Skip to main content

Autore: Anna Santarello

L’Emirato e i soldi afghani

Enrico Campofreda dal suo Blog 15 settembre 2022

4 0

La vicenda dei 9.5 miliardi di dollari dello Stato afghano, bloccati da un anno per volere del presidente statunitense Biden come punizione per l’assenza di diritti civili e di genere frutto dell’operato talebano, sta avendo un’evoluzione. 3.5 miliardi di dollari erano stati sequestrati nei mesi scorsi direttamente per volere della Casa Bianca che si preoccupava di offrirli a “beneficio della popolazione afghana”.

Continua a leggere

Il primo rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan

Amnesty.it 13 settembre

GettyImages 1126997364 1444x710 1 600x600 copy

Il 12 settembre il Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Afghanistan ha presentato il suo primo rapporto alla 51ma sessione del Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani.

“Apprezziamo questo rapporto, che rappresenta un’ulteriore conferma di quanto sia grave la crisi dei diritti umani in Afghanistan. I talebani hanno fatto passi indietro in ogni campo, in particolare per quel che riguarda i diritti delle donne, l’istruzione per le bambine, la protezione delle minoranze e l’accesso alla giustizia.

Continua a leggere

La comunità curda in Svezia: «Ci sentiamo traditi dalla premier Andersson»

Ilmanifesto.it Roberto Pietrobon, STOCCOLMA 11 settembre 2022

OGGI AL VOTO. «Abbiamo sempre votato in maggioranza per il partito socialdemocratico», ma ora non sarà più così

Img002 768x432

La comunità curda in Svezia è tra le più numerose di tutto il continente europeo seconda solo alla Germania, conta circa 100 mila appartenenti come in Francia. Con lo scoppio della guerra in Ucraina i paesi nordici vicini alla Russia come Finlandia e Svezia hanno deciso di abbandonare la loro storica neutralità (in Svezia mantenuta per quasi 200 anni) e, prima con l’invio delle armi a Kiev e poi con la richiesta di adesione alla Nato, hanno scelto stabilmente la loro collocazione internazionale anche in ambito militare. Il processo di adesione dei due paesi è stato bloccato dalla Turchia che ha imposto pesanti condizioni per il suo sì. Condizioni firmate nel meeting Nato a Madrid, lo scorso maggio, nel quale i turchi hanno preteso dai due paesi il rimpatrio di decine di dissidenti turchi e curdi.

Continua a leggere

Pakistan, polarizzazione politica e cortocircuito economico all’ombra della galassia talebana

Enrico Campofreda dal suo Blog 9 settembre 2022

pti protesters 2022

Perdere la guida del governo, com’è accaduto nei mesi scorsi a Imran Khan, è inusuale in Pakistan. In verità lo è anche concludere il quinquennio di mandato, visto che nei settantacinque anni di storia interna leader e partiti politici hanno conosciuto colpi di mano militari (con Zia-ul Haq e Musharraf), attentati e assassini (di cui fu vittima Benazir Bhutto), condanne per corruzione (Nawaz Sharif), ma non sono incappati in tradimenti in corso d’opera che ora vedono l’ex premier Khan gridare al complotto.

Continua a leggere

Asia. Afghanistan, centinaia di ragazze si presentano a scuola. E i presidi aprono.

Redazione Internet – 8 settembre 2022

Nella parte orientale del Paese, lontana dai centri del potere dei taleban, 5 scuole secondarie hanno ripreso le lezioni. Il preside: «Le ragazze sono venute spontaneamente, non le abbiamo respinte»

Centinaia di ragazze, stanche dei divieti imposti dal regime dei Taleban, hanno deciso di tornare in classe. Cinque scuole secondarie governative per ragazze hanno ripreso le lezioni nell’Afghanistan orientale dopo che centinaia di studentesse ne hanno chiesto la riapertura: lo ha dichiarato oggi un funzionario provinciale. Ufficialmente i taleban hanno vietato la scuola secondaria femminile, ma l’ordine è stato ignorato in alcune zone dell’Afghanistan lontane dalle basi del potere centrale di Kabul e Kandahar.

«Le scuole sono state aperte alcuni giorni fa e le regole su islam, cultura e costumi vengono rispettate. Il preside degli istituti ha chiesto agli studenti di tornare in classe e le scuole superiori femminili sono aperte», ha detto a Reuters Mawlawi Khaliqyar Ahmadzai, capo della Paktia’s dipartimento cultura e informazione.

Mohammad Wali Ahmadi, preside della scuola superiore di Shashgar a Gardez, ha dichiarato alla France Presse che circa 300 ragazze sono tornate a scuola dalla scorsa settimana, nonostante non vi sia stato alcun cambiamento nella politica ufficiale. Gruppi di ragazze che indossavano foulard e hijab sono state viste dirigersi verso l’istituto questa mattina.

Continua a leggere

Contro il fascismo di Erdogan: analisi e iniziative

9 Settembre 2022 Redazione

Un articolo di Leandro Albani e un’iniziativa il 18 a Roma. A seguire due link e notizie da Anbamed. Con una proposta di “Verso il Kurdistan” per un 8 ottobre sui sentieri partigiani.

Rojava: le guerre che non vanno in tv

Leandro Albani

Turchia mixSetImmagCom 300x169 copyDiceva Eduardo Galeano che i Nessuno, los Nadie, non sono anche se esistono, e che costano meno delle pallottole che li ammazzano. I curdi sono “Nessuno” da secoli e, tra le molte guerre che anche in questo momento incancreniscono nel mondo, quelle contro i curdi sono certo tra quelle che valgono meno. Dev’essere per questo che meritano tanto silenzio. E guai se non fosse così: dovremmo pensare che le bambine e i bambini ammazzati (anche) in agosto nel Rojava dai bombardamenti dei droni del secondo esercito della Nato non valgano neanche un paio di righe perché quei droni sono indispensabili alla resistenza ucraina. Oppure che il presidente turco Erdogan ha facoltà di far uccidere perché ferma l’esodo verso la culla della civiltà di milioni di persone in fuga da guerre e perquisizioni. Oppure, ancora, che ricatta e tiene in ostaggio la Russia, gli Stati Uniti, l’Europa (e i loro media) perché ha imparato a seguirne l’esempio. Che assurdità…

I dati numerici che ha diffuso a fine agosto Save the Children sono stati cancellati dal vortice di notizie quotidiane, anche perché pochissime persone sono interessate a conoscerli. Venerdì 26 agosto la Ong internazionale ha riferito che almeno altri due bambini sono rimasti feriti anche quel giorno in un attacco a Tal Rifat, nel Rojava, regione autonoma nel nord della Siria. Si tratta delle vittime più recenti di un’ondata di violenza che, nel solo mese di agosto, a causa dei bombardamenti continui della Turchia ha ucciso nella regione almeno 13 bambini e bambine e ne ha feriti altri 27.

Beat Rohr, responsabile della Ong nella zona, si è detto profondamente addolorato per “quest’ultima escalation di violenza che mostra chiaramente come i bambini in Siria non sono ancora al sicuro. I bambini non dovrebbero mai preoccuparsi di essere attaccati a casa, al mercato o quando sono fuori per giocare.  Eppure, questo è esattamente ciò che accade a tutti i bambini nel nord della Siria, quasi 12 anni dopo l’inizio del conflitto”.

Il massacro in corso da mesi nel Rojava è quasi del tutto sconosciuto. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, aveva annunciato apertamente mesi fa un’invasione militare nell’area, ma i suoi “soci” russi, statunitensi e iraniani – tutti e tre presenti in territorio siriano – lo hanno per ora convinto a recedere. Ciò che hanno promesso in cambio è stata l’assoluta libertà per Erdogan di ordinare attacchi con i droni sul Rojava. Così da diverse settimane gli attacchi sono quasi quotidiani e prendono di mira principalmente i residenti di città come Manbij, Kobane e Ayn Issa.

Rojava Ain Issa bombardeos la tintaAin Issa sotto i bombardamenti turchi

Le ragioni che spingono il presidente turco sono molteplici. In primo luogo, la sua amministrazione ha già dimostrato fin dalla nascita l’odio nei confronti del popolo curdo, che cerca di sterminare il più rapidamente possibile. Intanto si accontenta di estendere il potere territoriale turco in Siria, in linea con le sue aspirazioni neo-ottomane: oggi Ankara occupa illegalmente il cantone curdo di Afrin e le città di Al Bab, Serêkaniyê, Azaz e Girê Spî. La seconda ragione è che Erdogan ha una tremenda necessità di far gonfiare i sentimenti nazionalisti nel Paese in vista delle elezioni presidenziali del 2023, in cui è a rischio la continuità del suo potere. La terza ragione è che sia Erdogan che il cosiddetto “Stato profondo turco” rifiutano senza esitazioni il progetto di democrazia, autonomia e liberazione in Rojava, progetto che sta in piedi dal 2012, quando i popoli curdo, armeno, arabo e assiro, tra gli altri, hanno rotto la catena che li legava al regime siriano guidato da Bashar Al Assad.

Sebbene le Nazioni Unite (ONU) abbiano avvertito in diverse occasioni che nel Rojava le aggressioni turche comportano il rischio di un genocidio, l’allarme e gli avvertimenti sono stati cancellati dalle agende internazionali preoccupate in modo esclusivo per la guerra in Ucraina. Non si tratta di un fatto nuovo, né sorprendente.  La Turchia è il secondo esercito della Nato ed è un fornitore continuo ed essenziale di droni militari Bayraktar, in particolare al governo di Kiev. Gli Stati Uniti e la Russia si contendono da anni l’influenza su Ankara ed Erdogan ne approfitta continuamente. Così sia Mosca, che controlla lo spazio aereo nel Rojava, che Washington, che ha la sua presenza militare a terra, chiudono gli occhi sui bombardamenti turchi sulla popolazione civile nella regione.

A Bashur, nel Kurdistan iracheno, lo Stato turco dispiega anche un’invasione militare che combina truppe di terra, attacchi di droni e l’utilizzo di armi chimiche. È il silenzio il maggior alleato di Erdogan in questa guerra. Il suo obiettivo è sconfiggere i guerriglieri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), cosa che Ankara è più che mai determinata a raggiungere, ma s’imbatte nella ferrea resistenza fatta dai combattenti curdi su montagne inespugnabili, i naturali alleati dell’insurrezione.

Non potendo fare molti progressi nell’occupazione illegale delle aree di Bashur, la Turchia sta intensificando gli attacchi contro i civili.

Lunedì 29 agosto un drone turco ha bombardato il campo profughi di Makhmur, situato a Bashur, dove vivono da diversi anni circa 12mila persone, la maggior parte delle quali deportate con la forza da Bakur (Kurdistan turco). Abu Zêyd Ebdullah Ubêyd, residente del campo, è rimasto ferito nell’attacco e in seguito è morto dopo essere stato portato all’ospedale di Geyare.

Lo stesso giorno, la Turchia ha bombardato il villaggio di Behreva, a Shengal, la regione a maggioranza yazida dell’Iraq settentrionale, lasciando diversi feriti. Per questi attacchi, Ankara ha l’aperto sostegno del Partito Democratico del Kurdistan (KDP), che guida il governo semi-autonomo di Bashur, ma può contare anche sull’inerzia del governo centrale di Baghdad.

È curioso come le grandi reti mediatiche internazionali in questi giorni abbiano trasmesso le forti proteste in Iraq, dopo le dimissioni del leader religioso sciita, Muqtada Al-Sadr, dall’attività politica, ma non riescano proprio a puntare le telecamere verso le montagne di Bashur, dove la Turchia cerca di applicare una politica della terra bruciata.

Rojava Afrin ocupacion turca la tintaIn un articolo pubblicato di recente, Devriş Çimen – rappresentante in Europa del Partito Democratico dei Popoli della Turchia, composto da esponenti del movimento curdo e da gruppi di sinistra e progressisti – ha scritto: “La democrazia, l’emancipazione delle donne, l’ecologia, la partecipazione popolare e la libertà sono valori universali che il movimento curdo per la libertà difende da anni. La nostra organizzazione cerca un’alternativa democratica ai regimi autoritari del Medio Oriente che minano tutte le libertà. I governi occidentali citano molti di questi valori in nome del loro sostegno all’Ucraina contro l’invasione russa. Ma quando si tratta dei curdi l’Occidente è sempre pronto a disfarsi di quei valori e a gettare i curdi in pasto ai lupi“.

Le parole di Devriş Çimen sintetizzano esattamente come le potenze internazionali considerano il popolo curdo, il più grande popolo al mondo che continua a soffrire per la colonizzazione, che è imposta da Turchia, Siria, Iraq e Iran, ma anche dai grandi attori politici del pragmatico scacchiere mondiale.

Kabul, cosa può significare l’attacco all’ambasciata russa

Inside Over – Lorenzo Vita  – 5 Settembre 2022

insideoverUn’esplosione squarcia la mattina di Kabul. Stando alle informazioni che giungono dalla capitale dell’Afghanistan, un attentatore è stato ucciso nei pressi dell’ambasciata russa dopo essere stato identificato dalle guardie di sicurezza della missione consolare, ma i proiettili con cui è stato neutralizzato il kamikaze hanno provocato comunque l’esplosione non lontano dall’ingresso dell’ambasciata. Il bilancio provvisorio delle vittime parla di 20 persone rimaste uccise dalla detonazione, con un numero imprecisato di feriti.

Come riportato dalle fonti di sicurezza afghane, molti dei morti e dei feriti erano lì per il rilascio dei visti da parte della missione diplomatica. Il ministero degli Esteri di Mosca ha invece confermato il decesso di due cittadini russi dipendenti dell’ambasciata.

Continua a leggere

La nostra rivoluzione: Liberare la vita

da Uiki onlus, 29 agosto 2022

Care donne, care amiche, Dalla prima conferenza internazionale del Network Women Weaving the Future (Rete Donne Tessendo il Futuro) nel 2018, abbiamo assistito a un aumento della resistenza globale delle donne contro i sistemi che ci impongono sfruttamento, miseria e morte. Come abbiamo visto durante la pandemia di Covid-19, con l’aiuto dello Stato, il sistema patriarcale e capitalista perfeziona i suoi metodi per privare le donne, i popoli, le lavoratrici e i lavoratori, le contadine e i contadini, e le operaie e gli operai del loro diritto di vivere. Oggi, ovunque, ci troviamo di fronte alla guerra, all’occupazione, alla violenza, al femminicidio, al genocidio e all’ecocidio.

Sebbene il patriarcato capitalista sostenga che “non c’è alternativa” a questo mondo di sfruttamento e ingiustizia, questo sistema sta perdendo la sua legittimità. Per superare la sua ultima crisi, il sistema riutilizza continuamente i suoi pilastri fondamentali: fascismo, nazionalismo, religiosità, scientismo, sessismo e feudalesimo, i quali portano a uno stato di guerra contro la società, le donne e l’ambiente. Eppure, noi che lottiamo sappiamo che siamo milioni in ogni angolo del mondo, determinate a costruire un mondo diverso e più giusto.

Sappiamo che ci sono strade che vanno oltre quelle che ci vengono presentate come alternative. Come la rivoluzione in Rojava/Siria del Nord e dell’Est ci ha dimostrato nell’ultima decade, è possibile lottare e costruire un sistema politico e sociale diverso, basato sull’autonomia delle donne in tutte le sfere della vita. Le lotte delle nostre sorelle di luoghi come l’Afghanistan, l’Iran, il Sudan, le Filippine, il Brasile e gli Stati Uniti ci mostrano che questo secolo ha il potenziale per essere il secolo della libertà delle donne e dei popoli. Può essere l’epoca in cui le nostre lotte vengono portate dal locale all’universale.

È giunto il momento di tessere insieme il nostro futuro attraverso la lotta comune!

https://womenweavingfuture.org/

liberating life

liberating life 2

 

Emirato afghano, proseguono le esplosioni mortali

dal blog di Enrico Campofreda, 3 settembre 2022

Ansari

Mentre gli baciava la mano, ha tirato la cordicella ed è deflagrato con l’esplosivo che indossava sotto la shalwar kameez. Il kamikaze s’è portato via l’imam Mujib Rahman Ansari, molto vicino ai talebani dell’Emirato, alcune guardie del corpo che lo circondavano, non così accorte da evitargli l’attentato, e i fedeli più vicini in attesa del suo sermone alla preghiera di mezzogiorno. E’ accaduto a Herat, nella Moschea Gazargah, distretto orientale della città più occidentale dell’Afghanistan. Il governatore della provincia ha annunciato diciotto vittime e una quarantina di feriti; uno dei maggiori portavoce dell’Emirato – Zibihullah Mujahid – ha chiesto punizioni esemplari per i membri della rete che sostiene gli attentatori. Un ultimo intervento pubblico dell’imam Ansari, nel giugno scorso, aveva destato attenzione per la foga con cui aveva sostenuto l’amministrazione dei coranici contro le critiche rivolte per la contrazione dei diritti e le difficoltà alimentari che affliggono milioni di persone. L’omicidio segue, di tre settimane quello d’un altro chierico dal nome altisonante, Rahimullah Haqqani, che però non era imparentato con nessuno dei capifila del famoso clan, alcuni dei quali ricoprono da un anno cariche ministeriali. Rahimullah era comunque un leader religioso d’alto profilo nel panorama interno, anch’egli ucciso con un’esplosione ravvicinata organizzata nel suo ufficio, posto in un seminario islamico, mentre riceveva il killer-suicida che celava l’esplosivo dentro un arto di plastica. Nei suoi interventi pubblici l’imam Haqqani attaccava pesantemente la linea del terrore, praticata dagli attentati dell’Isis Khorasan, a suo modo un ‘illuminato’ che contestava la chiusura delle scuole superiori femminili: “Non c’è alcuna giustificazione nella Shari’a per dire che l’istruzione femminile non è consentita” aveva ripetuto più volte, anche in contrapposizione con la scelta operata nella primavera scorsa dai vertici talebani. L’Isis aveva cercato di farlo fuori già nel 2020 in un paio di occasioni, una in una madrasa di Peshawar, in territorio pakistano. Per l’ennesima volta le misure di sicurezza dell’Emirato sono parse ampiamente approssimative, perlomeno per quelli che possono essere definiti obiettivi sensibili. E’ vero che nei momenti di preghiera la calca favorisce un’infiltrazione difficile da controllare, ma i due agguati ai chierici sono riusciti per la penetrazione in luoghi e fra persone che potevano essere evitati. La morte di entrambi, infatti, è frutto della prossimità visto che il potenziale dell’esplosivo risultava limitato. La novità, rispetto a quanto avevano finora mostrato gli attentati a simboli religiosi scagliati contro moschee e fedeli sciiti, è la ricerca della morte fra islamici sunniti. Tutti i martiri di cui hanno parlato le note ufficiali sono sunniti, e i due religiosi erano fieri accusatori dell’Isis-K.

In fuga dall’Afghanistan

La tribolata fuga dal Paese con l’aiuto dell’Università La Sapienza di Roma

Nazir Rahguzar, Left, 24 agosto 2022

13473879 medium 696x463

Ero agitato, mi guardavo freneticamente attorno senza in realtà vedere niente. Cercavo di mostrarmi calmo, per le persone che erano con me. La macchina andava veloce e i pali della luce sulla strada, ormai distrutti, scorrevano davanti ai miei occhi. I miei pensieri mi tormentavano, in una lotta che sapevo di non poter vincere. Stavo lasciando indietro tutto quello che avevo, l’università, la galleria, i miei dipinti, il mio dotar, uno strumento musicale della mia regione, l’armonio, i miei libri, i miei amici e moltissimi dei miei studenti. Ma soprattutto quello che mi faceva più male era il pensiero che avessi abbandonato i miei genitori, che per tutta la vita avevano lavorato duro per garantirmi una vita migliore, proprio adesso che era arrivato il mio tempo per ripagarli di tutti i sacrifici. Invece, eccomi che andavo incontro ad un futuro imprevedibile, di cui non avevo certezze.

Era passata una settimana da quando i talebani avevano conquistato Herat, dopo diciannove giorni di battaglia, e tutti gli impegni degli ultimi venti anni erano stati sgretolati dal ritorno di questi terroristi e dalla codardia di un presidente traditore e fuggitivo. Pochi giorni prima, avevo terminato la costruzione della mia galleria. Negli ultimi cinque anni, oltre alle mie lezioni all’Università di Herat, avevo anche cominciato a lavorare al progetto della costruzione di una galleria d’arte e, con l’aiuto di alcune mie studentesse della facoltà di Belle arti, eravamo riusciti a trasformarla in uno spazio stimabile. La verità è che la nostra galleria era l’unica di Herat. Avevo investito tutti i miei risparmi, e le ragazze avevano contribuito con tutto quello che potevano, in modo da rendere la galleria un posto speciale per tutti gli studenti appassionati.

Mentre la mia memoria ripercorreva i ricordi di quei giorni felici nella mia galleria, un forte scossone fece tremare il pullman, e mi riportò di colpo alla realtà. Guardando fuori dal finestrino, notai che stavamo tentando di attraversare una zona distrutta dell’autostrada Herat-Kabul. Incredibile, pensai, i talebani non avevano risparmiato nemmeno le strade e le avevano fatte saltare in aria. Tutti quegli anni di violenza per nulla, se non per distruggere la strada fondamentale per lo sviluppo del Paese, per impedire al nostro popolo di potersi modernizzare. Appena posai lo sguardo all’interno della vettura, una terribile angoscia mi riempì il cuore. Ventotto giovani donne e due bambine viaggiavano con me, in un Paese dove essere semplicemente una donna era punibile con la prigione e la tortura. Dei terribili dubbi mi tormentavano, dove sto andando? In che avventura mi stavo buttando?

Continua a leggere