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Autore: Anna Santarello

Femminismo contro fondamentalismo in Afghanistan

“ L’emancipazione femminile è possibile solo se andiamo alle radici dell’oppressione delle donne”

Kobra Sultani, New Politics Inverno 2022

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Presentazione alla Conferenza sul femminismo marxista 2021, Panel sulle lotte delle donne del Medio Oriente e del Nord Africa, il movimento Me Too e le loro sfide al femminismo marxista

Sono Kobra Sultani dall’Afghanistan, un paese che la comunità internazionale ha dichiarato essere il posto peggiore per le donne. Sono felice di far parte di questo incontro oggi.

Sotto i Talebani, le ragazze non possono ricevere un’istruzione superiore alla quinta elementare. Non hanno il diritto di lavorare negli uffici, né di impegnarsi in attività sportive o culturali. Non possono uscire di casa senza un parente maschio. L’hijab o burqa obbligatorio ci è stato imposto e persino il colore del burqa è scelto dai talebani. Queste regole oppressive vengono imposte alle donne in un momento in cui la popolazione è in stato di shock e soffre di una povertà inimmaginabile. Le famiglie che hanno venduto le loro proprietà e i loro mezzi di sostentamento per un pasto, ricorrono alla vendita dei loro figli, per lo più bambine. Le donne che hanno perso il marito a causa della pandemia di Covid-19, della guerra o degli attacchi terroristici dei gruppi jihadisti islamici, e che sono diventate l’unica fonte di sostentamento della famiglia, si trovano ad affrontare molteplici problemi.

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La sfida per l’Afghanistan: «Riconoscere le donne come attori politici»

La Farnesina, mentre ricerca il dialogo e fa conferenze con personaggi politici compromessi con i signori della guerra e favorevoli al riconoscimento dei talebani, ignora le organizzazioni come Rawa che sono rimaste in Afghanistan e lavorano direttamente con e per il popolo oppresso dal governo talebano

Giuliano Battiston, il Manifesto, 14 dicembre 2022

condizione donne Afghanistan oggi

 

Alla Farnesina, si parla di Afghanistan. Si è tenuta ieri pomeriggio nella sede del ministero degli Esteri il convegno «Women for Peace: the Afghan Challenge». Promosso dall’antenna italiana di Women in International Security (WIIS), ha visto alternarsi attiviste afghane e interlocutori della diplomazia e dell’associazionismo internazionale.

Tra i volti noti della società afghana era presente Fatima Gailani (figlia di Pir Sayed Ahmed Gailani, leader di uno dei partiti che hanno combattuto contro i sovietici negli anni Novanta), a lungo presidentessa della Mezzaluna rossa a Kabul. Poi negoziatrice con i Talebani negli incontri collaterali all’accordo di Doha firmato dai militanti islamisti con Washington nel febbraio 2020.

Per Gailani, il collasso della Repubblica islamica e il ritorno al potere dei Talebani nell’estate 2021 non sono stati una sconfitta militare, ma una «bancarotta politica», con responsabilità diffuse. Oggi, di fronte a una situazione «vicina alla catastrofe», servirebbe un «nuovo approccio, prudente», che non passi semplicemente per critiche e accuse ai Talebani, ma che sappia ricondurli dentro il percorso negoziale tracciato negli incontri internazionali. Come? Sfruttando la loro ambizione a veder riconosciuto l’Emirato islamico, chiedendogli di rispettare gli impegni assunti allora.

A giudicare dalla parabola sempre più autarchica dell’ultimo anno e mezzo, dalla capacità della componente più oltranzista dei Talebani di dettare la linea al governo,un’ipotesi molto complicata. Segue logiche diverse la diplomazia italiana, secondo l’ambasciatrice per l’Afghanistan Natalia Quintavalle, che dallo scorso settembre sostituisce Vittorio Sandalli. Per Quintavalle va «mantenuta la posizione del non riconoscimento» dell’Emirato, senza però rinunciareal dialogo con i Talebani.

Anche per l’inviato speciale dell’Unione europea Tomas Niklasson un dialogo serve, soprattutto «a evitare l’ulteriore isolamento del Paese, ma senza riconoscimento». Niklasson, abituato a metterci la faccia, ammette che la presenza diplomatica europea a Kabul, per quanto ridotta, «è politicamente rischiosa», ma anche utile «a controllare che l’assistenza umanitaria arrivi senza interferenze» ai bisognosi e a mettere in chiaro cosa ci si aspetta dai Talebani: «Inclusività, rispetto dei diritti».

I risultati, per ora, sono deludenti, commenta Mahbouba Seraj, nota esponente della società civile, attivista per i diritti delle donne, giornalista. Per la quale la priorità è «evitare la disintegrazione dell’Afghanistan», facile se si continua a giocare la chiave etnica.

Più difficile, fornire raccomandazioni concrete, elencare proposte, lamenta Nilofar Ayoubi, della rete Women’s Political Participation, che si chiede: «Non ho ancora capito se queste conferenze funzionino davvero, visto che le politiche repressive continuano». Due le sue richieste principali: «Trovare strumenti per costringere i Talebani a dare conto delle proprie azioni». E «riconoscere le donne afghane come attori politici. A partire da quelle che vivono nel Paese».

I segreti condivisi delle donne afghane

“La mia penna è l’ala di un uccello; ti dirà quei pensieri che non ci è permesso pensare, quei sogni che non ci è permesso sognare”

Lyse Doucet, Zarghuna Kargar, BBC News, 11 dicembre 2022

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A volte, le voci delle donne afghane si alzano dalle strade di Kabul e di altre città in piccole, rumorose proteste. Spesso risuonano nei discorsi di donne ormai lontane, fuori dall’Afghanistan. Ma soprattutto, i loro pensieri vengono espressi solo in silenzio, in luoghi sicuri. Oppure marciscono nelle loro teste mentre cercano di conciliare le loro vite con le regole sempre più rigide del governo talebano. Limitano ciò che le donne indossano, dove lavorano, cosa possono fare o meno della loro vita.

Nei mesi prima del ritorno dei talebani, nell’agosto 2021, 18 scrittrici afghane hanno scritto storie di fantasia, tratte da vite reali, e pubblicate all’inizio di quest’anno nel libro My Pen is the Wing of a Bird. Molte donne afghane si sono sentite deluse e lasciate sole dalla comunità internazionale. Ma questi scrittori hanno usato le loro penne e i loro telefoni per confortarsi a vicenda e per riflettere sui problemi che ora devono affrontare milioni di donne e ragazze. Qui, due scrittrici di Kabul, pseudonimi Paranda e Sadaf, hanno condiviso i loro pensieri scritti in segreto.

 

“Una sciarpa rosa è un peccato?”

 “Oggi mi sono svegliata con determinazione. Quando ho scelto i miei vestiti, ho deciso di indossare un velo rosa per combattere il velo nero che indosso tutti i giorni… è un peccato indossare un velo rosa?”

Paranda preferisce vestirsi di rosa, per sentirsi femminile. Ma ciò che le donne scelgono di indossare è ora un campo di battaglia. I severi editti talebani sulla modestia vengono applicati, spesso con la forza. In questa società tradizionale, le donne afgane non combattono contro il copricapo, alcune vogliono solo il diritto di scegliere. Lo vedi per strada, negli spazi pubblici. Una sciarpa rosa. Un taglio scintillante. Un po’ di luce nel buio.

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Zharmina, storia di una esecuzione talebana

bbc.com Ali Hosseini 10 dicembre 2022

esecuzioneIl caso più famoso di esecuzione talebana basata sull ‘”ordine di punizione” è stata quella di una donna sul campo di calcio il 17 novembre 1999 a Kabul: l’esecuzione di Zharmina.

Zharmina era la stessa donna che sedeva sulla linea bianca dell’area di rigore del Ghazi Stadium di Kabul con indosso un burqa blu e uno dei talebani le si era avvicinato con un kalashnikov e le aveva sparato alla testa.

L’immagine di questa scena è stata ripubblicata molte volte negli ultimi tre decenni come “simbolo del trattamento riservato alle donne in Afghanistan”. Ho parlato con quattro persone che quel giorno erano presenti sul campo di calcio. Due di loro sono donne della “Associazione rivoluzionaria delle donne afghane” nota come “Rawa”. Ho parlato con la persona che ha girato il video di questa scena dell’esecuzione e ho parlato con l’altra che era seduta accanto a lei tra il pubblico, direttamente e per telefono.

Van Antonowicz, reporter del Daily Mirror, è stato uno dei primi e pochi reporter che hanno seguito la storia di Zharmina. Fonti hanno detto ad Antonowicz che Zharmina aveva ucciso “il marito violento”. Sono passati più di 20 anni da quell’evento e ora è difficile verificarlo e non è possibile confermare o smentire con certezza le narrazioni.

Zharmina era stata in prigione per tre anni prima della sua esecuzione. Quando era stata portata in prigione, era accompagnato da due gemelli di un anno e una bambina. Secondo il giornalista del Daily Mirror, Zharmina pensava che portandosi i bambini in prigione poteva salvarla dal rischio di punizione e morte. Ma Zharmina si sbagliava; Quando i due gemelli furono svezzati, fu fissato il momento della sua esecuzione. Ma lei continuava a dire: “Non mi uccideranno. Chi si prenderà cura dei miei figli? Sono una madre. Non uccidono una madre”.

Secondo una delle persone che erano presenti allo stadio quando Zharmina era stata condannata a morte, ha detto che i talebani di solito eseguivano le esecuzioni il venerdì, ma in via eccezionale tennero l’esecuzione di Zharmina il martedì. “Voice of Shariat”, l’emittente radiofonica talebana degli anni Novanta, aveva annunciato la sera prima quale sentenza sarebbe stata eseguita il giorno dopo allo stadio. Quel giorno, “circa 30.000 persone” si erano radunate nello stadio sportivo di Kabul, secondo Antonowicz e i suoi testimoni.

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La violenza spietata dei talebani al potere in Afghanistan

Valigiablu.it  Roberta Aiello 8 dicembre 2022

13est2 sotto afghanistan tratt pace talebani apQuando i talebani sono tornati al potere in Afghanistan, nell’agosto 2021, in pochi credevano che il gruppo fondamentalista si sarebbe comportato in maniera diversa rispetto al passato. Molti ci avevano sperato ma le aspettative sono state disattese.

I sei anni in cui avevano governato il paese – dal 1996 al 2001 – erano stati caratterizzati da massicce violazioni dei diritti umani, fustigazioni di piazza, limitazioni alla partecipazione delle donne alla vita pubblica.

Quando hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan, nell’estate dello scorso anno, gli analisti hanno auspicato che fossero finalmente diventati “politicamente maturi”.

Le parole avevano, infatti, acceso un barlume di speranza. All’indomani della conquista del paese i comandanti talebani avevano rilasciato alcune dichiarazioni che lasciavano intendere che avevano fatto tesoro degli errori passati.

A quasi un anno e mezzo di distanza tutto è tornato al punto di partenza.

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I Talebani reintroducono le punizioni corporali e criticano l’ONU che non apprezza le frustate

ultimavoce.it  Marina Satta  1 dicembre 2022

In Afghanistan i Talebani hanno reintrodotto le punizioni corporali pubbliche per coloro che non rispettano la legge della Sharia. Quattordici persone sono state fustigate in un campo di calcio davanti a centinaia di spettatori.

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Nella provincia orientale di Logar in Afghanistan , il 23 novembre scorso i Talebani hanno frustato pubblicamente 14 persone in uno stadio di calcio, tra queste vi erano anche 3 donne. I funzionari talebani hanno esortato gli abitanti della piccola città di Pul Alam ad assistere alle punizioni inflitte ai criminali morali, che hanno ricevuto dalle 21 alle 39 frustate tra urla e richieste di aiuto davanti a centinaia di persone. La punizione sarebbe avvenuta per aver commesso crimini come furti, rapina e adulterio. Ma dalle informazioni trapelate, sarebbero stati fustigati anche uomini accusati di accompagnare donne che indossano abiti colorati.

Una pratica brutale esposta pubblicamente, che ha il solo scopo di intimorire la popolazione per far sì che le persone rispettino la legge della Sharia. Altre 19 persone l’11 novembre sono state frustate ben 39 volte nella moschea di Talon davanti ai fedeli.

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Le banche nell’Emirato afghano

Enrico Campofreda dal suo Blog  2 dicembre 2022

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I tanti che in Afghanistan ci sono rimasti – quei trentatré milioni e più che non agguantavano i voli di fine agosto 2021 successivi alla calata dei taliban su Kabul e sul potere, né transitavano nei corridoi umanitari organizzati in Occidente soprattutto per chi s’era esposto coi governi collaborazionisti e temeva per la propria incolumità – devono fare i conti col sostentamento quotidiano. I più fortunati che per attività proprie, commerciali e imprenditoriali d’una certa consistenza, o per rapporti di lavoro con le poche Ong tuttora presenti sul territorio si rivolgono alle filiali del denaro, raccontano le traversie per effettuare operazioni di prelevamento e versamento.

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Gli scheletri nell’armadio della guerra Usa in Afghanistan: una lezione per l’Ucraina?

L’articolo illustra il disastro dei vent’anni di occupazione in Afghanistan e un interessante reportage di Fahim Abed (di Tehe Intercept) sull’evacuazione dei collaboratori afghani della CIA

Contropiano, 3 dicembre 2022, di Redazione Contropiano – Fahim Abed (The Intercept)  afghanistan cia usa ucraina 720x300

Ad inizio del settembre dello scorso anno, dopo poche settimane dalla conquista talebana di Kabul – avvenuta il 15 agosto – e la rovinosa fuga occidentale dal Paese, pubblicavamo un anticipazione del volume “The Afghanistan Papers” scritta da Nick Turse sul giornale d’inchiesta The Intercept.

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A Kabul un rifugio clandestino salva le donne dalla violenza domestica

Un nuovo contributo del Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda) su Altreconomia che vuole mantenere un appuntamento fisso sulla rivista e su altreconomia.it per tenere una luce accesa sull’Afghanistan

Altreconomia, n. 254 – dicembre 2022, di Cristiana Cella 

donneNonostante le crescenti difficoltà, una rete di afghane continua a gestire piccoli appartamenti dove accoglie vittime di abusi in fuga da padri e mariti che godono di un’impunità totale sotto il regime talebano. Il racconto di alcune attiviste.

Il luogo è segreto. Giriamo per le strade dissestate di Kabul, tra i mucchi di neve sporca, per far perdere le tracce a qualche eventuale inseguitore. Ce ne potrebbero essere tanti: commanders, Talebani, parenti che minacciano, mariti che vogliono indietro le loro mogli per continuare a fare scempio delle loro vite, vicini ansiosi di denunciare, polizia al soldo dei warlords. La strada è deserta quando arriviamo alla meta, tutto tranquillo. Siamo allo shelter, la casa protetta per le donne vittime di violenza gestita da una rete di afghane (di cui non possiamo rivelare il nome per motivi di sicurezza) con cui il Cisda collabora da vent’anni e che oggi lavora sotto la minaccia talebana. Si sono appena trasferite, lo fanno spesso, per sicurezza. 

La stanza dove ci accolgono è grande, il pavimento coperto da tappeti rossi, una grande stufa al centro. Le donne che qui hanno trovato protezione se ne stanno sedute, in silenzio, si coprono e si scoprono con il velo, cullano i bimbi che hanno in braccio. Soprattutto ci guardano con un’intensità timida e solenne. Siamo in sei, ci sentiamo goffe in quella stanza di silenzio caldo e profumato di legna. Nessuno parla. Niente si muove. 

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Afghanistan: tutti i soldi dei talebani

L’Indro, 30 novembre 2022 – Gabriella Peretto  Soldi talebani

La relativa ‘calma finanziaria’ si scontra con una situazione economica sul terreno decisamente problematica

Nell’autunno 2021, quando a Kabul erano arrivati e si erano insediati i talebani, gli osservatori internazionali si chiedevano dove i nuovi padroni dell’Afghanistan avrebbero potuto trovare risorse finanziarie che permettessero loro di mantenere il controllo del Paese. Le aspettative erano decisamente pessimiste.

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