Afrin
Giovanni De Mauro Internazionale – 1 febbraio 2018
Intanto nel nord della Siria continua l’operazione militare turca contro i curdi. L’agenzia di stampa France-Presse scrive che domenica 28 gennaio, otto giorni dopo l’inizio dell’attacco, l’esercito di Ankara ha conquistato il monte Bursayah, nella parte orientale di Afrin. Un successo piccolo, ma importante dal punto di vista strategico e ottenuto dopo pesanti bombardamenti.
Il fiume Afrin scorre da nord a sud, attraversando colline alberate, vallate fertili e 360 villaggi curdi in cui vive più di un milione di persone. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha reso noto che nei bombardamenti turchi sono morti 67 civili, mentre finora i combattimenti sono costati la vita a 85 miliziani siriani alleati di Ankara e a 91 combattenti curdi. Un tempio neoittita del primo millennio avanti Cristo è stato danneggiato. Secondo il governo turco, i combattenti delle Unità di protezione del popolo (Ypg) sono terroristi. Mentre secondo la gran parte degli osservatori e della comunità internazionale, i gruppi curdi hanno avuto un ruolo fondamentale nella sconfitta del gruppo Stato islamico e amministrano in modo democratico e pacifico i territori sotto il loro controllo.
“Le notizie da Afrin non riguardano solo il futuro dei curdi nel nord della Siria e possono trasformare l’intera regione – la Turchia, l’Iraq e in particolare l’Iran – con profonde conseguenze per l’occidente e i suoi rapporti con una Russia sempre più influente, dinamica, abile”, ha scritto sul Guardian Gareth Stansfield, professore dell’Istituto di studi arabi e islamici di Exeter, nel Regno Unito. “È ora che i paesi occidentali chiariscano quali sono i loro obiettivi in Medio Oriente, al di là delle dichiarazioni di facciata sulla pace, la stabilità e la democrazia. Di sicuro è una questione estremamente difficile, ma ha bisogno di una risposta. E finché questa risposta non arriverà, quello che succede ad Afrin continuerà ad andare a vantaggio degli interessi di altri”.
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