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Tag: Aiuti umanitari

Trattare con i Talebani per “contrastare” i flussi migratori. Il vero volto della solidarietà europea

A fine ottobre la Commissione europea ha scritto ai 27 Stati membri per esortarli ad accelerare i rimpatri e implementare gli accordi bilaterali con Paesi extra-Ue, anche con quelli che non rispettano il diritto umanitario, come l’Afghanistan. Una strategia brutale che getta una luce inquietante sugli aiuti umanitari che Bruxelles sta garantendo a Kabul

Beatrice Biliato, Altreconomia, 18 novembre 2025

L’Unione europea sta rispondendo con prontezza alle richieste delle Nazioni Unite e delle agenzie umanitarie di inviare aiuti all’Afghanistan alle prese con il freddo che avanza, catastrofi naturali, crisi economica e sospensione dei finanziamenti statunitensi.

Ma è autentica solidarietà, generosa e disinteressata, o piuttosto un calcolato avvicinamento al governo talebano per convincerlo a riprendersi i “suoi” immigrati in Europa, in risposta alla sempre maggiore pressione delle forze di destra perché si liberino di questo “fardello”? Per provare a rispondere è utile fare un passo indietro e osservare come si sono mossi alcuni Stati europei in questi ultimi mesi.

L’isolamento in cui il governo di fatto dell’Afghanistan è stato confinato con le sanzioni comminate nei confronti dei ministri talebani, che impediscono loro di viaggiare, dovrebbe rendergli impossibile incontrare funzionari di Paesi dell’Unione, tanto più in Europa.

Invece la Germania già il 21 luglio non solo ha deportato a Kabul 81 migranti con il coordinamento dell’amministrazione talebana e l’aiuto del Qatar, ha persino invitato due rappresentanti diplomatici del governo talebano in Europa perché seguissero le pratiche dei respingimenti in futuro.

E questi personaggi non sono stati trattati da funzionari con mansioni “tecniche”: sono stati riconosciuti come nuovi portavoce facenti funzioni consolari, dopo che i precedenti della vecchia Repubblica hanno dato le dimissioni proprio per protesta contro l’invito ai “nuovi” delegati. Si è così scavalcato di fatto ogni impegno al non riconoscimento del governo talebano che gli Stati europei e la stessa Germania continuano a ribadire come loro vincolo imperativo, prefigurando un cambio della politica europea nei confronti del governo de facto.

La pensano così anche i Talebani, che infatti si sono affrettati a mettere in risalto il loro nuovo ruolo e a occupare tutti gli spazi resi disponibili in questo nuovo contesto, con grande rischio per gli emigrati e per le loro famiglie perché ora tutta la documentazione relativa ai profughi che vivono in Germania e alle loro famiglie rimaste in Afghanistan sono stati ceduti nelle loro mani.

Questa decisione di Berlino ha creato un gravissimo precedente, che altri Stati europei si sono affrettati a seguire. Infatti già il 29 luglio funzionari svizzeri hanno chiesto al loro governo un dialogo diretto con i funzionari dell’Emirato islamico dell’Afghanistan per facilitare il processo di rimpatrio forzato dei richiedenti asilo afghani.

Il 30 luglio anche la Svezia ha tentato di ricorrere alla burocrazia per rendere la vita difficile agli immigrati afghani e prepararne l’espulsione, dichiarando nulli i documenti di viaggio non regolari, unici documenti di cui sono in possesso i fuggitivi dall’Afghanistan.

Intanto i Talebani hanno alzato il tiro: hanno informato la Svizzera che non avrebbero più accettato i rimpatri che non fossero stati firmati da esponenti del proprio governo, imponendo così di fatto i loro funzionari, tanto che il 23 agosto si sono recati a Ginevra per aiutare a identificare chi dovesse essere deportato in Afghanistan.

Anche Vienna si è fatta avanti. A metà settembre una delegazione di cinque membri del ministero degli Esteri talebano si è recata nella capitale austriaca per discutere le missioni diplomatiche e i servizi consolari ai cittadini afghani che vivono in Austria e in altri Paesi europei.

Ma la tappa decisiva è stata l’istanza dei 19 Paesi europei che hanno sottoscritto il 19 ottobre di quest’anno una richiesta al Commissario europeo per gli Affari interni e le migrazioni affinché venga facilitato il rimpatrio, volontario o forzato, dei cittadini extra-europei senza permesso di soggiorno o asilo, chiedendo quindi che le deportazioni siano trattate come una “responsabilità condivisa a livello dell’Ue”.

A sottoscrivere il documento sono stati i governi di Bulgaria, Cipro, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Austria, Polonia, Slovacchia, Svezia, Repubblica Ceca e Paesi Bassi. Si è poi aggiunta la Norvegia la quale, pur non essendo membro dell’Ue, è un Paese Schengen.

Questa stretta migratoria, se è molto grave perché rischia di ripercuotersi pesantemente su tutti i profughi rifugiatisi in Europa, ha una ricaduta ancora più inquietante quando i migranti presi di mira sono cittadini afghani, costretti a tornare a vivere sotto un regime dittatoriale e repressivo dal quale erano fuggiti spesso per salvare la pelle. Ma è ancor più grave per il risvolto internazionale che prefigura, perché si ripercuote sulle relazioni tra Europa e Afghanistan, facendo diventare il governo afghano protagonista di una trattativa che lo riconosce di fatto se non di diritto, secondo una scelta che sembra essere sempre più considerata necessaria anche ai Paesi occidentali in quanto giustificata da esigenze pragmatiche.

Infatti il respingimento degli afghani nel Paese di origine necessita dell’accordo con il governo dei Talebani, fondamentalista e gravemente persecutorio nei confronti delle donne, che nessuno al mondo tranne la Russia ha voluto finora riconoscere. Ma questo governo è disponibile a dare il suo consenso al rientro dei suoi concittadini solo in cambio di un avanzamento del suo posizionamento nel mondo verso il riconoscimento legale. Posizione che rimane sottotraccia nella richiesta di deportazione avanzata degli Stati europei.

A estendere la nuova “linea politica” ci ha pensato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, inviando il 22 ottobre una lettera a tutti i 27 Stati dell’Unione per esortarli ad accelerare i rimpatri e implementare gli accordi bilaterali con i Paesi extra-Ue, anche con quelli che non rispettano il diritto umanitario, tipo l’Afghanistan.

Quindi trattare con il governo talebano, aprendo al dialogo e ai suoi ambasciatori, riconoscendogli di fatto un ruolo ufficiale sebbene ciò contraddica le dichiarazioni che la stessa Ue continua a proclamare, è la nuova strategia europea per “ridurre” l’immigrazione. La politica di dialogo dell’Ue con il governo talebano è stata del resto ribadita anche dal nuovo rappresentante Ue per l’Afghanistan, Gilles Bertrand, che appena eletto si è recato a Kabul per confermare direttamente ai Talebani l’intenzione dell’Ue a portare avanti il processo di dialogo stabilito nell’ambito degli accordi di Doha 3 – quelli cioè che escludono qualsiasi trattativa sui diritti delle donne per far piacere ai Talebani- offrendo e chiedendo collaborazione a vari livelli.

È quanto del resto ha ribadito il Parlamento europeo nel suo ultimo comunicato in cui, mentre prende una decisa posizione contro l’apartheid di genere e denuncia le responsabilità dei Talebani, anziché proporre provvedimenti per isolarli stringe i legami attraverso viaggi in Afghanistan e contatti segreti tra diplomatici, giustamente denunciati da alcune deputate europee.

In questa ottica, assume una luce più inquietante e interessata l’erogazione di aiuti umanitari che Bruxelles sta garantendo a Kabul sotto varie forme: non appare come un libero impegno dei Paesi europei democratici, solidali nei confronti del popolo afghano affamato, ma invece come un sostegno al governo talebano per avere in cambio la deportazione dei migranti afghani e agevolare il consenso dell’opinione pubblica europea sempre più xenofoba.

L’ONU sospende le operazioni di soccorso

L’ONU sospende le operazioni di soccorso al confine tra Afghanistan e Iran
Siyar Sirat, AMU Tv, 5 novembre 2025L?
Le Nazioni Unite e i suoi partner umanitari hanno sospeso le loro operazioni a Islam Qala, un importante valico di frontiera tra Afghanistan e Iran, a seguito delle nuove restrizioni imposte dai talebani che impediscono alle donne che lavorano con le Nazioni Unite e le ONG di operare nel sito, ha confermato mercoledì ad Amu la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA).

La sospensione avviene in un momento in cui il numero di afghani deportati o rimpatriati dall’Iran è in forte aumento, molti dei quali in condizioni umanitarie disastrose. Secondo le Nazioni Unite, oltre il 60% di coloro che arrivano a Islam Qala sono donne e bambini, e quasi un terzo delle famiglie che rientrano è guidato da donne.

“Queste restrizioni creano sia sfide operative immediate che rischi aggiuntivi per i rimpatriati, in particolare donne e ragazze”, ha affermato l’UNAMA in una dichiarazione condivisa con Amu. “Senza personale femminile, non possiamo assistere collettivamente donne e bambini che tornano in patria in condizioni di dignità e rispetto”.

Agenzie delle Nazioni Unite e ONG hanno operato a Islam Qala per fornire servizi essenziali ai rimpatriati, tra cui cibo, assistenza medica, supporto psicosociale e trasporto di emergenza. L’esclusione del personale femminile da queste attività ha di fatto paralizzato molte componenti della risposta umanitaria che tengono conto delle differenze di genere.

Un nuovo livello di restrizioni

Il valico di frontiera è stato un punto di ingresso umanitario cruciale, soprattutto da quando il Pakistan ha avviato una campagna di deportazioni di massa contro i cittadini afghani privi di documenti a ottobre. Anche l’Iran ha continuato le deportazioni, rimpatriando migliaia di afghani ogni settimana.

Sebbene i talebani abbiano ripetutamente imposto divieti alle donne afghane di lavorare con ONG e Nazioni Unite dal dicembre 2022, le agenzie umanitarie sono riuscite in molti casi a negoziare esenzioni, in particolare in settori come la sanità e l’istruzione, o per lavori che coinvolgono donne e bambini. L’applicazione del divieto ai valichi di frontiera segna un nuovo livello di restrizione, che colpisce uno dei gruppi più vulnerabili: le famiglie sfollate che fanno ritorno dalle loro case.

“I partner umanitari delle Nazioni Unite e delle ONG stanno collaborando con le autorità de facto e sperano che si trovino soluzioni che consentano di riprendere tutte le operazioni in modo sicuro, culturalmente sensibile e basato sui principi”, si legge nella dichiarazione.

I gruppi per i diritti umani e le organizzazioni umanitarie denunciano da tempo che i divieti imposti dai talebani alle donne di lavorare non solo violano i principi umanitari internazionali, ma limitano anche gravemente la fornitura di aiuti in un paese in cui più di due terzi della popolazione dipende da qualche forma di assistenza.

La situazione a Islam Qala rischia ora di aggravare la crisi umanitaria, poiché migliaia di rimpatriati, molti dei quali non hanno casa, cibo o mezzi di sostentamento, si trovano ad affrontare un futuro incerto nell’Afghanistan occidentale.

ONU: oltre nove milioni di persone in Afghanistan affrontano una grave insicurezza alimentare

Gli esperti umanitari hanno avvertito che le persone più vulnerabili, in particolare donne e bambini, nelle zone colpite dal terremoto, rischiano di trovarsi ad affrontare livelli di fame catastrofici se non verranno forniti fondi urgenti

JANS, Rawa, 10 ottobre 2025

Secondo quanto riportato giovedì dai media locali, secondo le Nazioni Unite, più di nove milioni di persone in Afghanistan stanno affrontando una grave insicurezza alimentare e la malnutrizione sta peggiorando, minacciando i bambini e le famiglie vulnerabili in tutto il Paese.

Il Programma Alimentare Mondiale (WFP) ha lanciato l’allarme: il recente terremoto ha aggravato una già grave crisi alimentare e nutrizionale in Afghanistan. Nel suo rapporto pubblicato giovedì, il WFP ha affermato che oltre nove persone stanno affrontando una grave insicurezza alimentare, mentre la grave malnutrizione tra bambini e madri ha raggiunto livelli record, secondo quanto riportato dalla principale agenzia di stampa afghana Khaama Press.

Secondo il rapporto, la regione dell’Afghanistan orientale, in particolare le province di Kunar e Nangarhar, è stata la più colpita. Queste aree erano già affette da grave malnutrizione prima dei terremoti in Afghanistan e le condizioni sono ora ulteriormente peggiorate.

Il ritorno degli afghani dopo il rimpatrio dal Pakistan ha ulteriormente aumentato la pressione sulle scarse risorse umanitarie, peggiorando la situazione sia per gli sfollati sia per le comunità ospitanti.

Finora, il WFP ha fornito assistenza alimentare d’emergenza a oltre 58.000 persone nelle province di Kunar, Laghman e Nangarhar. Tuttavia, l’agenzia ha avvertito che molte aree montuose remote rimangono isolate a causa del terreno accidentato, delle strade dissestate e delle comunicazioni deboli.

L’agenzia ha dichiarato che la carenza di fondi sta limitando gravemente la sua capacità di risposta. Con le risorse attuali, gli aiuti possono essere forniti solo a meno di un milione di persone al mese, con un deficit di finanziamento di circa 622 milioni di dollari per i prossimi sei mesi. Gli esperti umanitari hanno avvertito che le persone più vulnerabili, in particolare donne e bambini, nelle zone colpite dal terremoto, rischiano di trovarsi ad affrontare livelli di fame catastrofici se non verranno forniti fondi urgenti.

Il mese scorso, il WFP ha segnalato che la fame in Afghanistan sta aumentando rapidamente e ha aumentato la richiesta di finanziamenti urgenti per fornire aiuti prima che l’inverno isoli le comunità vulnerabili in tutto il paese. Il 18 settembre, il WFP ha dichiarato che sono necessari finanziamenti urgenti per fornire cibo prima che l’inverno isoli i villaggi remoti, lasciando le famiglie senza rifornimenti essenziali.

La vicedirettrice esecutiva del WFP, Rania Dagash Kamara, ha dichiarato che i bisogni restano “vasti e immediati” e ha avvertito che milioni di altri afghani potrebbero essere spinti verso la fame estrema nei prossimi mesi se non verranno fornite nuove risorse.

La crisi è stata ulteriormente aggravata dalla decisione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) di sospendere i programmi di assistenza in denaro in tutto il Paese dopo il 9 settembre, in seguito alle restrizioni imposte al personale femminile.

Afghanistan: sbloccare gli aiuti alle vittime del terremoto e porre fine all’”apartheid di genere”

europarl.europe.eu 9 ottobre 2025

Il Parlamento europeo ha votato una importante richiesta a sostegno del popolo afghano: aiuti più incisivi per i terremotati dell’Afghanistan, in particolare per le donne; riconoscimento che in quel paese è in atto un regime fondato sull’Apartheid di genere, riconoscimento dell’ADG come crimine contro l’umanità; sostegno ai diritti umani e democratici.

Di più: ha sancito che per aumentare la pressione sui leader talebani, l’UE e gli Stati membri dovrebbero adottare sanzioni mirate, congelamenti dei beni e divieti di viaggio nei loro confronti, e astenersi dal riprendere i contatti diplomatici con il regime.

Ma alcuni rappresentanti del Parlamento europeo hanno denunciato che alcuni paesi europei intrattengono colloqui con i talebani, e hanno fortemente criticato i recenti contatti intercorsi.

In particolare Hannah Neumann, a nome del gruppo Verts/ALE, ha detto che “invece di stare al fianco delle donne afghane, i governi europei si recano a Kabul in segreto, negoziando con i terroristi le deportazioni, barattando diritti e promesse in cambio di accordi miopi e una manciata di voti.

Ma il nostro dovere è l’opposto: denunciare i crimini dei talebani, non normalizzarli; parlare a nome delle donne afghane, non metterle a tacere; e codificare l’apartheid di genere come un crimine contro l’umanità, affinché le prove siano preservate, la giustizia sia possibile e questi loschi accordi siano denunciati per quello che sono: complicità”

[Redazione CISDA]

Gli eurodeputati chiedono che gli aiuti raggiungano tutte le vittime del terremoto in Afghanistan, dove le politiche restrittive in materia di genere del regime ostacolano la distribuzione degli aiuti.

 

 

In una risoluzione adottata giovedì con 504 voti favorevoli, 74 contrari e 30 astensioni, il Parlamento europeo chiede una risposta più incisiva agli aiuti di emergenza in seguito al recente terremoto di Kunar, in Afghanistan.

Gli aiuti di emergenza devono essere intensificati

Gli eurodeputati sono profondamente preoccupati per la situazione umanitaria nelle province di Kunar e Nangarhar. La risposta di emergenza dovrebbe essere intensificata, in particolare per raggiungere le popolazioni più svantaggiate. Poiché i tagli agli aiuti internazionali hanno gravemente colpito i programmi in Afghanistan, gli eurodeputati chiedono alla Commissione europea di aumentare urgentemente il sostegno dell’UE per i bisogni primari del Paese.

I talebani commettono “crimini contro l’umanità”

Il Parlamento condanna l’abbandono deliberato da parte del regime talebano di donne e ragazze vittime del terremoto come “un crimine contro l’umanità”. Prendendo atto delle restrizioni imposte dal regime alla distribuzione di aiuti umanitari a donne e ragazze, i deputati chiedono alle autorità de facto dell’Afghanistan di revocare tutte le restrizioni che limitano la distribuzione degli aiuti umanitari. Per potenziare la distribuzione degli aiuti, i deputati chiedono un maggiore coinvolgimento dei partner regionali e delle ONG di fiducia per aggirare l’interferenza dei talebani e garantire la distribuzione degli aiuti.

Porre fine all’“apartheid di genere”

Gli eurodeputati condannano le numerose restrizioni di genere e le politiche discriminatorie dei talebani che impediscono alle donne afghane di accedere all’istruzione, alla formazione medica, all’assistenza sanitaria e al lavoro umanitario, il che equivale a un “apartheid di genere”. L’UE dovrebbe sostenere il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità e il regime talebano dovrebbe immediatamente revocare le restrizioni sulle operatrici umanitarie e sulle donne che lavorano per le organizzazioni della società civile. Il Parlamento condanna inoltre la recente decisione dei talebani di bloccare Internet a livello nazionale, causando disagi diffusi.

Aumentare la pressione sui talebani

Gli eurodeputati condannano la persistente violenza contro le donne, inclusi stupri, violenze sessuali e matrimoni precoci forzati in Afghanistan. Per aumentare la pressione sui leader talebani responsabili di violazioni dei diritti umani, l’UE e gli Stati membri dovrebbero adottare sanzioni mirate, congelamenti dei beni e divieti di viaggio nei loro confronti, e astenersi dal riprendere i contatti diplomatici con il regime.

Assistere i difensori dei diritti umani nelle procedure di asilo

I deputati rilevano con preoccupazione che difensori dei diritti umani, giornalisti e altre personalità pubbliche che hanno sostenuto lo sviluppo democratico in Afghanistan sono in attesa in Pakistan che le loro richieste di asilo presentate dall’UE vengano esaminate. Recentemente, anche questi gruppi sono stati oggetto di espulsioni dal Pakistan all’Afghanistan e gli Stati membri dell’UE dovrebbero fornire assistenza, ove possibile, in queste procedure di richiesta.

Sfondo

Il 31 agosto 2025 un terremoto di magnitudo 6.0 ha colpito la provincia di Kunar, nell’Afghanistan orientale, causando oltre 2.200 morti e migliaia di feriti e distruggendo più di 6.700 case.

L’UE e i suoi Stati membri sono tra i maggiori donatori umanitari per l’Afghanistan. Hanno approvato 1 milione di euro in finanziamenti di emergenza, oltre ai 161 milioni di euro di aiuti umanitari già stanziati nel 2025.

Onu chiede revoca delle restrizioni del personale femminile

L’ONU in Afghanistan chiede la revoca delle restrizioni all’accesso del personale femminile alle sedi dell’ONU

UNAMA, 11 settembre 2025

Il 7 settembre, le forze di sicurezza afghane di fatto hanno impedito al personale femminile nazionale e ai collaboratori esterni delle Nazioni Unite di entrare nei complessi ONU a Kabul.

Questa restrizione è stata estesa agli uffici ONU in tutto il Paese, a seguito di notifiche scritte o verbali da parte delle autorità de facto . Le forze di sicurezza sono visibilmente presenti agli ingressi delle sedi ONU a Kabul, Herat e Mazar-i-Sharif per far rispettare la restrizione. Ciò è particolarmente preoccupante alla luce delle continue restrizioni ai diritti delle donne e delle ragazze afghane.

Le Nazioni Unite hanno anche ricevuto segnalazioni di forze di sicurezza de facto che tentano di impedire al personale femminile nazionale di recarsi nelle sedi sul campo, anche per supportare donne e ragazze nell’ambito dell’urgente risposta al terremoto, e di accedere ai siti operativi per i rimpatriati afghani dall’Iran e dal Pakistan.

Le Nazioni Unite in Afghanistan stanno coinvolgendo le autorità de facto e chiedono l’immediata revoca delle restrizioni per continuare a fornire un sostegno fondamentale al popolo afghano.

Le azioni attuali ignorano gli accordi precedentemente comunicati tra le autorità de facto e le Nazioni Unite in Afghanistan. Tali accordi hanno permesso alle Nazioni Unite di fornire assistenza essenziale in tutto il Paese, attraverso un approccio culturalmente sensibile e basato su principi, garantendo l’assistenza fornita dalle donne, per le donne.

Gli aiuti umanitari salvavita e altri servizi essenziali attualmente forniti a centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini nelle zone colpite dal terremoto nell’Afghanistan orientale e lungo i confini tra Afghanistan, Iran e Pakistan sono seriamente a rischio.

In risposta a questa grave interruzione, l’UNAMA e le agenzie, i fondi e i programmi delle Nazioni Unite in Afghanistan hanno implementato adeguamenti operativi provvisori per proteggere il personale e valutare opzioni praticabili per proseguire il loro lavoro fondamentale e basato sui principi.

Il divieto di movimento del personale delle Nazioni Unite e l’ostruzione delle operazioni delle Nazioni Unite costituiscono una violazione delle norme internazionali sui privilegi e le immunità del personale delle Nazioni Unite.

“Tutto ciò che mi è rimasto è questo tessuto”: i sopravvissuti al terremoto in Afghanistan aspettano ancora aiuto

Shams Rahman, Zan Times, 5 settembre 2025

Nelle case distrutte del villaggio di Wadeer, nella provincia afghana di Kunar, i sopravvissuti al devastante terremoto di domenica, che ha ucciso più di 2.200 persone, affermano di essere ancora in attesa degli aiuti più basilari: cibo e riparo.

Il terremoto di magnitudo 6.0, che ha colpito l’Afghanistan orientale verso mezzanotte, ha causato oltre 3.600 feriti, secondo i funzionari talebani. E in tutta la provincia di Kunar, oltre 5.700 case sono state distrutte. Il distretto di Nurgal, nella parte occidentale della provincia di Kunar, dove si trova il villaggio di Wadeer, è stato l’epicentro della devastazione, con 1.000 morti confermati e 2.500 feriti.

I talebani, che hanno preso il controllo del Paese nel 2021, hanno esortato enti di beneficenza, imprenditori e cittadini comuni a contribuire alla loro risposta. I portavoce talebani hanno diffuso online i numeri di conto bancario, con la promessa che le donazioni sarebbero state gestite con “trasparenza”.

Le difficoltà del soccorso

Un portavoce del governo talebano, Zabihullah Mujahid, afferma che le operazioni di soccorso continuano. Nelle zone irraggiungibili con gli elicotteri, sarebbero state paracadutate unità di commando per trasportare i feriti in salvo.

Ma sul campo, il divario tra annunci e azioni concrete si sta ampliando. Alcune squadre di soccorso volontarie hanno raggiunto il villaggio di Wadeer e sono state inviate unità sanitarie mobili, ma i residenti affermano che il supporto rimane insufficiente.

I danni alle strade causati dal terremoto e dalle recenti piogge hanno reso l’accesso ancora più difficile. In altri villaggi, alcuni sopravvissuti stanno ancora aspettando di estrarre i corpi dei loro cari dalle macerie.

“Abbiamo urgente bisogno di tende e cibo. Le persone hanno perso la casa; non hanno nemmeno i mezzi per cucinare. E abbiamo bisogno di più medici. Le équipe mediche sono troppo poche e le persone vengono ancora sepolte”, racconta al Guardian un anziano del villaggio di Wadeer.

“Siamo ancora seduti al sole perché non c’è una tenda”, dice una nonna di Wadeer, che è con i suoi due nipoti. “Se ci fosse una tenda, potrei almeno tenerli all’ombra”.

Racconta che sua nuora e suo marito sono stati portati in ospedale in elicottero, ma non ha idea di dove. Nessuno è tornato con informazioni o aiuti.

Lì vicino, un’altra donna che ha perso più di 30 parenti racconta: “Ho perso mio marito, i miei figli, i miei nipoti. Tutto. Mi è rimasto solo questo panno. Non ho nemmeno i soldi per comprare un paracetamolo”.

Le agenzie umanitarie hanno affermato che le donne sopravvissute al terremoto non possono accedere facilmente a soccorsi o supporto medico e che nelle province conservatrici come Kunar è difficile per una donna single chiedere aiuto a uomini non imparentati. L’autonomia e la libertà di movimento delle donne sono fortemente limitate dal regime talebano, incluso il divieto di parlare in pubblico.

Un solo ospedale funzionante

Nonostante sia uno dei distretti più colpiti, Nurgal ha un solo ospedale funzionante, che non riesce a gestire l’enorme numero di vittime. La maggior parte delle persone soccorse finora viene trasferita nella capitale afghana, Kabul, o nella vicina provincia di Nangarhar in elicottero per le cure.

Le organizzazioni internazionali hanno difficoltà a intensificare gli sforzi di soccorso, non solo a causa della conformazione del territorio, ma anche a causa delle gravi carenze di finanziamenti, molte delle quali derivano dal crollo più ampio del sostegno dei donatori all’Afghanistan.

“La situazione sul campo è critica”, afferma il Consiglio Norvegese per i Rifugiati (NRC). “Intere comunità hanno urgente bisogno di assistenza salvavita. Le risorse locali sono al limite e la mancanza di finanziamenti sta limitando la portata e la rapidità della risposta umanitaria”.

L’NRC afferma che le famiglie nella provincia di Kunar dormono in tende sovraffollate, alcune delle quali ospitano fino a 100 donne e bambini, senza accesso a servizi igienici o acqua pulita.

Da febbraio 2025, 422 centri sanitari in tutto l’Afghanistan hanno chiuso i battenti a seguito dei tagli agli aiuti statunitensi. Solo nell’Afghanistan orientale, 80 centri sanitari hanno chiuso i battenti, di cui almeno 15 a Kunar e 29 a Nangarhar, lasciando i sopravvissuti al terremoto ancora più vulnerabili.

L’NRC afferma che il suo portafoglio di finanziamenti è pari al 60% di quello del 2023, il che limita significativamente la sua capacità di rispondere alle crescenti esigenze umanitarie. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni delle Nazioni Unite, che aiuta gli sfollati in Afghanistan, afferma che i tagli ai finanziamenti di quest’anno hanno ridotto la capacità dei magazzini e la presenza dell’organizzazione sul campo, costringendo la maggior parte delle forniture a essere spedita da Kabul, il che aumenta ulteriormente i ritardi e i costi logistici.

Fondi stanziati, ma i soccorsi non arrivano

L’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre agenzie hanno dispiegato kit sanitari di emergenza, team mobili e ambulanze aggiuntive nella regione. Eppure, per molti nelle aree remote, l’accesso alle cure rimane impossibile. Con le strade bloccate e il numero insufficiente di elicotteri, gli abitanti dei villaggi devono aspettare, sperando che arrivino i soccorsi.

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari afferma che 25 team inter agenzia hanno raggiunto alcuni distretti colpiti, ma ha ammesso che l’accesso alle valli più colpite rimane discontinuo e che le condizioni meteorologiche hanno ulteriormente ritardato i progressi.

Le Nazioni Unite hanno stanziato 10 milioni di dollari (7,4 milioni di sterline) in fondi di emergenza, 5 milioni dal Fondo Centrale di Risposta alle Emergenze e altri 5 milioni dal Fondo Umanitario per l’Afghanistan. Ma i responsabili degli aiuti umanitari affermano che si tratta di una frazione di quanto necessario.

Per ora, in villaggi come Wadeer, le persone siedono sotto brandelli di stoffa o teli di plastica, piangendo i loro morti e temendo ciò che accadrà in futuro.

Kreshma Fakhri e Freshta Ghani hanno contribuito al reportage.

Questo rapporto è stato pubblicato in collaborazione con il Guardian .

Dopo il terremoto, i bambini afghani affrontano una crisi nella crisi

I tagli agli aiuti hanno causato la chiusura delle cliniche e bloccato gli aiuti. Nessun bambino dovrebbe morire perché l’attenzione mondiale cala o i bilanci si riducono. I bambini afghani erano già vulnerabili alla fame, alle malattie, alla povertà e all’isolamento, e ora sono precipitati in un abisso ancora più profondo

Abdurahman Sharif, Al Jazeera, 3 settembre 2025

Un violento terremoto di magnitudo 6.0 ha devastato l’Afghanistan orientale questa settimana, radendo al suolo interi villaggi di montagna e distruggendo le fragili vite di migliaia di persone, in particolare bambini, che erano già alle prese con crescenti necessità umanitarie e tagli ai finanziamenti.

Questo terremoto, che ha colpito le province di Kunar e Nangarhar, ha già ucciso più di 1.400 persone e si prevede che il numero aumenterà, mentre le scosse di assestamento continuano a provocare devastazione. Migliaia di altre persone sono rimaste ferite, con interi villaggi rasi al suolo in zone remote e montuose dove le strade sono bloccate e le squadre di soccorso, tra cui il personale sanitario mobile di Save the Children, stanno lottando per raggiungere le persone in difficoltà.

I bambini sono in più colpiti

Ma non si tratta di un’altra catastrofe naturale: è una collisione di catastrofi per l’Afghanistan, dove quasi 23 milioni di persone, ovvero poco meno della metà della popolazione, necessitano di assistenza umanitaria quest’anno. Secondo l’Integrated Food Security Phase Classification, oltre 9 milioni di persone dovranno affrontare una grave insicurezza alimentare prima di ottobre. Almeno 2 milioni di persone sono state costrette a tornare in Afghanistan solo quest’anno da Iran e Pakistan. Il risultato è catastrofico, e sono i bambini a pagarne le conseguenze.

Tali disastri naturali richiedono una risposta umanitaria rapida e decisa. I bambini hanno bisogno di cure mediche immediate, acqua pulita, riparo e supporto psicosociale per riprendersi dal trauma. Eppure, queste operazioni essenziali sono limitate, ridotte dai tagli agli aiuti inflitti al sistema umanitario globale.

Quest’anno, i donatori internazionali hanno tagliato i budget per gli aiuti esteri. Queste decisioni sono arrivate esattamente nel momento sbagliato. Circa 126 programmi gestiti da Save the Children a livello globale sono stati chiusi a causa dei tagli agli aiuti a maggio, colpendo circa 10,3 milioni di persone. Si tratta di programmi che supportano milioni di bambini in zone di conflitto, campi profughi e aree a rischio di catastrofi.

In Afghanistan, questi tagli hanno comportato una riduzione del personale necessario per rispondere alle calamità naturali e a fronteggiare catastrofi come questo terremoto. Le cliniche mediche sono state chiuse, quindi ci sono meno strutture per curare i feriti, e le strutture sanitarie ancora aperte sono disperatamente sovraccariche, anche prima che si verificasse questo disastro. I servizi sanitari in Afghanistan non possono assorbire colpi come questo terremoto.

L’impatto dei tagli agli aiuti in Afghanistan è stato profondamente sentito da Save the Children. Save the Children ha perso i finanziamenti per 14 cliniche sanitarie nell’Afghanistan settentrionale e orientale, sebbene al momento utilizziamo finanziamenti alternativi a breve termine per mantenerle aperte. La perdita di queste cliniche significherebbe la perdita dell’accesso all’assistenza sanitaria nei loro villaggi per 13.000 bambini.

All’inizio di quest’anno, ho visitato la provincia di Nangarhar, ora devastata dal terribile terremoto, e ho incontrato bambini e le loro famiglie che lottano per sopravvivere. Ho visto interi centri sanitari gestiti dai nostri partner chiudere. Le famiglie mi hanno raccontato cosa significa: madri impossibilitate a partorire in sicurezza, bambini che non ricevono vaccinazioni essenziali e famiglie lasciate senza speranza.

La portata della crisi umanitaria in Afghanistan, aggravata dai tagli agli aiuti e ora combinata con uno scenario di risposta improvvisa come il terremoto afghano, crea una crisi nella crisi. Le agenzie umanitarie sono sotto pressione – o assenti – a causa dei licenziamenti del personale e della chiusura di programmi e uffici.

Questo terremoto dovrebbe essere un chiaro appello a reinvestire negli aiuti umanitari, rapidamente e generosamente. I governi donatori devono invertire la rotta, sbloccare i finanziamenti di emergenza e impegnarsi a finanziare a lungo termine i servizi per l’infanzia.

Senza finanziamenti immediati e duraturi, prevediamo un rapido peggioramento: bambini esposti a malattie trasmesse dall’acqua, famiglie costrette a strategie di adattamento negative come il lavoro minorile o il matrimonio precoce, e tassi crescenti di malnutrizione in un Paese in cui un bambino su cinque già prima del terremoto soffriva di fame acuta. Entro ottobre di quest’anno, si prevedeva che cinque milioni di bambini afghani – ovvero circa il 20% dei bambini in Afghanistan – avrebbero dovuto affrontare una fame acuta, con tagli ai finanziamenti che avrebbero ridotto del 40% la quantità di aiuti alimentari disponibili e 420 centri sanitari chiusi, impedendo l’accesso a tre milioni di persone. Anche prima dei tagli agli aiuti, 14 milioni di persone avevano un accesso limitato all’assistenza sanitaria.

Dobbiamo garantire che quando si verifica un disastro – che si tratti di un terremoto o di un conflitto – siamo in grado di reagire, e rapidamente. Dobbiamo garantire che i diritti dei bambini continuino a esistere, anche quando i bilanci vacillano.

Questa è una crisi che aggrava un’altra crisi. Stiamo assistendo al collasso dei sistemi di protezione dei bambini – sanitari, nutrizionali, educativi, psicosociali – proprio nel momento in cui sono più critici.

Nessun bambino dovrebbe morire perché l’attenzione mondiale cala o i bilanci si riducono. I bambini afghani erano già vulnerabili alla fame, alle malattie, alla povertà e all’isolamento, e ora sono precipitati in un abisso ancora più profondo.

(Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera)

Abdurahman Sharif è Direttore senior, Impatto del programma, Influenza e Affari umanitari per Save the Children.

 

Il capo delle NU sollecita maggiori aiuti per i sopravvissuti al terremoto in Afghanistan

Kabul Now, 2 settembre 2025

Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha sollecitato aiuti urgenti e maggiori per i sopravvissuti al devastante terremoto nell’Afghanistan orientale, avvertendo che le risorse esistenti sono “insufficienti per far fronte alle necessità”.

In una dichiarazione rilasciata dalla missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), il signor Guterres ha affermato che le Nazioni Unite non risparmieranno alcuno sforzo per aiutare le persone colpite, ma ha sottolineato che sono urgentemente necessari maggiori finanziamenti.

Ha espresso le sue condoglianze alle famiglie delle vittime e ha augurato una pronta guarigione ai feriti. Ha inoltre confermato che sono stati stanziati 5 milioni di dollari dal Fondo Centrale di Risposta alle Emergenze (CERF) delle Nazioni Unite per fornire soccorsi immediati. Ulteriori 5 milioni di dollari dal Fondo Umanitario per l’Afghanistan sono stati stanziati per la risposta al terremoto, portando il contributo iniziale totale delle Nazioni Unite a 10 milioni di dollari.

“Le Nazioni Unite e i nostri partner in Afghanistan si stanno coordinando con le autorità de facto per valutare rapidamente le necessità, fornire assistenza di emergenza ed essere pronti a mobilitare ulteriore supporto”, ha affermato Guterres.

Il terremoto, di magnitudo 6,0, ha colpito nella tarda notte di domenica, colpendo le province di Kunar, Nangarhar, Laghman e Nuristan. L’impatto più grave è stato segnalato nella provincia di Kunar, in particolare nei distretti di Chhawkay, Nurgal, Chapa Dara, Dara-e-Pech, Watapur e Asadabad.

Secondo i dati dei talebani , almeno 1.411 persone sono state uccise e più di 3.100 ferite. Molti dei feriti rimangono in condizioni critiche, mentre gli ospedali devono far fronte a carenza di forniture, attrezzature e personale. Gli operatori umanitari affermano che le restrizioni all’occupazione femminile nel settore sanitario hanno ulteriormente complicato la risposta, lasciando le pazienti senza un adeguato accesso alle cure.

I funzionari delle Nazioni Unite stimano che oltre 12.000 persone siano state colpite direttamente, mentre oltre 5.400 case sono state distrutte nella sola provincia di Kunar. I villaggi nelle remote valli montane rimangono isolati dopo che le frane provocate dalle recenti piogge e le inondazioni hanno bloccato le strade, rendendo difficile per i convogli di aiuti raggiungere alcune delle zone più colpite.

Alcuni paesi hanno promesso un sostegno immediato. L‘Unione Europea ha annunciato un finanziamento di 1 milione di euro, mentre il Regno Unito si è impegnato a 1 milione di sterline. L’India ha inviato 21 tonnellate di forniture di emergenza, tra cui cibo, tende, medicinali e acqua.

Nonostante questi sforzi, le agenzie umanitarie affermano che l’attuale livello di supporto è ben lungi dall’essere sufficiente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha chiesto 3 milioni di dollari per fornire cure mediche urgenti. Il Consiglio Norvegese per i Rifugiati (NRC) ha richiesto 2 milioni di dollari per sostenere 25.000 persone nei prossimi sei mesi con cibo, alloggio e assistenza in denaro.

Il terremoto si verifica mentre l’Afghanistan sta affrontando una delle peggiori crisi umanitarie al mondo, con oltre metà della popolazione già dipendente dagli aiuti dopo decenni di guerra, collasso economico e ripetuti disastri naturali.

Terremoto: non tutti si sono precipitati ad aiutare

Una risposta internazionale smorzata lascia i soccorritori di fronte a un compito difficile

Oliver Marsden, The Observer, 3 settembre 2025

Secondo la Mezzaluna Rossa afghana, il bilancio delle vittime del terremoto di domenica in Afghanistan ha superato quota 1.400.

E allora? I soccorritori e le famiglie sono alla disperata ricerca di sopravvissuti. Il terremoto ha distrutto case e villaggi vicino alla città di Jalalabad, nell’Afghanistan orientale, ed è stato avvertito a 145 chilometri di distanza, nella capitale Kabul.

  • ha innescato un’urgente operazione di soccorso;
  • ha peggiorato una situazione umanitaria già disastrosa; e
  • ha sollevato interrogativi su chi sia disposto a rispondere alla richiesta di aiuto dei talebani.

Zona disastrata. Il terremoto di magnitudo 6.0 ha colpito l’Afghanistan domenica sera. L’epicentro è stato registrato nei pressi di Jalalabad, città di 200.000 abitanti e capoluogo della provincia di Nangarhar, al confine con il Pakistan. Il territorio è montuoso e le infrastrutture sono carenti.

Non sono preparati ad affrontare la situazione. Interi villaggi sono stati spazzati via; molte delle case distrutte erano costruite con fango e mattoni su terreni in pendenza. Le scosse hanno causato frane che hanno coperto le strade utilizzate dalle squadre di soccorso.

Né di essere aiutati. In luoghi remoti, accessibili solo a piedi, le ambulanze non riescono a raggiungere chi ne ha bisogno. Sono arrivati ​​gli elicotteri, ma i talebani non hanno le risorse per sostenere il numero di feriti e sfollati. Il dottor Farid Homayoun dell’Halo Trust ha dichiarato al The Observer che la situazione è “davvero sconvolgente”.

Scossa di assestamento. Il disastro arriva in un momento difficile nelle relazioni tra l’Afghanistan e il suo vicino. Il Pakistan ha espulso 900.000 afghani dal 2023. Molti erano in possesso di certificati di residenza delle Nazioni Unite per il Pakistan o di carte di cittadinanza afghana rilasciate dal governo di Islamabad. Pochi hanno mai vissuto in Afghanistan.

In attesa di risposte. Tra sanzioni, siccità e ora un terremoto, Kabul è sopraffatta dall’afflusso. Non è ancora chiaro se Islamabad sospenderà le espulsioni.

Tensioni. Il Pakistan ha accusato i talebani di aver dato rifugio ai militanti del Tehreek-e-Taliban Pakistan, che organizza regolarmente attacchi nel Paese. I funzionari talebani, a loro volta, hanno affermato la scorsa settimana che Islamabad aveva lanciato attacchi con droni oltre confine.

Eppure, il Pakistan ha offerto aiuti dopo il terremoto. Camion di rifornimenti sono entrati in Afghanistan a Torkham, mentre il primo ministro, Shehbaz Sharif, ha espresso “sentite condoglianze” alle famiglie in lutto e ha promesso solidarietà ai cittadini afghani. Il ministro degli Interni talebano, Sirjuddin Haqqani, ha ricambiato le condoglianze al Pakistan per le recenti inondazioni.

Altrove, i talebani hanno chiesto ulteriore aiuto internazionale. La Gran Bretagna ha stanziato 1 milione di sterline per sostenere l’ONU e la Croce Rossa nella fornitura di assistenza sanitaria e forniture di emergenza all’Afghanistan, ma dalla caduta di Kabul il Paese è stato in gran parte abbandonato a se stesso.

Non cooperare. Le sanzioni occidentali, imposte quando i talebani presero il potere, avevano lo scopo di ottenere concessioni sui diritti e le libertà delle donne. Invece, il regime ha raddoppiato gli sforzi, vietando alle ragazze di andare a scuola e reintroducendo la fustigazione e la lapidazione in pubblico.

Aiuti in calo. Molte ONG internazionali si sono ritirate dall’Afghanistan, non volendo operare sotto le restrizioni imposte dai talebani. Jan Egeland, a capo del Consiglio norvegese per i rifugiati, ha affermato che “non ci sono finanziamenti reali” per sostenere gli sforzi di soccorso in Afghanistan.

Riduzione dei fondi. Il Ministero degli Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo britannico ha tagliato il bilancio per l’Afghanistan da 286 milioni di sterline a 151 milioni di sterline, secondo la Commissione Indipendente per l’Impatto degli Aiuti. Gli Stati Uniti sono andati oltre, cancellando oltre 1,2 miliardi di sterline di contratti a sostegno di programmi in tutto il Paese.

Chissà… le dichiarazioni ufficiali negli Stati Uniti si sono limitate a semplici espressioni di solidarietà. L’ufficio del Dipartimento di Stato per la regione ha dichiarato di aver espresso le sue “sentite condoglianze al popolo afghano in questo momento difficile”, ma non ha dato alcuna indicazione di nuovi aiuti.

I residenti di Kunar segnalano la lentezza degli aiuti

I residenti della provincia di Kunar dicono che gli aiuti di emergenza non sono ancora arrivati a molti dei sopravvissuti al terremoto che ha colpito l’Afghanistan orientale, lasciando le famiglie senza cibo né assistenza medica

Yasin Shayan, Amu TV, 2 settembre 2025

Domenica sera un terremoto di magnitudo 6.0 ha colpito Kunar, uccidendo più di 1.400 persone e ferendone oltre 3.100, secondo i funzionari talebani. Almeno 5.400 case sono state distrutte. A Nangarhar, Laghman e Nuristan ci sono state meno vittime, mentre a Panjshir ci sono stati solo danni materiali.

I sopravvissuti nel distretto di Nurgal e a Mazar Dara hanno detto di non aver ricevuto né pane né assistenza sanitaria da quando il terremoto ha distrutto i villaggi domenica notte. “Non abbiamo né cibo né dottori. Nessuno ci ha dato una mano”, ha detto ad Amu una persona sopravvissuta. Un’altra ha detto che sono arrivati veicoli dei talebani e personale di alcune organizzazioni, “ma non è arrivato nemmeno un aereo con gli aiuti, anche se ci sono molti posti dove atterrare”.

I residenti locali hanno detto che le strade bloccate hanno reso impossibile il trasporto dei corpi, quindi le famiglie hanno dovuto portare i morti a seppellire a piedi. “Tutte le strade sono chiuse. Il governo non ha i mezzi per aiutare qui. Anche solo per spostare i corpi, la gente fa fatica”, ha detto un uomo.

Gli ospedali di Kunar rimangono sovraffollati. Testimoni oculari hanno descritto sepolture di massa e hanno riferito che i bambini senza casa sono stati costretti a dormire all’aperto. I sopravvissuti devono inoltre affrontare difficoltà dovute alla mancanza di medici donne, che ha lasciato molte donne ferite senza cure.

Amnesty International ha dichiarato che le restrizioni dei Talebani – tra cui il divieto per le donne di lavorare – hanno ostacolato i gruppi di aiuto. L’organizzazione per i diritti ha chiesto ai Talebani di eliminare le barriere burocratiche, assicurare l’accesso umanitario e garantire che i soccorsi siano forniti senza discriminazioni.

“I Talebani devono rispondere alle esigenze delle comunità colpite e garantire che gli sforzi di ricerca e di soccorso siano condotti senza discriminazioni”, ha dichiarato Amnesty, sollecitando misure speciali per proteggere i gruppi vulnerabili, soprattutto donne e ragazze.

Le Nazioni Unite hanno promesso 5 milioni di dollari dal loro fondo di emergenza per i sopravvissuti, ma hanno avvertito che gli attuali finanziamenti umanitari sono insufficienti. La Gran Bretagna ha impegnato oltre 1,3 milioni di dollari in aiuti, mentre l’Iran ha consegnato 80 tonnellate di farina e olio da cucina. L’inviato iraniano Alireza Bikdeli si è recato a Kunar martedì per supervisionare la distribuzione degli aiuti.