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Autore: Anna Santarello

20 anni di torture degli Usa

“In tutto il mondo, Guantanamo rimane uno dei simboli più duraturi dell’ingiustizia, dell’abuso e del disprezzo per lo stato di diritto che gli Stati Uniti hanno scatenato in risposta agli attacchi dell’11/9”

Human Rights Watch, 9 gennaio 2022

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Vent’anni dopo l’inizio delle operazioni di detenzione di Guantánamo Bay, l’11 gennaio 2002, un nuovo rapporto valuta gli enormi costi dei trasferimenti illegali degli Stati Uniti, delle detenzioni segrete e della tortura dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Il rapporto, tratto dal Costs of War Project presso il Watson Institute della Brown University e Human Rights Watch, delinea come questi abusi calpestino i diritti di vittime e sospetti, creino un onere per i contribuenti statunitensi e danneggino gli sforzi antiterrorismo in tutto il mondo, mettendo in ultima analisi a repentaglio la tutela universale dei diritti umani per tutti.

“In tutto il mondo, Guantánamo rimane uno dei simboli più duraturi dell’ingiustizia, dell’abuso e del disprezzo per lo stato di diritto che gli Stati Uniti hanno scatenato in risposta agli attacchi dell’11/9”, ha dichiarato Letta Tayler, direttore associato di Crisi e Conflitti presso Human Rights Watch e co-autore del rapporto. “La dipendenza del governo degli Stati Uniti da commissioni militari profondamente sbagliate, insieme ad altri fallimenti di un giusto processo, non ha solo violato i diritti degli uomini detenuti a Guantánamo, ha anche privato i sopravvissuti degli attacchi dell’11 settembre e le famiglie dei morti del loro diritto alla giustizia”.

La relazione rileva che:

Gli Stati Uniti non hanno ritenuto nessuno responsabile per l’orchestrazione da parte della CIA di un sistema di “siti neri” nascosti in tutto il mondo nei quali hanno detenuto segretamente almeno 119 uomini musulmani e torturato almeno 39.

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Riconoscere i diritti fondamentali del popolo curdo

Campagna Il tempo è arrivato: libertà per Ocalan! Aggiornamento della petizione

Silvana Barbieri, Rosella Simone, Change.org, 15 gennaio 2022

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Il 19 dicembre 2021 è apparso sul Sole24 ore un Appello promosso dalla Campagna Internazionale “Giustizia per i Curdi” firmato da più di mille personalità mondiali. Chiedeva la rimozione del Pkk, il partito curdo dei lavoratori, dall’elenco dell’Unione europea delle organizzazioni terroristiche. A sostegno della richiesta presentava argomenti strategico politici e sentenze legali emanate da alte Corti europee che vale la pena riprendere e rilanciare non per fare il gioco di supposte organizzazioni terroristiche ma come richiamo alla coerenza democratica dell’Unione europea di cui anche l’Italia fa parte. All’Europa che ha posto all’origine della sua Unione i valori universali di dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà chiediamo una posizione chiara e senza ambiguità all’appello che tanti hanno sottoscritto e la coerenza con i propri pronunciamenti e leggi che qui vogliamo ricapitolare.

La Corte Europea di Giustizia, organo dell’Unione Europea con sede in Lussemburgo con il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati dell’UE, interrogata in materia ha dichiarato illegale e assolutamente non motivata la presenza del Pkk nella lista europea delle organizzazioni terroristiche: pur riferendosi a causa di vari cavilli giuridici esclusivamente al periodo 2014-17. Proprio in quell’arco di tempo i curdi sono stati i “nostri” soldati, quelli che combattevano per fermare il dilagare dello Stato islamico e morivano anche per noi. Salvo poi rimetterli nella lista dei cattivi una volta che Trump aveva finito di servirsi di loro contro l’Isis abbandonandoli nuovamente al loro destino. La sentenza è stata sottoposta a ricorso, ricordando che la sua formulazione in realtà mette in modo molto più ampio in questione la legittimità dell’iscrizione di quell’organizzazione nella lista anti-terrorista UE.

Ma non basta, che il Pkk non sia un’organizzazione terrorista lo ha deciso anche la Corte d’Appello del Belgio in un processo fortemente voluto dalla Turchia contro alcuni militanti curdi a Bruxelles, sentenza successivamente e definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione belga in quanto giurisdizione penale suprema di un paese membro dell’UE. Su quesito posto dal Procuratore generale del Belgio, la Corte d’Appello ha deliberato che il Pkk non può essere considerato un’organizzazione terrorista perché organismo parte di un conflitto internazionale, il che lo rende soggetto alle leggi internazionali di guerra e non a quelle penali mettendolo allo stesso livello giuridico dello stato turco.

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Giornata per la difesa dei diritti: parliamo di Afghanistan

Una testimonianza dall’Afghanistan nella Giornata per la difesa dei diritti

Sahar – Futura aps – 14 gennaio 2022

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Intervento di Sahar all’incontro online che l’associazione FUTURA aps di Lavagna ha proposto per sensibilizzare verso la difesa dei diritti e l’implementazione della democrazia, il 14 gennaio 2022

Vi ringrazio molto per questa meravigliosa opportunità di lasciarmi parlare del mio paese, l’Afghanistan. Purtroppo, siamo di nuovo in una situazione molto tragica, il nostro paese stava facendo piccoli passi verso un futuro leggermente migliore, nonostante fosse sotto l’occupazione statunitense e una finta democrazia. Ma oggi, metà della popolazione – le donne – sono costrette a stare a casa, la povertà e la disoccupazione sono spaventose. Quando un paese è gestito da individui così brutali, ignoranti e barbari, queste sono le conseguenze devastanti. Oggi vediamo che tutto il Paese è paralizzato, la situazione economica e i sistemi giudiziario, legislativo ed esecutivo sono fermi.

La situazione è solo peggiorata da agosto perché i talebani hanno iniziato a introdurre le loro nuove regole. Una delle loro leggi riguarda le trasmissioni televisive: hanno vietato tutti i tipi di film/commedie straniere, tutti i tipi di discorsi contro l’Emirato Islamico e hanno vietato tutti i tipi di film con donne senza hijab (copricapo)

Recentemente, un professore universitario di nome Faizullah Jalal, notoriamente chiamato Ustad Jalali, è stato arrestato dai Talebani a causa della sua denuncia contro i Talebani. Il lato positivo è stato che le donne di tutto l’Afghanistan hanno protestato per liberarlo. Possiamo non essere completamente d’accordo con quello che dice, ma è suo diritto dirlo, quindi la libertà di parola è oggi sotto una grande minaccia.

I talebani hanno anche annunciato che le donne devono essere coperte, devono indossare l’orribile burqa blu o l’abaaya o naqab nero, che copre tutto il viso; indumenti che non hanno mai fatto parte della cultura o dell’abbigliamento afgano.

Sono critiche anche le condizioni metereologiche. l’Afghanistan ha un inverno molto rigido e si sono susseguiti molti giorni di forti nevicate che hanno lasciato molte persone, soprattutto bambini, in condizioni molto dure. Alcuni bambini hanno perso la vita e questa situazione estrema è stata particolarmente impegnativa per gli sfollati interni perché mancano di cibo, riparo, combustibili per riscaldarsi, nonché di abiti caldi.

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Salvare l’Afghanistan

Come aiutare il popolo afghano a non sprofondare nell’emergenza umanitaria ma senza che venga riconosciuto il governo talebano? Qui un’opinione di Martin Griffiths, sottosegretario dell’Onu

Martin Griffiths, Gordon Marrone, OCHA, 10 gennaio 2022

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Sia guardando attraverso gli occhi del suo popolo sofferente, sia dal punto di vista dell’interesse personale dei politici occidentali, l’attuale tracrollo in Afghanistan è un incubo. La comunità internazionale deve agire, e ci sono tre cose in particolare che può fare senza premiare i talebani.

Sono passati più di quattro mesi dalla drammatica uscita degli Stati Uniti e delle altre forze occidentali dall’Afghanistan. Noleggiando voli speciali, allentando le regole sull’asilo e rilasciando fondi, i paesi occidentali hanno portato in salvo in aereo alcune migliaia di fortunati afghani mentre i talebani riprendevano il controllo del paese. Ma quelli lasciati indietro sono stati esclusi dal resto del mondo, indipendentemente dal fatto che siano o meno sostenitori dei talebani.

I governi stranieri hanno congelato le transazioni bancarie internazionali e il commercio con l’Afghanistan, imponendo la vasta gamma di regole antiterrorismo stabilite negli ultimi 20 anni. Perciò, gli stipendi del settore pubblico afghano si sono prosciugati e l’economia è crollata. Molti progetti di aiuto allo sviluppo, non importa quanto essenziali, sono stati paralizzati o cancellati.

Di conseguenza, l’inizio del rigido inverno afghano ha portato a un aumento dei prezzi e il cibo è diventato sempre più scarso. Scuole, cliniche e ospedali in tutto il paese hanno smesso di funzionare. Quindi, proprio quando il popolo afghano ha bisogno di più aiuto, gli viene negato anche il minimo indispensabile. E’ un prezzo alto da pagare per essere governati dai talebani.

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In Afghanistan servono 5 miliardi di dollari per non far morire un popolo

L’Onu ha chiesto ieri la cifra record di cinque miliardi di dollari per cercare di evitare che l’Afghanistan sprofondi in uno dei disastri umanitari più gravi della storia

Umberto De Giovannangeli, Globalist, 12 gennaio 2022

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Cinque miliardi di dollari per scongiurare un’apocalisse umanitaria. Cinque miliardi solo per affrontare l’emergenza. 

L’Onu ha chiesto ieri la cifra record di cinque miliardi di dollari per cercare di evitare che l’Afghanistan sprofondi in uno dei disastri umanitari più gravi della storia.

Questo piano di aiuti umanitari è solo una soluzione di emergenza, ma “il fatto è che senza non ci sarà futuro” per questo Paese, ha detto Martin Griffiths, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, durante una conferenza stampa a Ginevra.

Il mio messaggio è urgente: non chiudete la porta al popolo afghano. I partner umanitari sono sul posto e stanno fornendo assistenza, nonostante le sfide. Aiutateci ad aumentare la risposta e a evitare la fame diffusa, le malattie, la malnutrizione e in ultima analisi la morte, sostenendo i piani umanitari che lanciamo oggi” Martin Griffiths, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari Servono 4,4 miliardi di dollari dai paesi donatori per finanziare i bisogni umanitari per il 2022, ossia ampliare la fornitura di cibo e sostenere l’agricoltura, finanziare servizi sanitari, cure contro la malnutrizione, rifugi di emergenza, accesso all’acqua e ai servizi igienici e all’istruzione. Circa 22 milioni di persone, più della metà della popolazione del Paese, hanno urgente bisogno di assistenza. 

L’Onu ha anche chiesto ulteriori 623 milioni di dollari per aiutare i 5,7 milioni di rifugiati afghani in cinque paesi vicini, principalmente Iran e Pakistan.

A Kabul, i talebani hanno accolto l’appello delle Nazioni Unite. “Abbiamo bisogno di cibo e altri tipi di aiuti umanitari per il popolo afgano, oltre il 90% delle persone vive al di sotto della soglia di povertà”, ha detto all’Afp Suhail Shaheen, alto funzionario talebano.

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La principale risorsa di Erdogan

La repressione è la principale risorsa del regime di Erdogan: è ora di democratizzare

Fabio Marcelli, Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2022

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Nei pressi della ridente cittadina di Silivri, a circa 120 chilometri da Istanbul, ferve il lavoro delle scavatrici. È in costante ampliamento il più grande carcere del pianeta, che ospita al momento oltre 25mila detenuti, in gran parte politici. Di fronte al carcere si erge il Tribunale penale dove ho assistito, martedì 4 gennaio, all’ennesima udienza del processo contro Selçuk Kozağaçlı, presidente di un’associazione di avvocati progressisti, e Barkin Timtik, sorella di Ebru Timtik, avvocata morta durante lo sciopero della fame un anno e qualche mese fa e dirigente della stessa associazione.

Un processo che dura da anni, trascinandosi incongruamente attraverso una molteplicità di fasi e procedure, con accuse tanto gravi (organizzazione terroristica) quanto infondate (dvd acquisiti all’estero e probabilmente manipolati, testimonianze provenienti da un soggetto psichicamente labile e da un probabile agente dei servizi). E i due imputati in questa branca dell’intricatissima procedura, al pari di molti loro compagni, hanno già trascorso almeno cinque anni in carcere duro. L’udienza di mercoledì mattina è durata quattro ore e si è conclusa colla decisione della Corte di accordare la perizia tecnica sui dvd menzionati e il conseguente rinvio al 23 marzo.

Una piccola vittoria parziale della difesa in questa interminabile guerriglia giudiziaria che oppone le ragioni dello Stato di diritto all’imperiosa volontà politica del regime di Erdogan che ha completamente assoggettato la magistratura, sostituendo, licenziando o imprigionando i giudici non disponibili a rendersi strumento passivo del potere. La repressione costituisce oggi in effetti di gran lunga la principale risorsa del regime di Erdogan di fronte a un Paese attraversato da profonde spaccature e oggi in preda a una grave crisi economica.

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Le donne bruciano i burqa in strada

Le donne bruciano i burqa in strada, non fanno parte della nostra identità culturale

Giuliana Sgrena, Agenpress, 11 gennaio 2022

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Un gruppo di donne a Kabul è sceso in piazza, dicendo che stavano protestando contro le nuove restrizioni imposte alle donne dal Ministero della Virtù e del Vizio.

In risposta all’installazione di manifesti da parte del ministero a Kabul, le donne hanno affermato che i burqa non fanno parte dell’identità culturale afgana e che richiederli preserva solo la cultura degli stranieri in Afghanistan.

“Oggi voglio dire che il burqa non è il nostro hijab, è l’hijab che ci è stato imposto da Gran Bretagna e India. Sono una donna e sono mahram per me stessa”, ha detto Shabana Shabdiz, una manifestante. Mahram si riferisce a un maschio di scorta di una donna quando esce di casa.

“In questa marcia, chiediamo i nostri diritti all’istruzione e al lavoro dagli attuali governanti”, ha affermato Shahla Arifi, una manifestante.

Nel frattempo, queste donne hanno esortato il mondo a non tacere sui diritti delle donne in Afghanistan bruciando addirittura i burqa in strada.

Di recente, il Ministero della virtù e del vizio ha installato manifesti in alcune parti di Kabul sottolineando la conservazione dell’hijab islamico per le donne.

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La ricerca della stabilità in Afghanistan

Quale ruolo vogliono giocare Iran e Pakistan nell’Afghanistan dei Talebani?

Kamran Bokhari, Foreign Affairs, 11 gennaio 2022

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Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan la scorsa estate ha turbato molti paesi vicini che si erano abituati al fatto che gli Stati Uniti facessero il lavoro pesante nella regione. Con i talebani sistemati a Kabul, le reti dei militanti probabilmente si espanderanno e l’insicurezza potrebbe irradiarsi oltre i confini dell’Afghanistan. Questa prospettiva rimane motivo di inquietudine in ben una dozzina di stati. I più grandi vicini dell’Afghanistan, Iran e Pakistan, tuttavia, sono i due paesi che hanno la maggiore influenza nel paese e i più in gioco.

I loro lunghi confini con l’Afghanistan, combinati con legami storici etnici, linguistici e culturali, hanno consentito all’Iran e al Pakistan di svolgere un ruolo significativo negli affari interni dell’Afghanistan. Al contrario, nessuno dei tre stati vicini dell’Asia centrale o della Cina, che confina anche con l’Afghanistan senza sbocco sul mare, ha lo stesso livello di influenza nel paese. La Cina conta sia sull’Iran che sul Pakistan per gestire un Afghanistan dominato dai talebani e gli stati del Golfo Arabo fanno affidamento sul Pakistan per garantire che i loro interessi nel paese siano serviti. In seguito alla partenza degli Stati Uniti, Iran e Pakistan saranno i principali concorrenti a plasmare il futuro di un Afghanistan guidato dai talebani.

La fine della lunga epoca degli interventi diretti delle grandi potenze in Afghanistan ha lasciato un vuoto pericoloso. Nonostante le loro numerose differenze, Iran e Pakistan cercano entrambi stabilità e sicurezza in un paese che è in stato di guerra da due generazioni. I loro interessi sono spesso divergenti o entrano in conflitto diretto in Afghanistan, ma ora saranno costretti a cooperare in modi che non hanno fatto in passato.

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Afghanistan, la fine delle bambine: figlie cedute in cambio di cibo

Corriere.it/sette/esteri Marta Serafini 7 gennaio 2022

In un Paese dove la metà della popolazione è così povera da non avere i beni di prima necessità, le famiglie le vendono per matrimoni. In cambio di cibo. Storia di Benazir e delle sue sorelle, cedute per 2 mila dollari. Il prezzo medio per una sposa bambina.

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30 novembre 2021, campo di Bagrami, vicino a Kabul. Fatima, 13 anni, si è sposata un mese e mezzo fa. Suo padre, Wali Khan, che ha 4 mogli e 15 figli, l’ha venduta per 400.000 afghani (foto di Véronique De Viguerie)

Schiva, con lunghe ciocche di capelli color ruggine tinti con l’henné, Benazir, accoccolata sul ciglio della strada, stringe nel palmo della mano una manciata di ghiaia. Quando le viene chiesto se sa di essere stata promessa in sposa, guarda a terra e affonda la testa tra le ginocchia. Nessuno ha spiegato a Benazir cosa le accadrà. «È troppo giovane per capire», spiega alla Nbc suo padre, venditore ambulante di Shaidai, un villaggio nel deserto, ai margini delle montagne di Herat, nell’Afghanistan occidentale. Benazir ha 8 anni. Ed è stata venduta per duemila dollari. Il prezzo medio per una sposa bambina in Afghanistan. 

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Afghanistan: talebani vietano hammam alle donne nel nord

Ansa.it – 7 gennaio 2022

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I talebani hanno deciso di impedire alle donne afghane delle province settentrionali di Balkh e Herat di recarsi agli hammam, i bagni pubblici diffusi nel mondo islamico, che rappresentano per molti, nel freddo Afghanistan, l’unica opportunità di lavarsi al caldo, oltre che il luogo deputato al lavaggio rituale. Lo riporta il Guardian.

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