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Per i giovani di Kabul la pace si fa con la pace

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Osservatorio Iraq, 3/7/2012, di Anna Toro

I ragazzi, circa 150, hanno pregato per i “poveri martiri della guerra” e hanno osservato un minuto di silenzio.
Dopodiché si sono recati nel cortile dell’albergo e hanno piantato un cespuglio di rose, a simboleggiare il fatto che questo non è che l’inizio.
Contro i raid e gli attacchi dell’una e dell’altra parte, talebani, governo e truppe internazionali, un movimento di giovani che “vuole la pace attraverso la pace” sta finalmente nascendo anche a Kabul.

L’attacco all’Hotel sul lago
L’hotel-ristorante Spozhmai si trova sul lago di Qargha, non lontano da Kabul. Si tratta di uno dei luoghi turistici per eccellenza della zona, dove nel weekend centinaia di afghani, comprese donne e bambini, organizzano dei pic-nic o vi si recano a trascorrere brevi vacanze, dimenticando per qualche ora il lavoro, le incombenze quotidiane, e ogni tanto persino la guerra.

Questo fino a dieci giorni fa.
La notte tra il 21 e il 22 giugno, a mezzanotte in punto, un commando di guerriglieri talebani ha fatto irruzione nell’hotel in cui era in corso una festa, prendendo in ostaggio una quarantina di persone e ingaggiando con le forze di sicurezza afghane e internazionali una battaglia durata oltre 12 ore.
I talebani erano in cinque, armati fino ai denti con tanto di bombe a mano e armi pesanti, e a nulla sono serviti i tentativi da parte del personale di sicurezza di contrastarli: tre guardie e un poliziotto hanno perso la vita quasi immediatamente.
Complici anche le tenebre, nemmeno l’intervento delle forze Isaf, che hanno assunto il comando dell’azione di difesa, è riuscito a bloccare subito il commando: lo scontro a fuoco è durato fino all’alba e solo verso mezzogiorno le forze internazionali hanno finalmente ripreso il controllo totale dell’hotel-ristorante.
Non senza aver pagato un alto prezzo in termini di vite umane: 26 i morti, tra cui i 5 talebani responsabili dell’attacco e, come abbiamo visto, ben 12 civili che si trovavano nell’albergo, tra ospiti e personale di servizio.

 

Una protesta pacifica e silenziosa.
Gran Hewad, ricercatore dell’Afghanistan Analysts Network, racconta che il giorno del raduno dei 150 ragazzi, quella che una volta era un’affollata e festosa località sul lago era invece avvolta da un’atmosfera spettrale.
Secondo alcuni giornali locali, dal giorno dell’attacco i clienti sarebbero calati del 90%. Perchè un attacco o un bombardamento significa anche questo: non solo morte, ma anche anni di lavoro e di sacrifici che vanno in fumo in un istante.
Anche l’hotel Spozhmai è apparso molto danneggiato, con la maggior parte delle pareti annerite dal fuoco e crivellate dai proiettili. Hewad ha detto che, in ogni caso, i lavori per rimetterlo in sesto sono già cominciati.

Rimboccarsi le maniche e provare a ricominciare, non c’è altro da fare.
Durante la commemorazione, i ragazzi hanno condannato gli attacchi come barbari e disumani e hanno deciso che non staranno più con le mani in mano.
Attraverso i social network, Facebook in primis, hanno iniziato a discutere e a organizzarsi, proprio com’è accaduto per le rivoluzioni della cosiddetta “Primavera Araba”.
Anche loro hanno espresso la volontà di costruire un ampio movimento popolare contro ogni azione di questo genere condotta contro i civili, sia da parte dei talebani sia da parte del governo e delle forze internazionali. Il raduno all’hotel non era che il primo passo.

Vento di cambiamento
Il vento del cambiamento ha iniziato a spirare anche in Afghanistan? Forse è troppo presto per dirlo.
Che molti afghani siano stanchi della guerra l’abbiamo già visto a proposito delle rivolte nel distretto di Ghazni, dove gli abitanti dei villaggi, esasperati dalle continue vessazioni da parte dei talebani, hanno deciso di imbracciare le armi e di auto-organizzarsi per difendere le proprie case e le proprie famiglie.
Può sembrare un controsenso, ma già il fatto che questa gente non parteggi né per l’una né per l’altra parte – talebani/governo e forze internazionali – ma pretenda solo di vivere in pace rende chiaro come la voglia di una vita “normale” si stia facendo strada sempre più a fondo tra i civili afghani.

E proprio alle rivolte di Ghazni si ispirano i ragazzi di Kabul, solo che loro hanno deciso per la protesta non violenta, anche perchè i contesti sono differenti.
Ma un filo unisce i due movimenti: “Entrambi – affermano i ragazzi di Kabul – siamo un segno che un movimento popolare, che parte dal basso e vuole la pace, può nascere, crescere e diffondersi anche qui”.

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