L’esercito di Erdogan, e i suoi alleati islamici, stanno massacrando la popolazione curda
Chiara Cruciati – Raiawadunia – 8 dicembre 2019
A dare forma alla violenza è la banca dati realizzata dal Rojava Information Center, in continuo aggiornamento: contiene 151 violazioni commesse dall’esercito turco e dalle milizie islamiste alleate di Ankara contro la popolazione curda del nord est siriano.
Ci sono i saccheggi compiuti dai miliziani islamisti contro case, negozi, chiese, moschee, abbandonati dalle comunità in fuga. Ci sono rapimenti, uccisioni, torture sui prigionieri. E ci sono i bombardamenti e i colpi di artiglieria contro i silos di grano, gli impianti idrici, le cliniche e gli ospedali, le ambulanze e i giornalisti a Sere Kaniye, Ayn Issa, Tal Abyad.
L’ultima violenza è di pochi giorni fa: otto bambini, una donna e un uomo uccisi a Tel Rifaat da un raid turco, quasi tutti sfollati dal cantone di Afrin, occupato nell’aprile 2018 dalla Turchia. Dodici i feriti. L’attacco ha colpito l’esterno di una scuola, mentre gli studenti uscivano per tornare a casa.
Lo scriveva in un comunicato anche Human Rights Watch: la «zona sicura» creata dal governo turco con il beneplacito di Mosca – che ha regalato al presidente Erdogan l’occupazione di un corridoio di terre lungo oltre cento chilometri nel Rojava – è lungi dall’essere «sicura».
Le milizie filo-turche stanno commettendo, spiega Sarah Leah Whitson di Hwr, crimini di guerra contro i civili, «abusi e atti discriminatori su base etnica»: «Esecuzioni, saccheggi, sfollati a cui è impedito di tornare a casa sono la prova schiacciante del perché la “zona sicura” turca non è sicura».
E l’operazione prosegue. Domenica l’esercito turco ha iniziato la costruzione di nuovi checkpoint nel nord est siriano, ufficialmente per impedire attacchi terroristici da parte delle unità di difesa curde Ypg.
Servono, in realtà, a radicare la presenza militare della Turchia nella regione, a dividere le comunità e a frammentare – soffocandone la natura – il progetto di confederalismo democratico messo in piedi dai cantoni curdi e dall’Amministrazione autonoma del Rojava dal 2011 a oggi.
Le Forze democratiche siriane (Sdf), federazione multietnica e multiconfessionale guidata dai curdi, provano a salvare quel progetto giungendo a patti con i nuovi padrini turchi: un accordo con la Russia, annunciato su Twitter dal comandante delle Sdf Mazloum Kobani, prevede il dispiegamento di forze militari russe ad Amuda, Tel Temer e Ayn Issa, mentre le Forze democratiche siriane rientrano ad Hasakeh, Qamishlo, Derik e Deir al-Zor.
Chiara Cruciati per IL MANIFESTO
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