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Autore: Anna Santarello

Geopolitica di genere: i taliban, le immagini, le donne

sociologicamente.it – 23 febbraio 2022, di Valeria Salanitro femmismo islam

Con il ritorno dei taliban in Afghanistan, le politiche censorie e iconoclastiche nei confronti delle donne sono divenute sempre più massicce. Il ruolo delle donne è, praticamente, nullo e l’identità sem­pre più annichilita da pratiche ostative e fatwe che sanciscono precetti coranici cui ottemperare.

Sembra lecito interrogarsi sulle pratiche di geopolitica di genere e di esclusione messe in atto in Af­ghanistan per scardinare formazioni discorsive e costruzioni di senso.

Qual è il potere latente delle donne? Perché vengono bistrattate dalla scena pubblica? Che ruolo hanno le immagini nella geopolitica di genere?

Stato dell’arte e geopolitica di genere

Dopo circa 20 anni dall’allora intervento americano in Afghanistan, a seguito dell’attentato avvenuto l’11 settembre del 2001, le truppe americane lasciano Kabul in preda alle razzie dei taliban. É il 15 agosto del 2021 e, oltre ad avere proclamato l’Emirato Islamico Afghano, i taliban occupano i luo­ghi del potere e immortalano i loro successi con foto autocelebrative.

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Serata per l’Afghanistan venerdì 25 febbraio a Casale Monferrato

alessandria24 – 22 febbraio 2022 

VOGLIO UDIRE LA VOSTRA VOCE

Serata di approfondimento sulla condizione delle donne in Afghanistan

Fare chiarezza. É questo l’obiettivo che si dà la serata sull’Afghanistan e sulla situazione attuale delle donne in quel paese, organizzata dall’APS me.dea e dal collettivo Donne Insieme, in collaborazione con il Collettivo Teatrale, il CISDA e il patrocinio della città di Casale Monferrato.

Da quando il 31 agosto scorso le forze militari occupanti hanno lasciato il paese, la politica nazionale e internazionale si è affrettata a inondare le pagine dei giornali e dei talk-show con dichiarazioni che giustificassero l’intervento militare in Afghanistan, a seguito dell’attacco alle Torri Gemelle del 2001, come necessario “anche” per liberare le donne da un’oppressione inaccettabile. Ma è davvero così? Durante i vent’anni di occupazione USA e NATO la condizione delle donne afghane ha raggiunto dei progressi? Le donne afghane e l’intero popolo afghano volevano l’intervento militare straniero per liberarsi dal governo talebano, che certamente soffocava le cittadine e i cittadini?

Saranno le afghane di Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), attraverso il documentario “Boccioli di rabbia”, a raccontarci le sfide difficili che hanno raccolto, sin dalla loro costituzione nel 1977, per contribuire alla costruzione di un Afghanistan democratico e inclusivo.

Con la collaborazione indispensabile del CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), che opera sin dal 1999 al loro fianco, approfondiremo l’odierna situazione del popolo afghano e, in particolare, delle donne che continuano a pagare un prezzo altissimo di sofferenza.

La serata fa parte di un più ampio insieme di iniziative, che hanno lo scopo di tenere alta l’attenzione sulle lotte delle donne afghane, che hanno preso vita lo scorso agosto, attraverso i presidi organizzati in città e che proseguono ogni terzo sabato del mese.

L’iniziativa si terrà venerdì 25 febbraio alle ore 21.00 presso la sala del Parco del Po di Casale Monferrato. Il programma prevede un intervento teatrale incentrato sulla figura e il pensiero dell’attivista per i diritti umani, Malalai Joya, la proiezione del documentario “Boccioli di rabbia” e l’intervento di Anna Santarello del CISDA.

L’appello di Binario 15: “Ascoltare le donne della diaspora afghana”

DiRE, 22 febbraio 2022, di Vincenzo Giardina  Binario 15

Sulla presa del potere dei talebani in Afghanistan ne ha parlato con l’agenzia Dire la presidente dell’associazione Lorena Di Lorenzo

ROMA – “Se prima la maggior parte delle donne arrivava in Italia tramite i ricongiungimenti familiari oggi arrivano da sole o con la loro famiglia e fuggono da una vera e propria persecuzione”: così all’agenzia Dire Lorena Di Lorenzo, presidente dell’associazione Binario 15, sulla presa del potere dei talebani in Afghanistan.

Lo spartiacque è il 15 agosto 2021, il giorno dell’ingresso dei guerriglieri nella capitale Kabul dopo il ritiro della forze militari degli Stati Uniti e della Nato. Secondo Di Lorenzo, sociologa, esperta di migrazioni come le altre volontarie di Binario 15, un’associazione nata dieci anni fa alla Stazione Ostiense al fianco di famiglie e minori soli giunti a Roma dall’Afghanistan, “il tessuto della diaspora si sta rinnovando”.

In molti casi ad arrivare in Italia sono donne che hanno studiato e nel loro Paese lavoravano. “Per questo è fondamentale riconoscere le loro competenze, a partire dai titoli di studio” sottolinea la presidente di Binario 15. “Bisogna ascoltare la loro voce e far sì che possano ritagliarsi in maniera sempre più definita un ruolo di rappresentanza pubblica della diaspora afghana”.

Di Lorenzo rivolge un appello: “Dobbiamo andare oltre gli stereotipi dell’immagine di donna afghana che spesso esistono in Occidente, in cui la descrizione è spesso polarizzata verso la vittimizzazione”.
Secondo la rappresentante di Binario 15, un segnale è arrivato da una manifestazione che si è tenuta mercoledì scorso a Roma, in piazza Santi apostoli. “Il ruolo della diaspora è cruciale perché rappresenta la voce di chi è in Afghanistan privo di libertà, ma aiuta anche chi è qui a prendere coraggio ed uscire dai muri di silenzio e isolamento sociale” dice Di Lorenzo.

“Noi dobbiamo essere le orecchie per raccogliere i messaggi e le denunce che ci arrivano, altrimenti renderemo vano ogni sforzo”. Secondo la rappresentante di Binario 15, “i talebani, seppur apparentemente più diplomatici di un tempo, stanno perpetuando un clima di terrore e oppressione, soprattutto per le donne”.

Nella cronaca delle ultime settimane ci sono nomi e cognomi. “Dal 19 gennaio non si erano avute notizie dell’attivista Tamana Zaryab Paryani, rilasciata solo nei giorni scorsi” denuncia Di Lorenzo. “Allo stesso modo, non si hanno notizie di varie giornaliste e attiviste che hanno manifestato forme di dissenso e di recente sono state arrestate altre 40 persone”.

 

Afghanistan, l’accusa: così la burocrazia italiana ritarda gli arrivi e mette a rischio le persone

La denuncia delle organizzazioni italiane. Miraglia (Arci): “Siamo riusciti a far arrivare le persone in Pakistan, ma i controlli di sicurezza durano mesi, così i visti scadono e rischiamo che siano rimpatriate, tornando in mano ai talebani”. In pericolo donne attiviste e famiglie con bambini.

Eleonora Camilli – Redattore Sociale – 18 febbraio 2022

afghanistan imbarco noveROMA – “Siamo preoccupati e delusi, il modo in cui si sta operando mette a rischio la vita di persone, che sono riuscite a scappare dai talebani e che ora potrebbero finire di nuovo nelle loro mani”. Lo sfogo amaro di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di Arci, arriva dopo l’ultima riunione del tavolo interministeriale sull’Afghanistan, che coinvolge i dicasteri di Esteri, Interno e Difesa e le ong attive in Italia e nel mondo. Dal ritorno dei talebani a Kabul le organizzazioni umanitarie e di volontariato italiane si sono messe a disposizione del Governo per coadiuvare il lavoro di evacuazione, per sostenere i corridoi umanitari ma anche per pensare modalità di ingresso legali e sicure per le persone più vulnerabili e a rischio.
È il caso di alcune delle donne che erano assistite dalle organizzazioni Pangea e Nove onlus e che Arci, in accordo con Aoi (l’associazione delle ong italiane) ha preso in carico per farle arrivare tramite la procedura della sponsorship. Nella pratica, una volta giunte in Pakistan o in Iran avrebbero dovuto ricevere un visto per poi poter arrivare in sicurezza nel nostro paese. “Queste persone, tra cui famiglie con bambini hanno corso un pericolo altissimo attraversando il confine tra Afghanistan e Pakistan. Tra loro ci sono attiviste, giornaliste, che hanno anche fatto manifestazioni contro i talebani e quindi sono molto esposte. Per mesi hanno vissuto nei nascondigli a Kabul, ora che sono riuscite ad arrivare in Pakistan sono bloccate da una burocrazia lentissima”, spiega Miraglia. 

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L’ennesimo schiaffo degli Stati Uniti al popolo dell’Afghanistan

Martina Stefanoni, Radio Popolare, 14 febbraio 2022

bidenSei mesi fa i talebani erano alle porte di Kabul e in poche ore avrebbero ripreso definitivamente il controllo dell’Afghanistan. Due settimane dopo, l’ultimo militare degli Stati Uniti lasciava il Paese e con lui finiva definitivamente l’occupazione durata 20 anni e da quel momento l’Afghanistan è scivolato sempre più velocemente verso una crisi politica, sociale ed economica che ora è arrivata ad un punto di non ritorno.

I finanziamenti internazionali all’Afghanistan sono stati sospesi e miliardi di dollari di beni del Paese che erano depositati all’estero, principalmente negli Stati Uniti, sono stati congelati. In particolare, nel sistema bancario statunitense sono stati congelati 7 miliardi di dollari di fondi afghani. Per essere chiari, soldi della Banca Centrale afghana depositati negli Stati Uniti dall’ex governo afghano.

Ora il presidente Biden ha annunciato che di questi 7 miliardi, la metà – 3,5 miliardi – verranno ridistribuiti tra le famiglie – americane – delle vittime dell’11 settembre, per aiutarle nei procedimenti legali.

Questa decisione è l’ennesimo schiaffo che il popolo afghano riceve dagli Stati Uniti.
La questione è sempre la stessa: l’occidente, con il ritorno dei talebani, si è trovato scisso tra la necessità di aiutare il popolo afghano e il tentativo di evitare che i soldi finissero nelle mani dei talebani. Ma in questi sei mesi l’amministrazione USA ha fatto ben poco per colpire i talebani, mentre gli unici che continuano a subire le ripercussioni Usa sono gli Afghani. Quest’ultima azione ne è la prova emblematica.

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Afghanistan: talebani a colloquio con l’Occidente su diritti umani e crisi umanitaria

Giulia della Michelina, Osservatorio Diritti, 16 febbraio 2022

afghanistan mercato

La delegazione talebana arrivata a Oslo per tre giorni di colloqui con diplomatici occidentali e rappresentanti della società civile afghana vuole «trasformare l’atmosfera di guerra in una di pace». Diritti delle donne e crisi umanitaria ed economica sono stati al centro dell’incontro

I talebani sono atterrati a Oslo nella serata di sabato 19 gennaio e il giorno dopo sono iniziati i colloqui con i rappresentanti di alcuni governi occidentali. Al tavolo si sono riuniti diplomatici di Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Italia, Germania, Norvegia e alcuni rappresentanti dell’Unione europea, ma anche membri della società civile dell’Afghanistan.

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L’avvocato di Öcalan Bilmez: Stiamo assistendo alla peggiore fase di isolamento

Uiki onlus, 15 febbraio 22

ibrahim bilmez avvocato ocalanIbrahim Bilmez, uno degli avvocati del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan, ha affermato che tutte le forze internazionali che beneficiano dello stallo della questione curda sono state coinvolte nella cospirazione e ha sottolineato la responsabilità di forze e istituzioni internazionali come la CEDU e il CPT nel portare l’isolamento fino a questo punto. Parlando con l’agenzia ANF, l’avvocato Ibrahim Bilmez ha affermato che prima del 15 febbraio 1999, tutte le potenze internazionali e regionali interessate a lasciare irrisolta la questione curda hanno avuto un ruolo nella consegna di Abdullah Öcalan alla Turchia.

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DELEGAZIONE INTERNAZIONALE DI PACE A İMRALI

COMUNICATO STAMPA – RICHIESTA DI LIBERAZIONE IMMEDIATA 

16 febbraio 2022

ACCRESCERE LA PRESSIONE INTERNAZIONALE PER IL RILASCIO DEL LEADER CURDO ABDULLAH ÖCALAN

 

ocalan solidarietàIl 15 febbraio 2022 cade il ventitreesimo anniversario del rapimento e dell’inizio della detenzione del leader politico curdo Abdullah Öcalan.

Ogni anno, da quando Abdullah Öcalan è stato incarcerato, una delegazione di pace ha visitato la Turchia chiedendo di poterlo incontrare nell’isola-prigione di İmralı. Quest’anno, la più partecipata delegazione di pace internazionale fino a oggi, organizzata da International initiative, Freedom for Abdullah Öcalan, Peace in Kurdistan, dai sindacati britannici e da Peace in Kurdistan, ha da poco completato i due giorni di lavoro virtuale della delegazione in Turchia e di valutazione dei 23 anni di detenzione aggravata in isolamento di Öcalan, leader riconosciuto del popolo curdo. 

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Afghanistan, sei mesi dopo: un’apocalisse oscurata

Un sondaggio di Save the Children condotto ha rilevato che, dal crollo dell’ex governo l’82 per cento di esse ha perso il reddito e il 18 per cento ha dichiarato di non avere altra scelta che mandare i propri figli a lavorare.

Umberto De Giovannangeli – Globalist – 15 febbraio 2022

Afghanistan, sei mesi dopo. Storia di una tragedia immane. E colpevolmente dimenticata.

PRC 206876341Sei mesi dopo

Sono trascorsi sei mesi da quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan a due settimane dalla data prevista per il completamento del ritiro delle truppe Usa, dopo una guerra iniziata 20 anni fa all’indomani dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York.  Mentre i talebani entravano a Kabul, il presidente Ashraf Ghani lasciava il Paese dicendo che aveva scelto di andarsene per evitare ulteriori spargimenti di sangue e le forze di sicurezza addestrate ed equipaggiate da Stati Uniti e alleati si dissolvevano. Le immagini di migliaia di persone in fuga verso l’aeroporto della capitale, la folla che sulle piste prendeva d’assalto gli aerei in partenza hanno fatto il giro del mondo. E poi, il silenzio. 

La denuncia di Save the Children

Dopo anni di guerra, paura e sofferenza, dallo scorso agosto le condizioni dei bambini in Afghanistan sono ulteriormente peggiorate. Due milioni di minori già soffrivano di malnutrizione e nel giro di poche settimane centinaia di migliaia di loro sono stati costretti anche a fuggire dalle loro case.

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Intervista con Yilmaz Orkan di Uiki Onlus

Uiki Onlus, 12 febbraio 22

orkanD. Attualmente la Turchia, nella persona di Erdogan, appare  pervasa da instancabile attivismo. Dopo gli interventi militari in Libia, Nagorno Karabakh, Nord dell’Iraq e della Siria…pretenderebbe di candidarsi al ruolo di mediatore tra Russia e Ucraina.  Tale atteggiamento esprime realmente forza, potenza o è – anche –  un modo per distrarre l’opinione pubblica turca dai problemi interni, sociali ed economici?

R. Come ben sappiano quando un Paese è ideologicamente schierato per la guerra, si organizza in funzione di ciò perdendo il senso democratico e diventando autoritario. Nel caso dell’odierna Turchia vediamo che ha inviato mercenari in Nagorno Karabakh, in Libia e altrove. Tutto ciò è funzionale all’economia e incide sul bilancio in quanto tali interventi vanno adeguatamente finanziati.
Al momento si calcola che la lira turca abbia perso circa il 100 per cento del suo valore, con un’inflazione ormai al 119 per cento (anche se ufficialmente la danno al 50 per cento). Anche per questo (oltre che perché non arriva il gas dall’Iran) tante imprese e attività commerciali stanno chiudendo. Con la conseguente perdita di posti di lavoro.

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