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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, cosa comporta il divieto della produzione di oppio.

eastwest – 11 luglio 2022 – di Pietro Malesani 

Da quando sono tornati al potere, i Talebaafghanistan-oppio-1068x732_copy_copy_copy.jpgni hanno reintrodotto il divieto di coltivare i papaveri da cui si ricava la sostanza stupefacente, sperando così che l’Occidente possa chiudere un occhio sulla mancanza dei diritti per le donne.

È passato ormai un anno da quando, il 15 agosto 2021, i Talebani sono tornati al potere in Afghanistan. La rapida avanzata nel Paese, seguita al ritiro americano, si era conclusa con la riconquista di Kabul e il reinsediamento nella capitale, vent’anni dopo la prima volta.

Da allora, il regime islamico ha fatto parlare di sé soprattutto per le questioni legate ai diritti umani e ai divieti imposti alle donne, da quello di guidare fino a quello di frequentare la scuola. Ma anche il dibattito legato alla produzione di oppio ha tenuto banco. Da quando sono tornati al potere, infatti, i Talebani hanno espresso la propria volontà di fermare la coltivazione dei papaveri da cui si ricava la sostanza stupefacente, riproponendo un divieto già applicato nel 2001. Ad aprile, alle loro parole è seguito un atto concreto: “La coltivazione di papaveri da oppio è stata severamente proibita – recita il decreto introdotto – e chi violerà la legge sarà punito secondo la Shari’a”.

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Turchia. Un genocidio all’ombra della Nato.

Volerelaluna – 10 luglio 2022, di Laura Schrader

La guerra russo-ucraina mette in piena luce una contraddizione del mondo occidentale: la difesa, portata avanti con tutti i mezzi possibili, di uno Stato sovrano aggredito nel caso dell’Ucraina e la complicità nell’aggressione di due Stati sovrani, Irak e Siria da parte di un importante membro della Nato, la Turchia.

Da anni infatti Ankara aggredisce, invade e occupa militarmente il Nord dell’Irak e il Nord Ovest della Siria nell’ambito della sua politica di genocidio nei confronti del popolo del Kurdistan, residente nelle aree tra i confini di Turchia, Irak e Siria e Iran in cui da millenni convivono con la maggioranza kurda minoranze etniche e religiose: cattolici siriaci, cattolici caldei, armeni, yazidi, alawi, ebrei… Oltre alla sovranità degli Stati confinanti, Ankara viola la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio delle Nazioni Unite, che stabilisce che per genocidio si intende una serie di operazioni persecutorie «commesse con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale».

Erdogan ha ufficialmente presentato il progetto dell’occupazione militare di parte del Rojava (l’Occidente del Grande Kurdistan) in Siria alla scopo di eliminare la sua popolazione, di cancellare ogni traccia di storia, cultura, religione e di insediare arabi fondamentalisti sunniti. Il progetto è stato parzialmente realizzato con l’occupazione e la devastazione del cantone di Afrin, lasciato da Ankara nella mani dei suoi alleati jihadisti che lo dominano con la sharia e praticano rapimenti, torture, massacri e stupri; tra i mille crimini, l’assassinio in strada di Hefrin Khalef, segretaria del partito democratico e pacifista “Per il di Futuro della Siria”. I turco-jihadisti hanno distrutto i luoghi di culto cristiani e yazidi e hanno espiantato e venduto all’estero gli alberi di ulivo, principale risorsa della regione. La Turchia non può, al momento, completare l’invasione a causa del divieto sia da parte di Russia e Iran, alleati del presidente siriano Assad, sia da parte degli Stati Uniti, che mantengono nel Rojava un Comando militare. Ma dall’aprile scorso compie assassinii con droni (circa 200 vittime), mirando in particolare alle combattenti kurde più importanti che si sono distinte nella guerra contro l’Isis. Un altro Stato sovrano, l’Irak, è aggredito. La Turchia da mesi bombarda con aerei, droni e artiglieria pesante i territori kurdi oltre il confine turco-iracheno, con vittime civili anche tra i rifugiati nei campi-profughi e la devastazione di ospedali, colture agricole, chiese cattoliche e templi yazidi, in una zona già duramente provata dalla barbarie dell’Isis; a fine luglio le bombe turche hanno colpito una struttura turistica causando nove vittime tra cui una bambina e decine di feriti.

La politica di genocidio di Erdogan imperversa, poi, entro i confini turchi. Nel sud-est kurdo, Ankara ha distrutto con l’esercito lo storico quartiere Sur di Diyarbakir e la città di Cizre, in entrambi i casi con innumerevoli vittime civili, tra cui moltissimi bambini, arsi vivi nelle loro case. Ha destituito nel Kurdistan turco i due terzi dei sindaci, donne e uomini democraticamente eletti con preferenze altissime insediando commissari governativi e condanna a molti anni di carcere chiunque manifesti l’identità kurda. Famosi i casi dell’artista Zehra Dogan e della cantautrice Nudem Duran per la quale è in corso da tempo (inutilmente) una grande mobilitazione da parte dei più famosi musicisti rock guidata da Roger Waters dei Pink Floyd.

Il Memorandum Trilaterale. La complicità dell’Occidente e in particolare della Nato si è manifestata in tutto il suo cupo fulgore con il Memorandum Trilaterale tra Turchia, Finlandia e Svezia firmato il 28 giugno scorso a Madrid. L’accordo prevede il consenso della Turchia all’ingresso nella Nato dei due Paesi nordici in cambio della loro cooperazione nella persecuzione del PKK, delle unità di difesa YPG e YPJ e del partito PYD. L’estradizione si presenta di non facile attuazione (clamorosa la richiesta avanzata per la parlamentare svedese Amineh Kakabaveh, kurda iraniana, prontamente presentata e ovviamente rifiutata). Anche l’impegno di modificare le leggi dei due Paesi per adeguarsi alla legislazione antidemocratica di Ankara dovrebbe richiedere tempo. Può essere adottata invece facilmente l’abolizione del blocco di vendita di armi alla Turchia, stabilito dopo la barbara occupazione di Afrin e la fine degli aiuti economici alla amministrazione autonoma del Rojava. Nell’ambito della Nato, assistiamo al sacrificio dell’identità e dei valori di due Stati europei fino a ora baluardo di civiltà in ossequio ai diktat di un Paese in vetta alle classifiche mondiali per le violazioni dei diritti umani, e la condivisione di una politica di genocidio miseramente mascherata con l’etichetta della lotta al terrorismo contro PKK, YPG/YPJ e PYD.

Il PKK movimento di resistenza armata sul territorio. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan-PKK è un movimento di resistenza senza il quale lo stato turco, che costituzionalmente non ammette etnie diverse dalla turca e religioni diverse dalla islamo-sunnita, avrebbe portato a termine il genocidio fisico e culturale del popolo kurdo. Il PKK è un movimento legittimo secondo il diritto internazionale che combatte sul proprio territorio per il diritto all’esistenza di un popolo negato dalla etnia dominante. La qualifica di terrorista, che vale soltanto per Turchia, Usa e Nato, e in parte per la UE, è il facile strumento con cui Ankara vuole cancellare il popolo kurdo. Il PKK ha più volte rispettato tregue unilaterali per favorire negoziati di pace per la soluzione politica della questione kurda; particolarmente fruttuosi quelli iniziati nel 2013, annullati da Erdogan nel 2015. Il co-fondatore del PKK Abdullah Ocalan, il Nelson Mandela del Medio Oriente, leader di milioni di kurdi, storico e politologo, da 23 anni è imprigionato nel carcere di massima sicurezza sull’isola di Imrali in condizione di totale isolamento, riconosciute come tortura dalle Nazioni Unite, in spregio dei più elementari princìpi di umanità e delle pressanti richieste delle Nazioni Unite e del Comitato Europeo contro la Tortura dell’Unione Europea e di numerose sentenze della Corte Europea. Inutili gli appelli reiterati negli anni del mondo politico, intellettuale, sindacale con migliaia e migliaia di adesioni per la sua liberazione e la soluzione politica della questione kurda. Determinante è stato il ruolo dell’esperienza militare e logistica del PKK nella guerra e nella vittoria contro l’Isis in Irak e in Siria. La Corte di Giustizia Europea – in cui da otto anni pende il giudizio sulla legittimità dell’inclusione – aveva espresso nel 2008 parere ad essa sfavorevole e ha dichiarato infondata l’inclusione del Pkk tra le organizzazioni terroristiche negli anni dal 2014 al 2017. Nel 2021 la giustizia belga ha dichiarato illegittima l’inclusione del PKK tra le organizzazioni terroristiche e il Parlamento britannico – con deputati conservatori, laburisti e del SNP (Partito Nazionale Scozzese) – ha invitato il Governo a rivedere la legittimità dell’inclusione.

YPG e YPJ e PYD protagonisti nella guerra contro l’Isis e del confederalismo democratico. La Turchia fornisce la prova della sua volontà di annientare il popolo del Kurdistan in quanto tale nel momento in cui ottiene di inserire nel Memorandum Trilaterale, in qualità di terroristi le donne e gli uomini delle unità di difesa YPJ e YPG, tuttora alleati della coalizione occidentale, che hanno sconfitto l’Isis al costo di 12 mila caduti, e la loro organizzazione politica, il partito PYD. Il popolo kurdo ha realizzato nel Rojava il confederalismo democratico: nell’ambito dello stato siriano, un esperimento di democrazia fondata sulla centralità del ruolo della donna, il rispetto e la valorizzazione di ogni minoranza etnica e religiosa, la tutela dell’ambiente che è studiato e apprezzato in tutto il mondo, e che la Svezia, fino al Memorandum, supportava con contributi economici. YPG, YPJ e PYD non hanno mai manifestato o compiuto ostilità nei confronti di Ankara, si limitano a difendersi dalle aggressioni.

Il nuovo Strategic Concept della Nato: impegno a 360° contro il terrorismo. In concomitanza con il Memorandum Trilaterale la Nato ha pubblicato a Madrid il 29 giugno il 2022 Strategic Concept. Un evento che avviene raramente, il precedente è del 2010. Il nuovo documento stabilisce che il pericolo più grave del mondo è il terrorismo e che lo scopo principale della Nato è combatterlo a 360 gradi. Impossibile non notare un certo ritardo, e non ricordare che la Turchia era fiancheggiatrice dell’Isis: memorabili lo scandalo del quotidiano Cumurriyet il cui direttore è fuggito in Germania per aver pubblicato foto eloquenti della consegna di armi turche al Califfato, e l’apertura dei confini alle forze islamiste, tanto che la stampa internazionale definì la Turchia “l’autostrada della Jihad”. Stando alle dichiarazioni rilasciate da Erdogan all’agenzia di stampa governativa Anadolu, la Nato nel nuovo Strategic Concept avrebbe già a Madrid inserito ltra le formazioni terroristiche le “forze che ci minacciano” e cioè YPG/YPJ e PYD e Feto l’organizzazione religiosa dell’imam Gulen, esule in Usa.

La Turchia è un immenso carcere per turchi, kurdi, cittadini di ogni altra nazione non allineati a Erdogan, e al suo AKP, partito islamico nazionalista. Vengono condannati a pene altissime con l’accusa di terrorismo centinaia di deputati di partiti di opposizione, accademici, giornalisti, artisti, scrittori, musicisti, avvocati, sindacalisti, insegnanti, lavoratori e studenti, attiviste per i diritti delle donne, difensori dei diritti delle persone omosessuali, operatori nel settore dei diritti umani, compresa l’intera Amnesty International. Qualche esempio tra le personalità turche: l’imprenditore-mecenate Osman Kavala, condannato all’ergastolo come lo scrittore Ahmet Altan, e la scrittrice Ainsi Erdogan. Tra i kurdi, oltre il e la co-presidente del partito democratico HDP, Selahhatin Demirtas e Figen Yuksekdag, e centinaia di suoi aderenti, la parlamentare Leyla Guven, co-presidente del partito DTK, Congresso della Società Democratica: 22 anni (nel 2020) per aver criticato l’invasione turca della Siria. Sono morti in carcere per sciopero della fame contro i processi farsa l’avvocata Ebru Timtik e tre componenti del gruppo musicale Grup Yorum: la voce Helin Bolek e gli strumentisti Mustafa Kocak e Ibrahim Gokcek.

Il rapporto annuale 2021 del Consiglio d’Europa SPACE – Statistiche penali sulle Popolazioni Carcerarie, indica che il 95% delle persone in carcere con condanne per il reato di terrorismo nel Paesi del Consiglio d’Europa si trova in Turchia: 30.555 persone su un totale di 32.006. Alla luce delle ossessioni terroristiche di Erdogan e della capitolazione di Svezia e Finlandia alle pretese del sultano il 2022 Strategic Concept della Nato si colora di un significato tanto grottesco quanto allarmante. La libertà è preziosa e fragile per tutti.

 

La morte di Al Zawahiri è un problema per i taliban

Internazionale, 9 luglio 2022, di Michael Kugelman, Al Jazeera, Qatar 173623 md

 

L’attacco con i droni che il 2 agosto ha ucciso il leader di Al Qaeda Ayman al Zawahiri ha fatto precipitare i taliban in una crisi interna. Il gruppo è stato umiliato dall’azione militare unilaterale degli Stati Uniti e, dopo che aveva tenacemente sostenuto di non concedere asilo ai “terroristi”, le sue affermazioni si sono rivelate delle menzogne.

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Afghanistan talebano. Fame, scuole chiuse, depressione: non è un paese per ragazze

Avvenire, 9 luglio 2022, di Luca Liverani  

Aavvenire 9 luglio 22 un anno dal ritorno dei fondamentalisti, Save the Children denuncia: «Crisi umanitaria e catastrofe dei diritti dei bambini». Tra lavoro, matrimoni precoci, violazioni «una generazione è a rischio»

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L’onda lunga dell’Afghanistan sui flussi migratori

InsideOver – 9 luglio 2022 – di Mauro Indelicato

ilgiornale2Le conseguenze di un evento internazionale si vedono sempre nel lungo periodo. Un anno fa i talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, occupando Kabul il 15 agosto 2021. Oggi gli effetti di quanto accaduto oramai dodici mesi fa si stanno facendo avvertire in Italia sotto forma di aumento degli approdi da parte di migranti afghani. Un elemento che sta incidendo e non poco sul complessivo trend in rialzo degli sbarchi nel nostro Paese.

Secondo i dati del Viminale, sono più di 3.200 gli afghani che, dal primo gennaio a fine luglio, sono arrivati irregolarmente in Italia. Una cifra che nello stesso periodo dell’anno scorso non superava il migliaio. C’è quindi stato un incremento di più di duemila migranti provenienti dall’Afghanistan rispetto al 2021. Complessivamente, in territorio italiano l’aumento di ingressi irregolari è attualmente nell’ordine di diecimila migranti in raffronto a dodici mesi fa. A conti fatti dunque, la rotta afghana sta incidendo per oltre il 20% sull’incremento del flusso migratorio diretto verso il nostro Paese. Un peso non da poco e che potrebbe andare ad aumentare ulteriormente nelle prossime settimane.

Perché l’incremento è riscontrabile solo adesso?

Se la guerra in Ucraina rappresenterà in futuro senza dubbio l’episodio più emblematico del 2022, nel 2021 invece le immagini più significative sono arrivate da Kabul. E, in particolare, a destare scalpore sono stati soprattutto i video dove migliaia di afghani sono stati immortalati lungo le piste dell’aeroporto della capitale nella speranza di imbarcarsi per il primo volo possibile e fuggire dai talebani. Alcuni di loro si sono anche aggrappati ai carrelli degli aerei, cadendo fatalmente al suolo subito dopo il decollo. Quelle immagini hanno subito fatto intuire che dall’Afghanistan era lecito aspettarsi un vero e proprio esodo verso l’Europa. Già nelle prime ore dopo l’arrivo degli studenti coranici a Kabul in tanti volevano scappare. Soprattutto chi, nei 20 anni di presenza delle truppe Nato, ha collaborato con i soldati occidentali.

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L’insanguinata Ashura degli hazara sciiti nell’Afghanistan dei talebani

Huffpost – 9 luglio 2022 – di Luciana Borsatti

ascuraGli ultimi giorni dei riti religiosi in onore dell’Imam Hussein, ucciso con il suoi seguaci a Kerbala nel 680 d.C., sono stati accompagnati da gravi attentanti nei quartieri sciiti di Kabul. E ricordano come la persecuzione di questa minoranza non sia mai finita, insieme al nostro dovere di dare asilo a chi lo chiede.

È stata una lunga scia di sangue la celebrazione dell’Ashura per gli sciiti afgani, minoranza religiosa composta in prevalenza da quella etnica degli hazara, spesso riconoscibili da quegli occhi a mandorla di origine mongolica. I riti religiosi, conclusisi ieri anche in Iran e in Pakistan, in Afghanistan sono stati infatti accompagnati da una successione di attentati contro la comunità sciita, gli ultimi di una serie che continua a colpire gli Hazara anche dopo il ritorno dei talebani a Kabul. Talebani che pur avevano garantito di voler proteggere la loro sicurezza, dopo averli perseguitati sia ai tempi del loro primo governo, dal 1996 al 2001, sia con attacchi e violenze nel successivo ventennio repubblicano, nonostante la presenza degli Usa e dalle forze occidentali.

Oltre120 persone sarebbero state uccise o ferite negli ultimi giorni secondo le Nazioni Unite, la cui Missione di assistenza in Afghanistan (Unama) ha esortato il governo talebano de facto a fornire maggiore sicurezza alle minoranze nelle loro cerimonie religiose. Parole di esplicita condanna anche dall’ambasciata Usa a Kabul (con sede in realtà a Doha, dopo la fuga dei suoi diplomatici nell’imminenza del ritorno dei talebani in agosto), che ha condannato l’Isis-Khorasan per gli attentati nelle zone a maggioranza hazara e sciita della capitale. L’Isis ha rivendicato gli attacchi avvenuti venerdì e sabato in quartieri sciiti a Kabul, mentre domenica ve ne è stato un terzo.

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Afghanistan: la “repressione soffocante” dei talebani sta distruggendo la vita di donne e ragazze – nuovo rapporto

Donne che manifestavano sono detenute, scomparse e torturate

– Donne e ragazze arrestate e detenute per “corruzione morale”

– Enorme aumento dei matrimoni infantili, precoci e forzati

Report di Amnesty International, 27 luglio 2022

La vita di donne e ragazze in Afghanistan è travolta dalla repressione talebana dei loro diritti umani, ha affermato Amnesty International in un nuovo rapporto pubblicato oggi.

Da quando hanno preso il controllo del Paese nell’agosto 2021, i talebani hanno violato i diritti di donne e ragazze all’istruzione, al lavoro e alla libera circolazione; hanno distrutto il sistema di protezione e sostegno per chi fugge dalla violenza domestica; donne e ragazze sono detenute per violazioni minori di regole discriminatorie; hanno contribuito a un aumento dei tassi di matrimoni infantili, precoci e forzati in Afghanistan.

Il rapporto, “Death in Slow Motion: Women and Girls Under Taleban Rule”, rivela anche come le donne che hanno protestato pacificamente contro queste regole oppressive sono state minacciate, arrestate, detenute, torturate e scomparse.

Questa soffocante repressione contro la popolazione femminile dell’Afghanistan sta aumentando di giorno in giorno

Agnès Callamard, Segretario Generale di Amnesty International, ha detto:

“Meno di un anno dopo la conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani, le loro politiche draconiane stanno privando milioni di donne e ragazze del diritto di condurre una vita sicura, libera e appagante. Tutte queste politiche formano un sistema di repressione che discrimina donne e ragazze in quasi ogni aspetto della loro vita. Ogni momento della vita quotidiana – se vanno a scuola, se e come lavorano, se e come escono di casa – è controllato e fortemente limitato.

“Questa soffocante repressione contro la popolazione femminile dell’Afghanistan sta aumentando di giorno in giorno. La comunità internazionale deve chiedere con urgenza che i talebani rispettino e proteggano i diritti delle donne e delle ragazze”.

Amnesty International chiede ai talebani di attuare importanti cambiamenti politici e misure per difendere i diritti delle donne e delle ragazze. I governi e le organizzazioni internazionali, compresi tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, devono sviluppare e attuare urgentemente una strategia solida e coordinata che faccia pressione sui talebani affinché applichino questi cambiamenti.

I ricercatori di Amnesty International hanno visitato l’Afghanistan nel marzo 2022. L’indagine completa è stata condotta da settembre 2021 a giugno 2022 e comprende interviste a 90 donne afghane e 11 ragazze, di età compresa tra 14 e 74 anni, che vivono in 20 delle 34 province dell’Afghanistan.

Detenzione e tortura di manifestanti pacifici

Da quando hanno preso il controllo dell’Afghanistan nell’agosto 2021, i talebani sono stati le autorità de facto del paese. Nonostante gli iniziali impegni pubblici per difendere i diritti delle donne e delle ragazze, i talebani hanno introdotto politiche di discriminazione sistematica che violano i loro diritti.

Donne e ragazze in tutto l’Afghanistan hanno reagito a questa repressione con un’ondata di proteste. In risposta, i talebani hanno preso di mira le manifestanti con molestie e abusi, arresti e detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate e torture fisiche e psicologiche.

 Donna afghana ritratto 2

Amnesty International ha intervistato una manifestante che è stata arrestata e detenuta per diversi giorni nel 2022. Descrivendo il suo trattamento durante la detenzione, ha detto ad Amnesty International: “[Le guardie talebane] continuavano a venire nella mia stanza e a mostrarmi le foto della mia famiglia. Continuavano a ripetermi… ‘Possiamo ucciderli, tutti quanti, e tu non potrai fare niente… Non piangere, non fare una scenata. Dopo aver protestato, avresti dovuto aspettarti giorni come questo”.

Ha anche detto di essere stata picchiata duramente: “Hanno chiuso a chiave la porta. Hanno iniziato a urlare contro di me… [Un membro talebano] ha detto: ‘Sei una donnaccia… l’America non ci sta dando i soldi a causa di voi puttane’… Poi mi ha preso a calci così forti che la mia schiena si è infortunata, e ha preso a calci anche il mio mento… Sento ancora il dolore in bocca. Mi fa male ogni volta che voglio parlare”.

Un soldato che stava camminando accanto a me mi ha colpita al petto e ha detto: “Posso ucciderti in questo momento e nessuno direbbe niente”

Una donna che è stata torturata dai talebani durante la detenzione

 

Due donne hanno affermato che dopo che le foto delle ferite di una collega manifestante sono state pubblicate sui social media, i membri talebani hanno sviluppato una nuova strategia per impedire di mostrare pubblicamente le ferite riportate.

Una delle donne ha detto ad Amnesty International: “Siamo state picchiate sul petto e tra le gambe. Ci hanno fatto questo in modo che non potessimo mostrare le ferite al mondo. Un soldato che stava camminando accanto a me mi ha colpito al petto e ha detto: “Posso ucciderti in questo momento e nessuno direbbe niente”. Questo succedeva ogni volta che uscivamo: venivamo insultate – fisicamente, verbalmente ed emotivamente”.

Le manifestanti detenute avevano un accesso inadeguato a cibo, acqua, aria, assistenza  e prodotti sanitari. Per garantire il loro rilascio, le donne sono state costrette a firmare accordi affinché loro e i loro familiari non protestassero più, né parlato pubblicamente delle loro esperienze di detenzione.

Arresto arbitrario e detenzione, anche per “corruzione morale”

Secondo quattro informatori dei centri di detenzione gestiti dai talebani, quest’ultimi hanno arrestato e detenuto donne e ragazze per violazioni minori delle loro politiche discriminatorie, come la regola contro l’apparire in pubblico senza un mahram [accompagnatore maschio] o con un uomo che lo fa e non si qualifica come mahram. Le arrestate sono generalmente accusate dell’ambiguo “crimine” di “corruzione morale”.

Un membro del personale della prigione ha spiegato: “A volte portano i ragazzi e le ragazze prese dai bar… [Oppure] se vedono una donna che non è con un mahram, questa può essere arrestata… Prima con questo tipo di casi non eri portata in prigione… I numeri aumentano ogni mese”.

Una studentessa universitaria, che è stata detenuta nel 2022, ha raccontato ad Amnesty International di essere stata minacciata e picchiata dopo essere stata arrestata con l’accusa relativa alle restrizioni del mahram.

Ha detto che i membri talebani “hanno iniziato a darmi scosse elettriche… sulla spalla, sul viso, sul collo, ovunque potevano… mi chiamavano prostituta [e] cagna… Quello che impugnava la pistola ha detto: ‘Ti ucciderò, e nessuno potrà trovare il tuo corpo’”.

Gli informatori hanno affermato che le sopravvissute alla violenza di genere, che in precedenza vivevano in rifugi o quelle che hanno tentato di fuggire dagli abusi dopo la presa di potere dei talebani, sono ora incarcerate nei centri di detenzione. Uno dei membri dello staff ha detto: “Alcune hanno avvicinato i talebani stessi e chiedendo: ‘Dov’è il vostro rifugio?’ [I talebani] non avevano un posto, quindi sono finite in prigione”.

Queste donne e ragazze sono state sottoposte a isolamento, percosse e sottoposte ad altre forme di tortura e costrette a sopportare condizioni disumane, tra cui sovraffollamento e accesso inadeguato a cibo, acqua e riscaldamento nei mesi invernali.

Matrimonio infantile, precoce e forzato

Secondo la ricerca di Amnesty International, corroborata da organizzazioni nazionali e internazionali che operano in Afghanistan, attivisti locali e altri esperti, i tassi di matrimoni infantili, precoci e forzati in Afghanistan sono in aumento sotto il dominio dei talebani. I fattori causali chiave dell’aumento includono la crisi economica e umanitaria; la mancanza di prospettive educative e professionali per le donne e le ragazze; famiglie che costringono donne e ragazze a sposare membri talebani; e membri talebani che costringono donne e ragazze a sposarli.

Stephanie Sinclair, direttrice di Too Young to Wed, un’organizzazione che lavora sui matrimoni precoci e forzati, ha spiegato: “In Afghanistan, c’è una tempesta perfetta per i matrimoni precoci. C’è un governo patriarcale, la guerra, la povertà, la siccità, ragazze che non vanno a scuola – con tutti questi fattori combinati… sapevamo che il matrimonio precoce sarebbe andato alle stelle”.

Donna afghana ritratto

Khorsheed*, una 35enne di una provincia centrale dell’Afghanistan, ha detto ad Amnesty International che la crisi economica l’ha costretta a far sposare la figlia di 13 anni con un vicino di casa di 30 anni nel settembre 2021, in cambio di 60.000 afgani (circa 670 dollari USA) “prezzo della sposa”. Ha detto che dopo il matrimonio di sua figlia si è sentita sollevata e ha aggiunto: “Non avrà più fame”.

Khorsheed ha detto che stava anche considerando di far sposare sua figlia di 10 anni, ma era riluttante a farlo, poiché sperava che questa figlia potesse provvedere alla famiglia in futuro. Ha spiegato: “Volevo che studiasse di più, che fosse in grado di leggere e scrivere, parlare inglese e guadagnare… Spero che questa figlia diventi qualcosa e sostenga in futuro la famiglia. Certo, se non aprono le scuole, dovrò farla sposare”.

Mancanza di accesso all’istruzione

I talebani continuano a bloccare l’istruzione per la stragrande maggioranza delle ragazze delle scuole secondarie. Il loro previsto ritorno a scuola il 23 marzo 2022 è stato di breve durata. Più tardi, lo stesso giorno, i talebani hanno rimandato a casa le ragazze, adducendo un “problema tecnico” relativo alle loro uniformi. Quattro mesi dopo, i talebani continuano a negare alle ragazze l’accesso all’istruzione.

Fatima*, un’insegnante di scuola superiore di 25 anni con sede nella provincia di Nangarhar, ha detto ad Amnesty International: “Queste ragazze volevano solo avere un futuro e ora non vedono alcun futuro davanti a loro”.

A livello universitario, le molestie delle studentesse da parte dei talebani, nonché le restrizioni sul comportamento, l’abbigliamento e le opportunità delle studentesse, hanno creato un ambiente insicuro in cui le studentesse sono sistematicamente svantaggiate. Molte studentesse ora hanno smesso di frequentare o hanno deciso di non iscriversi affatto all’università.

Brishna*, una studentessa di 21 anni dell’Università di Kabul, ha detto ad Amnesty International: “[Le] guardie fuori dall’università ci urlano contro e dicono: ‘Sistematevi i vestiti, la sciarpa… Perché fate vedere i piedi?’… [Il ] il capo del nostro dipartimento è venuto nella nostra classe e ci ha detto: ‘State attente, possiamo proteggervi solo quando siete all’interno dell’edificio della facoltà… Se i talebani cercano di farvi del male o di molestarvi, non saremo in grado di fermarli ‘.”

Responsabilità della comunità internazionale

Amnesty International chiede alla comunità internazionale di imporre conseguenze per la  condotta dei talebani, come sanzioni mirate o divieti di viaggio applicati attraverso una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, o utilizzare altre forme di leva che possano ritenere i talebani responsabili del trattamento riservato alle donne e ragazze senza danneggiare il popolo afgano.

“I talebani stanno deliberatamente privando milioni di donne e ragazze dei loro diritti umani e li sottopongono a una discriminazione sistematica”, ha affermato Agnès Callamard.

“Se la comunità internazionale non agirà, abbandonerà donne e ragazze in Afghanistan e minerà i diritti umani ovunque”.

*I nomi sono stati modificati per proteggere le identità.

La «morte al rallentatore» delle donne sotto il regine dei talebani

Il Manifesto – 30 luglio 2022 – di Giuliano Battiston

mortealrallentatoreUN RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL. Kabul rassicura i paesi confinanti: «Dall’Afghanistan nessuna minaccia terroristica»

All’aeroporto di Fiumicino, a Roma, arrivano i primi trecento afghani attraverso i corridoi umanitari da Pakistan e Iran. All’aeroporto di Kabul, invece, le donne sole, prive di un uomo che le accompagni e faccia loro da “custode”, non possono partire: vietato lasciare il Paese. Così hanno deciso i Talebani,

i quali, secondo un rapporto di Amnesty International reso pubblico ieri, «in meno di un anno hanno decimato i diritti delle donne e delle ragazze», da quello all’educazione a quello al lavoro e, appunto, alla libera circolazione, fuori dal Paese ma anche dentro. Oltre una certa distanza da casa, occorre essere accompagnate da un guardiano/custode. Ma c’è altro, come lascia intendere il titolo del rapporto: Death in Slow Motion. Women and Girls under the Taliban Rule (Morte al rallentatore. Donne e ragazze sotto il regime talebano).

Il sistema di protezione e sostegno alle donne e alle ragazze in fuga dalla violenza domestica è stato distrutto, le donne vengono incarcerate in modo arbitrario se infrangono le nuove regole che le discriminano, quelle tra loro che hanno protestato in modo pacifico sono state minacciate, arrestate, detenute, in alcuni casi torturate o sono sparite per giorni. E aumentano i matrimoni precoci e forzati. Questa la sintesi del rapporto di Amnesty International, che andrebbe letto integralmente e che restituisce un’immagine dell’Afghanistan molto diversa da quella presentata il 25 e 26 luglio a Tashkent dal ministro di fatto degli Esteri dell’Emirato, Amir Khan Muttaqi.

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Emirato al collasso? I talebani divisi e l’Afghanistan nell’abisso

Insideover.com  Lorenzo Vita  22 luglio 2022

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Agli inizi di luglio, l’Afghanistan ha assistito a un fatto abbastanza unico nella sua storia recente: il mullah Haibatullah Akhunzada, leader solitario e isolato dei talebani, ha partecipato al più grande raduno degli “studenti coranici” dalla conquista di Kabul.

A circa un anno dall’annuncio dell’Emirato islamico, quattromila talebani si sono riuniti nella capitale insieme alle personalità di spicco del sistema politico-religioso del Paese. E la presenza del loro “numero uno”, una rarità dato che Akhunzada vive in condizione di sostanziale latitanza nella zona di Kandahar, conferma l’importanza di questo incontro per tutto l’Afghanistan. Un periodo complesso soprattutto perché, finita l’onda d’urto dell’avanzata, dell’attenzione internazionale e della conquista dei rami del potere afghano, si è posto il problema di capire come strutturata il nuovo ordinamento dell’Emirato facendo leva su un sistema tribale estremamente complesso, ramificato e soprattutto diviso al proprio interno.

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Dieci anni fa la rivoluzione del Rojava

Uikionlus.org 19 luglio 2022

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Dieci anni fa, il 19 luglio 2012, i curdi hanno trovato il loro “Giorno della Libertà” quando il popolo di Kobane ha preso il controllo del proprio destino, respingendo le forze siriane di Assad e hanno iniziato a fondare il proprio autogoverno.
Il giorno successivo, il 20 luglio, le popolazione di Afrin si è unita a loro in questo sforzo, provocando un’ondata di resistenza di successo nei giorni e nei mesi successivi in ​​tutta la regione, da cui è emerso il Rojava. L’eroica resistenza di questi uomini e donne curdi assediati ha immediatamente ispirato la solidarietà di spettatori di tutto il mondo e i popoli di tutte le nazioni si sono mobilitati per la difesa di Kobane.

Quella che è diventata nota come la Rivoluzione del Rojava ha tratto ispirazione diretta dalla guida e dagli scritti di Abdullah Öcalan; è stata un attuazione pratica delle sue idee politiche fondamentali e un contributo unico alla politica del Kurdistan e della più ampia regione del Medio Oriente, con implicazioni globali e lezioni preziose per gli interi popoli del mondo”.

La Rivoluzione del Rojava rappresenta una trasformazione totale nell’organizzazione sociale, che introduce la democrazia popolare e l’auto-organizzazione di base alle fondamenta e all’intera struttura della società, coinvolgendo la partecipazione diretta di uomini e donne di tutti i credo sulla base della piena uguaglianza. In sintesi, l’emergere del Rojava è stata la realizzazione contemporanea di un sogno di lunga tempo di popoli in tutto il mondo e lungo i secoli di vita in libertà e la possibilità di controllare la propria vita all’interno di un’armoniosa comunità di eguali. In sostanza, Rojava significava speranza e costruzione di una nuova vita. Nel decimo anniversario della Rivoluzione del Rojava, Pace in Kurdistan onora i suoi straordinari risultati e la sua resilienza. Rimane un faro di speranza per il mondo intero.

Il Rojava è stato istituito in una situazione di estrema avversità ed è nato dalla necessità nel contesto di un intenso conflitto che ha richiesto una mobilitazione urgente per difendere queste comunità a prevalenza curda e respingere le incursioni aggressive del regime siriano e delle cosiddette bande terroristiche dello Stato Islamico. Contro ogni previsione, il Rojava ha unito curdi, arabi e tutte le altre nazionalità ed etnie in una causa comune di costruzione di una società più giusta che sarebbe stata gestita secondo linee democratiche, uno sviluppo mai visto prima all’interno di una regione soggetta a tirannia e dittature oppressive.

Le ambizioni della rivoluzione del Rojava non si sono limitate a misure difensive per gestire una società nelle difficoltà poste dalle condizioni d’assedio. I curdi e i loro alleati che hanno costruito la rivoluzione del Rojava hanno proceduto all’attuazione di un nuovo modello radicale di organizzazione politica definito “Confederalismo Democratico”, fondato su principi libertari che coinvolgono autonomia, democrazia diretta e autogoverno.

Inoltre, la rivoluzione del Rojava ha anche incorporato i fondamenti della politica ambientale, del femminismo, dell’antirazzismo, dell’umanesimo e del multiculturalismo all’interno di una prospettiva moderna che cerca di affrontare le sfide chiave che l’umanità e il pianeta devono affrontare in questo momento storico. Per questi motivi, così come i sentimenti di solidarietà con la giustizia della causa curda, ha ispirato la solidarietà internazionale per la Rivoluzione del Rojava. In questo risiede il pieno significato del Rojava per il futuro dell’umanità nel suo insieme.

È essenziale riconoscere che le idee che hanno ispirato gli uomini e le donne che hanno combattuto per il Rojava hanno tratto ispirazione diretta dalle idee politiche e dalla leadership di Abdullah Öcalan. A questo riguardo il Rojava è una manifestazione tangibile degli ideali democratici di Öcalan e del movimento curdo. Questi continuano a dare un contributo vitale alla trasformazione della regione del Medio Oriente e offrono speranza alle persone di tutto il mondo. Dall’esempio del Rojava, vengono gettate le basi di una nuova società che ha implicazioni per tutti noi.

La rivoluzione del Rojava è una rivoluzione di tutti i popoli del Medio Oriente e in effetti di tutti i popoli del mondo che cercano giustizia e una società migliore.