LA DEMOCRAZIA IN TURCHIA, EFFETTO COLLATERALE DEI NEGOZIATI CON L’UNIONE EUROPEA
Da “The Conversation” – 15 marzo 2016
Nel gennaio 2016, 1128 docenti delle università turche hanno firmato una petizione dal titolo Non saremo complici di questo crimine, che denunciava la violenza, le evacuazioni forzate e le violazioni dei diritti umani perpetrati dalle forze dell’ordine nel sud-est del paese per contrastare gli attacchi del PKK.
Il presidente turco Erdogan e il partito al potere (AKP) avevano immediatamente condannato la petizione attaccando tutti i firmatari attraverso i media e i social network. I docenti sono stati stigmatizzati e la loro reputazione e la loro credibilità accademica sono state attaccate violentemente.
In alcune università si è arrivati persino a segnare i loro uffici con una croce di vernice rossa o con una scritta che li accusava di essere “traditori della nazione”!
Da parte sua, il presidente Erdogan non ha esitato a qualificare i firmatari come “pseudo intellettuali”, o “mezzi intellettuali”, “forze oscure”, “quinte colonne” delle forze straniere che vogliono dividere la Turchia. Erdogan ha immediatamente voluto che tutte le istituzioni del paese prendessero delle misure “contro coloro che mangiano il pane dello stato e poi lo tradiscono” (riferendosi allo statuto dei funzionari dell’università). In seguito, il procuratore generale di Istanbul ha aperto un’inchiesta giudiziaria nei confronti di tutti i firmatari.
Ad oggi 36 docenti sono stati licenziati; sono stati aperti 495 procedimenti disciplinari e 33 persone sono state messe sotto sorveglianza. E inumeri aumentano ogni giorno.
Questi eventi spiegano bene il clima di ostilità e di intolleranza in cui si trova la Turchia, ma anche il sistema clientelare che caratterizza il paese. Oltre al fatto che i posti chiave nelle università e la presidenza del consiglio dell’insegnamento superiore sono attributi a persone vicine al governo, e in particolare vicine allo stesso presidente Erdogan, l’attività scientifica si è progressivamente trasformata: la razionalità e la verità scientifica hanno lasciato il posto a dogmi religiosi e nazionalisti. La prossimità con il partito al potere ha un’importanza cruciale.
Nel 2009, un numero della rivista di “Tübitak” (centro di riceca scientifica e tecnica turco), nel quale compariva un articolo di 15 pagine sulla teoria dell’evoluzione di Darwin, è stato censurato dal consiglio di amministrazione dell’istituzione. E le opere sulla teoria di Darwin sono da molto tempo sparite dagli scaffali delle librerie.
Nel 2012 alcune pubblicazioni del Centro studi sull’Africa sono vittime della censura, questa volta all’università di Ankara. Il numero 3 della Rivista di studi africani, redatta dal Centro studi, conteneva uno studio etnografico che riguardava i residenti africani in Turchia. Un articolo esaminava in particolare il caso di un sans-papier nigeriano, Festus Okey, ucciso nel 2007 in un commissariato di Istanbul dopo il suo arresto; l’articolo si riferiva alle teorie di Frantz Fanon e analizzava le manifestazioni di razzismo nei confronti degli africani in Turchia. Tutti gli articoli avevano passato la procedura di valutazione ed erano stati considerati scientificamente conformi alla pubblicazione. Ma, nel frattempo, la direzione del Centro è stata cambiata, e un insegnante della facoltà di ingegneria messo come direttore. Questo nuovo direttore ha censurato gli articoli della rivista affermando che presentavano i turchi come razzisti e che lui non poteva permettere che l’immagine del paese venisse infangata dalle citazioni di alcuni ricercatori stranieri.
In Turchia la repressione politica delle libertà pubbliche si generalizza a tutti i settori della società. Si vuole addomesticare qualsiasi forma di opposizione politica e sociale. Oltre ai casi dei giornalisti che sono continuamente stigamtizzati e le cui inchieste sono considerate “propaganda terroristica”, il governo non esita ad accaparrarsi di proprietà private degli editori spossessandoli dei loro patrimoni, dei loro beni e di tutte le loro risorse finanziarie.
Questo è accaduto a “Ipek Boydak” i cui proprietari sono stati accusati di aver finanziato la confraternita Gülen, considerata dal potere turco un’organizzazione terroristica che ha cercato di infiltrarsi negli apparati dello stato.
L’evoluzione liberticida del governo è apparsa anche nell’affare dei giornalisti Can Dündar e Erdem Gül. I due sono stati messi in prigione per aver pubblicato un’inchiesta sui camion dei servizi segreti turchi, riempiti di armi, che partivano per la Siria. La confisca e la messa sotto tutela del giornale “Zaman”, che è stato accusato da Ankara di fornire aiuto logistico alla confraternita Gülen, è un altro esempio di questa tendenza inquietante.
Nelle ultime dichiarazioni Erdogan afferma di non riconoscere né rispettare la decisione del Consiglio costituzionale che ha ordinato la liberazione immediata dei giornalisti Düundar e Gül; alcuni cittadini hanno subito stalking con l’accusa di aver insultato la persona del presidente (sono 1845 i dossier in mano ai tribunali del paese). Questi fatti sono rivelatori del regime che Erdogan vuole instaurare. Recentemente, Baris Ince, il redattore capo di un giornale, il “Birgün”, è stato condannato a 21 mesi di prigione per essersi difeso in tribunale con un acrostico “Tayyip Ladro”.
In questo contesto inquietante di indebolimento della democrazia in Turchia il silenzio dell’Unione Europea è difficilmente comprensibile. In questo momento ha luogo un negoziato immorale sulla gestione del flusso di rifugiati; una cosa che riduce gli esseri umani a banali statistiche. Tutto questo rappresenta la volontà di gestire a breve termine un problema che ha delle cause sociopolitiche profonde, di cui l’Europa è in parte responsabile sotto il profilo storico, ma parla anche dell’incapacità dell’Europa, per mesi, di cercare soluzioni all’afflusso esponenziale di migranti alle sue porte. L’Unione Europea preferisce chiudere gli occhi di fronte alle ripetute violazioni dei diritti umani, all’indebolimento della democrazia e all’instaurazione del culto della personalità in Turchia.
A dire il vero, i dirigenti turchi devono essere molto felici per questa paralisi dei paesi europei che, da 40 anni, mettono sul tavolo la questione dei diritti umani per rifiutare l’adesione della Turchia alla UE, ma sembrano improvvisamente dimenticarsene quando si tratta di tenere lontani dall’Europa i migranti e trovare per loro un “deposito di stoccaggio”.
I dirigenti turchi gioiscono anche perché hanno la possibilità di fare quello che vogliono a casa loro mentre l’Europa decide quale aiuto finanziario dare alla Turchia. Quindi non è il caso di stupirsi se i casi di carcerazione di giornalisti e docenti universitari – e più in generale di oppositori del governo – si moltiplicano, se altri giornali (come “Cumhuriyet”) vengono chiusi, se tutte le manifestazioni pubbliche vengono represse con violenza e se intere città nel sud-est del paese sono distrutte dalle forze armate con il pretesto di combattere il terrorismo del PKK, causando evacuzioni forzate e probabilmente un aumento dei rifugiati che premono alle porte d’Europa, in questo caso i kurdi della Turchia.
Un giorno, forse, ci si ricorderà della responsabilità storica dell’Unione Europea in questa vicenda. Potrà dire, allora, l’UE di non essere stata “complice di questo crimine”?
Il tragico attentato che ha colpito Ankara lo scorso fine settimana, il terzo in cinque mesi, ha provocato la morte di almeno 37 persone e il ferimento di un centinaio di persone, tra cui molti sono certamente gravi.
Viene messa a rischio ancora di più la stabilità di un paese già fragile a causa delle sue divisioni etniche, religiose e politiche. Nuove misure repressive nei confronti dell’opposizione arriveranno nelle settimane a venire. Va notato che la prima reazione all’attentato del 13 marzo è stata quella di interdire l’accesso a Facebook e Twitter.
Infine, tre altri docenti universitari, portavoce di una nuova dichiarazione da parte dei firmatari di Istanbul che insiste sulla necessità di proseguire su un cammino della pace sono stati messi in custodia con l’accusa di propaganda terroristica da parte del procuratore di Istanbul.
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