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Autore: CisdaETS

SIRIA- KNK: Difendiamo il Rojava come 10 anni fa

retekurdistan.it 26 gennaio 2025

Rilasciando una dichiarazione in occasione dell’anniversario della liberazione del centro di Kobanê dall’ISIS, il KNK (Congresso nazionale del Kurdistan) ha affermato: “Chiediamo oggi a tutta l’umanità di difendere il Rojava proprio come 10 anni fa”.

Il Consiglio esecutivo del Congresso nazionale del Kurdistan (KNK) ha pubblicato un messaggio in occasione dell’anniversario della liberazione del centro di Kobanê dall’ISIS. Nella dichiarazione si afferma che gli attacchi contro la Siria settentrionale e orientale continuano anche oggi e lancia il messaggio: “Difendere il Rojava significa difendere l’umanità”.

Nella dichiarazione del KNK è stato sottolineato che la Rivoluzione del Rojava, iniziata il 19 luglio 2012, ha acquisito una nuova dimensione con Kobanê e sono state fatte le seguenti dichiarazioni: “Kobanê è la prima scintilla della Rivoluzione del Rojava e la bandiera di libertà contro le forze occupanti. La vittoria contro l’Isis il 26 gennaio 2015, con la solidarietà del popolo curdo e dei suoi amici, è la vittoria della dignità umana. “Questo successo storico non è solo una vittoria militare, ma anche una vittoria combattiva ottenuta grazie all’unità e alla determinazione del popolo curdo”.

La sconfitta dell’ISIS a Kobane

Nella dichiarazione, il KNK ha sottolineato che la vittoria di Kobanê è stato il primo grande passo nel crollo dell’ISIS e ha affermato: “La resistenza di Kobanê è passata alle pagine di storia come la prima grande sconfitta dell’ISIS. Questa vittoria è stata resa possibile dagli sforzi congiunti del popolo curdo e dei rivoluzionari del Rojava. La lotta per la libertà iniziata a Kobanê ha portato alla liberazione di molte regioni, inclusa Raqqa, che l’ISIS aveva dichiarato capitale. “In questo processo, i sacrifici delle YPG e delle YPJ, la solidarietà mostrata dal popolo curdo da tutto il mondo e il sostegno delle forze democratiche internazionali hanno reso possibile la vittoria”.

Difendere i valori comuni dell’umanità

La dichiarazione sottolinea che la Siria settentrionale e orientale deve ancora affrontare la minaccia di invasione e prosegue: “Dopo la sconfitta dell’ISIS, lo Stato turco ha preso di mira direttamente il Rojava. Regioni come Afrin, Girê Spî e Serêkaniyê sono un chiaro esempio delle politiche di occupazione della Turchia. Oggi Kobanê e la zona circostante la diga di Tishrin sono sotto attacco. Non va però dimenticato che difendere il Rojava significa difendere non solo il popolo curdo, ma anche i valori comuni dell’umanità. Lo spirito di resistenza che sale da Kobanê è la speranza di libertà per il Kurdistan e per l’umanità. Le conquiste della rivoluzione del Rojava devono essere protette e la resistenza di Kobanê deve essere sempre ricordata. Oggi, proprio come 10 anni fa, invitiamo il nostro popolo, i nostri amici e tutta l’umanità a difendere il Rojava. “In questa occasione celebriamo ancora una volta l’anniversario della vittoria di Kobanê e della fondazione dei cantoni del Rojava.”

 

Il ministro degli Esteri iraniano incontra i talebani a Kabul per la prima volta da otto anni

euronews.com 27 gennaio 2025

Purtroppo si allarga il consenso internazionale al governo talebano”

Abbas Aragchi ha parlato con i leader talebani delle tensioni al confine, dei rifugiati afghani in Iran e del trattato sull’acqua del fiume Helmand

L’Iran ha dichiarato di sperare di migliorare i legami economici e le relazioni bilaterali con l’Afghanistan, durante la prima visita di un ministro degli Esteri iraniano a Kabul da otto anni a questa parte.

Abbas Aragchi, ministro degli Esteri di Teheran, ha avuto colloqui con alti funzionari talebani nella capitale afghana domenica, con discussioni incentrate sulle tensioni ai confini, sul trattamento dei rifugiati afghani in Iran e sulle dispute sui diritti idrici.

Il diplomatico iraniano ha incontrato il primo ministro afghano ad interim Hassan Akhund, il ministro degli Esteri Amir Khan Muttaqi e il ministro della Difesa Mohammad Yaqoob.

Aragchi ha espresso la speranza di un rafforzamento dei legami economici e di un miglioramento delle relazioni bilaterali, riconoscendo gli “alti e bassi” nei rapporti tra i Paesi, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa iraniana Irna.

In una dichiarazione condivisa dai talebani, Aragchi ha anche affermato che l’Iran si è impegnato per il ritorno dei circa 3,5 milioni di rifugiati afghani che vivono in Iran.

Il primo ministro afghano ha esortato Teheran a trattare i suoi rifugiati con dignità, avvertendo che un tentativo di rimpatrio su larga scala non è possibile al momento.

Ha aggiunto che incidenti come l’esecuzione di afghani in Iran hanno acuito le tensioni.

Sebbene l’Iran non riconosca formalmente il governo talebano, che ha assunto il controllo dell’Afghanistan nel 2021 dopo il ritiro delle forze statunitensi e della Nato, Teheran mantiene relazioni politiche ed economiche con Kabul.

L’Iran ha anche permesso ai Talebani di mantenere l’ambasciata afghana a Teheran.

Turchia: possibile accordo coi Curdi

I due principali parlamentari della comunità curda in Turchia Sirri Sureyya Onder e Pervin Buldan.

Settimana NEWS, 23 gennaio 2025, di Riccardo Cristiano

Alle volte la storia riparte da dove si era interrotta. Così la storia del pluralismo “mediorientale” potrebbe ripartire dalla Turchia. Forse, con molti punti interrogativi, il complesso mondo mediorientale arabo e turco potrebbe vedere un nuovo pluralismo prendere le mosse dall’Anatolia – prima testimone di un nazionalismo malato.

Parliamo di Paesi complessi, quali sono la Turchia, la Siria, il Libano, l’Iraq.

Nazionalismo arabo vs. colonialismo europeo
Per quanto esistano idee diverse al riguardo del genocidio armeno, è innegabile il ruolo cruciale che vi svolsero i nazionalisti che presero proprio allora il potere, i Giovani Turchi. Così a cavallo tra le due guerre mondiali si è diffuso un nazionalismo che si è definito in queste aree diverse, ma da una storia comune in reazione al colonialismo europeo.

Se in Turchia ne sono stati caposaldo i Giovani Turchi, nel mondo arabo ne sono stati espressione i pan-arabisti, che volevano la nazione degli arabi, ossia di coloro che parlano arabo. Scivolata dalle mani dei grandi intellettuali in quelle di possenti generali, l’idea di nazione è parsa respingere ogni complessità: una nazione ha una lingua, un’etnia, un capo. Ci possono essere state delle parziali eccezioni, o delle aggiunte, ma l’unicità è stata un forte collante.

La storia è stata feroce, o atroce, con quelle che chiamiamo minoranze e che, invece, dovrebbero essere ricchezze di un territorio: etniche e religiose. Oggi i curdi ne sono una nota vittima, perché si tratta non di etnia turca in Turchia, non di etnia araba in Siria e Iraq. Altre ce ne sono.

Ora, sorprendentemente per il momento che il mondo sta vivendo e che sembra caratterizzato da idee molto strette di cosa sia una “nazione”, per i curdi sarebbe alle porte il possibile inizio di una pagina nuova, che se funzionasse potrebbe essere foriera di grandi novità anche in Siria, Paese dove ai curdi era proibito anche il passaporto. Questo avrebbe peso per tutti, non solo per i curdi: si comincerebbe a pensare diversamente a cosa sia una nazione? Intanto parliamo dei fatti.

Curdi turchi: lungo colloquio con Ocalan
I due principali parlamentari turchi appartenenti alla comunità curda, Pervin Buldan e Sirri Sureyya Onder (del partito DEM), si sono intrattenuti per quattro ore con Ocalan: il doppio del tempo trascorso con lui a dicembre nel penitenziario di massima sicurezza dove è detenuto da 26 anni, cioè dal secolo scorso, in isolamento. DEM pubblicherà presto un comunicato ufficiale.

Fonti autorevoli, citate dal sito specializzato sul Medio Oriente al-Monitor, hanno però fatto capire ufficiosamente il percorso che si delinea. Il 15 febbraio prossimo, 26esimo anniversario della sua cattura, Ocalan potrebbe chiedere, in particolare al suo PKK, di deporre le armi e annunciare la fine della lotta armata. Contemporaneamente la Turchia porrebbe fine alla detenzione in regime di isolamento cui Ocalan è sottoposto da così tanti anni, libererebbe i politici e attivisti curdi più noti, a cominciare dal leader di DEM Selahattin Demitras, e accantonerebbe la sua contrarietà a un’autonomia de facto curda – secondo forme e criteri sin qui non divulgati.

L’accordo coinvolgerebbe anche l’azione politica dei curdi in Siria, dove il partito di Ocalan, il PKK, è molto presente, combattendo contro i turchi che bombardano anche villaggi curdi. Anche qui la linea sarebbe la stessa: cessazione delle ostilità in presenza di una rinnovata e riconosciuta forma di autonomia non belligerante con le istituzioni centrali siriane.

L’ottimismo però deve fare i conti con la storia. Un appello a favore della pace e della partnership strategica tra turchi e curdi, Ocalan lo aveva già fatto proprio il 21 marzo del 2013. Ma negli anni successivi i negoziati tra Erdogan e DEM fallirono. Il leader turco si alleò con la destra nazionalista, anche quella estrema, per resistere. Ora però uno dei più noti esponenti del nazionalismo estremo turco, Umit Ozdag, è stato arrestato – probabilmente per impedirgli di organizzare eventi ostili all’intesa.

Le ambizioni di Erdogan e la fine del conflitto turco-curdo
Nel retrobottega della politica si considera che se Erdogan perseguirà davvero questa strada, potrebbe considerare di aver posto termine a un conflitto gravissimo e lunghisismo, dimettersi da Presidente e, in virtù della Costituzione che gli impedirebbe di ricandidarsi se completasse il suo secondo mandato, ricandidarsi perché dimessosi in anticipo e così sperare di essere rieletto.

Quanto conseguito gli darebbe la speranza di vincere, soprattutto se la pacificazione della Siria fosse effettiva e parte dei tantissimi profughi siriani potesse cominciare a scegliere di rientrare in patria, anche considerato quanto i nazionalisti turchi gli rendano difficile la vita in Turchia. Calcoli ottimisti? Va ricordato che alle recenti presidenziali Erodgan fu rieletto per pochissimi voti e i curdi sostennero il suo sfidante. In questo caso potrebbero almeno non correre in massa alle urne. Altri dicono che Erdogan vorrebbe cambiare la Costituzione sulla rieleggibilità, con il sostegno dei curdi.

Le ricadute sulla Siria
Il capitolo siriano non è certo irrilevante, visto che lì i turchi e i curdi si combattono aspramente, soprattutto con le parti di milizie curde legate al PKK turco. Ma per favorire l’intesa è sceso in campo il leader dei curdi iracheni, Barzani, che proprio in questi giorni si è incontrato con la sua controparte in Siria, il leader curdo Kobane. Il destino degli aderenti curdi di origini turche aderenti al PKK rimane incerto, per i miliziani siriani si prefigurerebbe un ingresso nell’esercito siriano, come auspicato dal leader de facto siriano Ahmad al Sharaa.

Sarà chiesta l’espulsione dei curdi turchi in armi dalla Siria? Di questo si sa solo che la questione è stata sollevata, non è noto con quali possibili risultati. E questo punto sembra difficile per le molte difficoltà operative e tecniche. I dettagli da chiarire, non irrilevanti, sono moltissimi.

L’importanza di questo accordo per la Siria è enorme: non solo perché i curdi sono circa il 12% dell’attuale popolazione siriana, ma perché si aprirebbe una prospettiva nuova per la Siria. I timori più noti riguardano i gruppi jihadisti come l’Isis, contro i quali i curdi combattono da anni e il loro ingresso nell’esercito siriano gli darebbe credibilità come forza nazionale e anti jihadista al cospetto di tutti coloro che, da varie milizie, ancora oggi hanno dubbi al riguardo.

Sarebbe un rafforzamento del governo centrale, ma con un’impostazione non centralista, il che aiuterebbe a dar forma a un Paese plurale: non una sommatoria di pezzi disconnessi tra loro, ma neanche una “dittatura” di una forza che si impone sulle altre.

Una nuova prospettiva per il Medio Oriente
Se così andranno le cose, e soprattutto se andassero bene, sia la Turchia che la Siria troverebbero una stabilità tutta nuova: ossia, l’idea che lo Stato sia proprietà di un gruppo etnico sotto un capo indiscutibile, o di una sola comunità di credenti, si comincerebbe a modificare e questo potrebbe a nuove amicizie, a Stati non ostili l’uno all’altro e senza più, almeno in prospettiva, cittadini di “serie b”.

Questo si incrocia con i cambiamenti che stanno emergendo dal Libano e che potrebbero dare linfa nuova all’idea di Stato plurale. Non si tratta di “cantonalizzare” un Paese, ma di creare uno Stato che li consideri cittadini uguali di diverse identità religiose che devono servire insieme l’interesse comune.

È quello che un sorprendete premier, Nawaf Salam, giurista formatosi tra Harvard e Sorbona, sta cercando di fare, togliendo ai partiti il potere di scegliere i ministri: “saranno delle diverse comunità di fede per rappresentare tutti, ma scelti da me e votati da tutto il Parlamento” – non da un solo partito, quello che li designa. Ci riuscirà?

Sembra difficile, ma se già riuscisse a cominciare a muovere qualche passo in questa direzione darebbe un colpo durissimo a tutte le famiglie feudali che si sono impossessate della rappresentazione delle comunità religiose, ridando smalto alla politica. E a quel punto i nuovi rapporti con la nuova Siria potrebbero immaginarsi. Forse…

Analisi. Non solo Afghanistan: l’apartheid di genere “merita” di diventare un crimine

Avvenire, 24 gennaio 2025, di Antonella Mariani

Segretate, private dei diritti di istruzione, del lavoro e della libertà di movimento: a che punto è il percorso per introdurre il nuovo reato nel diritto internazionale e che problemi sta incontrando

Le ragazze e le donne afghane sono segregate, imprigionate nei burqa. A loro è vietato studiare, lavorare fuori casa, muoversi da sole, perfino parlare a voce alta e cantare. Che cos’è, se non apartheid? Anzi, più precisamente, apartheid di genere. Sfortunatamente, questa fattispecie non esiste nell’ampio repertorio dei crimini contro l’umanità che si è sviluppato negli ultimi decenni. Tra i giuristi internazionali è sempre più diffusa la convinzione che sia arrivato il momento di codificarlo, nominarlo e dunque farlo esistere, non solo per prendere atto di una realtà inedita e sconvolgente che avviene in alcune parti del mondo e in particolar modo in un Paese, l’Afghanistan, pressoché uscito dai radar dell’attenzione mediatica, ma anche per fornire ai gruppi della resistenza all’estero, ai Tribunali e alle istituzioni internazionali uno strumento supplementare per combattere questa massiccia violazione dei diritti umani.

Tra i principi base del diritto internazionale c’è l’uguaglianza di genere, garantita da diversi corpi normativi (la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, quella sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1970, i patti internazionali sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali del 1966, la Convenzione sulla parità di retribuzione nel 1951… ).

Solo nel 1973, per entrare in vigore due anni e mezzo più tardi, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione internazionale sull’eliminazione e la repressione del crimine di apartheid, poi recepita e ampliata dallo Statuto di Roma del 1998, che ha regolato l’attività della Corte penale internazionale dell’Aja.

Ma ovviamente, poiché la definizione è stata plasmata sulla drammatica esperienza del segregazionismo in Sudafrica, la fattispecie in realtà si concentra sulla discriminazione basata sulla razza. Quello che sta avvenendo in Afghanistan, e, in modo diverso, in Iran e in aree specifiche di Paesi come il Sudan o la Siria, ha caratteristiche diverse: si tratta della negazione di decine di diritti essenziali in base alla semplice constatazione di essere nate donne.

La codificazione del crimine di apartheid di genere, di cui peraltro le attiviste afghane parlano da decenni, fin dal primo governo dei taleban degli anni Novanta, servirebbe a mettere in evidenza la sistematicità e la gravità della discriminazione che colpisce le ragazze e le donne in alcuni Paesi del mondo. « Non solo – interviene l’esperta Laura Guercio -: questo rafforzerebbe il quadro giuridico internazionale, consentendo indagini e azioni penali più efficaci. E ne gioverebbe la lotta per sradicare i regimi istituzionalizzati di oppressione».

Laura Guercio è un’avvocata, docente universitaria, già segretaria generale della Commissione interministeriale per i diritti umani alla Farnesina. Ora ha prestato la sua competenza al Cisda, lo “storico” Coordinamento che dal 1999 sostiene le donne afghane e che il 10 dicembre scorso ha lanciato una petizione per il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità. Gli elementi chiave della definizione proposta dal Cisda sono «la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione». Così come l’apartheid razziale, quello basato sul genere viene attuato con politiche che «escludono sistematicamente gli individui in base al genere dalla piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica, rafforzando le strutture di dominio».

La petizione del Cisda è stata accolta anche dal Parlamento italiano, grazie a una decisiva opera di sensibilizzazione di Laura Boldrini, deputata Pd e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo. Il 27 novembre scorso la Commissione esteri della Camera ha approvato all’unanimità una risoluzione, a prima firma Boldrini e sostenuta da tutto il gruppo del Pd, che impegna il governo ad appoggiare l’introduzione del reato di “segregazione di genere” nella convenzione sui crimini contro l’umanità in discussione all’Onu. «Con l’approvazione della nostra risoluzione – spiega Laura Boldrini -, l’Italia prende una posizione chiara e inequivocabile: la segregazione delle donne, la loro esclusione da qualsiasi forma di vita sociale, il divieto perfino di cantare, parlare e pregare in pubblico, diventi “crimine contro l’umanità” riconosciuto dall’Onu».

Il procuratore della CPI chiede mandati di arresto per due leader talebani in Afghanistan

Reuters, 23 gennaio 2025, di Stephanie van den Berg

L’AIA, 23 gennaio (Reuters) – Il procuratore della Corte penale internazionale ha dichiarato giovedì di aver richiesto mandati di arresto per due leader talebani in Afghanistan, tra cui il supremo leader spirituale Haibatullah Akhundzada, accusandoli di persecuzione di donne e ragazze.
In una dichiarazione rilasciata dall’ufficio del procuratore capo Karim Khan si afferma che gli inquirenti hanno trovato fondati motivi per ritenere che Akhundzada e Abdul Hakim Haqqani, che ha ricoperto la carica di giudice capo dal 2021, “abbiano la responsabilità penale per il crimine contro l’umanità di persecuzione per motivi di genere”.

Sono “penalmente responsabili della persecuzione delle ragazze e delle donne afghane… e delle persone che i talebani consideravano alleate delle ragazze e delle donne”, si legge nella dichiarazione.
Secondo il procuratore, in tutto l’Afghanistan si sono verificate persecuzioni almeno dal 15 agosto 2021, giorno in cui le forze talebane hanno conquistato la capitale Kabul, fino ad oggi.
Da quando il gruppo islamista è tornato al potere nel 2021, ha represso i diritti delle donne, tra cui limitazioni all’istruzione, al lavoro e all’indipendenza generale nella vita quotidiana.

I leader talebani non hanno rilasciato dichiarazioni immediate in merito alla dichiarazione del procuratore, accolta con favore dai gruppi che difendono i diritti delle donne.
Ora spetterà a un collegio di tre giudici della CPI pronunciarsi sulla richiesta di accusa, che non ha una scadenza stabilita. Tali procedure richiedono in media tre mesi.
È stata la prima volta che i procuratori della CPI hanno chiesto pubblicamente mandati di cattura per la loro indagine su potenziali crimini di guerra in Afghanistan, che risale al 2007 e un tempo includeva presunti crimini commessi dall’esercito statunitense in quel Paese.

PERSECUZIONE DELLE RAGAZZE
Khan ha affermato che il suo ufficio stava dimostrando il proprio impegno nel perseguire l’accertamento delle responsabilità per i crimini di genere e che l’interpretazione della sharia islamica da parte dei talebani non poteva essere una giustificazione per violazioni o crimini dei diritti umani.
“Le donne e le ragazze afghane, così come la comunità LGBTQI+, stanno affrontando una persecuzione senza precedenti, inaccettabile e continua da parte dei talebani. La nostra azione segnala che lo status quo per le donne e le ragazze in Afghanistan non è accettabile”, ha affermato il procuratore.

Zalmai Nishat, fondatore dell’ente benefico Mosaic Afghanistan con sede nel Regno Unito, ha affermato che se venissero emessi mandati di cattura della CPI, ciò potrebbe avere scarso impatto su Akhundzada, che raramente viaggia fuori dall’Afghanistan.
“Ma in termini di reputazione internazionale dei talebani, questo significa sostanzialmente una completa erosione della loro legittimità internazionale, se mai ne avessero una”, ha affermato.

TRIBUNALE IN CRISI
La mossa di Khan è avvenuta in un momento di crisi esistenziale presso il tribunale, istituito all’Aia nel 2002 per processare gli individui accusati di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione.
L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump sta preparando nuove sanzioni economiche nei suoi confronti per aver emesso un mandato di arresto nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per presunti crimini a Gaza.
Mosca ha risposto al mandato di cattura emesso dalla CPI nel 2023 contro il presidente russo Vladimir Putin, emettendo un proprio mandato di cattura per Khan.
Nonostante la recente serie di mandati di arresto di personaggi di alto profilo, le aule dei tribunali dell’Aia sono praticamente vuote e Khan è indagato per presunta condotta sessuale inappropriata sul posto di lavoro, cosa che lui nega.

La CPI non ha una forza di polizia e fa affidamento sui suoi 125 stati membri per effettuare arresti. Ma diversi stati membri europei hanno espresso dubbi sulla detenzione di Netanyahu e questa settimana l’Italia ha arrestato un sospettato della CPI, ma non è riuscita a consegnarlo .

[Trad. automatica]

Un cittadino afghano e due statunitensi sono stati liberati in uno scambio di prigionieri

Il Post. 21 gennaio 2025 Martedì gli Stati Uniti e il regime dei talebani in Afghanistan hanno reso noto uno scambio di prigionieri in cui due cittadini statunitensi detenuti in Afghanistan sono stati liberati in cambio di un cittadino afghano condannato e detenuto negli Stati Uniti per accuse di narcotraffico e terrorismo. Lo scambio è avvenuto anche grazie alla mediazione del Qatar.

Il primo cittadino statunitense liberato si chiama Ryan Corbett ed era stato arrestato in Afghanistan ad agosto del 2022 durante un viaggio di lavoro. Nelle prime ore di martedì la sua famiglia ha diffuso un comunicato in cui ringraziava sia l’amministrazione di Biden che la nuova di Trump. Il secondo prigioniero liberato si chiama William Wallace McKenty e di lui non si sa praticamente niente dato che la sua famiglia aveva chiesto per il suo caso estrema riservatezza.

Il cittadino afghano liberato si chiama Khan Mohammed: stava scontando l’ergastolo negli Stati Uniti dopo essere stato condannato nel 2008 per narcotraffico e terrorismo. Mohammed era stato arrestato mentre combatteva con i talebani in Afghanistan e poi estradato negli Stati Uniti, dove era stato condannato per l’accusa di aver gestito un carico di eroina e oppio che era diretto negli Stati Uniti. Secondo il tribunale il traffico di droghe in cui era coinvolto Mohammed aveva favorito le attività dei gruppi terroristici afghani: al tempo il dipartimento di Giustizia disse che si trattava della prima condanna negli Stati Uniti in base alle leggi sul narcoterrorismo.

ROJAVA: 10 ANNI DOPO KOBANE, MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE IN DIFESA DEL CONFEDERALISMO DEMOCRATICO. SABATO 25 GENNAIO PRESIDIO A MILANO

Radio Onda d’Urto, 21 gennaio 2025

L’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord-est (Daanes) e l’esperienza del confederalismo democratico sono sotto attacco. Da fine novembre – dall’inizio dell’offensiva con cui Hayat Tahrir al Sham ha rovesciato il regime di Assad e preso il potere a Damasco – il sedicente Esercito nazionale siriano, supportato dall’esercito turco, cerca di invadere i territori della rivoluzione confederale. Negli ultimi giorni, droni e caccia di Ankara hanno bombardato di nuovo la diga di Tishreen nonostante la presenza di un presidio di civili a supporto della resistenza armata della Forze siriane democratiche. Gli attacchi hanno causato almeno 10 morti tra i civili, decine di feriti.

Il 26 gennaio 2025 ricorre il decimo anniversario della liberazione della città di Kobane, simbolo della rivoluzione in Rojava, dopo 120 giorni di resistenza da parte delle Ypg e Ypj contro l’occupazione da parte di Daesh (Isis). In occasione di questa ricorrenza, e di fronte alla situazione attuale, il movimento di liberazione curdo ha chiamato alla solidarietà internazionale per difendere il Rojava e la sua esperienza rivoluzionaria rompendo il silenzio della comunità internazionale sui crimini commessi dallo stato turco.

A Milano, sabato 25 gennaio 2025 appuntamento alle ore 14 in piazza San Babile per il presidio “Defend Rèjava”.

Di seguito il comunicato di Rete Kurdistan Italia, Uiki Onlus e Associazione Confederalismo Democratico Kurdistan di Milano:

DEFEND ROJAVA

La Rivoluzione del Rojava, che ha dato vita a un modello di convivenza pacifica, democrazia diretta e autodeterminazione, è oggi in grave pericolo.

L’escalation di violenza provocata dall’offensiva dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), con il supporto della Turchia, minaccia l’esistenza stessa di questo progetto di speranza e libertà. Dopo la presa di Aleppo, l’SNA ha occupato Tal Rifaat e Shebah, costringendo circa 200.000 civili a fuggire dalle loro case.

La Turchia, con il suo sostegno a queste forze, sta attaccando non solo la popolazione curda, ma anche i valori di libertà, giustizia e parità che la Rivoluzione del Rojava ha incarnato.

La resistenza curda contro l’ISIS è stata un faro di speranza per la Siria e per il mondo intero. Ora, con l’intensificarsi delle violenze, è essenziale non abbassare la guardia. La fine del regime di Bashar al-Assad potrebbe aprire un nuovo capitolo per la Siria, ma affinché si costruisca una Siria inclusiva e democratica, è fondamentale difendere la Rivoluzione del Rojava e il diritto dei suoi popoli a partecipare attivamente alla sua rinascita.

10 anni fa, il 26 gennaio 2015, avveniva la liberazione di Kobane, città curdo-siriana strappata dalle milizie popolari curde dello YPG e dello YPJ all’ISIS, il sedicente Califfato Islamico, dopo oltre 134 giorni di resistenza, costata duemila vite tra le fila delle milizie di difesa popolare.

Invitiamo tutti gli amici del popolo curdo e della rivoluzione del Rojava a scendere in piazza per difendere il modello di democrazia diretta e coesistenza pacifica che ha preso vita in questa regione, e per denunciare l’aggressione in corso. La loro resistenza è stata la nostra speranza, ora la nostra resistenza è la loro speranza: la rivoluzione del Rojava non può essere distrutta.

Presidio

Sabato 25 gennaio 2025

Ore 14.00 – Piazza San Babila, Milano

Turchia, Erdogan tenta il dialogo con Ocalan per dividere i curdi in Siria ma in patria arresta i loro sindaci: 5 in pochi mesi

Il Fatto Quotidiano, 17 gennaio 2025, di Roberta Zunini

Nell’ultimo mese al leader del Pkk è stato permesso di ricevere le visite di parlamentari nella prigione di Imrali dove sconta l’ergastolo.

Mentre l’esercito turco bombarda i civili curdi a est della città siriana di Aleppo, uccidendo anche due giornalisti, il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan cerca – non è dato sapere se genuinamente o per dividere le milizie curde siriane del Ypg che hanno uno stretto legame con il Pkk – di dialogare con Abdullah Ocalan e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, offrendo la possibilità addirittura di toglierlo dalla lista delle organizzazioni terroristiche. E potrebbe non essere un caso che a Ocalan, dopo anni, sia stato permesso di ricevere per ben due volte nell’ultimo mese le visite di alcuni parlamentari nella isola-prigione di Imrali dove sta scontando l’ergastolo.

Intanto sul terreno, ogni giorno si fa sempre più fitta la lista dei sindaci – di etnia turca e curda – che vengono prelevati dal letto all’alba e arrestati. In queste ultime due settimane la lista si è allungata in modo impressionante. Il nome più influente è quello del primo cittadino del grande quartiere di Beşiktaş, a Istanbul. Rıza Akpolat è detenuto per 4 giorni con accuse tra cui “appartenenza a un’organizzazione criminale”, “offerta collusiva” e “arricchimento ingiusto”. Dopo un controllo medico, ieri è stato condotto davanti al tribunale di Çağlayan e oggi rilascerà una dichiarazione al pubblico ministero, che deciderà se deferirlo in tribunale o rilasciarlo.

L’arresto ha scatenato una protesta di fronte alla sede municipale. Özgür Özel, leader del maggior partito di opposizione, il repubblicano laico Chp, il sindaco della municipalità metropolitana di Istanbul Ekrem İmamoğlu, anch’egli del Chp, il sindaco di Ankara Mansur Yavaş, assieme ai sindaci di altre province e ad altri dirigenti del Chp hanno manifestato di fronte al palazzo municipale di Beşiktaş. Anche il presidente provinciale del Chp di Istanbul Özgür Çelik ha invitato la popolazione a partecipare alla protesta. Nei giorni precedenti era stata la volta dei copresidenti del comune distrettuale di Akdeniz della provincia di Mersin, Hoşyar Sarıyıldız e Nuriye Arslan, e i membri dell’assemblea comunale Özgür Çağlar, Hikmet Bakırhan e Neslihan Oruç del Partito per l’uguaglianza e la democrazia dei popoli (DEM) – evoluzione del partito filo curdo democratico dei Popoli Hdp – che sono stati arrestati durante le retate della polizia.

⁠ La repressione non conosce soste. L’ufficio del procuratore capo di Mersin, città costiera del sud est, ha avviato un’indagine per “propaganda di un’organizzazione terroristica“, “appartenenza a un’organizzazione terroristica armata”, “violazione della legge sulla prevenzione del finanziamento del terrorismo” e “opposizione alla legge n. 2911 su riunioni e dimostrazioni”. Cinque persone sono state arrestate mentre la polizia ha effettuato una perquisizione anche nel comune di Akdeniz. L’agenzia Mezopotamya ha riferito che c’è un ordine di segretezza sul fascicolo.

Alle elezioni locali tenutesi il 31 marzo 2024, il partito Dem ha vinto con il 36,92% dei voti nel distretto di Akdeniz della provincia di Mersin (47 mila 843 voti). “La polizia ci ha impedito di entrare in comune di Akdeniz – ha raccontato Ali Bozan, parlamentare Dem di Mersin -, affermando che il governo ha nominato un fiduciario per gestire il comune. La nomina di fiduciari a posizioni elettive è un’usurpazione, un furto alla volontà del popolo”. “Abbiamo vinto il comune di Akdeniz alle elezioni locali del 31 marzo in seguito alla libera decisione di decine di migliaia di persone . ha aggiunto Bozan su X -. Oggi, vogliono nominare un fiduciario governativo al posto di quella volontà. Invitiamo tutti coloro che in questa città sono dalla parte della giustizia di fronte all’edificio municipale alle 10”.

L’Associazione medica turca (Ttb) ha affermato che la nomina di fiduciari governativi presso i comuni è “un segno che sia il diritto di voto che quello di candidarsi alle elezioni vengono deliberatamente e costantemente ignorati e che il sistema giudiziario viene utilizzato come arma in linea con gli interessi politici del governo”. La dichiarazione prosegue con queste parole: “Ricordiamo ancora una volta che è impossibile lavorare per la salute o la scienza senza un ambiente democratico e pacifico; e invitiamo l’autorità politica a rispettare il diritto di voto e di candidarsi alle elezioni e la volontà del popolo”.

Dalle elezioni locali del 31 marzo 2024, sono stati già nominati i fiduciari governativi in ​​5 municipalità governate dal partito Dem e 2 dal Chp. Mehmet Sıddık Akış, sindaco Dem di Hakkari, è stato licenziato il 3 giugno e al suo posto è stato nominato un fiduciario governativo. Il 30 ottobre è stata la volta di Ahmet Özer, sindaco del CHP del distretto di Esenyurt. Il 4 novembre, il sindaco metropolitano di Mardin Ahmet Türk, quello di Batman Gülistan Sönük e quello del distretto di Halfeti della provincia di Şanlıurfa Mehmet Karayılan sono stati rimossi dai loro incarichi. Il 22 novembre è toccato al sindaco di Dersim Cevdet Konak (Dem) e a quello di Ovacık Mustafa Sarıgül (Chp).

Oggi la Turchia è di fatto un ologramma della democrazia che avrebbe voluto essere: non ha mai raggiunto la piena maturità da quando venne fondata da Kemal Atarurk un secolo fa sulle ceneri del dissolto impero Ottomano.

 

Cosa può fare per l’economia l’investimento nell’istruzione femminile

Harry Anthony Patrinos, The Conversation, 3 gennaio 2025

Dopo la caduta dei Talebani dal potere in Afghanistan nel 2001, alle donne è stato nuovamente permesso di andare a scuola, dopo il divieto del 1996. Insieme all’esperto di istruzione della Banca Mondiale Raja Bentaouet Kattan e all’economista dell’American University Rafiuddin Najam, ho analizzato i benefici economici di questo cambiamento sociale utilizzando i dati delle indagini sulla forza lavoro e sulle famiglie condotte in Afghanistan nel 2007, 2014 e 2020. Abbiamo scoperto che i benefici sono enormi.
Dopo la caduta dei Talebani, le opportunità di istruzione sono aumentate a tutti i livelli. Il tasso di mortalità infantile si è dimezzato e il reddito nazionale lordo pro capite è quasi triplicato in termini reali di potere d’acquisto, passando da 810 a 2.590 dollari.
Gran parte del progresso economico del Paese in questo periodo può essere attribuito alle donne. Mentre il rendimento medio complessivo degli investimenti nell’istruzione rimane basso in Afghanistan, è elevato per le donne. Ad esempio, per ogni anno di scolarizzazione in più ricevuto da una donna, il suo reddito aumenta del 13%. Questo dato è superiore alla media globale del 9% per il ritorno sugli investimenti nell’istruzione.

Perché è importante?

A vent’anni dalla fine del primo divieto di istruzione femminile, i Talebani hanno ripreso il potere nel 2021 e hanno nuovamente imposto il divieto alle ragazze e alle donne di frequentare la scuola dopo la prima media.

Il costo economico potrebbe superare il miliardo di dollari, senza contare i costi sociali più ampi associati ai bassi livelli di istruzione delle donne. Per avere un’idea, l’intero prodotto interno lordo dell’Afghanistan nel 2023 era di soli 17 miliardi di dollari.

Il nostro studio dimostra quanto il più recente divieto di istruzione possa essere catastrofico, non solo per le donne, ma per l’intero Paese.

Come abbiamo svolto il nostro lavoro

La ricerca sul ritorno economico della scolarizzazione, soprattutto per le donne, è limitata all’Afghanistan. Tuttavia, tali dati sono fondamentali per comprendere le perdite economiche che un Paese subisce quando alle donne viene negato l’accesso all’istruzione e alle opportunità di lavoro.

Il nostro studio ha cercato di colmare questa lacuna quantificando come sono cambiati i guadagni in risposta a un anno aggiuntivo di scolarizzazione. Abbiamo esaminato cosa è successo tra il 2004, quando il governo ha esteso l’istruzione obbligatoria per uomini e donne dalla sesta alla nona classe, e il 2020.

I nostri risultati suggeriscono che il costo dell’esclusione delle donne dall’istruzione e dal lavoro è significativamente più alto di quanto stimato in precedenza. Secondo la nostra ricerca, l’Afghanistan rischia di perdere oltre 1,4 miliardi di dollari all’anno. Ciò equivale a una diminuzione del 2% del reddito nazionale.

Cosa c’è dopo?

Tra i ricercatori è diffusa la convinzione che investire nell’istruzione femminile abbia un impatto maggiore di quello di ogni singola donna. Offre, infatti, benefici economici e sociali che possono durare per generazioni. Tra questi vi sono tassi di frequenza scolastica più elevati e un miglioramento della salute dei figli.

Ulteriori ricerche potrebbero esaminare i benefici sociali dell’istruzione femminile in Afghanistan tra il 2001 e il 2021, oltre ai benefici economici. In futuro, si potrebbero condurre studi per valutare l’impatto della scolarizzazione sulle comunità, esaminando se gli investimenti nell’istruzione femminile interrompono i cicli di povertà intergenerazionali, migliorano la salute pubblica e riducono le disuguaglianze, creando un effetto moltiplicatore.

Ogni giorno in più in cui persiste il divieto di istruzione femminile, le generazioni restano indietro, le perdite si aggravano e i sogni di milioni di bambini e donne imprenditrici diventano sempre più irraggiungibili.

Il Research Brief è una breve sintesi di un interessante lavoro accademico.

 

Le donne di Herat sfidano le restrizioni dei talebani imparando a guidare

Muzhda Mohammadi, Rukshana Media, 7 gennaio 2025

Nell’aria fredda del mattino di Herat una giovane donna è seduta al volante e impara a guidare sulle strade tranquille e appartate della periferia della città, lontano dalla vista dei talebani.

Si sta esercitando alla guida con un gruppo di donne che non stanno solo acquisendo un’abilità, stanno segretamente combattendo contro un tabù culturale e le restrizioni che impediscono alle donne di guidare imposte dai talebani.

Feriba*, 19 anni, ha iniziato a insegnare alle donne a guidare sette mesi fa. Riconosce i rischi e le potenziali conseguenze di essere punite se scoperte, ma è determinata ad aiutare le donne a realizzare il loro potenziale.

“Il mio lavoro è segreto e i talebani non sono a conoscenza di queste lezioni. Ho assunto il rischio di tenere queste sessioni, niente può ridurre la mia motivazione a realizzare i miei sogni”, afferma.

Secondo fonti di Herat, i talebani hanno smesso di rilasciare patenti di guida alle donne tre anni fa. All’epoca a Herat esistevano almeno quattro scuole guida per le donne, che potevano ottenere la patente di guida senza problemi.

Nell’agosto 2021, quando l’Afghanistan cadde nelle mani dei talebani, anche il mondo di Feriba crollò. Era una studentessa dell’undicesimo anno e un’atleta di taekwondo. Poi i talebani vietarono alle ragazze di andare al liceo e di praticare sport.

Costretta a casa, privata dell’istruzione e del tempo libero, Feriba iniziò a soffrire di una profonda depressione.

“Quando mi è stata negata la possibilità di andare a scuola e di lavorare, ho sentito come se tutto fosse scomparso senza un senso. Ero sconvolta, gravemente depressa e sono diventata una reclusa”, dice.

“Ero sempre nella mia stanza. Quelle condizioni mi erano molto dure da sopportare”.

Feriba racconta che, grazie al sostegno della sua famiglia, in particolare del padre, è riuscita a superare la depressione e l’autoisolamento iniziando a guidare.

“Mio padre mi ha suggerito che invece di essere depressa e confusa a causa della scuola e del lavoro, sarebbe stato meglio per me imparare a guidare”, racconta.

E così, Feriba usciva ogni giorno di casa con suo padre nella sicurezza della macchina, mentre lui le insegnava a guidare finché non si sentiva sicura di saperlo fare da sola.

Diffondere la gioia della guida

Feriba ha ora portato lo stesso balsamo ad altre. Tiene in segreto un corso teorico di meccanica automobilistica e regole stradali. Dice che 35 donne hanno già completato il suo corso e ora altre cinque lo fanno.

Le donne che imparano a guidare lo vedono anche come una porta verso un potenziale impiego.

“L’entusiasmo delle donne di Herat nell’imparare a guidare è molto alto”, afferma Feriba.

Tuttavia, l’impresa non è esente da sfide.

“Purtroppo, su questo difficile cammino, ci sono persone che non vogliono i progressi delle donne, quindi informano i talebani e ci creano problemi”, dice.

Ma nonostante le minacce, non si arrende. Nel tempo libero, guida per le strade di Herat e accompagna la sua famiglia in vari luoghi con la loro auto personale.

Tuttavia, afferma che le donne alla guida vengono solitamente fermate dalle forze talebane in città e interrogate sul loro hijab.

“Le donne e le ragazze di Herat di solito indossano lunghi chador e osservano l’hijab. Ma da quello che ho visto e sentito, diverse volte le mie amiche e colleghe sono state molestate dai talebani a causa del loro abbigliamento”, dice.

“Il motivo principale delle molestie sembra essere il loro aspetto: quelle attraenti vengono immediatamente fermate e, a volte, viene persino impedito loro di guidare.”

Herat è una delle poche città in cui si possono ancora vedere per le strade donne alla guida nonostante i talebani al governo.  Ma anche prima del ritorno dei talebani nel 2021, era una delle poche province in cui questa pratica era accettata.

In altre parti dell’Afghanistan, la maggior parte delle donne è ancora privata dei propri diritti fondamentali e non è autorizzata a uscire di casa senza un tutore uomo.

Normalizzare le donne al volante

Yaganah Mohammadi, 25 anni, insegna guida e vorrebbe che la vista di donne al volante diventasse una cosa normale per aiutare a “ridurre le restrizioni sulle donne”.

Aveva imparato a guidare e aveva preso la patente prima che i talebani prendessero il potere. Ma non è del tutto a suo agio: tiene le portiere dell’auto chiuse a chiave e non abbassa mai i finestrini. Si stringe il velo intorno al viso.

Afferma che quando è al volante, indipendentemente da ciò che fa, alcuni uomini iniziano a fischiare, a suonare il clacson senza motivo o a molestare.

“Sono stata molestata più volte mentre guidavo e ho anche avuto discussioni e scontri con i molestatori. A volte, se un posto di blocco è vicino, informo gli ufficiali talebani”, dice.

Sostiene che questa arretratezza culturale nella provincia di Herat ha portato sempre meno donne a sedersi al volante, per paura o a causa dell’opposizione delle loro famiglie, come è successo a molte delle sue amiche che un tempo guidavano.

Yagana afferma che invece la sua famiglia la sostiene, motivo per cui non ha smesso nonostante la paura dei talebani e le molestie sociali.

“Guidare non è un compito difficile per le donne e le ragazze, e attualmente molte donne possiedono un’auto. In assenza di scuole guida a Herat, insegno guida alle donne e loro possono guidare senza problemi, anche senza avere la patente.

“Mentre guido, spesso trovo il sostegno delle donne e delle ragazze di Herat che mi dicono con desiderio: ‘Vorrei saper guidare come te’.

“A volte, quando vedo una donna anziana ferma per strada senza un risciò o altri mezzi di trasporto disponibili, la lascio salire in macchina e la porto dove deve andare.”

Laila Habibi*, 28 anni, guida da otto anni. Si riprende mentre guida per andare al lavoro presso un’agenzia di stampa di Herat e condivide il filmato sui social media.

“Credo che mostrare una donna alla guida possa convincere altre donne a capere che una donna può avere il controllo della propria vita e la propria indipendenza. Può guidare e perseguire il lavoro che desidera, e svolgerlo con successo”, afferma Laila.

“Quando guido, spesso mi imbatto in sguardi strani da parte delle persone e, secondo me, questo sguardo è inquietante per qualsiasi donna che guida a Herat.”

Un segno di forza

Poiché le donne che imparano a guidare non hanno più la possibilità di ottenere una patente valida, circolare per strada comporta alcuni rischi.

Lida* è rimasta coinvolta in un incidente stradale con un veicolo a tre ruote e il conducente ha cercato di ricattarla, sapendo che non aveva la patente.

“Ha cercato di estorcermi 20.000 afghani (285 dollari) e ha minacciato di contattare il Dipartimento del traffico dei talebani. Tuttavia, dopo aver incontrato la resistenza della gente, ha fatto marcia indietro ma sono stata costretta a pagargli 400 afghani (5,50 dollari)”, racconta.

Tuttavia, le insegnanti di guida ritengono che valga la pena correre il rischio. Laila incoraggia donne e ragazze a non complicare ulteriormente la loro situazione restando a casa. Le esorta a sfruttare ogni opportunità che riduca le restrizioni che devono affrontare.

“La nostra presenza nella società è un segno della nostra forza. Nella situazione attuale, in cui le restrizioni hanno creato sofferenze per le donne, non dovremmo peggiorare le cose restando a casa”, afferma.

“Invece, dovremmo concentrarci sui nostri obiettivi in ​​modo da non perdere le opportunità di progresso. Secondo me, anche un piccolo sforzo può motivarci a lavorare di più e a creare un futuro migliore per noi stessi”.

Nota*: i nomi sono stati cambiati per motivi di sicurezza.