intervento esterno in quel Paese, se non fosse per “combattere i terroristi” quanto meno per liberare le donne. Ma, come ribadisce Samia, anche la causa delle donne è stata spesso usata per accrescere il consenso su questa “missione di pace”:
«Alla fine del 2001, quando gli Stati Uniti si preparavano ad attaccare militarmente l’Afghanistan e ad abbattere il regime dei talebani, hanno di fatto utilizzato in maniera parossistica la condizione delle donne afgane, la repressione a cui erano sottoposte sotto il dominio degli studenti coranici, preparando in questo modo alla guerra le menti dei popoli di tutto il mondo. Oggi riesumano quest’arma, e ne è un esempio la pubblicazione del “Times” dello scorso mese che in copertina riportava la fotografia di Bibi ‘Anisha con il naso tagliato. Il commento riportato sotto la copertina diceva che se le forze militari americane lasceranno l’Afghanistan, i talebani riprenderanno il potere e questa è la situazione in cui si troveranno le donne afgane.Tutto ciò mentre proprio gli Stati Uniti stanno facendo ogni tentativo, per tramite il governo da loro sostenuto, di riportare i talebani al potere».