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Autore: CisdaETS

Sotto assedio. Intervista ai Co-presidenti del Campo profughi Martyr Rustem Cudi di Maxmur

Città futura, 10 agosto 2025, di Carla Gagliardini

Il Campo profughi Martyr Rustem Cudi di Maxmur (Iraq), abitato da famiglie curde fuggite negli anni novanta dal Bakur, ossia dal Kurdistan del nord situato nella parte meridionale della Turchia, a causa della distruzione dei loro villaggi e città da parte del governo di Ankara, vive nuovamente dei momenti di forte tensione. Criminalizzato dalla Turchia, dal KDP (Partito democratico del Kurdistan) e dal governo centrale iracheno per essere strettamente legato al PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), dal 2021 ciclicamente viene minacciato da Baghdad che invia il suo esercito nel tentativo di circondarlo con il filo spinato e erigendo torrette per il controllo pervasivo dei suoi abitanti.

Dopo il 2021 il governo iracheno ci aveva riprovato a maggio del 2023 e adesso di nuovo. Il 5 agosto infatti i militari iracheni si sono presentati alle porte del Campo con tutto il necessario per isolarlo e chiuderlo ermeticamente, ma per ora l’incontro tra i rappresentanti del Martyr Rustem Cudi e del governo ha evitato che il piano venisse portato a buon fine.

Che la situazione tra il governo e il Campo fosse in rapido peggioramento si era capito già ad Aprile, quando il primo aveva deciso di mettere sotto embargo il campo, il quale dal 2019 è sottoposto anche a quello del Kurdistan iracheno. Una delegazione di cinque rappresentanti era partita da Maxmur per incontrare il Ministro della Giustizia a Baghdad ma tre di loro, sulla strada del ritorno, sono stati fermati e incarcerati.

I Co-presidenti del Campo, Fatma Bilen e Edban Abudullah Yilma, hanno così descritto gli avvenimenti.

1. Quando e come è peggiorata la situazione nel Campo di Maxmur?

Il Campo di Maxmur è stato sottoposto a continui attacchi, embarghi e blocchi durante questi 31 anni in cui è stato riconosciuto come campo di rifugiati. Dopo l’assassinio a Erbil nel 2019 di un ufficiale del Mit (servizi segreti turchi, ndr), senza alcuna motivazione il governo regionale del Kurdistan, guidato da Barzani, ha imposto un embargo al Campo, sponsorizzato dallo Stato turco. La libertà di movimento dei residenti verso la regione del Kurdistan è stata completamente vietata e questa situazione si protrae da anni. Questo divieto ha fatto sì che centinaia di giovani perdessero l’accesso all’istruzione universitaria e centinaia di lavoratori che lavoravano nelle città del Kurdistan meridionale (il Bashur, attuale Kurdistan iracheno, ndr) per sostenere le proprie famiglie sono stati espulsi.

Inoltre, ci sono molte persone con malattie croniche che non possono essere curate, molte delle quali hanno perso la vita a causa di gravi patologie.

In aggiunta, dal 10 aprile 2025, senza fornire alcuna motivazione, il Campo è stato sottoposto a embargo e blocco da parte del governo centrale iracheno. I materiali da costruzione non possono entrare, creando un impatto molto negativo sugli abitanti. Invece di fare l’embargo e il blocco, il governo iracheno è tenuto a rispettare l’articolo 51 della Legge sull’asilo del 1971, che riconosce il diritto all’asilo politico e i diritti ad esso connessi. Purtroppo, si comporta in modo opposto e fa tutto il possibile per mettere gli abitanti del Campo in situazioni ancora più difficili. Il governo iracheno e i suoi partner, come lo Stato turco, vogliono inasprire ulteriormente questo blocco.

2. Con quale accusa sono stati arrestati i tre membri del Consiglio del Campo che si erano recati a Baghdad per discutere con il governo della situazione creatasi?

Ci hanno solo detto che i documenti d’identità erano stati sequestrati. Con l’arresto dei tre membri del Consiglio del Campo hanno cercato di distruggere la volontà del popolo, la sua lingua, la sua cultura e la sua identità. Questo è illegale e le autorità competenti non dimostrano di voler risolvere la questione.

Il 13 maggio 2025, su richiesta ufficiale del Ministero della giustizia iracheno, Khaled Shwani, una delegazione di cinque persone, in rappresentanza del Campo, si era recata al Ministero per confrontarsi sulla situazione e sui diversi problemi che ci sono.

La delegazione doveva discutere le questioni relative ai residenti del Campo e alla loro registrazione, oltre ad altri problemi generali. Dopo aver completato l’incontro, il 14 maggio 2025, era partita per tornare al Campo ma, una volta lasciata Baghdad, è stata arrestata e trasferita in una località sconosciuta. La detenzione era illegale e non aveva nulla a che fare con le leggi e i regolamenti iracheni; si può solo affermare che fosse arbitraria. Dopo 37 giorni di arresto, è stata rilasciata. Questo episodio dimostra ancora una volta e chiaramente il trattamento abusivo riservato alla nostra popolazione.

3. Qual è la situazione attuale? Il governo ha fatto qualcosa per migliorare la situazione a Maxmur?

Non c’è stato alcun cambiamento nell’approccio, ora ci sono molti problemi con l’ingresso e l’uscita dal Campo e nei cantieri. Ci sono tante difficoltà e nessun cambiamento visibile è stato apportato. Da circa tre anni, i documenti d’identità dei residenti e delle residenti del Campo sono scaduti e non vengono rinnovati. Questo ha determinato una situazione di “prigionia” delle persone per giorni, a volte mesi, e le ha costrette ad affrontare molte difficoltà. I documenti d’identità non vengono rinnovati dal governo iracheno.

4. Quale pressione esercita lo Stato turco sul governo e sui rifugiati?

Lo Stato turco sta facendo pressione sia sul governo regionale del Kurdistan sia sul governo iracheno affinché sgomberino il Campo. Questo è chiaro ed evidente. Oltre a queste pressioni, la Turchia nel corso degli anni ha sorvolato il Campo con i suoi droni decine di volte e l’ha attaccato, causando la morte di molti dei nostri civili, donne, bambini e uomini. La ragione delle incursioni turche è legata al comportamento dell’ONU. Dal 1994, il Campo è sotto l’egida delle Nazioni Unite che però non adempiono ai loro doveri umanitari nei confronti della popolazione residente. Ciò consente allo Stato turco e al governo iracheno di aumentare la pressione su di noi. Stanno facendo tutto il possibile per sgomberare il Campo.

5. Per quanto riguarda il processo di pace in corso in Turchia avviato con l’appello di Abdullah Öcalan “Per la pace e una società democratica”, avete mai visto cambiamenti nel KDP che supportino questo processo, anche nei confronti del Campo di Maxmur?

Purtroppo non si sono osservati cambiamenti significativi nell’approccio del KDP verso il Campo. La situazione di embargo e blocco persiste. Il campo profughi di Maxmur è parte del processo di pace avviato in Turchia. Sia il KDP che l’Iraq devono cambiare la loro posizione nei confronti della popolazione del Campo.

6. Qual è la vostra previsione rispetto al processo di pace in corso in Turchia e che tipo di impatto, positivo o negativo, pensate possa avere sul Campo?

Noi, come popolazione del Campo, non nascondiamo di avere delle aspettative dal processo di pace. La pace sarà raggiunta, i diritti del popolo curdo saranno garantiti dalla Costituzione turca, la guerra in corso sarà fermata e arriverà finalmente la pace in Turchia.

Senza dubbio, se questo processo avrà successo, la popolazione del Campo ne beneficerà enormemente. Il fatto che il Campo sarà vuoto sarà il risultato positivo di questo processo. La popolazione tornerà ai propri luoghi e alle proprie terre e si libererà dalla pressione e dall’oppressione delle forze locali. Ma se il processo di pace non dovesse andare a buon fine, la guerra diventerà ancora più feroce, ancora più intensa e i sogni legati al giorno del ritorno saranno resi vani.

7. Considerata la recente situazione generale in Medio Oriente, ritenete che il campo di Maxmur sia stato o sarà interessato dagli avvenimenti? Perché?

Certamente i cambiamenti in Medio Oriente stanno influenzando e plasmando anche il Campo di Maxmur.

Attualmente in Medio Oriente è in corso una guerra il cui centro è il Kurdistan. Ci sono attacchi al popolo curdo da tutte le parti. Non è possibile separare il Campo dai processi che si stanno sviluppando nella regione.

L’incompetenza del governo iracheno consente alle forze straniere di intervenire sul suo suolo e lo Stato turco, che ha occupato completamente il territorio del Kurdistan meridionale, sta saccheggiando il Kurdistan. Questo fa sì che le sue pressioni sull’Iraq e sulla regione aumentino. Inoltre, le pretese della Turchia di stringere la morsa intorno al Campo accrescono. Si può affermare che sia stato raggiunto un accordo tripartito per smantellare il Campo di Maxmur.

Di fronte a tutti questi attacchi, nessuna negazione, distruzione, occupazione, embargo o detenzione potrà reprimere la volontà del popolo del Campo di Maxmur. Se il processo di pace avviato dal leader APO (Abdullah Öcalan, ndr) avrà successo, la pace prevarrà in Medio Oriente. La negazione e la distruzione perpetrate contro il popolo curdo per anni giungeranno al termine. Tutta l’umanità vivrà insieme sulla base della fratellanza dei popoli e i problemi saranno risolti attraverso il dialogo. Ciò avrà un impatto positivo sull’intero Medio Oriente e ovviamente sui profughi del Campo di Maxmur.

A seguito dell’ultimo tentativo di assedio del Campo di pochi giorni fa, Murat Karayılan, Comandante dell’HPG (Forze di difesa del popolo), l’ala armata del PKK, intervistato da Sterk TV, si è rivolto al Presidente dell’Iraq, il curdo Abdul Latif Rashid, esortandolo a intervenire per porre fine ai tentativi di assedio. Ha poi dichiarato che il popolo di Maxmur resisterà, così come ha fatto di fronte all’avanzata dell’Isis il 6 agosto del 2014, e ha aggiunto che l’HPG è pronto a intervenire a difesa del Campo.

Anche Öcalan si è rivolto al popolo di Maxmur attraverso un messaggio inviato l’8 agosto con il quale l’ha definito la spina dorsale della battaglia passata e, guardando al processo di pace che sta conducendo, di quella futura.

Maxmur resiste, come ha sempre fatto, nella speranza che il processo avviato in Turchia per la costruzione della democrazia nel paese e il riconoscimento dei diritti dei popoli che la abitano possa finalmente porre fine a un conflitto che ha segnato generazioni di curdi.

Resistenza Femminile in Afghanistan: Le Donne Sfida ai Talebani per i Diritti e l’Istruzione

EDU news24, 16 agosto 2025

La lotta clandestina delle attiviste afghane della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan per i diritti e l’emancipazione femminile sotto il regime talebano

Resistenza Femminile in Afghanistan: Le Donne Sfida ai Talebani per i Diritti e l’Istruzione

Indice
1. Introduzione: Il contesto attuale in Afghanistan
2. Il ritorno dei talebani e la condizione delle donne
3. La nascita e il ruolo della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan
4. Strategie e rischi: la vita delle attiviste afghane
5. I corsi segreti per l’istruzione delle donne a Kabul
6. Impatto sociale ed educativo della resistenza femminile
7. La reazione dei talebani e della società afghana
8. Confronto con il passato: cosa è cambiato dal 2021
9. La sfida della sicurezza e la lotta contro l’anonimato
10. L’importanza della solidarietà internazionale
11. Testimonianze di coraggio: le voci delle attiviste
12. Prospettive future per i diritti delle donne in Afghanistan
13. Sintesi e considerazioni finali

Introduzione: Il contesto attuale in Afghanistan
A distanza di quattro anni dal ritiro delle truppe statunitensi, l’Afghanistan vive una stagione di profonde trasformazioni e criticità. Sotto il rigido controllo dei talebani, la popolazione femminile si è trovata privata di diritti fondamentali e di qualsiasi forma di emancipazione. Tuttavia, è proprio in questo contesto ostile che si sta sviluppando un movimento di resistenza femminile che sfida apertamente il regime: la Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA).

Il ritorno dei talebani e la condizione delle donne
Il ritorno dei talebani al potere nell’agosto 2021 ha segnato un notevole passo indietro nella condizione delle donne afgane. Con l’introduzione di leggi restrittive e un clima di paura costante, le donne hanno visto annullati diritti che faticosamente avevano conquistato. La vita quotidiana delle donne sotto i talebani è scandita da limitazioni severe:

– Divieto di frequenza scolastica e universitaria per ragazze e donne
– Restrizioni su abbigliamento e libertà di movimento
– Esclusione dalla quasi totalità delle professioni
– Obbligo di accompagnamento maschile per uscite pubbliche
Questi provvedimenti hanno imposto un regime di oppressione che tenta di ridurre il ruolo delle donne ad un’esistenza relegata tra le mura domestiche, negando qualsiasi possibilità di autodeterminazione.

La nascita e il ruolo della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan
Nel buio imposto dalle nuove forzate direttive talebane, la RAWA è stata ricostituita nella capitale Kabul. Fondata già negli anni Ottanta come risposta alle guerre e alle ingiustizie di genere, l’associazione ha ora riassunto un ruolo centrale nella resistenza femminile in Afghanistan. L’obiettivo principale del movimento è quello di restituire dignità e diritti alle donne, promuovendo la consapevolezza sociale e combattendo ogni forma di discriminazione e violenza di genere.

La RAWA rappresenta oggi un baluardo essenziale per i diritti delle donne afghane, fungendo da punto di riferimento per tutte coloro che desiderano istruirsi, emanciparsi e contribuire in modo attivo alla trasformazione della società.

Strategie e rischi: la vita delle attiviste afghane
Le attiviste della RAWA si trovano costantemente ad affrontare pericoli concreti. Operano nell’anonimato, costrette a utilizzare nomi falsi e a cambiare spesso domicilio per sfuggire ai controlli dei talebani. Questa strategia è diventata essenziale non solo per la loro sicurezza personale, ma anche per tutelare le donne che partecipano alle attività dell’associazione.

Le forme di persecuzione variano dalle semplici minacce verbali a veri e propri arresti, passando per intimidazioni sociali e violenze fisiche. Nonostante ciò, le attiviste continuano a rischiare la loro vita pur di mantenere accesa la fiamma della speranza per migliaia di donne afgane.

I corsi segreti per l’istruzione delle donne a Kabul
Uno degli strumenti principali della resistenza femminile guidata dalla RAWA sono i corsi segreti di educazione, organizzati per donne e ragazze nella città di Kabul. Queste lezioni, dal carattere clandestino, durano una o due ore e si svolgono per cinque giorni alla settimana.

Durante questi incontri, le partecipanti hanno la possibilità di apprendere:

– Nozioni di base di lettura, scrittura e matematica
– Storia dei diritti delle donne e delle lotte femminili nel mondo
– Elementi di autodifesa e consapevolezza dei propri diritti legali
– Competenze nel settore digitale, che rappresentano spesso l’unica finestra di dialogo con il mondo esterno
Questi corsi non sono semplici momenti di apprendimento: rappresentano veri e propri atti di resistenza civile, simboli di un futuro possibile in cui la donna afgana possa tornare ad essere protagonista nella società. Il passaparola e l’utilizzo di codici segreti sono strumenti indispensabili per evitare i controlli delle autorità talebane.

Impatto sociale ed educativo della resistenza femminile
L’impegno della RAWA e delle attiviste ha un impatto non solo sulle singole partecipanti, ma anche sull’intera società afghana. L’istruzione, infatti, è il motore principale del cambiamento sociale e della ridefinizione dei ruoli di genere.

I risultati, seppur ancora perlopiù invisibili, si riflettono su diversi livelli:

– Aumento della consapevolezza personale e collettiva tra le donne
– Formazione di una rete di mutuo aiuto tra partecipanti e attiviste
– Contrasto all’isolamento e alla marginalizzazione imposti dal regime talebano
– Risveglio di una coscienza critica che getta le basi per future mobilitazioni
In questo modo, i corsi segreti contribuiscono lentamente ma con costanza a scardinare le fondamenta del sistema talebano, promuovendo valori di uguaglianza, rispetto e autodeterminazione.

La reazione dei talebani e della società afghana
I talebani, pur rafforzando controlli e misure restrittive, sembrano al momento incapaci di arginare completamente queste iniziative. Alcuni elementi della società afghana, soprattutto tra le nuove generazioni, osservano con interesse e ammirazione la tenacia delle donne resistenti.

Non mancano tuttavia ostilità e tradimenti. La denuncia da parte di vicini o parenti, anche involontaria, può portare a pesanti conseguenze per le partecipanti ai corsi e per le organizzatrici. Il rischio di infiltrazioni e di delazioni è costante, rendendo necessaria una continua vigilanza e una solida fiducia reciproca tra le donne coinvolte.

Confronto con il passato: cosa è cambiato dal 2021
Rispetto al 2021, l’Afghanistan appare ora più isolato e carente di sostegno internazionale. Tuttavia, la determinazione delle donne e la capacità di adattamento della resistenza femminile sono notevolmente cresciute. Si è infatti consolidata una consapevolezza collettiva del valore dell’istruzione come strumento cardine per cambiare lo status quo.

La differenza sostanziale rispetto a periodi precedenti è dati da fattori come:

Maggiore conoscenza delle tecniche di sicurezza digitale
– Espansione delle reti clandestine e dei canali di informazione indipendenti
– Incremento delle attività di advocacy e pressione mediatica internazionale

La sfida della sicurezza e la lotta contro l’anonimato
La sicurezza rimane la principale priorità. Ogni spostamento, ogni incontro, ogni comunicazione deve essere pianificata nei minimi dettagli per evitare spiacevoli conseguenze. Le attiviste della RAWA non possono mai permettersi di abbassare la guardia e spesso la loro stessa famiglia ignora il loro vero impegno.

L’uso di identità fittizie, l’abbandono frequente dei luoghi di residenza e l’adozione di comportamenti mimetici diventano strumenti indispensabili di sopravvivenza. Questo comporta costi psicologici elevati, fatti di solitudine, senso di precarietà e paura costante.

L’importanza della solidarietà internazionale
L’appoggio della comunità internazionale è fondamentale per il successo della resistenza femminile in Afghanistan. Le organizzazioni per la difesa dei diritti delle donne e numerose ONG hanno lanciato campagne di sostegno, fornendo fondi, materiali didattici e visibilità alle lotte delle donne afghane.

Tuttavia, le pressioni politiche e l’attenzione dei media internazionali restano intermittenti. È urgente che la questione dei diritti delle donne in Afghanistan torni al centro dell’agenda globale, con azioni concrete di supporto e di denuncia delle violazioni.

Testimonianze di coraggio: le voci delle attiviste
Numerose attiviste hanno scelto di condividere, anche sotto anonimato, le loro storie. Racconti di paura, ma anche di speranza, che danno voce ad una generazione di donne decise a non arrendersi. Ecco alcune delle loro testimonianze:

– “Nonostante la paura, ho deciso di restare a Kabul e aiutare le ragazze che non hanno altra scelta. Vogliamo che le nostre figlie abbiano un futuro diverso.”

– “Spesso mi guardo alle spalle, ma so che il mio coraggio può fare la differenza anche per una sola ragazza che tornerà a studiare.”

– “Il nostro sapere è la nostra libertà. Nessun regime potrà cancellare la voglia di imparare delle donne afghane.”

Queste voci, raccolte attraverso canali protetti, dimostrano la forza straordinaria della resistenza femminile afgana.

Prospettive future per i diritti delle donne in Afghanistan
Il futuro dei diritti delle donne resta incerto, ma le basi poste dalla RAWA e dalle altre associazioni sono solidi punti di partenza. L’espansione delle attività educative, la formazione di nuove leader e la costruzione di reti sempre più capillari sono le priorità per uscire dalla clandestinità ed ottenere progressi duraturi.

Fondamentale sarà la pressione esercitata dalla società civile e dalla comunità internazionale, affinché i talebani vengano costretti a rivedere le proprie posizioni sulle libertà fondamentali delle donne.

Sintesi e considerazioni finali
La resistenza femminile in Afghanistan, rappresentata emblematicamente dalla Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, costituisce un esempio luminoso di coraggio, resilienza e tenacia. In un paese dove il controllo talebano sembra aver spento ogni possibilità di emancipazione, le donne afghane dimostrano che l’istruzione e la consapevolezza sono strumenti di liberazione imprescindibili.

Seppure ricoperta dal silenzio e dall’anonimato, la loro lotta sotterranea sta lentamente ma inesorabilmente cambiando il volto della società. Spetterà alla comunità internazionale e alle nuove generazioni raccogliere il testimone di queste donne e continuare a sostenere la loro battaglia, affinché l’Afghanistan possa finalmente riconoscere e valorizzare il contributo femminile al progresso sociale, culturale ed economico del Paese.

Afghanistan, sui diritti «gli occidentali ora sanno che sono stati sconfitti»

Il manifesto, 15 agosto 2025, di Giuliano Battiston

Emirato islamico Intervista a Antonio Giustozzi, il più autorevole studioso del regime afghano

Per fare un bilancio di questi quattro anni di Emirato islamico abbiamo intervistato Antonio Giustozzi, il più autorevole studioso dei Talebani, autore tra l’altro di The Taliban at War, 2001-2021 (Hurst) .

Quanto è solido oggi l’Emirato?

La percezione è che il regime si consolidi e che aumentino le pulsioni totalitarie da Kandahar, da dove governa l’Amir, con un numero crescente di decreti per controllare la popolazione. Sul lungo termine è rischioso, soprattutto se le regole ferree finiranno per riguardare anche gli uomini, ma per ora c’è il consolidamento: l’opposizione armata e non armata è a pezzi, lo Stato islamico è messo male, i Talebani hanno ottenuto fino a 3 miliardi di dollari con le tasse, lo sfruttamento minerario è superiore rispetto al governo precedente e i rapporti regionali sono buoni.

Qualcuno avrebbe scommesso che i Paesi regionali avrebbero aiutato l’opposizione. Invece è arrivato il riconoscimento da parte della Russa…

I Paesi della regione non hanno mai avuto interesse a sostenere l’opposizione, a eccezione del Tagikistan, che pare stia trovando un compromesso: i Talebani hanno trasferito alcuni gruppi jihadisti tagichi – fonte di preoccupazione per Dushanbe – in aree più lontane dal confine. Kazakistan e Uzbekistan pensano di riconoscere l’Emirato e la Cina non tarderà molto. C’è già un ambasciatore talebano a Pechino. Anche con il Pakistan i rapporti stanno migliorando. Alcuni tagichi del National Resistance Front hanno chiesto aiuto al Pakistan contro i Talebani, ma sono stati rimandati a casa. Una volta che i rapporti con Islamabad si stabilizzeranno, in pratica tutti i confini saranno “chiusi”, controllati: difficile far arrivare armi e sostegno a un’eventuale resistenza.

Poco più di un anno fa si parlava della riapertura delle ambasciate occidentali a Kabul. Oggi tira tutt’altra aria. Perché?

Perché i diplomatici europei a Doha e Kabul parlavano con il fronte dei pragmatici, tra i Talebani, che promettevano grandi cose, come risolvere la questione delle donne. Ma non hanno ottenuto nulla: gli occidentali ora sanno che sono stati sconfitti. L’Amir li ha messi in riga.

Il leader supremo ha rimesso in riga anche l’oppositore principale, Sirajuddin Haqqani, ministro di fatto degli Interni…

Sirajuddin ha giocato su troppi tavoli. Sono circolate voci su un presunto colpo di stato contro l’Amir. Sirajuddin sarebbe andato negli Emirati proprio per accelerarlo, illudendosi che gli americani lo avrebbero aiutato. Ma ha fallito e perso la faccia. Tornato in Afghanistan, l’Amir gli ha proposto un accordo: pieno controllo delle forze di sicurezza per l’Amir, in cambio della revisione di alcune politiche di genere. Serajuddin ha rifiutato. Fino a che non si definisce l’assetto istituzionale e la distribuzione di potere, i conflitti interni rimarranno. Per ora l’Amir ha centralizzato il potere, preso controllo delle finanze e portato a sé molti comandanti militari.

Il consenso dei Talebani appare circoscritto. Come mai non si vedono forme di opposizione più strutturate?

La base del regime è poco ampia, ma la società è perlopiù passiva, non ci sono segni significativi di opposizione, a parte le poche donne che manifestano. Le comunità locali mediano con i Talebani, lontano dalle telecamere. La società civile non ha mai recuperato l’eredità di 20 anni di occupazione degli americani, abituati a pagare tutti per ogni cosa. Ne è uscita una società civile di salariati. L’amir e la sua cerchia hanno quasi il monopolio nel clero al sud e in parte dell’ovest, ma all’est il clero non è uniformemente deobandi. In una provincia come Nangarhar, i Talebani fanno fatica perfino a trovare religiosi in linea con loro, per il Consiglio degli ulema.

 

Vi faccio entrare nelle scuole segrete delle donne afghane

Vita, 15 agosto 2025, di Cristina Giudici

A quattro anni dal ritorno dei Talebani a Kabul abbiamo incontrato una delle dirigenti del movimento Revolutionary Association of the Women of Afghanistan. Viaggio dentro un’esperienza straordinaria di resistenza tutta al femminile

Abbiamo cominciato dall’allarmante aumento dei matrimoni forzati e precoci di bambine che vengono date in spose per fame, per costrizione, per l’illusione di metterle al sicuro, e concluso con un’inaspettata nota di speranza perché Mariam – la chiameremo così perché non può rivelare la sua identità – ci ha ricordato più volte che per quanto la notte possa essere buia, l’alba arriva sempre. La lunga conversazione avvenuta in videocall con una delle dirigenti del movimento Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, Rawa, fondata nel 1977 da Meena Keshwar Kamal poi uccisa nel 1987 in Pakistan che opera in clandestinità sin dall’occupazione sovietica dell’Afghanistan è avvenuta grazie alle sue straordinarie supporter italiane dell’organizzazione italiana Cisda, ( coordinamento italiano sostegno donne afghane onlus) che hanno fatto da ponte per un incontro a distanza.

Il 30 agosto in Afghanistan nelle menti di molti ci sarà anche l’angoscioso ricordo della mezzanotte del 2021, quando gli ultimi soldati americani hanno voltato definitivamente le spalle agli afgani dopo un’altra fallimentare operazione per esportare la democrazia anche se l’evacuazione è cominciata il 15 agosto dopo l’arrivo del Talebani nella capitale.

Davanti al nuovo anniversario, il quarto da quando i Talebani sono entrati anche a Kabul e hanno ripreso il potere dopo 20 anni, Mariam ci racconta cosa è successo nel frattempo. «Penso che la maggioranza delle donne afgane ora siano focalizzate su tutti i modi segreti per resistere e questo può accadere solo se riusciamo ad aumentare la loro consapevolezza attraverso l’istruzione e l’educazione», racconta a VITA per spiegare i progetti di Rawa mirati all’istruzione e scuole segrete per ragazze, assistenza medica, formazione professionale, informazione, sostegno alimentare. «E questa è stata la ragione per cui, negli ultimi quattro anni, abbiamo cercato di organizzare più corsi segreti nelle case, anche in inglese, di informatica o di scienze: sia per le ragazze che non possono andare a scuola sia per le più anziane abbiamo cercato di mobilitare un numero maggiore di donne per dare maggiore consapevolezza e coraggio alle nuove generazioni affinché possano resistere contro i Talebani». Ispirate dalla resistenza delle iraniane che le hanno incoraggiate a capire che il fondamentalismo religioso non può silenziare le donne, sebbene il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, abbia annunciato di aver richiesto due mandati d’arresto per il leader supremo dei Talebani, Haibatullah Akhundzada, e il presidente della Corte Suprema afghana, Abdul Hakim Haqqani, accusati di crimini contro l’umanità per persecuzione di genere.

«Attraverso l’uso dei social media, dei corsi segreti e delle opportunità educative, le donne stanno cercando di mobilitarsi contro i Talebani e, in particolare, contro la polizia religiosa», spiega con una voce ferma e al contempo calorosa. E per sottolineare la scelta politica del movimento femminista di Rawa di operare in clandestinità, sottolinea: «Da documenti di WikiLeaks è emerso che più donne e più figure femminili avrebbero dovuto essere promosse e presentate alla società, in modo che i media mondiali e l’intera comunità internazionale potesse accettare e giustificare la guerra americana in Afghanistan. In pratica, abbiamo visto che era una menzogna perché ogni manifestazione o protesta per far sentire la nostra voce è stata repressa, le attiviste incarcerate e uccise. Per questo motivo ora, come la maggior parte delle donne afghane, ci stiamo concentrando su metodi segreti di resistenza e il nostro lavoro è molto apprezzato».

Per non farsi scoprire, le attiviste di Rawa cambiano spesso casa, non si fanno mai riprendere in volto, non usano le loro automobili, documenti e cellulari, non si conoscono fra di loro, usano nomi falsi e contano su una rete affidabile di persone a cui, soprattutto nei villaggi, hanno portato la speranza. Inoltre organizzano classi che non siano numerose, soprattutto nelle province più sorvegliate dai Talebani. Le classi si tengono nelle case private grazie a una rete di insegnanti e studentesse unite dalla stessa consapevolezza. «Recentemente una delle ragazze, a causa delle pressioni della famiglia, non poteva frequentare le lezioni, a Kabul perché suo fratello non glielo impediva. Cosi hanno deciso di provare a convincerlo e ci sono riuscite», racconta Mariam per spiegarci l’importanza dei piccoli progressi quotidiani conquistati sotto il regime dell’Emirato islamico dell’Afghanistan. Un esempio concreto di come i legami femminili possono funzionare anche sotto il regime spietato dei Talebani e di come molte famiglie credano nell’istruzione. «Il numero medio di partecipanti alle classi è di 15-20 allieve in tutte le province del Paese. Ma in alcune zone ci sono anche 60 donne che chiedono di partecipare. E purtroppo, per motivi di sicurezza, non possono permetterglielo».

Mariam non mostra il volto anche se si intuisce che dall’altra parte dello schermo, in Afghanistan, lei scuote la testa perché vorrebbe poter fare di più ma le leggi di chi opera in clandestinità per far crescere nuove generazioni istruite all’ombra dei talebani sono molto rigide. «Dobbiamo creare più classi in regioni diverse. Non possiamo nemmeno scegliere due o tre case molto vicine, perché se succede qualcosa durante una delle nostre lezioni, la classe potrebbe essere spostata velocemente in un’altra casa. Inoltre ricorriamo ai corsi di cucito, quelli sì permessi, e abbiamo sempre un Corano a portata di mano in caso di un controllo», racconta. Le lezioni durano una/due ore, cinque giorni alla settimana. Si tratta del momento più felice per le donne perché le classi non si limitano a fornire lezioni di alfabetismo e matematica, ma anche a dare loro l’opportunità di essere ascoltate, di parlare della propria sofferenza, di confidare le discriminazioni o la violenza che subiscono all’interno della famiglia.

«Una delle nostre studentesse avrebbe dovuto sposarsi ma lei voleva continuare le sue lezioni, perciò l’insegnante è andata a parlare con i membri maschi della famiglia per spiegare che non era pronta il matrimonio. E per fortuna, hanno accettato. Posso raccontare tanti piccoli successi e miglioramenti nella vita quotidiana delle donne che ci danno molto coraggio ad andare avanti», ci dice.

Purtroppo però è difficile sperare in un cambiamento radicale e repentino perché, afferma Mariam, anche se l’unico Paese ad aver riconosciuto ufficialmente il governo dei Talebani è la Russia, è risaputo che il governo talebano si sostiene con gli aiuti dei Paesi occidentali donatori, gli Stati Uniti in particolare, oltre a potenze regionali mentre il Pakistan svolge il ruolo da guardiano. «Il governo è solo un’entità parastatale e all’interno di chi guida il governo ci sono diverse fazioni che non pensano a guidare il Paese ma a dividersi le ricchezze delle diverse Regioni: miniere, droga, risorse, armi da contrabbandare. Sono questi i loro strumenti di potere. Ed è così che si sono mantenuti al potere, è così che funzionari, leader, comandanti si sono trasformati in potenti figure politiche, dotate anche di notevole forza finanziaria e di numerose fonti di ricchezza. Ed è così che possono continuare a commettere crimini di guerra, rapire le giovani, costringerle a matrimoni forzati. Crimini che appaiono sui nostri social media e ignorati dall’Occidente. Grazie all’avidità e alla capillare corruzione». Morale, a quattro anni dal loro ritorno al potere, non governano: l’unica cosa che sanno fare è acuire la repressione nei confronti del popolo, accanendosi soprattutto contro le donne con estorsioni, tasse e “oboli” al popolo grazie alla creazione di una cleptocrazia. Con un tasso di corruzione che non c’era nella prima generazione dei talebani. La gran parte degli aiuti che arrivano nel Paese vengono intercettati dai Talebani e trattenuti per il sostegno diretto dell’apparato statale, alimentare consenso e fedeltà dei funzionari che amministrano, mantengono e sostengono il regime ai vari livelli e nelle regioni più remote. Risultato: secondo l’Onu l’84% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Chiediamo a Mariam, come sia possibile, dopo tanti anni di lavoro clandestino, trovare nuove generazioni che raccolgano il loro testimone. Lei esprime preoccupazione per la sicurezza della figlia adolescente e poi spiega: «Non esiste un trucco né una bacchetta magica, ma riusciamo a tramandare i valori per i diritti fondamentali delle donne, l’uguaglianza, la giustizia sociale. Certo, se il fondamentalismo non esistesse in Afghanistan, se l’instabilità, il caos politico, la guerra fra fazioni e il conflitto militare (principalmente con ISIS-K che commise l’attentato suicida del 26 agosto 2021 all’aeroporto di Kabul, ndr) non esistessero in Afghanistan, la situazione potrebbe essere diversa perché tutta la nazione desidera il miglioramento degli standard di vita e gradualmente queste cose accadono», sostiene con un ottimismo difficile da comprendere da questa parte del video attraverso il quale parliamo. «Per questa ragione, quando le persone, le giovani generazioni ci guardano, si rendono conto che stiamo andando nella giusta direzione e apprezzano il nostro impegno. Inoltre per cultura e tradizione in Afghanistan, il legame familiare e comunitario è molto forte. Perciò cerchiamo di coinvolgere i nostri parenti e naturalmente insegniamo ai nostri figli, alle nostre figlie, ai nostri familiari, i diritti, l’uguaglianza e i valori per cui lottiamo. Ed è così che si costruisce una rete che opera segretamente, dal basso».

Dopo quattro anni dal ritorno dei talebani, Mariam guarda avanti e dice: «Sono tempi difficili per noi, per la nostra nazione, ma guardiamo alla storia del mondo: la tirannia non può durare per sempre. Il nostro motto principale è democrazia, laicità e giustizia sociale. Crediamo che solo un sistema democratico e laico possa garantire la giustizia sociale, l’uguaglianza di genere e la prosperità, la pace e l’indipendenza del nostro Paese». La fede in un futuro migliore di Mariam e di Rawa sembra incrollabile. Infatti alla fine della nostra conversazione ci dice: «Vogliamo l’uguaglianza per tutte le etnie, tutte le regioni, tutte le religioni presenti in Afghanistan. E naturalmente l’uguaglianza di genere, la democrazia, la libertà di espressione e molti altri valori che dovrebbero esistere in una società moderna. E non vivere in un sistema feudale dominato dagli uomini».

Non è sempre stato facile, ammette, perché molti dei loro sostenitori, quando i Talebani hanno ripreso il potere nel 2021, molti giovani che lavoravano con Rawa – medici, ingegneri, persone istruite, docenti universitari – sono fuggiti. «Questo non significa che l’intera popolazione, l’intera nazione afghana, volesse andarsene (o dovesse, ndr) perché tanti dicono: questa è la nostra patria. Questo è ciò che abbiamo. Ovvio, ci sono ragioni finanziarie, la forza brutale dei talebani, l’oscurità, la pressione che soprattutto le giovani devono affrontare. Non possiamo ignorare questo fatto, ma non significa che sarà così per sempre». Perché qualcuno dovrà restare per creare il cambiamento. E lei, a quattro anni dal ritorno dei Talebani, le esecuzioni, le atrocità, le barbarie, vede anche crescere un profondo desiderio di cambiamento.

Convinta che le giovani generazioni, con l’istruzione, la consapevolezza, vedranno e cercheranno la luce per il futuro perché sta accadendo un po’ ovunque. Mariam ha conosciuto persino donne anziane che vivono nelle grotte e vogliono imparare a leggere e a scrivere. E ci deve essere qualcuno, o meglio qualcuna, pronta ad insegnare. Soprattutto ora che si creano le competenze segrete per accedere alle università online all’estero, come sua figlia che sta completando la sua educazione con corsi digitali, «così come molte delle nostre ragazze hanno avuto l’opportunità di istruirsi grazie al web».

Verso la fine del collegamento, la presidente del Cisda Graziella Mascheroni e Gabriella Gagliardo del direttivo, parlano con Mariam di progetti che si stanno promuovendo o si potrebbero potenziare, grazie alle borse di studio che arrivano dalle università, anche dall’India. E di come le nuove tecnologie possono servire al loro progetto di fornire clandestinamente istruzione e strumenti di emancipazione. «Perciò stiamo cercando di fornire più corsi di inglese alle allieve perché possano frequentare le università in seguito. Alcune delle nostre ragazze lo stanno già facendo». E poi, come ci ripete più volte, dopo la notte sorge sempre l’alba.

 

Afghanistan, la resistenza delle donne. Seconda parte

Pressenza, 14 agosto 2025, di Fiorella Carollo

Negli ultimi quattro anni, le organizzazioni, tra cui Rawa, che cercavano di organizzare proteste e di far sentire la voce delle donne afghane come resistenza contro i Talebani hanno subìto arresti, minacce, uccisioni delle loro aderenti e questo è il motivo per cui la protesta ha cambiato forma.

Ora, come organizzazione, e credo che questo valga anche per la maggioranza delle donne afghane, ci stiamo concentrando su metodi clandestini di resistenza e crediamo che una di queste forme di resistenza sia aumentare la consapevolezza delle donne e il loro livello di istruzione. Ed è per questo che negli ultimi quattro anni abbiamo cercato di organizzare corsi segreti a domicilio di inglese, informatica o scienze, per le ragazze che non possono andare a scuola e per le donne più grandi. Abbiamo cercato di mobilitare un grande numero di donne per poter dare più consapevolezza e coraggio alle giovani generazioni affinché resistano ai Talebani.

Anche la resistenza delle donne in Iran ci ha incoraggiato e ispirato molto, facendoci capire che il fascismo religioso e il fondamentalismo religioso, sebbene siano al governo da decenni, non possono mettere a tacere le donne.

Le donne più istruite e consapevoli dei propri diritti saranno sicuramente in grado di affrontare le minacce e di trovare il modo di resistere. E lo vediamo ancora di più attraverso l’uso dei social media, dei corsi online, attraverso corsi segreti e opportunità educative. Le donne stanno cercando di mobilitarsi di più contro i Talebani e soprattutto contro la polizia religiosa.

Posso sicuramente dire che il nostro lavoro sta migliorando rispetto a quanto si faceva prima. E la semplice ragione è che prima del 2021 c’erano molte opportunità per le donne, università private, college, scuole, tutto. Ora solo organizzazioni come Rawa e alcune ONG offrono opportunità di istruzione o corsi di alfabetizzazione per le donne.

Il problema che abbiamo è la sicurezza. Purtroppo, non possiamo costruire classi numerose o centri per le donne. Non possiamo portare più donne in alcune regioni, soprattutto non possiamo portare avanti alcun progetto dove i Talebani sono molto forti e nelle piccole città. Nelle grandi città è più facile prenderci cura delle misure di sicurezza.

La maggior parte sono lezioni clandestine o segrete a domicilio. Si svolgono all’interno delle case degli insegnanti. Non paghiamo l’affitto per l’edificio o per la lezione. Una normale stanza per la vita quotidiana è usata anche come una classe. La rete degli insegnanti è composta da persone che già conosciamo e di cui ci fidiamo, che sono molto creative nel trovare studenti affidabili e nell’ampliare le loro reti senza trasformare la loro casa in una scuola ufficiale. In ogni classe, il numero medio di studentesse è di 15-20.

In alcune zone vediamo che 50-60 donne vorrebbero partecipare e purtroppo, per motivi di sicurezza, non possiamo permetterlo. Non possiamo nemmeno scegliere due o tre case molto vicine, perché se succedesse qualcosa a una delle nostre classi segrete potrebbe venire coinvolta anche l’altra. Quindi, dobbiamo stare attente a mantenere la distanza tra le nostre classi. L’insegnante e le studentesse sono molto creative nel trovare soluzioni ai loro problemi di sicurezza. È comune in Afghanistan che le donne si riuniscano per confezionare abiti e per insegnare/imparare il Corano, che è considerato un atto religioso. In ognuna di queste lezioni abbiamo il Corano e l’insegnante, qualora i Talebani entrassero in casa, direbbe che si tratta di studi coranici e che la lavagna e tutto il resto servono per insegnare il Corano. E ai Talebani va bene.

Nelle nostre classi nel tempo si sviluppa una grande solidarietà tra le ragazze, le donne e le insegnanti. Di recente, una delle ragazze a causa delle pressioni della famiglia aveva abbandonato la classe; è accaduto a Kabul, che è la zona più sicura rispetto ad altre. Le sue compagne di classe indagano e quando scoprono che è il fratello a non permetterlo, un folto gruppo di 10-12 compagne di classe si è unito per convincerlo. Sfortunatamente, non ci sono riuscite, pur avendo ottenuto il consenso dei membri maschi della sua famiglia e sebbene si fossero offerte di alternarsi nell’accompagnarla.

La politica di Rawa non è solo quella di fornire l’alfabetizzazione, ma anche di dare alle donne ferite l’opportunità di parlare tra di loro di cosa soffrono, che tipo di discriminazione subiscono all’interno della famiglia, cosa possiamo fare. In moltissimi casi l’insegnante va a trovare la famiglia quando sorgono problemi di qualsiasi tipo. E’ successo recentemente a Jila, una giovane studentessa; la famiglia voleva darla in matrimonio, mentre lei voleva continuare le sue lezioni. L’insegnante è andata a parlare con i membri maschi della famiglia per dire loro che la figlia non era ancora pronta per questa proposta di matrimonio e fortunatamente loro hanno acconsentito a rimandarlo.

Abbiamo molti esempi di questi piccoli successi nel migliorare la vita delle donne, delle bambine e delle ragazze afghane, il che ci dà molto coraggio. Come organizzazione nutriamo grande speranza nel futuro; ora viviamo un momento buio della nostra storia, ma non è destinato a durare per sempre. Prima o poi la luce tornerà a risplendere sull’Afghanistan.

Afghanistan, che cosa c’è dietro l’immagine ripulita dei Talebani. Prima parte

Pressenza, 13 agosto 2025, di Fiorella Carollo

Il 15 agosto 2021 Kabul fu presa dai Talebani mentre gli Stati Uniti con i loro alleati abbandonavano in tutta fretta il Paese. Questo evento ha segnato un punto di non ritorno per le donne afghane, che da quel giorno sono progressivamente cadute in un incubo senza fine.

Per questo il CISDA (Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane ) ha organizzato un incontro con una esponente di RAWA (Revolutionary Association of Women in Afghanistan), che afferma: ”Ci consideriamo la più antica organizzazione politica femminile in Afghanistan. Pensiamo che qualsiasi cambiamento, qualsiasi miglioramento della situazione delle donne, in qualsiasi società, non possa realizzarsi senza cambiamenti politici.”

Pubblichiamo di seguito le sue considerazioni.

La situazione attuale in Afghanistan non è quella dipinta dai media occidentali. Di solito si legge che la vita è tornata alla normalità, c’è la pace e che la situazione è in qualche modo migliorata, ma questa non è assolutamente la realtà. C’è un livello di pressione sulla nostra società che fa sì che tutto sembri tranquillo. Ma quando vivi qui come afghano, vedi che ogni singolo uomo e donna ha i suoi problemi, le sue preoccupazioni, che sono infinite.

L’attuale regime talebano è principalmente, come abbiamo sempre detto, sostenuto dagli Stati Uniti. I Talebani non sono mai stati una forza unita. Ci sono state e continuano a esserci delle divergenze tra loro, tra filo-cinesi, filo-iraniani e filo-sovietici, ma continuano a rimanere collegati e dipendere dal sostegno finanziario degli Stati Uniti. Si affidano alla leadership della CIA e all’ISI pakistano e il regime pakistano continua la sua funzione di guardiano, una sorta di padre per i Talebani afghani (anche se la prima ad organizzarli in realtà fu una donna, Benazir Bhutto).

Le divergenze più accese e crescenti tra i Talebani sono dovute alla situazione interna; le varie regioni in Afghanistan sono divise tra le diverse fazioni e ognuna di loro, come Mula Habibullah, Mula Yakub o Mula Hakani, cerca di avere più potere controllando le miniere, le zone di produzione dei minerali, la produzione di droga, lo smercio di droga verso gli altri Paesi e anche il contrabbando che è estremamente redditizio.

Nel giro di quattro anni, da quando sono tornati al potere, molti funzionari nel governo, leader e comandanti si sono trasformati in potenti figure politiche, sostenuti da una forza finanziaria e da diversificate fonti economiche.

Il denaro settimanale che arriva dagli Stati Uniti viene diviso tra i loro comandanti e leader. Non si può dire che i Talebani siano deboli finanziariamente. Stanno cercando di sfruttare sia le opportunità che hanno a livello locale, sia quelle internazionali, attraverso i finanziamenti degli Stati Uniti, da cui ricavano un reddito considerevole.

In alcune regioni dell’Afghanistan, come ad esempio Tahar, una provincia settentrionale del Badakhshan, e Panjsher, che si trova anch’essa per la maggior parte nella zona settentrionale, nel Nuristan, si trovano le principali grandi miniere del Paese e ogni fazione talebana sta cercando di metterci le mani. Apparentemente è un progetto governativo, ma per lo più si tratta di un progetto privato in cui stanno cercando di scavare più miniere possibili e prenderne il controllo prima che la gente possa accaparrarsi oro e pietre preziose. I Talebani non permettono ai contadini e alla gente del posto di avvicinarsi; per questo mandano i loro soldati a controllare e a difendere le miniere.

I media internazionali affermano che la produzione e la coltivazione di droga sono diminuite in Afghanistan, ma questa non è la realtà: a livello locale, ogni comandante talebano ha le proprie regioni, le proprie aree in cui è ancora consentita la produzione di droga e le proprie aree di confine in cui la contrabbanda. A volte leggiamo che ci sono stati scontri armati tra Talebani, come ad esempio nelle zone in cui si scava una miniera. Di recente dei soldati talebani hanno preso le armi contro il loro comandante perché sapevano che non avrebbero ricevuto lo stipendio, mentre il comandante si stava costruendo una grande casa. Il governo non prende alcuna decisione perché le stesse persone che ricoprono posizioni chiave sono coinvolte in questa corruzione. Non si preoccupano della gente, non si preoccupano del miglioramento dei loro soldati, ma di ciò che serve per riempirsi le tasche.

I Talebani stanno attenti a fornire al mondo un’immagine di sé “ripulita”, ma noi vediamo quotidianamente le prove dei loro crimini morali sui social media locali. Parliamo ad esempio del rapimento di ragazze e donne, i matrimoni forzati, le minacce e così via. Abbiamo un sacco di prove in forma di videoclip o clip vocali, pubblicate per denuncia dalle persone o dalle stesse vittime. Sfortunatamente nessuno di loro viene rilanciato sui media internazionali. I Talebani hanno successo nel propagandare un’immagine di se stessi come persone pulite, molto religiose, oneste, ma questa non è la realtà. Fanno schifo, tanti di loro minacciano, usano la forza delle armi per il loro tornaconto economico; è un comportamento diffuso e molto comune.

Oggi molte famiglie stanno affrontando una grave pressione a causa della crisi economica e non trovano altra soluzione se non quella di dare in sposa le figlie in età molto giovane. È più comune, come lo era in passato, nei villaggi delle zone rurali, ma dalla chiusura delle scuole e dai cambiamenti avvenuti nella vita degli afghani negli ultimi quattro anni è un fenomeno che possiamo riscontrare anche nelle grandi città come Kabul. Nelle nostre società le donne in genere non sono protette, soprattutto quando sono giovani e adolescenti vengono considerate un peso per la famiglia; hanno solo la responsabilità di contrarre un matrimonio il prima possibile, di avere figli e di gestire una famiglia. Questo è l’unico dovere che la società attuale attribuisce alle donne. Ed è per questo che molte famiglie credono che sia una sorta di protezione per le bambine darle in sposa il prima possibile. Quando subiscono pressioni da parte dei Talebani o dei comandanti, le danno in sposa a chiunque. Negli ultimi quattro anni, esattamente come sta accadendo con i signori della guerra jihadisti, i Talebani, usando la forza delle armi, cercano ragazze non sposate, poi le danno come seconde, terze e persino quarte mogli ai loro leader religiosi e comandanti militari.

Oggi quando si entra nella capitale, metà degli appartamenti, delle grandi case, delle grandi proprietà bene in vista sono state acquistate dai comandanti militari o dagli spacciatori. Se un domani i Talebani dovessero trovarsi nella condizione di fuggire, non potranno farlo facilmente perché qui hanno molte proprietà. I comandanti talebani sono presenti in ogni zona residenziale con le loro guardie del corpo, le loro auto costose e il loro personale. Nelle zone più eleganti di Kabul, nel ristorante più costoso, con decorazioni dorate come se fosse un palazzo antico, i Talebani arrivano scortati dalle guardie del corpo e anche nei negozi più costosi i clienti sono quasi solo loro.

I Talebani di oggi non sono quelli che presero il potere nel 1996 per cinque anni; ora si preoccupano dei loro interessi privati e benefici economici, come hanno imparato dalla corruzione dei leader jihadisti, da Khazai, dal regime di Ashraf Ghani. Se si hanno più risorse finanziarie, si possono proteggere meglio i propri cari, le proprie forze armate e le proprie famiglie. Molti leader talebani hanno mandato i figli, anche le bambine, a vivere all’estero, in Qatar e in altri Paesi arabi, dove godono di una vita migliore e di una migliore istruzione.

Attualmente l’Afghanistan non ha un’economia. La vita è gestita attraverso il sostegno settimanale che arriva al governo dagli USA e attraverso il sistema di tassazione forzata introdotto dai Talebani: ogni negozio, ogni casa e persino le ONG, le organizzazioni, le aziende… tutti pagano tasse elevate, raddoppiate rispetto a prima.

La maggior parte dei lavori infrastrutturali, come la costruzione di strade, l’installazione di telecamere di sicurezza, la creazione o la ricostruzione di piazze e altro ancora sono eseguiti con l’uso della forza, costringendo organizzazioni e imprenditori privati. Apparentemente, agli occhi stranieri, sembra che i Talebani abbiano migliorato la vita, perché sono state costruite le strade principali, ma la maggior parte dei finanziamenti viene sottratta con la forza a donatori privati e individui.

 

Comunicato di RAWA nel quarto anniversario dell’Emirato talebano medievale a Kabul

di RAWA, 14 agosto 2025, cisda.it

Affiliamo il pugnale della lotta contro la piaga talebana-jihadista e i suoi padroni americani!

Sono passati quattro anni dalla conquista di Kabul da parte dei fascisti religiosi talebani, quattro anni in cui le catene dell’imperialismo, che da decenni soggiogano la nostra patria, si sono strette ancora di più attorno ai nostri corpi, alle nostre anime e alle nostre menti. Oggi i talebani, creature oscene dei servizi segreti pakistani e risultato di accordi tra Stati Uniti, Qatar, regime iraniano e forze reazionarie della regione, sono diventati una macchina di morte e repressione.

Nei primissimi giorni del loro governo, hanno privato migliaia di donne del lavoro e dell’istruzione; con le armi e la violenza hanno imposto un’inquisizione medievale; con le loro politiche sanguinose, le torture e la scomparsa degli oppositori, questi carnefici hanno trasformato l’intero Paese in una prigione terrificante. La disoccupazione diffusa, i prezzi elevati dei beni di prima necessità, la corruzione, la disperazione e decine di altre disgrazie hanno reso la vita completamente insopportabile per il nostro povero popolo.

Questo regime che ci hanno imposto è la continuazione di vent’anni dei governi inutili di Karzai e Ghani, che hanno iniettato la cultura del tradimento, della frode e della schiavitù nelle vene della società. La presenza dei talebani in Afghanistan non è una coincidenza: è un anello della catena della strategia coloniale degli Stati Uniti per controllare la regione e utilizzare gruppi fondamentalisti e terroristici per raggiungere i propri sinistri obiettivi strategici ed economici. La nostra terra oggi è come una carcassa su cui si accaniscono gli avvoltoi della regione e del mondo. Gli Stati Uniti continuano a controllare i talebani, anche se apparentemente hanno alcune divergenze con loro. Il Pakistan, dando forza ai suoi lacchè, pugnala alle spalle il nostro popolo; l’Iran invia le sue spie culturali e mediatiche, insieme alle sue milizie religiose; e la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita, ciascuno a modo proprio, sostengono le forze reazionarie e fondamentaliste, inquinando il nostro suolo.

Fin dai primi giorni, i talebani hanno colto l’occasione per prendere il controllo delle nostre ricchezze nazionali e delle risorse minerarie, saccheggiandole per arricchirsi. Gli sfollamenti forzati e la repressione delle proteste locali hanno aperto la strada al saccheggio, garantendo maggiori privilegi, intensificando le rivalità interne tra i talebani e le nostre diverse etnie, spingendo l’Afghanistan verso conflitti più profondi e una crisi senza precedenti. La maggior parte dei leader talebani controlla personalmente la coltivazione del papavero e il traffico di stupefacenti oppure, prende la propria parte dai contrabbandieri e dai gruppi mafiosi, diventando così una nuova forma di oligarchia jihadista.

L’Emirato sanguinario dei talebani, contrariamente a quanto sostiene, non è dedito a garantire la pace e la dignità umana, ma è determinato a distruggere gli ultimi brandelli dei diritti più fondamentali del nostro popolo. Anche alcuni ex “repubblicani” si sono trasformati in leccapiedi e lobbisti dei talebani. In Afghanistan, la CIA ha investito per decenni nei jihadisti, nei membri delle fazioni “Parcham e Khalq”, e in qualsiasi individuo debole e senza scrupoli, e li ha trasformati da intellettuali, giornalisti, attivisti della società civile privi di coscienza e patriottismo, presidenti, ministri, diplomatici e altri in quadri fedeli. Gli intellettuali separatisti, etnocentristi e compromessi col potere sono sempre stati apertamente o segretamente ostili alla democrazia e alla laicità, e hanno condiviso il tavolo con traditori e criminali fondamentalisti, mantenendo, in ultima analisi, il loro cordone ombelicale legato all’imperialismo e al sionismo.

Se le forze rivoluzionarie, patriottiche, progressiste e nazionaliste non riconosceranno la loro pesante responsabilità, se non strapperanno la maschera della “cultura” e della “mentalità” imperialista e fondamentalista che è stata calata sulle menti e sugli occhi del popolo, e se non impareranno la lezione dalle dolorose esperienze del passato… l’Afghanistan non riuscirà ad uscire dall’attuale terribile catastrofe. E diverse generazioni sprofonderanno e saranno distrutte. Impariamo dalle madri, dai giovani e dai bambini palestinesi che, nella loro ferma difesa e amore per la loro patria, non lesinano sacrifici o atti di coraggio. Le loro epiche storie di resistenza e perseveranza hanno commosso le coscienze risvegliate del mondo, suscitando ammirazione e sostegno.

Oggi, quando purtroppo non è presente sulla scena afghana alcuna forza seria, sostenuta dalle masse, nazionale, indipendente, democratica e antifondamentalista, è nostro dovere, senza alcuna aspettativa da parte dei governi stranieri, sensibilizzare noi stessi e le masse svantaggiate con ogni mezzo e metodo possibile. Dobbiamo respingere la politica vile dello “scegliere tra il male e il peggio”, che per anni ci è stata imposta dai governi occidentali e dalle forze reazionarie, lasciando il nostro popolo passivo e senza una visione del futuro. Fino all’alba della libertà, il movimento – in ogni forma, peso, luogo e livello possibile – deve rimanere vivo e tangibile; non dobbiamo permettere che i giovani si trasformino in esseri umani privi di forza, spaventati e distrutti.

L’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane (RAWA) ha anche sottolineato che le nostre donne onorevoli e patriottiche devono ripulire le loro file dai burattini della reazione e dell’imperialismo e non devono permettere che figure odiose ed egoiste come Fawzia Koofi, Habiba Sarabi, Shukria Barakzai, Asila Wardak, Manizha Bakhtari, Sima Samar, Naheed Farid, Mahbouba Seraj e simili, di distogliere la lotta delle donne dal percorso rivoluzionario verso il compromesso e la sottomissione alla Casa Bianca e ai governi occidentali.

Se le donne del nostro Paese sono state le prime vittime del fascismo religioso, negli ultimi quattro anni – subendo catene, prigionia e sacrificando le loro vite – sono state anche in prima linea e il pilastro principale della lotta. Sono loro la leadership della lotta anti-talebana. La paura dei talebani di una rivolta delle donne ha una ragione ovvia: sanno che il nostro spirito di lotta e la nostra rabbia repressa, come quella delle coraggiose donne dell’Iran e della Turchia, possono scuotere le fondamenta stesse della tirannia religiosa. Per questo motivo, i talebani, attraverso attacchi e metodi brutali, cercano di cancellare completamente le donne dalla società. L’arresto delle ragazze con il pretesto di un “hijab improprio”, la loro umiliazione e le ingiurie subite dagli agenti armati di frusta del “Ministero per la Promozione della Virtù”, la loro sistematica privazione dell’istruzione e del lavoro, e altre forme di repressione e minacce sono tutte prove evidenti di questo terrore, perché i talebani hanno capito che se questo potenziale latente si risveglia e si organizza, il loro dominio inquisitorio non durerà.

Sorelle e madri in lutto,

oggi diciamo a gran voce e senza esitazione che i fondamentalisti, siano essi jihadisti, talebani o qualsiasi altro servitore traditore dei padroni imperialisti, devono essere rimossi dalla scena afghana. Non ci può essere alcuna riforma in questo sistema; nessuna salvezza arriverà attraverso il compromesso o la supplica. L’unica strada è quella di aumentare la consapevolezza politica, organizzarsi e rafforzare le forze combattenti in modo che le masse di tutti gli strati e le nazionalità del nostro popolo si sollevino unite e con una sola voce in una rivolta nazionale. Diversamente, non ci libereremo mai da queste catene e saremo condannati dalle generazioni future.

Solo la libertà, la giustizia sociale e la democrazia basate sulla laicità possono guarire le ferite del nostro popolo. Affiliamo quindi il pugnale della lotta contro il fascismo religioso dei jihadisti e dei talebani e dei loro sostenitori imperialisti!

Revolutionary Association of the Women of Afghanistan

14 agosto 2025

Una nazionale di calcio di donne afghane, nasce la speranza

Di fronte all’apartheid di genere cui sono sottoposte le atlete afghane, la FIFA dovrebbe cambiare le sue regole senza indugio e seguire l’esempio del Comitato internazionale cricket, il quale pone come requisito essenziale per la partecipazione degli Stati che questi abbiano sia la squadra maschile, sia la femminile. Senza questa volontà politica di cambiare le regole, si tratta solo di propaganda e i talebani sorridono perché vedono che la stessa FIFA – non una piccola federazione di sport cosiddetti “minori” – non è disponibile a cambiare le sue regole per rendere lo sport davvero inclusivo e senza discriminazioni di genere. Quindi, sulla scena internazionale le atlete afghane non saranno uguali alle altre atlete, anzi subiranno una doppia discriminazione.
O le federazioni credono nei principi e nei diritti sanciti nelle convenzioni internazionali, che riguardano anche il diritto allo sport come diritto umano, e quindi agiscono di conseguenza per impedire realmente ogni discriminazione. Oppure, non ritenendo importante che lo sport sia davvero inclusivo, scelgono politiche di riduzione delle discriminazioni ma mantenendole sostanzialmente in vita.
È giusto che le atlete afghane non possano partecipare appieno alle competizioni internazionali perché discriminate dal loro paese in quanto donne? No, non lo è.
È giusto che la FIFA non riconosca a delle atlete che subiscono tale discriminazione il diritto ad essere pienamente come tutte le altre atlete e gli altri atleti? No, non lo è.
Può la FIFA cambiare le regole? Certo che sì, basta che lo voglia. Ci vogliono azioni decise e radicali e non mezze azioni. (Red. Cisda)

Ansa, 1 agosto 2025

A Sydney si selezionano 23 rifugiate: ‘Occasione straordinaria’

Prima del ritorno dei talebani in Afghanistan nel 2021, la nazionale femminile di calcio era un simbolo per le donne.

Poi la messa al bando, il mancato riconoscimento da parte della Federcalcio afghana, la fuga per salvarsi la vita.

Lo scorso mese di maggio la Fifa ha riconosciuto la squadra delle rifugiate ed avviato una serie di iniziative per la selezione delle calciatrici attraverso tre camp, il primo dei quali si è tenuto a Sydney, in Australia – dove si sono rifugiate tante atlete – la settimana scorsa, sotto la guida dell’allenatrice Pauline Hamill. L’obiettivo è quello di formare una squadra di 23 giocatrici che parteciperà alle amichevoli approvate dalla Fifa alla fine di quest’anno, riportando così il calcio femminile afghano sulla scena internazionale anche se non in competizioni ufficiali. Dal 2018 le calciatrici afghane (una ottantina delle quali si è rifugiata in Australia) non disputano una partita ufficiale poiché la Federcalcio afghana non riconosce le squadre femminili, e la Fifa – in base alle sue regole – non può riconoscere ufficialmente le rifugiate come nazionale afghana, nonostante da più parti, Amnesty international in testa, si chieda un’eccezione per far partecipare una squadra di Kabul ai tornei internazionale ufficiali. Ma con la squadra in via di formazione a Sydney è la speranza a nascere “Essere una calciatrice mi ha dato la possibilità di essere qui. La mia vita è al sicuro – ha raccontato al sito Fifa Nilab, una delle calciatrici che ha partecipato alle selezioni di luglio – Ho molte opportunità. La mia voce è forte e il calcio aiuta me e le altre ragazze. Il calcio mi ha aiutato molto e mi ha fatto sentire libera in tutto. Il calcio ha qualcosa di speciale. Ci offre molte opportunità e sostegno”.

“Il mio obiettivo non riguarda solo me – ha continuato Nilab – Riguarda tutto l’Afghanistan, in particolare le donne e le ragazze. Questo progetto mi aiuta, mi sostiene e ci insegna come possiamo aiutarci a vicenda e come rappresentare il nostro paese”. “A un anno dall’impegno preso a Parigi, sono rimasto profondamente commosso nel vedere le prime immagini del camp di selezione dei talenti per la squadra femminile afghana di rifugiate e nel sentire quanto sia stata importante questa esperienza”, ha commentato il presidente della Fifa, Gianni Infantino. “Sono convinto che abbiamo compiuto un passo importante nella giusta direzione, offrendo a queste donne l’opportunità di giocare a livello internazionale, dando priorità alla loro sicurezza e al loro benessere – ha aggiunto – Questo fa parte della più ampia strategia della Fifa, che include il sostegno alle donne afghane in esilio, aiutandole a entrare in contatto con i percorsi calcistici esistenti, nonché il continuo impegno con le parti interessate per assistere anche quelle che si trovano in Afghanistan. Siamo orgogliosi di questo, di aver dato vita a questo progetto pilota, e il nostro obiettivo è quello di ampliarlo in futuro per includere anche donne di altri paesi”.

Attraverso la squadra femminile afghana di rifugiate, la Fifa intende rafforzare il legame tra le rifugiate e la loro terra d’origine, la loro patria d’adozione, lo sport e le altre giocatrici. Questi primi camp hanno lo scopo di selezionare e identificare le giocatrici che prenderanno parte alle partite amichevoli. Ma sono anche qualcosa di più dei tradizionali provini. Indipendentemente dal fatto che entrino a far parte della squadra, le giocatrici avranno accesso a una serie di servizi di supporto offerti dalla Fifa, oltre ai benefici e alla gioia di giocare a calcio.”È fantastico avere le giocatrici qui – ha commentato la selezionatrice, la scozzese Pauline Hamill – Ora abbiamo la possibilità di lavorare con loro e cercare di valutare le loro prestazioni, e tutte possono ritrovarsi in un ambiente di cui hanno sempre desiderato far parte. Penso che sia un progetto incredibile. Ha dato alle giocatrici la possibilità di esibirsi e giocare di nuovo insieme. Penso che creeranno ricordi che altrimenti non avrebbero mai avuto, e creare ricordi con la propria squadra è davvero speciale”.

La squadra femminile afghana di rifugiate darà alle giocatrici l’emozione di rappresentare il proprio Paese e di mantenere il loro attaccamento all’Afghanistan, mentre mettono radici più profonde e significative nelle loro attuali comunità. I provini di Sydney sono stati un segno ispiratore di progressi tangibili. Naturalmente, l’attenzione del mondo si concentra spesso sulle partite più importanti e sui nomi più famosi. Ma in fondo, il calcio è la libertà di riunirsi, giocare e competere. Il camp di selezione dei talenti in Australia è stata una celebrazione dello spirito puro del calcio.

Afghan Geeks: la rivoluzione silenziosa delle donne afghane che imparano a programmare in segreto

euronews.com 6 agosto 2025

Mentre i Talebani vietano studio e lavoro alle donne, un giovane rifugiato in Grecia insegna programmazione online a 28 afghane, aprendo loro una via verso l’indipendenza digitale
Da quando i Talebani sono tornati al potere nell’agosto 2021, le donne in Afghanistan vivono sotto un regime oppressivo: non possono lavorare, uscire da sole, frequentare ristoranti o proseguire gli studi oltre la scuola primaria.
Tra loro c’è Sondaba, una delle tante donne che hanno visto crollare ogni libertà. Ma in mezzo al silenzio e alla paura, ha trovato una finestra aperta sul mondo: un corso di programmazione online gratuito in dari, la sua lingua madre.

Un rifugiato, una missione

Dietro a questo progetto c’è Murtaza Jafari, 25 anni, rifugiato afghano arrivato in Grecia da adolescente su un barcone dalla Turchia. All’epoca non conosceva l’inglese, né sapeva come accendere un computer. Ma un insegnante gli ha aperto una porta: un corso di coding. Da lì, tutto è cambiato.
Oggi Murtaza è il fondatore di Afghan Geeks, una piattaforma che offre corsi di programmazione a distanza a donne in Afghanistan. A dicembre 2024, insegna a 28 studentesse, suddivise tra principianti, intermedie e avanzate, accompagnandole anche nella ricerca di stage e lavori da remoto.Dietro a questo progetto c’è Murtaza Jafari, 25 anni, rifugiato afghano arrivato in Grecia da adolescente su un barcone dalla Turchia. All’epoca non conosceva l’inglese, né sapeva come accendere un computer. Ma un insegnante gli ha aperto una porta: un corso di coding. Da lì, tutto è cambiato.
Oggi Murtaza è il fondatore di Afghan Geeks, una piattaforma che offre corsi di programmazione a distanza a donne in Afghanistan. A dicembre 2024, insegna a 28 studentesse, suddivise tra principianti, intermedie e avanzate, accompagnandole anche nella ricerca di stage e lavori da remoto.

Lavorare senza essere viste

Per molte di queste donne, il lavoro digitale è l’unica possibilità di reddito e autonomia personale. Le più esperte collaborano direttamente con Afghan Geeks, offrendo servizi di sviluppo web e creazione di chatbot. Jafari afferma di avere clienti in Afghanistan, Stati Uniti, Regno Unito ed Europa.
Eppure, dopo mesi di insegnamento, non ha mai visto i volti delle sue studentesse.
“Parlo con loro ogni giorno. So delle loro vite sotto i Talebani, della loro salute. Ma non ho mai chiesto loro di accendere la telecamera. Lo rispetto. È la nostra cultura. Ed è una loro scelta”, racconta Jafari.

Una rete di speranza, dietro gli schermi

Nonostante le barriere, il desiderio di imparare e costruire un futuro non si è spento. Afghan Geeks rappresenta più di un corso di coding: è una comunità, una forma di resistenza pacifica, una possibilità concreta di autodeterminazione.
“In Afghanistan le donne non possono studiare, non possono lavorare. Questo è il minimo che posso offrire come cittadino afghano”, dice Murtaza.
Nel silenzio imposto dalla repressione, lo schermo di un computer diventa il ponte verso la libertà. Una rivoluzione silenziosa, fatta di righe di codice e voci senza volto, ma con una determinazione che parla forte e chiaro.

Afghanistan: i talebani arrestano almeno sette giornalisti a luglio

rawa.org Federazione Internazionale dei Giornalisti 6 agosto 2025

Il ricorso alla detenzione arbitraria e all’intimidazione dei giornalisti tramite la minaccia del carcere è stato uno strumento frequente dei talebani.

A luglio, i giornalisti afghani hanno subito continue molestie e intimidazioni da parte delle autorità talebane, con l’incarcerazione di almeno sette operatori dei media. La Federazione Internazionale dei Giornalisti si unisce alla sua affiliata, l’Unione dei Giornalisti Indipendenti Afghani (AIJU), nel chiedere l’immediato rilascio di tutti gli operatori dei media e la fine della loro detenzione arbitraria.

Gli arresti sono stati registrati durante il monitoraggio dell’IFJ tra il 6 e il 30 luglio. In un caso, tre giornalisti sono stati arrestati il 24 luglio dal Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio. Il caporedattore della Tawana News Agency e direttore dell’Afghanistan Media Institute, Abuzar Sarempuli, è stato arrestato insieme ad altri due giornalisti della Tawana, Basheer Hatef e Shakeeb Ahmad Nazari. Le autorità sostengono che Sarempuli abbia ricevuto fondi dalla Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), dall’UNESCO e dal governo iraniano per promuovere l’occupazione femminile e pubblicare articoli critici nei confronti dei talebani. Successivamente è stato accusato di corruzione morale e spionaggio, con una “confessione” filmata e diffusa dai talebani. Lo status di tutti e tre i reati rimane sconosciuto.

Il 15 luglio, il direttore e il vicedirettore della Pixel Media Content Company a Kabul, Ahmad Nawid Asghari e Mushtaq Ahmad Halimi, sono stati arrestati dai Talebani con l’accusa di aver diffuso una serie televisiva “non islamica” per testate giornalistiche straniere. Entrambi avrebbero giurato di aderire alle direttive dei Talebani sui media il 28 luglio, prima di essere rilasciati il 30 luglio. Il 21 luglio, un operatore mediatico non identificato è stato arrestato a Kabul, accusato di aver fornito supporto tecnico a testate giornalistiche afghane in esilio. Il 6 luglio, un giornalista provinciale, di cui non è stato reso noto il nome, è stato arrestato per aver pubblicato un articolo ritenuto incoerente con la narrazione approvata dai Talebani e rilasciato dopo due giorni.

Nello stesso periodo, tre giornalisti detenuti in custodia cautelare a lungo termine sono stati rilasciati. Islam Totakhil e Ahmad Zia Amanyar, delle emittenti radiofoniche gestite congiuntamente Radio Jawanan e Radio Begum, sono stati rilasciati il 30 luglio. Erano detenuti dal gennaio 2025, quando i talebani chiusero entrambe le emittenti e furono accusati di aver condiviso sui social media contenuti riguardanti ex giocatrici di cricket afghane ora residenti in Australia. Anche il caporedattore di Radio Khoshhal, Solaiman Rahil, è stato rilasciato il giorno dopo, il 31 luglio, dopo essere stato arrestato il 5 maggio per aver pubblicato su Facebook un video su due donne povere, in cui si presumeva criticassero un alto funzionario dei media talebani.

Il ricorso alla detenzione arbitraria e l’intimidazione dei giornalisti da parte dei Talebani, tramite la minaccia del carcere, sono stati strumenti frequenti dei Talebani: il Rapporto sulla Libertà di Stampa in Asia Meridionale 2024-25 dell’IFJ documenta 28 arresti di operatori dei media tra il 1° maggio 2024 e il 30 aprile 2025. Il World Press Freedom Index 2025 ha classificato l’Afghanistan al 178° posto su 180 paesi, posizionandolo peggio di Corea del Nord e Iran.

L’AIJU ha accolto con favore il rilascio di sei giornalisti come un segnale positivo da parte dei Talebani, ma è rimasta preoccupata per le altre detenzioni in corso nel Paese.

L’AIJU ha dichiarato: “L’AIJU invita rispettosamente le autorità dell’Emirato Islamico a dimostrare buona volontà facilitando il rilascio dei restanti detenuti, molti dei quali sono in custodia da un lungo periodo”.

L’IFJ ha dichiarato: “Le continue incarcerazioni di giornalisti con accuse dubbie, le direttive draconiane sui media e la chiusura di testate indipendenti dimostrano il precario ambiente mediatico in Afghanistan. I talebani dovrebbero rispettare i diritti dei media e porre fine alle incarcerazioni e alle persecuzioni dei media indipendenti e critici”.