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Tag: Corte Penale Internazionale

Crimini di genere in Afghanistan: la CPI contro i leader talebani

Il Caffè Geopolitico, 7 marzo 2025, di Federica Leone

In 3 sorsi – Lo scorso 23 gennaio la richiesta di mandato d’arresto alla Corte Penale Internazionale (CPI) contro i leader talebani per il trattamento riservato alle donne afghane ha rappresentato una pietra miliare nella tutela dei diritti umani. I talebani, all’indomani dell’ascesa al potere nel 2021, hanno imposto regole draconiane sulle donne, rendendole sempre più escluse dalle attività istituzionali, lavorative e pubbliche. Un’apartheid di genere che ha sollevato accuse di crimini contro l’umanità, inducendo la comunità internazionale a ricorrere ad azioni giudiziarie contro la leadership talebana.

1. L’AFGHANISTAN E IL SUO CONTESTO POLITICO
Cerniera diplomatica tra Pakistan, Uzbekistan, Iran, Turkmenistan e Cina, la natura geografica afghana ha influenzato e influenza ancor oggi la storia di questo Stato. L’Afghanistan ha da sempre rappresentato un crocevia strategico tra Asia Meridionale e mondo occidentale, divenendo teatro di conflitti e di innumerevoli invasioni. Da mosaico etnico frammentato, si consolidò in un’unica entità statale nel 1746, mantenendo per oltre due secoli una relativa stabilità sotto il potere monarchico, nonostante le tensioni tribali. Il 1973 segnò una svolta con il colpo di Stato di Mohammed Daoud, il quale tentò una politica di equilibrio tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Tuttavia, nel 1978 il partito comunista Khalq rovesciò il regime, instaurando un Governo sostenuto da Mosca e caratterizzato da profonde divisioni interne. L’occupazione sovietica trovò resistenza nei mujaheddin, ai quali si affiancarono i talebani, militanti formatisi nelle scuole coraniche sotto la guida del Mullah Omar. Con il supporto di Osama bin Laden e Al Qaeda, i talebani imposero un regime fondamentalista, dominando il Paese fino all’intervento internazionale del 2001. Tuttavia, il ritiro delle truppe americane nell’agosto 2021 ha segnato il ritorno dei talebani al potere, riportando il Paese sotto un regime autoritario. Nel novembre 2022, il Governo talebano ha promulgato il Codice Akhundzada, un corpus normativo composto da trentacinque articoli e sottoscritto dal “Comandante dei fedeli”, con l’obiettivo dichiarato di promuovere la virtù e reprimere il vizio. Tale documento ha introdotto un ulteriore irrigidimento delle restrizioni sui diritti delle donne e sulle libertà individuali. In particolare, le disposizioni colpiscono le donne, imponendo loro non soltanto l’obbligo di coprire interamente il corpo negli spazi pubblici, ma anche il dovere di osservare il silenzio, poiché la voce femminile è ritenuta un potenziale strumento di corruzione morale.

2. APARTHEID DI GENERE
Le misure adottate dai fondamentalisti afghani, nei confronti delle proprie donne, sono state profondamente criticate da diverse organizzazioni per i diritti umani. Queste ultime hanno denunciato le politiche estremistiche dei talebani come una forma di persecuzione di genere, un crimine contro l’umanità ai sensi dello Statuto di Roma, ratificato nel 2003 dall’Afghanistan. Una reale apartheid di genere che vede l’esclusione delle donne da quasi ogni aspetto della vita pubblica compresi l’accesso all’istruzione, al sistema giudiziario e alle cure mediche. Persino la Procura della Corte Penale Internazionale ha giudicato il comportamento del regime talebano come una repressione pianificata contro una parte specifica della popolazione, istituendo un vero e proprio regime discriminatorio e oppressivo nei riguardi delle donne.

3. PROVVEDIMENTO DELLA CORTE E IMPLICAZIONI INTERNAZIONALI
L’eventuale decisione della Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di arresto nei riguardi dei leader talebani rappresenterebbe un punto di svolta nella dottrina in materia di diritti umani. Ciononostante, ai fini di ottenere la possibilità concreta di arrestare e processare il regime talebano, questi mandati richiedono una solida cooperazione tra gli Stati membri. A giocare un ruolo determinante è pertanto la risposta della comunità internazionale. In particolare, Cina, Russia e Pakistan potrebbero influenzare l’esito del procedimento, ponendo effettivamente ostacoli sull’applicazione delle misure della Corte. In ottica diplomatica, l’istanza in oggetto potrebbe richiedere maggiori pressioni su Governi e Istituzioni affinché adottino rigide sanzioni contro il regime
talebano. Certamente, l’impatto di tali provvedimenti dipenderà dall’impegno tangibile degli attori coinvolti. In definitiva, l’iniziativa della CPI segna un passo cruciale nella condanna delle discriminazioni di genere e, più precisamente, nella difesa dei diritti delle donne afghane. Sebbene il percorso rimanga complesso, la comunità internazionale potrebbe intensificare la pressione sul regime afghano, favorendo un miglioramento delle condizioni di vita delle donne del Paese. Un intervento che potrebbe rappresentare un primo passo verso una giustizia effettiva e duratura, in grado di poter rompere il silenzio delle innocenti vittime afghane.

I Talebani respingono la Corte Penale Internazionale

Anirudh Sharma, Jurist News, 22 febbraio 2025

I talebani rifiutano la giurisdizione della CPI e dichiarano nulla l’adesione allo Statuto di Roma del 2003

Giovedì i Talebani hanno annunciato che l’Afghanistan non riconoscerà più la giurisdizione della Corte penale internazionale (CPI), in quanto, a loro dire, l’adesione del Paese allo Statuto di Roma del 2003 sarebbe da considerarsi legalmente nulla, dopo che il mese scorso il procuratore della CPI, Karim Khan, ha richiesto mandati di arresto per il leader supremo dei Talebani, Hibatullah Akhundzada, e per il Presidente della Corte suprema afghana, Abdul Hakim Haqqani.

I Talebani hanno accusato la Corte penale internazionale di parzialità politica e di non aver ritenuto gli occupanti stranieri responsabili delle atrocità commesse durante la campagna militare condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan dal 2001 al 2021. Il gruppo ha inoltre sottolineato che le principali potenze globali, tra cui gli Stati Uniti, non sono firmatarie dello Statuto di Roma, affermando che è “ingiustificato che una nazione come l’Afghanistan, che ha storicamente sopportato l’occupazione straniera e la sottomissione coloniale, sia vincolata dalla sua giurisdizione”.

L’Afghanistan ha firmato lo Statuto di Roma nel 2003 sotto un governo sostenuto dall’Occidente, consentendo così alla CPI di perseguire i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità che si verificano nel territorio afghano. Tuttavia, i talebani, che hanno estromesso il governo precedente e preso il potere nell’agosto 2021, hanno dichiarato che tale decisione è ora priva di qualsiasi sostegno legale. ” In quanto entità che sostiene i valori religiosi e nazionali del popolo afghano nel quadro della Sharia islamica, l’Emirato islamico dell’Afghanistan non riconosce alcun obbligo nei confronti dello Statuto di Roma o dell’istituzione denominata “Corte penale internazionale” “, hanno affermato i talebani.

“In numerosi Paesi, tra cui l’Afghanistan, milioni di civili innocenti, soprattutto donne e bambini, hanno subito oppressioni e atti di violenza. Tuttavia, questo ‘tribunale’ ha clamorosamente fallito nell’affrontare queste gravi ingiustizie”, ha dichiarato il vice portavoce dei Talebani, Hamdullah Fitrat.

Il procuratore della CPI Karim Khan ha citato l’azione penale contro le donne, le ragazze e le persone LGBTQ+ afghane come elemento centrale dei mandati di arresto emessi nei confronti dei principali esponenti talebani. La persecuzione basata sul genere viola l’articolo 7 (1) (h) dello Statuto di Roma ed è considerata un crimine contro l’umanità. Secondo quanto riportato dall’UNESCO nell’agosto 2022, almeno 1,4 milioni di ragazze afghane non hanno ricevuto l’istruzione secondaria sotto il governo talebano.

L’amministrazione talebana respinge queste affermazioni, sostenendo che il suo governo è in linea con gli insegnamenti radicati nei comandi divini. “Ogni decreto che emette è basato sulla consultazione con gli studiosi e deriva dal Corano e dagli Hadith [detti del profeta dell’Islam] e rappresenta i comandi di Allah”, ha dichiarato il portavoce del governo.

Sebbene il governo talebano abbia ritirato la sua adesione allo Statuto di Roma, la CPI mantiene la giurisdizione sui crimini commessi prima del ritiro, secondo quanto stabilito dall’articolo 127 dello Statuto di Roma.

 

La Corte penale internazionale apre uno spiraglio di giustizia per le donne afghane

altraeconomia.it 17 febbraio 2025

Il procuratore capo della Cpi Karim Khan ha richiesto a fine gennaio un mandato di arresto per i leader dei Talebani, accusati di aver commesso il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere. Un atto importante per le donne perseguitate e per certi versi inedito ma che per essere efficace richiede che i Paesi occidentali e i firmatari dello Statuto di Roma rinnovino il sostegno alla Corte. Il commento del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane

Il 23 gennaio 2025 il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi) Karim Khan ha lanciato un forte atto d’accusa nei confronti dei Talebani: ha richiesto l’arresto del leader supremo, Mullah Hibatullah Akhundzada, e per il suo giudice capo, Abdul Hakim Haqqani, perché ritenuti responsabili del crimine contro l’umanità di persecuzione di genere.

La documentata accusa sta in due lunghi e dettagliati documenti che danno il quadro dei crimini commessi dai Talebani in questi ultimi tre anni e mezzo e del ruolo diretto dei due accusati nell’architettare e sostenere la sistematica violazione dei diritti delle donne e delle persone Lgbtqi+, persecuzione commessa almeno dal 15 agosto 2021 e fino a oggi in tutto il territorio dell’Afghanistan.

È una decisione storica: per la prima volta una richiesta di indagine della Cpi è incentrata sul crimine di persecuzione di genere come reato principale, e non solo per le azioni persecutorie contro le donne e le ragazze ma anche per quelle messe in atto nei confronti delle persone Lgbtqi+

Un atto coraggioso, che supera i tentennamenti e le politiche contraddittorie dell’Onu e degli Stati cosiddetti democratici che rifiutano formalmente il riconoscimento del governo talebano ma intanto invitano i propri esponenti ai convegni internazionali e con loro fanno affari.

Finalmente qualcosa si muove anche a livello istituzionale in difesa delle donne afghane e del loro diritto all’esistenza. Qualcuno si è accorto della loro quotidiana insopportabile sofferenza e, andando oltre le astratte dichiarazioni in difesa dei diritti umani, si è esposto con un atto concreto.

Di fronte all’assoluta impermeabilità del governo talebano alle ingiunzioni delle istituzioni internazionali che richiedono il ritiro dei provvedimenti e il ripristino dei diritti delle donne, la risposta non può essere quella di cancellare il problema dalle agende politiche e recedere dalle pressioni per ingraziarsi i Talebani con concessioni commerciali e aiuti economici. E nemmeno quella di scommettere su una divisione del fronte talebano per poterne appoggiare gli esponenti più moderati, perché non ci sono Talebani cattivi e Talebani buoni: sono tutti comunque fondamentalisti.

La provata continuata oppressione delle donne in quanto genere e delle persone che non si conformano alla visione del mondo dei Talebani sarebbe stata meglio definita dal termine “apartheid di genere” (Adg), con il quale ormai da tutti viene nominata la persecuzione sistematica delle donne che avviene in Afghanistan, e in modo meno eclatante anche in altri Paesi. Ma la Cpi non poteva usare questo termine perché l’Adg non è un reato previsto dallo Statuto di Roma, che contempla l’apartheid basato sulla discriminazione etnica ma non sul genere.

Sebbene la Cpi abbia cercato di aggiornare e integrare il reato di persecuzione di genere, l’Adg rimane una definizione più ampia e comprensiva di tutte le sfaccettature e gli aspetti politici che le differenze di genere comprendono. Perciò da varie parti si avanza la richiesta di rivedere lo Statuto di Roma integrandolo con il crimine specifico di Adg. Anche il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda) si unisce a questa richiesta nella sua “Campagna Stop fondamentalismi – Stop apartheid di genere” già avviata da novembre 2024.

Nel settembre dello scorso anno Canada, Germania, Australia e Paesi Bassi, seguiti successivamente da altre 20 nazioni, hanno annunciato la loro intenzione di deferire i Talebani presso il più alto tribunale delle Nazioni Unite, la Corte di giustizia internazionale, per le diffuse violazioni dei diritti umani contro le donne nel mancato rispetto della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) di cui l’Afghanistan è firmatario. La procedura è in corso, vedremo nei prossimi mesi come andrà avanti.

Intanto, il 28 novembre scorso Cile, Costa Rica, Spagna, Francia, Lussemburgo e Messico hanno esortato il procuratore della Cpi a indagare sulle violazioni sistematiche e continue dei diritti delle donne e delle ragazze da parte dei Talebani.

Accogliendo la loro richiesta, a fine gennaio, il procuratore, che aveva già annunciato la ripresa delle indagini sulla situazione in Afghanistan dopo un periodo di differimento, ha presentato le richieste di arresto per i due Talebani.

I giudici della Cpi hanno tempo tre mesi per decidere se accogliere la richiesta. Se i mandati venissero emessi, i due uomini potrebbero essere arrestati in qualsiasi Paese membro della Corte, anche se, data la loro propensione a rimanere all’interno di Paesi amici, gli arresti e i processi sono in realtà una prospettiva lontana.

Potrebbe sembrare quindi un atto con scarse ricadute pratiche. Tuttavia, anche se questi mandati non dovessero portare all’arresto immediato e al perseguimento dei leader Talebani, avrebbero comunque l’effetto di danneggiare la loro posizione politica di fronte all’opinione pubblica mondiale. Rappresenterebbero un passo significativo nella lotta contro il riconoscimento internazionale del governo talebano, in un momento in cui molti Stati e l’Onu stesso si stanno adoperando per trovare giustificazioni umanitarie ed economiche che permettano di riconoscere al governo talebano il diritto a rientrare di fatto nella comunità internazionale nonostante la loro visione fondamentalista, condannata a parole da tutti gli Stati ma subita nei fatti in nome del pragmatismo.

La presa di posizione della Cpi ci costringe a ricordare che è ancora viva la tragedia delle donne in Afghanistan, un Paese uscito dai radar mediatici sulla spinta di altre catastrofi più recenti e dalla consapevolezza che l’opinione pubblica spesso facilmente dimentica le tragedie appena escono dall’immediato presente.

Ma soprattutto dovrebbe rendere evidente ai politici e alle istituzioni mondiali che impegnarsi con il governo dei Talebani, convocarli ai convegni internazionali, mediare con loro significa dare credibilità a un governo di criminali.

Per le donne vittime della persecuzione di genere la prospettiva aperta dalla Cpi rappresenta una speranza di riconoscimento della gravità della loro sofferenza e del loro coraggio. Ma se la giustizia vuole essere giusta non deve dimenticare le responsabilità dei Paesi occidentali. Nei vent’anni di guerra e occupazione le forze della coalizione, Stati Uniti in testa, si sono macchiate di numerosi atti di violenza e torture sulla popolazione civile.

Human rights watch (Hrw) e Amnesty international ricordano giustamente che tutte le vittime sono uguali e hanno uguale diritto al riconoscimento e al risarcimento. Perciò la Cpi non deve limitarsi a prendere in considerazione le vittime recenti del governo talebano ma deve invece riconsiderare le responsabilità di tutti gli attori in campo colpevoli di atti di barbarie, violenze, torture e ingiustizie che hanno provocato le numerosissime vittime civili.

L’Afghanistan ha aderito nel 2003 al Trattato di Roma che ha istituito la Cpi. Era il 2006 quando venne avviato un esame preliminare sui possibili crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan dalle varie parti, cioè l’esercito degli Stati Uniti e la Cia, le forze di sicurezza afghane e la rete dei Talebani e degli Haqqani. Ma fu solo nel 2017 che l’allora procuratore Fatou Bensouda chiese ai giudici della Camera preliminare di autorizzare l’indagine ufficiale.

Passarono anni di immobilismo in attesa che si decidesse quale ambito di inchiesta fosse consentito effettuare. E quando nel 2023 è stato concesso di includere nelle indagini anche i recenti “nuovi attori” oltre ai responsabili dei venti anni precedenti, Khan ha deciso di concentrare le sue inchieste sui Talebani e sull’Iskp, escludendo di fatto la Cia, l’esercito statunitense e le forze della Repubblica afghana dalla sua competenza, considerando troppo oneroso condurre ricerche su casi di così ampia portata.

Una decisione forse realistica ma che ha creato una “gerarchia nelle vittime” determinata dall’identità del presunto autore, invece che dalla portata e gravità dei crimini. “Un insulto a migliaia di vittime di crimini commessi dalle forze governative afghane e dalle forze statunitensi e della Nato”, come l’ha giustamente definita un’attivista afghana.

La Cpi sta affrontando in questi giorni una pressione significativa a livello internazionale, che potrebbe avere conseguenze sulle sue indagini e sulla sua stessa esistenza. Gli Stati parte dello Statuto di Roma che governa la Corte, tra cui l’Italia, dovrebbero confermare l’importanza di questa istituzione e supportare concretamente l’esercizio del suo mandato indipendente, garantendole con il sostegno e l’assistenza pratica la possibilità di espandere le sue indagini in Afghanistan.

Beatrice Biliato fa parte del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda)

Il procuratore della CPI chiede mandati di arresto per due leader talebani in Afghanistan

Reuters, 23 gennaio 2025, di Stephanie van den Berg

L’AIA, 23 gennaio (Reuters) – Il procuratore della Corte penale internazionale ha dichiarato giovedì di aver richiesto mandati di arresto per due leader talebani in Afghanistan, tra cui il supremo leader spirituale Haibatullah Akhundzada, accusandoli di persecuzione di donne e ragazze.
In una dichiarazione rilasciata dall’ufficio del procuratore capo Karim Khan si afferma che gli inquirenti hanno trovato fondati motivi per ritenere che Akhundzada e Abdul Hakim Haqqani, che ha ricoperto la carica di giudice capo dal 2021, “abbiano la responsabilità penale per il crimine contro l’umanità di persecuzione per motivi di genere”.

Sono “penalmente responsabili della persecuzione delle ragazze e delle donne afghane… e delle persone che i talebani consideravano alleate delle ragazze e delle donne”, si legge nella dichiarazione.
Secondo il procuratore, in tutto l’Afghanistan si sono verificate persecuzioni almeno dal 15 agosto 2021, giorno in cui le forze talebane hanno conquistato la capitale Kabul, fino ad oggi.
Da quando il gruppo islamista è tornato al potere nel 2021, ha represso i diritti delle donne, tra cui limitazioni all’istruzione, al lavoro e all’indipendenza generale nella vita quotidiana.

I leader talebani non hanno rilasciato dichiarazioni immediate in merito alla dichiarazione del procuratore, accolta con favore dai gruppi che difendono i diritti delle donne.
Ora spetterà a un collegio di tre giudici della CPI pronunciarsi sulla richiesta di accusa, che non ha una scadenza stabilita. Tali procedure richiedono in media tre mesi.
È stata la prima volta che i procuratori della CPI hanno chiesto pubblicamente mandati di cattura per la loro indagine su potenziali crimini di guerra in Afghanistan, che risale al 2007 e un tempo includeva presunti crimini commessi dall’esercito statunitense in quel Paese.

PERSECUZIONE DELLE RAGAZZE
Khan ha affermato che il suo ufficio stava dimostrando il proprio impegno nel perseguire l’accertamento delle responsabilità per i crimini di genere e che l’interpretazione della sharia islamica da parte dei talebani non poteva essere una giustificazione per violazioni o crimini dei diritti umani.
“Le donne e le ragazze afghane, così come la comunità LGBTQI+, stanno affrontando una persecuzione senza precedenti, inaccettabile e continua da parte dei talebani. La nostra azione segnala che lo status quo per le donne e le ragazze in Afghanistan non è accettabile”, ha affermato il procuratore.

Zalmai Nishat, fondatore dell’ente benefico Mosaic Afghanistan con sede nel Regno Unito, ha affermato che se venissero emessi mandati di cattura della CPI, ciò potrebbe avere scarso impatto su Akhundzada, che raramente viaggia fuori dall’Afghanistan.
“Ma in termini di reputazione internazionale dei talebani, questo significa sostanzialmente una completa erosione della loro legittimità internazionale, se mai ne avessero una”, ha affermato.

TRIBUNALE IN CRISI
La mossa di Khan è avvenuta in un momento di crisi esistenziale presso il tribunale, istituito all’Aia nel 2002 per processare gli individui accusati di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione.
L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump sta preparando nuove sanzioni economiche nei suoi confronti per aver emesso un mandato di arresto nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per presunti crimini a Gaza.
Mosca ha risposto al mandato di cattura emesso dalla CPI nel 2023 contro il presidente russo Vladimir Putin, emettendo un proprio mandato di cattura per Khan.
Nonostante la recente serie di mandati di arresto di personaggi di alto profilo, le aule dei tribunali dell’Aia sono praticamente vuote e Khan è indagato per presunta condotta sessuale inappropriata sul posto di lavoro, cosa che lui nega.

La CPI non ha una forza di polizia e fa affidamento sui suoi 125 stati membri per effettuare arresti. Ma diversi stati membri europei hanno espresso dubbi sulla detenzione di Netanyahu e questa settimana l’Italia ha arrestato un sospettato della CPI, ma non è riuscita a consegnarlo .

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