I curdi processeranno i 10mila foreign fighter Isis ignorati dall’Occidente. “Nostra inazione rischia di creare generazioni di terroristi”
ilfattoquotidiano.it Futura D’Aprile 18 giugno 2023
Sono passati quattro anni dalla caduta dello Stato islamico, ma più di 10mila combattenti stranieri sono ancora rinchiusi nelle carceri e nei campi del Rojava, regione a maggioranza curda nel Nord-Est della Siria, in attesa di essere processati.
L’Amministrazione autonoma del nord-est della Siria (Aanes) chiede da tempo agli Stati occidentali di riprendersi i propri cittadini e di processarli una volta in patria, ma le richieste delle autorità curde sono rimaste largamente inascoltate. Anche la proposta di istituire un tribunale internazionale non ha avuto seguito, mentre si ignorano gli effetti di lungo periodo sui minori detenuti nei campi e sulle generazioni che verranno ancora dopo.
L’Amministrazione autonoma, nata a seguito della guerra civile siriana, ha infatti difficoltà a garantire la sicurezza dei luoghi in cui sono detenuti i combattenti e le loro famiglie e le condizioni di vita in questi luoghi sono in costante peggioramento. La responsabilità in parte è anche della Turchia che continua ad attaccare le zone a maggioranza curda e impone da anni un duro embargo contro i territori del Rojava. Per cercare di trovare una soluzione quantomeno parziale al problema, l’Aanes ha annunciato di voler processare i foreign fighter ancora sotto la sua custodia con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità. La decisione ha colto di sorpresa le cancellerie occidentali, ma per l’Amministrazione autonoma era inutile continuare ad aspettare. Le autorità hanno garantito che i processi saranno aperti, equi e trasparenti in conformità con le leggi internazionali e nazionali sul terrorismo. La priorità resta tutt’oggi l’istituzione di un tribunale internazionale, come già più volte richiesto.
Portare avanti i processi però non sarà facile. Prima di tutto vi è un problema di legittimità: l’Amministrazione del Rojava governa sul nord-est della Siria, ma non è ufficialmente riconosciuta a livello internazionale come entità statale per cui la validità delle sentenze emesse può facilmente essere messa in discussione. Vi sono dei dubbi anche sulla possibilità di garantire i diritti degli imputati, a partire da quello a ricevere assistenza legale, su cui l’Amministrazione si è espressa in termini piuttosto generici. Ma a preoccupare è anche la capacità di garantire la sicurezzadei luoghi in cui si svolgeranno i processi ed evitare attacchi esterni e tentativi di fuga da parte degli imputati.
La soluzione migliore sarebbe dunque l’istituzione di un tribunale internazionale o il rimpatrio dei foreign fighter, ma per l’Occidente è più facile continuare a ignorare il problema invece di riportare a casa dei soggetti che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. Il timore è anche quello di non riuscire a infliggere ai combattenti dell’Isis una giusta pena: da una parte è difficile reperire le prove per dei crimini commessi in un Paese terzo, dall’altra non tutti gli Stati hanno delle leggi sufficientemente severe per i reati di terrorismo. Una prima soluzione al problema era arrivata in realtà già nel 2019 dall’Agenzia europea per la cooperazione in materia giudiziaria che aveva suggerito di accusare i foreign fighter anche di crimini di guerra per aumentare la durata dell’eventuale condanna. Anche questo appello però è caduto nel vuoto, mentre gli Stati membri hanno continuato a giustificare la loro inazione a causa della mancanza di relazioni diplomatiche con le autorità del Rojava.
Lascia un commento