Il 12 ottobre 2021 si terrà a Roma una riunione del G20 per discutere della crisi afghana l’articolo si chiede se servirà, a nostro avviso sembra essere un modo di ripulirsi la coscienza dopo vent’anni di occupazione senza aver cambiato poco o niente.
La società civile, infatti, con i suoi intellettuali, artisti, lavoratori di ogni settore, politici, difensori dei diritti umani, è minacciata nella sua stessa incolumità dall’orrore delle milizie armate. Gli Afghani e le Afghane cresciuti negli ultimi vent’anni, che nonostante lo stato permanente di instabilità e insicurezza del Paese sono riusciti a vivere una certa apertura, oggi non si arrendono. Ma chi li aiuterà? Il G20 dedicato all’Afghanistan del prossimo 12 ottobre basterà?
Si è giunti ad un punto di non ritorno: mai in 20 anni di guerra, il sistema sanitario afghano è stato così vicino al collasso totale.
Questo l’allarme che Intersos dice di aver ricevuto attraverso ”i dati e i racconti dei nostri operatori umanitari impegnati nel garantire assistenza sanitaria nelle province di Kandahar e Zabul”. L’interruzione dei combattimenti non ha migliorato le condizioni di vita della popolazione. La crisi alimentare, economica e sociale è sempre più profonda. Il blocco della liquidità e delle importazioni sta già fortemente limitando la continuità dei servizi essenziali e l’approvvigionamento di beni essenziali e medicinali, si legge in una nota diffusa da Intersos.
A partire dal 15 agosto si è osservato un aumento dei pazienti che si rivolgono ai centri di salute sostenuti da Intersos per ricevere assistenza. L’aiuto umanitario si trova a svolgere un ruolo di supplenza emergenziale nel cercare di garantire la copertura di servizi essenziali, vista l’interruzione dei preesistenti finanziamenti per i progetti di sviluppo, inclusi quelli a supporto del sistema sanitario. Vaste aree del Paese, le cosiddette ”white areas” rimangono prive di servizi di base, inclusi i servizi di assistenza sanitaria, garantiti solo dalla presenza delle Ong internazionali. Ed è qui che si concentra l’intervento della nostra organizzazione. ”Rimanere in Afghanistan in questo momento è più che mai importante – racconta da Kandahar la Direttrice dei programmi di Intersos Alda Cappelletti – In questi giorni sto visitando le strutture supportate da Intersos in zone remote e prive di qualsiasi altra forma di assistenza sanitaria. In questo momento solo la presenza delle organizzazioni umanitarie assicura servizi fondamentali per la salute primaria, lotta alla malnutrizione, cure mediche per le donne e i bambini”. Intersos sostiene al momento diversi centri di salute primaria nei distretti di Spin Boldak, Maywand, Shawalikot Zheray nonché l’ospedale di Qalat e i centri di salute di Kharwaryan e Shajoy nella provincia di Zabul. La nostra presenza garantisce l’offerta di servizi di sanità di base, salute materno-infantile e programmi nutrizionali in aree remote e difficilmente accessibili, che altrimenti sarebbero prive di alcun tipo di servizio sanitario.
”Nonostante le difficoltà in corso, rimaniamo operativi senza nuove restrizioni, anche per quanto riguarda l’inclusione del nostro personale femminile nei progetti – ha sottolineato il Direttore Generale di Intersos, Konstantinos Moschochoritis – Dobbiamo ricordare che abbiamo affrontato delle difficoltà anche in passato, ma come operatori umanitari, la nostra presenza e la nostra risposta sono sempre state guidate dai bisogni umanitari. Oggi, rispondere ai bisogni in Afghanistan non deve fare eccezione”.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso dal gruppo e chiesto alla Polonia – Stato membro dell’Ue – di accogliere i profughi, ponendo fine ai respingimenti illegali
Nel cuore dell’Europa si riaffaccia lo spettro di un’ecatombe umanitaria senza precedenti, con respingimenti e blocchi forzati di migranti che chiedono aiuto ai Paesi membri dell’Unione.
A Jinwar, l’ecovillaggio delle donne, è sbocciato un nuovo fiore della solidarietà, della sorellanza e dell’amore internazionalista. Seminato e curato da Rete Jin col sostegno di Cisda, innaffiato da artisti di varie parti d’Italia con il regalo della loro arte, concimato da quanti hanno effettuato le donazioni. È l’ambulanza per Sifa Jin, il centro di salute e cura, acquistata grazie alla campagna di raccolta fondi “Arte per Jinwar”, in nome di un obiettivo comune: la costruzione del confederalismo mondiale delle donne.
Oltre 220 giudici donna in Afghanistan vivono nascoste nel terrore per paura di ritorsioni da parte dei talebani. Lo denunciano sei di loro alla Bbc informa anonima per tutelarle.
Nelle ultime settimane molta attenzione è stata dedicata alla situazione in Afghanistan, un Paese che per 20 anni è stato sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti e della NATO, ma che con il ritiro di questi ultimi si è trovato fragile e indifeso (sia dal punto di vista politico-istituzionale e militari, sia economico e sociale) di fronte al ritorno dei Talebani
– Sono medici, attiviste, studentesse che per i loro contatti con gli occidentali rischiavano di essere uccise. Ma sono riuscite a prendere l’ultimo volo per l’Italia. Ascoltatele
«Se fossi rimasta lì, mi avrebbero uccisa: per quello che sono, per quello che dico e per quello che rappresento». Amina ha 26 anni, un inglese perfetto, una laurea e la voce ferma. Parla al telefono senza cedimenti, da un numero che mi sono impegnata a cancellare appena finita l’intervista. Non so dove si trovi. So solo che è atterrata a Roma da Kabul su un aereo militare, con le sue sorelle e altri afghani in fuga, e ora è in quarantena da qualche parte.
“Negli ultimi 5 mesi, ovvero circa 150 giorni, la Turchia ha effettuato quasi 100 attacchi con armi chimiche in aree come Metina, Avashîn e Zap. Tuttavia non ci sono sanzioni contro la Turchia. Non solo non ci sono sanzioni, la questione non è né all’ordine del giorno né c’è alcun esame al riguardo”. Lo scrive Meral Çiçek per Yeni Özgür Politika
Durante l’«Operazione Afshar» del febbraio 1993 l’allora comandante tagiko Ahmad Shah Masud rivestì un ruolo di primo piano nell’uccisione di migliaia di Hazara afghani, impegnati, per larga parte degli anni Novanta, in una lotta senza quartiere contro i talebani.
Afghanistan. La testimonianza di una studentessa afghana: ««Ora sono di nuovo i talebani a decidere il modo in cui ci dobbiamo di vestire, legare i capelli, ridere. La nostra attività politica ha valore, ma il popolo non può battersi con la pancia vuota»
Sulla terribile situazione che sta vivendo l’Afghanistan abbiamo sentito una giovane studentessa afghana in Italia per un master. Per ovvi motivi di sicurezza non possiamo indicare il suo nome. «L’intero paese è al collasso, sia dal punto di vista istituzionale che economico».