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Autore: Anna Santarello

Laura Quagliuolo: “Per le donne afghane è fondamentale sapere che non sono sole”

Pressenza  – Andrea de Lotto – 17 agosto 2021

scuola HAWCA a Kabul 2003 foto Mauro Sioli 820x545

Nel novembre 2017 avevamo intervistato Laura Quagliuolo, attivista milanese del CISDA – Coordinamento Italiano in sostegno donne afghane. Ora torniamo a parlare con lei della drammatica situazione che l’Afghanistan sta vivendo.

Laura, raccontaci più che puoi, anche se immagino tu sia molto presa in questo momento

Ho contribuito a fondare il CISDA, una piccola e attiva associazione di donne che lavorano dal 1999 al fianco di alcune associazioni e ONG di donne afghane per sostenere i loro progetti umanitari e politici. Per il CISDA ho organizzato, insieme alle mie compagne, diversi viaggi in Afghanistan e in Pakistan, tra i rifugiati afghani, per accompagnare delegazioni di donne interessate a vedere con i propri occhi le condizioni in cui versa il paese e a incontrare donne coraggiose che con pochi mezzi e tantissimi rischi lavorano, dal basso, per istruire ed emancipare bambini e donne.

Prima abbiamo iniziato “informalmente”, poi dal 2004 abbiamo dato vita al CISDA e raccolto fondi per i progetti che le stesse donne afghane, soprattutto di RAWA, ci proponevano. Le abbiamo ospitate più volte, donne straordinarie. Non hanno mai voluto lasciare il paese e anche adesso che le condizioni si stanno facendo nuovamente dure vogliono rimanere e lottare.

C’è da dire che le donne di RAWA sono rimaste clandestine anche in questi anni di “presunta democrazia”. Fin da subito loro, e noi con loro, hanno denunciato che coloro che “erano stati messi al governo” erano signori della guerra che in passato avevano ucciso e fatto disastri nella guerra civile tra il ’92 e il ’96 (fino a 70mila morti nella sola Kabul in quegli anni). In questi ultimi decenni non c’è stato nulla di democratico, solo una facciata e i frutti li abbiamo visti adesso.

In tutti questi anni abbiamo cercato, con enorme fatica, di dare voce a queste donne che rimanevano comunque escluse sotto l’occupazione statunitense. Se oggi c’è una grande attenzione, domani torneranno nel dimenticatoio, come è sempre avvenuto.

Facemmo un primo viaggio subito dopo il crollo delle Torri Gemelle, una delegazione con giornalisti, attivisti, parlamentari, fotografi. Da lì è iniziato un lavoro molto grosso, tra le poche testimoni nei campi profughi in Pakistan e in Afghanistan. Abbiamo girato mezza Italia per raccontare quello che succedeva là. La rete è cresciuta nel corso degli anni. Io sono stata una ventina di volte da quelle parti, sempre a nostre spese, visto che siamo tutte volontarie. Abbiamo sempre sostenuto progetti ideati dalle stesse donne afghane, progetti carichi di senso, autosostenibili e in grado di garantire una continuità che spesso altrove manca. Siamo riuscite ad organizzare ogni anno almeno una delegazione, formata da 10-15 persone; ultimamente i numeri erano più ridotti dal momento che la sicurezza era diminuita.

Il vostro riferimento era soprattutto RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan –Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane)?

Si, ma non solo. Per esempio c’è anche Hambastagi, il Partito della Solidarietà, un partito laico; con loro e con altre associazioni abbiamo denunciato il fondamentalismo e l’occupazione delle truppe NATO, per costruire dei progetti di solidarietà dal basso – scuole per le donne, campi di zafferano per le donne, corsi di formazione, consegna di capre alle donne, alle vedove…

Il fatto che RAWA sia rimasta clandestina la dice lunga sugli scarsi passi avanti fatti in questi 20 anni: la sicurezza in quella regione non è mai stata veramente garantita. Ai progetti concreti si affiancava una denuncia politica molto forte che non era certo gradita. Il governo, messo lì dagli occidentali e che ora si è sciolto come neve al sole, ha rubato un’enorme quantità di denaro che arrivava nel paese. I soldi della ricostruzione finivano in corruzione.

Cosa vi chiedono in questi giorni?

Stiamo continuando a sostenerle, diffondendo notizie, raccogliendo fondi; per loro è molto importante sapere di non essere sole, di poter contare su un sostegno esterno forte. La situazione era ed è durissima; la miseria, soprattutto nelle città, è enorme. Migliaia di bambini girano chiedendo l’elemosina. Nel 2019, ultimo anno in cui sono andata in Afghanistan, ho visto campi di sfollati con fogne a cielo aperto, case di fango, senza acqua corrente, luce, assistenza medica. Ricordo che nel paese l’87 % delle donne è analfabeta (il 50% dei maschi). Le donne da sole non possono vivere, devono avere accanto un uomo che sia il marito, il padre o il fratello.

Rawa e altre associazioni di donne in questi anni hanno cercato di fare tutto il possibile perché la situazione delle bimbe, delle ragazze, delle donne, cambiasse; lo sforzo è stato grandissimo. Piccoli esempi di grande innovazione, gruppi sportivi femminili, orchestre di ragazze: lo studio, la cultura, l’arte, la musica, lo sport erano importanti strumenti di liberazione. Era ed è un lavoro certosino che avanzava piano piano, tra un mare di difficoltà.

Queste donne trovavano una “sponda” tra gli uomini?

Si, certo, i loro compagni le sostenevano e le sostengono. In passato, nel primo periodo dei talebani, le donne non potevano muoversi se non accompagnate da un maschio. Il burka le aiutava a nascondersi e i loro compagni le accompagnavano dove volevano andare. Anche nel Partito della solidarietà vi sono uomini che sostengono i diritti per tutti. Poi, certo, sono le donne in primis a lottare per i propri diritti.

Si aspettavano quello che è successo negli ultimi giorni?

Si, certamente. Il governo era corrotto e sempre più debole e impopolare, stava su solo grazie agli eserciti occidentali. I talebani hanno fatto la trattativa con gli Usa, portandosi anche tre donne come biglietto da visita. Esercito afgano, ma in primis presidente e generali, si sono involati in un attimo.

I diritti delle donne sono stati parzialmente rispettati in questi anni, ma quasi solo nelle città e soprattutto a Kabul, che era un po’ la “vetrina”. Nelle zone rurali le violenze verso le donne non si sono mai fermate: violenze in casa, matrimoni forzati, poligamia, minori cedute come spose. Nelle zone che i talebani non hanno mai smesso di governare le donne potevano essere lapidate per adulterio. Insomma, pensare che i diritti delle donne, con la presenza degli occidentali, fossero davvero garantiti, è una sciocchezza, in gran parte in malafede. Tutto questo perché abbiamo messo le persone sbagliate nei posti di comando. Ricordo che tre mesi fa il Ministro dell’Educazione del governo afghano aveva promulgato una legge (respinta per le proteste popolari) in cui si diceva che le donne sopra i 12 anni non dovevano cantare in pubblico. I soldati occidentali si sono ingloriosamente dileguati prima ancora. I talebani, nel frattempo, con la loro propaganda, andavano avanti. Certo che si aspettavano quello che è successo.

Riuscite a mantenere i contatti? Cosa vi raccontano?

Sostanzialmente sì, anche se con qualche difficoltà in più. Ci dicono che nelle province i talebani stanno facendo ben altro da quello che vanno promettendo. Hanno sgozzato soldati e bruciato caserme, mercati, proprietà. Grazie alla propaganda, all’assenza di resistenza, all’ignoranza della popolazione, hanno riconquistato il paese in 10 giorni.

Noi stiamo facendo una raccolta fondi e rispondendo a tutti i giornalisti che ci chiedono informazioni; stiamo chiedendo che si aprano corridoi umanitari, non tanto per le donne di Rawa, che non vogliono lasciare il paese, quanto per gli afghani che stanno rischiando la pelle.

Un’ultima domanda: come vivi tutto questo parlare di Afghanistan sui grandi media?

Mi arrabbio molto: il racconto “italiano” che “noi siamo stati bravi… ecc, ecc” è una falsità. NOI ABBIAMO FINANZIATO da vent’anni tutte le missioni! Non hanno mai ascoltato, tanto meno sostenuto, le voci dei democratici che raccontavano quello che stava succedendo in Afghanistan: corruzione, signori della guerra al potere, oppressione sulle donne, repressione delle voci critiche. L’interesse degli USA non era portare democrazia e libertà per le donne, bensì controllare un paese che strategicamente, geopoliticamente, è fondamentale per controllare Russia, Cina, Pakistan, Iran, il Medio Oriente. Questo era il vero interesse degli USA.

In Afghanistan, come in Libia o in Iraq, ovunque l’Occidente va a mettere le zampe crea terrore e cresce il terrorismo. Il terrorismo si sconfigge con le bombe sui civili? A queste domande devono e dovranno rispondere i nostri governi. Il governo italiano ha speso per le missioni in Afghanistan 8 miliardi e mezzo di euro in 20 anni. Dove sono finiti tutti questi soldi? Tutto questo mi fa arrabbiare, e molto, così come le bugie e le disattenzioni totali verso le realtà democratiche, seppur piccole, ma vere, che si muovono in questi paesi. In Afghanistan c’è il fondamentalismo, certo, ma anche altro, che nessuno ha ascoltato.

E’ il 17 agosto, fa un gran caldo a Milano. Laura mi ha dedicato un po’ del suo tempo prezioso e io la ringrazio. Provo un’enorme stima e rispetto per questa donna che come tante altre è stata vicina a un popolo martoriato, rispetto al quale adesso ci svegliamo. Cerchiamo di recuperare tutti e tutte, quello che troppo poco abbiamo fatto in questi anni.

La “profonda rabbia” delle donne afghane contro i Paesi della missione

AGI Agenzia Italia – 17 agosto 2021, di Manuela D’Alessandro  AGI 17 agosto

Simona Cataldi, rappresentante del coordinamento italiano che affianca le attiviste afghane, spiega in un’intervista all’AGI perché le donne ritengono la comunità internazionale responsabile della situazione attuale. Il loro appello è di aprire subito un corridoio umanitario mentre sono in corso i rastrellamenti 

AGI – “Le donne afghane sono profondamente deluse e arrabbiate nei confronti degli Stati che hanno preso parte alla missione di pace. Ora chiedono che si facciano carico della crisi politica e umanitaria di cui li ritengono responsabili”.

Lo riferisce Simona Cataldi, rappresentante del Cisda (Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane) con sede a Milano, che è in costante contatto con le donne nel Paese asiatico riconquistato dai talebani, conosciute e affiancate nelle battaglie per i diritti durante la lunga permanenza dell’associazione nel Paese asiatico, a partire dagli anni ‘90.

“Se ne sono andati riaccreditando i talebani”

In un’intervista all’AGI, spiega perché questi sentimenti vengano da lontano e come quella che definisce la “narrazione” della loro condizione nel Paese liberato dagli estremisti, fino al ritorno al passato delle ultime ore, non sia del tutto veritiera: “Da tempo le donne afghane criticano la presenza della comunità internazionale perché non ha mai affrontato il tema della giustizia in un Paese dilaniato da occupazioni e guerra che non ha mai fatto i conti col passato.

Questo ha significato non portare avanti un processo di pace reale ma mettersi nelle mani dei ‘signori della guerra’ e dei loro giochi, di quei personaggi che, con l’avallo della comunità internazionale, hanno continuato a stare al potere e a esercitare corruzione e malaffare. Da tempo le donne pregano la comunità internazionale di andarsene di andarsene e lasciare spazio all’autodeterminazione. Non è vero, come si dice, che gli afghani in questi anni siano rimasti inermi. In tanti si sono dati da fare per i diritti”.

Il loro auspicio sembrerebbe essere stato accolto col passo indietro dei Paesi che hanno portato avanti la missione: “E’ vero che se ne sono andati ma l’hanno fatto attraverso trattative di pace coi talebani, riaccreditandoli”.

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Comunicato stampa “Trasformiamo l’indignazione in sostegno alle forze democratiche afghane”

rawaDopo 20 anni di occupazione da parte di USA e forze Nato, dopo aver speso miliardi di euro (solo l’Italia 8,7 miliardi) e di dollari (1 trilione gli USA), dopo 241.000 vittime civili e militari e 5 milioni di sfollati, le forze occidentali lasciano ingloriosamente l’Afghanistan di nuovo nelle mani dei talebani.

Una guerra giustificata con la lotta al terrorismo, i diritti delle donne, l’“esportazione della democrazia” che non ha sconfitto il terrorismo, né in Afghanistan né nel resto del mondo, e non ha portato né diritti delle donne né democrazia. E i cui fini erano diversi da quelli dichiarati: l’Afghanistan è un paese di importanza geostrategica fondamentale nel quadro asiatico e mediorientale e non è un caso che prima l’impero britannico, poi l’Unione Sovietica e poi gli USA abbiano tentato di colonizzarlo.

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Le rassicurazioni talebane in conferenza stampa

Enrico Campofreda dal suo Blog – 17 agosto 2021

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Il suolo afghano non verrà usato da nessuno, lo assicuriamo alla comunità internazionale” ha risposto tranquillizzante Zabihullah Mujahid, portavoce talebano, durante la prima conferenza stampa organizzata a Kabul e trasmessa dall’emittente Al Jazeera. La domanda sui foreign fighteirs era una delle questioni calde poste dai giornalisti, in totalità uomini, all’esponente del nuovo potere afghano. Il suo esordio era stato enfatico “Dopo vent’anni di lotta abbiamo emancipato il Paese ed espulso gli stranieri. E’ un momento d’orgoglio per l’intera nazione”. Seguito da uno stabilizzante “Vogliamo rendere sicuro il Paese che non è più un campo di battaglia. Abbiamo perdonato chi ha combattuto contro di noi, l’animosità è finita. Non cerchiamo nemici esterni e interni”. “Non volevamo il caos a Kabul, ci siamo fermati alle porte della città. Le Forze Armate del precedente governo non avrebbero garantito la sicurezza. L’abbiamo fatto noi per la città e i residenti”. Ribadendo la volontà di lavorare per una nazione unita, la voce ufficiale degli studenti coranici ha ribadito la volontà di amnistia verso chi ha lavorato per l’amministrazione precedente e anche per chi ha combattuto contro le milizie dei suoi fratelli. E ancora due rassicurazioni per la Comunità internazionale “Nessuno di loro sarà danneggiato, non vogliamo avere questioni con la comunità internazionale”. Ricordando comunque “Noi afghani abbiamo diritto di seguire i nostri princìpi religiosi. Altri Paesi hanno un approccio diverso con le loro leggi, gli afghani hanno norme in accordo ai propri valori”. A una specifica domanda sui diritti delle donne, promette vagamente che s’impegnano a difesa dei medesimi all’interno del sistema della Shari’a. 

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 “Le donne lavoreranno spalla a spalla con noi. Assicuriamo la comunità internazionale che non saranno discriminate”. Mujahid rasserenante anche nei confronti dei media, specie se questi non contrasteranno i valori islamici. Segue un’esortazione lasciata cadere come un monito “Voi nei media dovreste prestare attenzione alle carenze, in modo da poter servire la nazione”. E un più inquietante “I media non dovrebbero ostacolare il nostro lavoro, dovrebbero contribuire all’unità del Paese”. Dopo il monito la carezza ai media privati continueranno il loro lavoro indipendente”. Quindi un assist al lavoro delle giornaliste “Stiamo permettendo il lavoro delle donne in tali strutture”, lo si era visto nelle ore precedenti con l’accettazione  da parte di un altro esponente taliban al cospetto di una cronista negli studi di Tolo tv. Accanto a un perdono generalizzato per prospettare un costruttivo futuro di pace il portavoce lancia un laconico “Dopo la formazione d’un nuovo governo, ogni cosa apparirà più chiara. Stiamo già al lavoro per quest’obiettivo, intanto abbiamo messo al sicuro i confini nazionali”. Fra le domande c’è un riferimento al precedente governo talebano. La risposta è: “Il nostro Paese è musulmano, lo era e lo è. Ovviamente c’è un’enorme differenza fra l’attualità e il nostro  passato. C’è stato un processo di evoluzione”. L’invito alla cittadinanza è quello di non lasciare il Paese “Noi garantiamo la massima sicurezza giorno per giorno, nessuno rapirà nessuno”. 

Afghanistan, il ritorno dei talebani e i diritti (negati) delle donne. Cristiana Cella: “L’Occidente si vergogni. Non ha mai sostenuto la parte democratica del Paese”

Luce – La Nazione.it  – Domenico Guarino – 16 agosto 2017

La giornalista e attivista Cisda denuncia la condizione femminile nel Paese mediorientale, dove per paura di ritorsioni sono stati coperti anche i cartelloni pubblicitari con immagini femminili. “La situazione non era buona nemmeno prima: in 20 anni fatti pochissimi passi avanti e solo in alcune famiglie”

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I diritti delle donne in Afghanistan? Con l’arrivo al potere dei Talebani, che già controllavano da anni una buona parte del Paese, calerà un velo di pesante oscurantismo, ma è chiaro che su questo fronte i progressi negli ultimi anni erano stati minimi. È questo il parere del Cisda(Coordinamento Italiano sostegno donne afghane) che da anni è al fianco delle donne afghane nel percorso di rivendicazione dei loro diritti. “Negli ultimi venti anni i progressi erano stati limitati alle famiglie più aperte e alle aree metropolitane”. Per Cristiana Cella, giornalista, scrittrice (tra gli altri, “Sotto un cielo di stoffa. Avvocate a Kabul”) ed attivista Cisda “L’Occidente non ha mai sostenuto la parte democratica del Paese, a questo punto può solo vergognarsi“.

Qual è ad oggi la situazione dei diritti delle donne in Afghanistan?

“Nella maggior parte del Paese, in questi 20 anni, i diritti delle donne non sono stati rispettati. Ci sono state buone leggi che non vengono quasi mai applicate, la giustizia parallela è quella della Sharia e delle regole tribali feroci contro le donne. Nelle città e nelle famiglie più aperte le donne hanno potuto studiare e lavorare, seppure con grandi difficoltà. Ma nel resto dello Stato l’87 per cento delle donne subiscono violenza, matrimoni forzati e di minori sono all’ordine del giorno”.

Cosa cambia con l’arrivo dei Taliban al potere?

“L’arrivo dei talebani, che governavano già gran parte del Paese, cancellerà anche quei piccoli passi. Le donne militanti che hanno lavorato per i diritti sono oggi in grave pericolo e sole. L’Occidente non ha mai sostenuto la parte democratica del Paese”.

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Peggio del 1989: l’Urss lasciò i tank, gli Usa un futuro nero

Il Manifesto.it – Giuliana Sgrena – 15 agosto 2021

15desk1 a destra riapertura profughi confine ansaAfghanistan. La peggiore prospettiva è all’orizzonte: la presa del potere assoluto da parte dei Talebani. Vent’anni fa le donne si liberavano del burqa, oggi il loro sogno di libertà è un ricordo.

La cartina geografica dell’Afghanistan che segna in rosso l’avanzata dei taleban fa venire i brividi. La prospettiva che i taleban potessero entrare nel governo già rappresentava un futuro nefasto per il paese, ma ora c’è di peggio: la presa del potere assoluto da parte dei cosiddetti studenti coranici.

Che non siano cambiati rispetto a più di vent’anni fa lo si vede nelle zone occupate: in quella che era considerata la Svizzera dell’Afghanistan, Bamyan, i teleban sono entrati, promettendo ai locali rispetto se avessero accettato il loro controllo e invece hanno razziato i loro raccolti, soprattutto quelli delle albicocche che insieme all’uva di Kandahar sono prodotti di eccellenza in Afghanistan.

Anche se scettica la popolazione non è in grado di opporsi all’avanzata dell’orda islamica, anche perché i soldati sono i primi ad arrendersi.

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Appello per l’Afghanistan

Se non ora quando? 15 agosto 2021

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Come donne italiane che hanno a cuore e si battono per i diritti delle donne, siamo estremamente preoccupate per la minaccia che l’offensiva dei talebani, ampiamente prevedibile con il ritiro delle truppe americane e della NATO dall’Afghanistan, rappresenta per i diritti democratici della popolazione afgana ed in particolare i diritti delle donne afgane all’autodeterminazione.

Riteniamo che l’arretramento dei diritti delle donne afgane, si collochi in un contesto più ampio di rischio di arretramento dei diritti di tutte le donne e della comunità LGBTI come possiamo vedere nella stessa Europa in paesi come la Polonia e l’Ungheria, dove nel nome della protezione dei valori della famiglia tradizionale patriarcale vengono compressi i diritti delle singole persone e dove sotto il pretesto del rispetto della diversità culturale, vengono accettate tacitamente regole lesive dell’autodeterminazione degli individui, in particolare delle donne.

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Facciamo appello al Governo e  ai/alle parlamentari in Italia ed in Europa perché venga assunta una presa di posizione del Governo italiano e dell’Europa e si  richieda:

-che non vengano fatti accordi in cui i diritti delle donne diventino merce di scambio;

-la sospensione dei rimpatri forzati in paesi dove non sono garantite le libertà democratiche;

-l’apertura di canali umanitari per accogliere  e dare protezione alle persone che non sentono garantita la loro sicurezza in Afghanistan.

È a Milano la centrale della solidarietà alle donne afgane contro l’oppressione talebana: scuole segrete e rete clandestina

In queste tragiche ore per l’Afghanistan il Cisda vuole continuare a dare voce alle coraggiose donne afghane

La Repubblica Milano – 15 agosto 2021, di Lucia Landoni  

afghanistanIn città ha sede il Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda), la presidente è Gabriella Gagliardo, di Cologno Monzese.

Nel giorno in cui Kabul è sotto l’assedio dei talebani, Milano non si volta dall’altra parte: è qui infatti che si trova la sede centrale del Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda), onlus che opera dall’Italia per far sentire soprattutto alla popolazione femminile dell’Afghanistan “che ci siamo e che continueremo a star loro accanto, anche nell’ennesima tragedia che stanno vivendo”.

La presidente, Gabriella Gagliardo, di Cologno Monzese (nell’hinterland milanese), spiega: “Stiamo seguendo attentamente l’evolversi della situazione grazie ai nostri contatti con le organizzazioni che operano in loco, come Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), Hawca (Humanitarian Assistance for Women and Children of Afghanistan) e Opawc (Organization of Promoting Afghan Women’s Capabilities). Dalle nostre informazioni, i talebani sono entrati da ore nella capitale e ormai sono arrivati in centro”.

Mentre gli Usa e i Paesi dell’Unione Europea stanno evacuando il personale delle rispettive ambasciate, le attiviste di Rawa – “molto colte e preparate e abituate da quarant’anni a operare in clandestinità” – rimangono nel loro Paese, pronte a portare avanti una resistenza pacifica che si basa essenzialmente sull’assistenza alle donne afghane.

“La loro è un’attività sociale con un’importantissima valenza politica – continua Gagliardo – Non può esserci democrazia se la percentuale delle donne alfabetizzate non cresce. Le organizzazioni che noi sosteniamo operano appunto in questa direzione: le attiviste organizzano incontri clandestini in casa delle donne, fingendosi loro parenti, e le istruiscono”.

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Kabul è talebana

Dal Blog di Enrico Campofreda – 15 agosto 2021 

campofreda 15 08 21Torna talebana Kabul, prima di quanto ci si aspettasse. In un giorno e una notte, con la presa di Mazar-i Sharif a nord e Jalalabad a est, tutti ma proprio tutti i collegamenti per entrare e uscire dal Paese sono controllati dagli studenti coranici.

L’ingresso nella capitale è un gioco da ragazzi: la via s’è spalancata senza premere alcun grilletto perché prima dell’Afghan Security Forces, da settimane in totale dissolvimento, s’è dissolto l’ectoplasma statale. I turbanti non incontreranno Ashraf Ghani neppure da stravincitori, l’uomo della Banca Mondiale, a scanso d’equivoci, ha trattato per interposta persona la sua partenza ed è riparato in Tajikistan.

Ha investito il ministro della difesa Bismillah Mohammadi di trattare con le milizie dei guerriglieri che dilagano in una città caotica e attonita.

Tramite i propri portavoce l’orientamento dei nuovi padroni è conciliante. Chiedono alla cittadinanza che vuole restare di registrarsi presso postazioni che stanno predisponendo. Promettono di non praticare vendette verso i militari arresi, molti dei quali già da settimane hanno consegnato loro armi e mezzi.

Sostengono che la popolazione che vorrà lasciare il Paese è libera di farlo, pure coloro che hanno collaborato con la precedente amministrazione e con le truppe Nato. Non spiegano come un flusso, che già ha visto mezzo milione di sfollati concentrarsi in alcuni punti della capitale e che potrebbe diventare ancora più copioso, potrà muoversi e per dove.

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