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Tag: diritto allo studio

Afghanistan, la resistenza delle donne. Seconda parte

Pressenza, 14 agosto 2025, di Fiorella Carollo

Negli ultimi quattro anni, le organizzazioni, tra cui Rawa, che cercavano di organizzare proteste e di far sentire la voce delle donne afghane come resistenza contro i Talebani hanno subìto arresti, minacce, uccisioni delle loro aderenti e questo è il motivo per cui la protesta ha cambiato forma.

Ora, come organizzazione, e credo che questo valga anche per la maggioranza delle donne afghane, ci stiamo concentrando su metodi clandestini di resistenza e crediamo che una di queste forme di resistenza sia aumentare la consapevolezza delle donne e il loro livello di istruzione. Ed è per questo che negli ultimi quattro anni abbiamo cercato di organizzare corsi segreti a domicilio di inglese, informatica o scienze, per le ragazze che non possono andare a scuola e per le donne più grandi. Abbiamo cercato di mobilitare un grande numero di donne per poter dare più consapevolezza e coraggio alle giovani generazioni affinché resistano ai Talebani.

Anche la resistenza delle donne in Iran ci ha incoraggiato e ispirato molto, facendoci capire che il fascismo religioso e il fondamentalismo religioso, sebbene siano al governo da decenni, non possono mettere a tacere le donne.

Le donne più istruite e consapevoli dei propri diritti saranno sicuramente in grado di affrontare le minacce e di trovare il modo di resistere. E lo vediamo ancora di più attraverso l’uso dei social media, dei corsi online, attraverso corsi segreti e opportunità educative. Le donne stanno cercando di mobilitarsi di più contro i Talebani e soprattutto contro la polizia religiosa.

Posso sicuramente dire che il nostro lavoro sta migliorando rispetto a quanto si faceva prima. E la semplice ragione è che prima del 2021 c’erano molte opportunità per le donne, università private, college, scuole, tutto. Ora solo organizzazioni come Rawa e alcune ONG offrono opportunità di istruzione o corsi di alfabetizzazione per le donne.

Il problema che abbiamo è la sicurezza. Purtroppo, non possiamo costruire classi numerose o centri per le donne. Non possiamo portare più donne in alcune regioni, soprattutto non possiamo portare avanti alcun progetto dove i Talebani sono molto forti e nelle piccole città. Nelle grandi città è più facile prenderci cura delle misure di sicurezza.

La maggior parte sono lezioni clandestine o segrete a domicilio. Si svolgono all’interno delle case degli insegnanti. Non paghiamo l’affitto per l’edificio o per la lezione. Una normale stanza per la vita quotidiana è usata anche come una classe. La rete degli insegnanti è composta da persone che già conosciamo e di cui ci fidiamo, che sono molto creative nel trovare studenti affidabili e nell’ampliare le loro reti senza trasformare la loro casa in una scuola ufficiale. In ogni classe, il numero medio di studentesse è di 15-20.

In alcune zone vediamo che 50-60 donne vorrebbero partecipare e purtroppo, per motivi di sicurezza, non possiamo permetterlo. Non possiamo nemmeno scegliere due o tre case molto vicine, perché se succedesse qualcosa a una delle nostre classi segrete potrebbe venire coinvolta anche l’altra. Quindi, dobbiamo stare attente a mantenere la distanza tra le nostre classi. L’insegnante e le studentesse sono molto creative nel trovare soluzioni ai loro problemi di sicurezza. È comune in Afghanistan che le donne si riuniscano per confezionare abiti e per insegnare/imparare il Corano, che è considerato un atto religioso. In ognuna di queste lezioni abbiamo il Corano e l’insegnante, qualora i Talebani entrassero in casa, direbbe che si tratta di studi coranici e che la lavagna e tutto il resto servono per insegnare il Corano. E ai Talebani va bene.

Nelle nostre classi nel tempo si sviluppa una grande solidarietà tra le ragazze, le donne e le insegnanti. Di recente, una delle ragazze a causa delle pressioni della famiglia aveva abbandonato la classe; è accaduto a Kabul, che è la zona più sicura rispetto ad altre. Le sue compagne di classe indagano e quando scoprono che è il fratello a non permetterlo, un folto gruppo di 10-12 compagne di classe si è unito per convincerlo. Sfortunatamente, non ci sono riuscite, pur avendo ottenuto il consenso dei membri maschi della sua famiglia e sebbene si fossero offerte di alternarsi nell’accompagnarla.

La politica di Rawa non è solo quella di fornire l’alfabetizzazione, ma anche di dare alle donne ferite l’opportunità di parlare tra di loro di cosa soffrono, che tipo di discriminazione subiscono all’interno della famiglia, cosa possiamo fare. In moltissimi casi l’insegnante va a trovare la famiglia quando sorgono problemi di qualsiasi tipo. E’ successo recentemente a Jila, una giovane studentessa; la famiglia voleva darla in matrimonio, mentre lei voleva continuare le sue lezioni. L’insegnante è andata a parlare con i membri maschi della famiglia per dire loro che la figlia non era ancora pronta per questa proposta di matrimonio e fortunatamente loro hanno acconsentito a rimandarlo.

Abbiamo molti esempi di questi piccoli successi nel migliorare la vita delle donne, delle bambine e delle ragazze afghane, il che ci dà molto coraggio. Come organizzazione nutriamo grande speranza nel futuro; ora viviamo un momento buio della nostra storia, ma non è destinato a durare per sempre. Prima o poi la luce tornerà a risplendere sull’Afghanistan.

Il sogno digitale di Afsaneh per le donne afghane: «Online torniamo libere»

Avvenire, 11 luglio 2025, di Antonella Mariani

Il Premio della Fondazione Avvenire a una giovane informatica di Herat: al via il progetto per la produzione di cavi Usb

«Quando ho letto la mail non ci credevo. Ho controllato cento volte: pensavo che avessero sbagliato persona… ». E invece no: non c’era nessun errore. Proprio lei, Afsaneh Arsin, fondatrice della prima tech company al femminile di Herat, è la beneficiaria del Premio speciale che la Fondazione Avvenire ha voluto aggiungere al Woman Business Prize indetto da Nove Caring Humans per incoraggiare e sostenere l’imprenditoria delle donne nel Paese più misogino del mondo, l’Afghanistan. E così Afsaneh avrà il suo assegno per avviare lo spin off della sua Armis Tech: un’attività di produzione di cavi Usb. Sarà la prima sul suolo afghano, perché finora tutta la componentistica è d’importazione cinese o pachistana.

Afsaneh è laureata in Informatica, ha 29 anni, 4 sorelle e un fratello e due genitori che l’hanno sempre supportata. Quando i taleban hanno conquistato il Paese, nell’estate 2021, cacciando le forze di sicurezza occidentali e segregando progressivamente le donne in casa, già da due anni aveva fondato la Armis Tech Tecnology Services Company: una sorta di grande internet point nella terza città dell’Afghanistan, in cui i clienti possono trovare connessione stabile per navigare online, riparare i loro cellulari o computer e seguire corsi di vario tipo, organizzati anche in remoto. Armis Tech offre servizi di web marketing, sviluppo di software, creazione di siti web, montaggio di video… Oggi gli uffici sono frequentati solo da donne, perché ogni interazione tra i due sessi è proibita al di fuori delle mura domestiche.

In video collegamento con Avvenire, Afsaneh sottolinea quanto sia importante padroneggiare la tecnologia per le ragazze e le donne afghane, estromesse dall’istruzione e dal lavoro dalle rigide leggi dell’Emirato islamico. «Dal 2021 non posso più avere clienti uomini, né partecipare a fiere specializzate. Non posso girare per le strade se non accompagnata da mio padre o da mio fratello. Le limitazioni sono tantissime, ogni giorno è peggiore del precedente».

Ecco perché il mondo online – sempre che la connessione internet funzioni, che l’elettricità sia fornita regolarmente, e che si possegga un pc o uno smartphone – è l’unico che le donne possono frequentare liberamente e da cui possono trarre occasioni di lavoro e quindi di sopravvivenza. «Se abbiamo accesso alla tecnologia abbiamo accesso ai nostri diritti», spiega. Cioè studiare, lavorare, rendersi indipendenti. Due sorelle di Afsaneh studiavano ingegneria e medicina quando i taleban hanno proibito alle ragazze di frequentare l’università. Oggi per Armis Tech tengono lezioni online ad allieve che sperano così di cambiare il proprio futuro, sebbene stando chiuse in casa: corsi di ChatGpt e di marketing digitale, utile per chi vuole avviare una piccola attività commerciale e vendere online i propri prodotti. Le altre due sorelle insegnano da remoto inglese e francese, e in presenza insegnano alle donne a riparare cellulari e Pc.

«Le donne vengono qui, si aiutano tra loro, cercano online documenti e noi le aiutiamo a creare un proprio progetto imprenditoriale». Afsaneh pensa di essere un modello di ruolo per le ragazze afghane: «Nel mio Paese è tutto così difficile, ma io sono la prova che si può trovare una soluzione, che con le idee giuste e le giuste competenze le donne possono aprire strade per sé e per il Paese».

Ora Afsaneh, grazie anche al Premio assegnato dalla Fondazione Avvenire, progetta di aprire uffici della Armis Tech in diverse città afghane, per dare chance ad altre giovani donne, e di avviare una attività di produzione dei cavi Usb che le permetterà di assumere 20 dipendenti, reclutandole dalle comunità più svantaggiate. «Armis Tech si distingue come una pioneristica azienda tecnologica guidata da una donna. Ciò che la rende davvero eccezionale è la sua doppia missione: fornire servizi digitali di alta qualità e allo stesso tempo emancipare le donne delle comunità vulnerabili e marginalizzate», spiega Alessandro Belloli, direttore generale della Fondazione Avvenire. Attribuendo ad Afsaneh Arsin il Premio 2025, «riconosciamo la validità del suo modello di business, la sua leadership nel guidare cambiamenti positivi e l’impatto di Armis Tech nel promuovere un futuro più inclusivo per le donne afghane ». La giovane informatica di Herat, dal canto suo, ha una sola richiesta: «Non dimenticatevi di noi, siate la voce delle ragazze afghane».

 

Il leader talebano dichiara che l’obbedienza ai suoi ordini è “obbligatoria” nel messaggio dell’Eid al-Adha

amu.tv Ahmad Azizi 4 giugno 2025

Il leader talebano Hibatullah Akhundzada ha utilizzato il suo messaggio annuale per l’Eid al-Adha*per riaffermare la sua assoluta autorità, dichiarando che l’obbedienza ai suoi ordini è “obbligatoria ed essenziale” per tutti.

Nel messaggio, pubblicato mercoledì dal vice portavoce talebano Hamdullah Fitrat, Akhundzada ha anche invitato i membri talebani a rimanere uniti nel perseguire quella che ha definito l’attuazione della “legge della Sharia” e il consolidamento del “sistema islamico”.

Il messaggio ha esortato religiosi, anziani della comunità e intellettuali a sostenere la visione di governo dei talebani, consigliando loro di contribuire a plasmare l’opinione pubblica e a prevenire quella che ha definito “sedizione e corruzione”. Akhundzada ha definito le loro dichiarazioni pubbliche e i loro scritti come fondamentali per il rafforzamento del potere talebano.

Akhundzada ha inoltre ordinato ai giudici talebani di basare le loro sentenze rigorosamente sulla natura del reato, piuttosto che sulla posizione sociale dell’imputato. Ha affermato che l’applicazione delle decisioni legali basate sulla Sharia è fondamentale per onorare il sacrificio dei combattenti talebani uccisi durante gli anni di insurrezione del gruppo.
Ha inoltre incaricato diversi ministeri talebani, compresi quelli che sovrintendono agli affari religiosi, all’applicazione del vizio e della virtù e all’istruzione superiore, di consultare il clero e di concentrare il proprio lavoro sulla promozione della pietà e sul rafforzamento delle fondamenta ideologiche del regime.

Sul piano economico, Akhundzada ha fatto appello agli imprenditori afghani affinché si adoperino per l’autosufficienza economica, osservando che “la continuazione del nostro governo dipende dall’economia”. Ha inoltre invitato il Ministero per i Rifugiati a fornire aiuti e supporto al reinsediamento degli afghani di ritorno dai paesi vicini, nonostante le persistenti lamentele dei rimpatriati sulla mancanza di servizi di base, opportunità di lavoro e accesso all’istruzione, in particolare per le ragazze.

Ha ammonito il personale civile e militare talebano a non interferire nei rispettivi doveri, suggerendo che tale comportamento genera “sfiducia, disordine e frustrazione”.

Nella parte finale del suo messaggio, Akhundzada ha denunciato la guerra in corso a Gaza come una “grave tragedia umana”, esprimendo la solidarietà dei talebani con la popolazione di Gaza.
Dal ritorno al potere dei Talebani nell’agosto 2021, Akhundzada ha emanato oltre 80 decreti – molti dei quali scritti, ma alcuni solo oralmente – che hanno drasticamente limitato i diritti e le libertà di donne e ragazze. Questi editti hanno imposto ampie restrizioni all’istruzione, al lavoro, alle libertà personali e alla partecipazione pubblica, suscitando la condanna di gruppi per i diritti umani e governi stranieri.

I critici in Afghanistan sostengono che i Talebani stiano usando la retorica religiosa per imporre le proprie interpretazioni dell’Islam a una società eterogenea. Nonostante gli appelli di Akhundzada per giustizia e ordine, gli osservatori dei media e gli esperti legali affermano che i Talebani continuano a detenere critici, inclusi giornalisti e studiosi religiosi, spesso senza accuse formali.

Due organizzazioni per la libertà di stampa hanno confermato ad Amu che almeno 15 giornalisti e operatori dei media sono attualmente detenuti dai Talebani, insieme a tre religiosi noti per aver criticato il gruppo. Secondo quanto riferito, diversi di loro sono stati condannati a due o tre anni di carcere.

Un detenuto rilasciato di recente, che ha parlato a condizione di anonimato per motivi di sicurezza, ha affermato che i talebani “non tollerano il dissenso” e puniscono i critici con “l’arresto e la minaccia di repressione”

*Nell’Islam, la ʿīd al-aḍḥā, nota anche come ʿīd al-naḥr oppure ʿīd al-qurbān, è la festa celebrata ogni anno nel mese lunare di Dhū l Ḥijja, in cui ha luogo il pellegrinaggio canonico, detto ḥajj.

Maria Bashir: “L’Occidente ha tradito l’Afghanistan. Le ragazze avevano i libri sotto al burqa”

lastampa.it Francesca Paci 1 giugno 2025

La procuratrice: «Quando gli Usa hanno lasciato Kabul, Putin ha avuto campo libero»

Maria Bashir: «L’Occidente ha tradito l’Afghanistan. Le ragazze avevano i libri sotto al burqa. Quando gli Usa hanno lasciato Kabul, Putin ha avuto campo libero».
Intervista alla prima donna procuratrice dell’Afghanistan. Da quattro anni in esilio.
«E quando la speranza mi abbandona? Allora penso. Ricordo quei pomeriggi a Herat, quando, interdetta dal lavoro e segregata in casa, aspettavo che arrivassero le mie allieve, intabarrate nel burqa sotto cui nascondevano i libri, per scendere insieme in cantina e fare lezione. C’erano ragazze di ogni età. Studiavamo l’alfabeto, la matematica, la letteratura, volevo che fossero pronte per il giorno in cui avremmo avuto in mano il Paese. Ero sicura che a un certo punto i talebani se ne sarebbero andati».
Maria Bashir, prima e unica donna procuratrice nell’Afghanistan contemporaneo, puntella l’incertezza dell’esilio con le immagini dei suoi 54 anni, un condensato di ambizione, orgoglio, delusione, resilienza. Parla, composta nel morbido velo nero, a margine di un evento della fondazione Med-Or.
Racconta. È stata una bambina determinata a studiare nella Kabul aperta agli hippies di mezzo mondo ma ancora chiusa e patriarcale. È stata magistrata a Herat prima che, nel 1995, gli studenti coranici sigillassero l’orizzonte fino al terremoto delle Torri Gemelle.
È stata l’avanguardia dell’emancipazione femminile nei vent’anni in cui pareva che il Paese potesse ripartire, incorniciata nel 2011 dalla copertina di “Time” come una delle cento persone più influenti del mondo.
È stata tanto e, al netto della cittadinanza italiana riconosciutale dal presidente Sergio Mattarella, si sente nulla Maria Bashir: un’esule partita a rotta di collo quattro anni fa con l’ultimo aereo decollato da una Kabul perduta, lasciata dalla coalizione occidentale a quei mullah che aveva combattuto.
• A che punto è oggi Kabul?
A un punto morto. Il nero è sempre più nero, le donne non possono più studiare, non possono uscire di casa. Nessuno può più nulla in Afghanistan.
• Com’è cambiata la sua vita dall’estate del 2021, quando l’ultimo aereo occidentale decollato da Kabul ha spento la luce su dieci anni di speranze e il suo paese è ripiombato sotto il giogo talebano?
È come se fossi tornata indietro di decenni. La mia vita di donna attiva che faceva tante cose come procuratrice e avvocata è finita. Quando ho lasciato casa mia, nell’estate del 2021, non ho neppure staccato la luce, non ho fatto in tempo a chiudere la porta. C’era un muro in salotto, con i quadri di tutti i miei premi, la mia vita. Non ho potuto portare nulla con me, sono scappata come una ladra, di notte: se fossi rimasta mi avrebbero fatto a pezzi, letteralmente.
• Sente di essere stata tradita dall’occidente?
Devo ammetterlo, sì. Io, come tanti, ci ho creduto. Ho creduto che saremmo diventati un Paese normale. L’occidente ci ha portato tanta speranza, ci ha liberati dai talebani e poi ci ha abbandonati: ci ha riconsegnati ai nostri aguzzini. Tutte le mie studentesse, quelle che istruivo nella cantina di casa, avrebbero dovuto lavorare per il futuro e invece, nella migliore delle ipotesi, sono fuggite all’estero: nella peggiore vivono oggi chiuse in casa, depresse, mi chiamano e mi chiedono quando finirà la notte.
• Crede che nel 2021, oltre a consegnare gli afgani ai talebani, l’occidente abbia dato il via libera a quanti erano pronti a sfidarne la tenuta militare e morale sui diritti umani, da Putin a Netanyahu?
È esattamente così. Quando l’occidente ha lasciato Kabul, la Russia ha capito di avere campo libero in Ucraina. Per noi, Paesi non del primo mondo, l’Onu, i tribunali internazionali e le mille carte dei diritti dell’uomo non valgono. Che peso giuridico e morale hanno i palestinesi ammazzati da Netanyahu? La lezione è chiara, i nostri figli valgono meno dei figli del mondo occidentale.
• Da magistrata che ha dedicato la sua vita professionale alla difesa delle donne, di cosa hanno più bisogno oggi, in assenza della libertà?
L’istruzione: aiutateci a far studiare le donne, borse di studio, corsi, anche online. Spesso quella delle donne è una bandiera buona per le campagne social, un “I like” e via. Faccio appello alle europee, italiane, alla premier Giorgia Meloni: immaginate che vostra figlia non possa più andare a scuola né uscire di casa, mettetevi nei nostri panni.
• Una giudice è quasi apostasia per l’ortodossia islamica, dove una donna vale metà. Come le è venuto in mente?
Sin da quando ero bambina volevo che fosse fatta giustizia. Se assistevo a un torto volevo intervenire, volevo cambiare la storia di quella ingiustizia. Ricordo il giorno in cui mi iscrissi all’università: tutti si mettevano in fila allo sportello del corso in medicina, io scelsi legge, ero l’unica donna.
• E se sua figlia, costretta per anni a studiare in casa per le minacce, seguisse la sua stessa strada di magistrata?
La mia vita, il mio lavoro e la mia lotta sono passi sulla strada tracciata per mia figlia e tutte le altre come lei, che possano studiare, crescere, contribuire, quando sarà possibile, al futuro dell’Afghanistan. Che siano magistrate o altro. Ci sono Paesi in cui essere donna è molto difficile ma lo è anche essere cittadine. Mia figlia oggi è in Canada, ha studiato in Italia, è una persona completa che vive lontano da casa.
• Cita spesso l’“apartheid di genere” per indicare la discriminazione delle donne afgane, un’espressione usata anche dalla premio nobel per la pace iraniana Shirin Ebadi. C’è una strada, comune, che le donne possono percorrere?
L’unità, qui, in Europa, come nel mio Paese. Guardate noi, la nostra storia, la strada, i blocchi stradali, lo stallo. Le donne devono, dovrebbero capire che la battaglia è una, a Roma come a Kabul e a New York.
• Si aspetta qualcosa dall’America di Donald Trump?
Vorrei mettermi le mani nei capelli. Di Trump non sappiamo nulla, né cosa pensa quando si sveglia né cosa dirà nel corso della giornata. Da afgana voglio ricordare che è stato lui a venderci la prima volta, ad avviare i negoziati con i talebani al tempo del suo mandato numero uno. Oggi penso al sistema Maga e penso che gli Stati Uniti volevano una specie di Maga per l’Afghanistan, come se fosse possibile con uno slogan Make Afghanistan Great Again. Ci ha rovinati, l’America ci ha rovinati e dovrebbe rimetterci in piedi.
• Qual è l’episodio più spaventoso che ricorda nella sua vita di momenti di paura?
Ce ne sono stati tanti, ogni giorno della mia vita di giudice ho ricevuto lettere minatorie, dicevano “ti ammazziamo come un cane”. Non avevo paura per me, ne avevo per i miei figli. Il giorno peggiore è stato forse quando hanno messo una bomba sotto casa mia a Herat. All’epoca andavo in giro con 24 guardie corpo e avevo la macchina blindata. Esplose tutto il quartiere, crollò il muro del palazzo davanti alla mia abitazione, avevo paura per gli uomini che mi proteggevano, uno di loro perse le dita dei piedi. I miei figli per fortuna erano lontani, alla partita di calcio, ma non ci sono più partite giocabili a Kabul…».

Le madrase talebane: una bomba a orologeria

Un articolo sulle madrase purtroppo ancora molto attuale

William Maley, AIIA, 16 maggio 2024

Passando inosservati, i talebani afghani hanno rapidamente ampliato una rete di madrase per propagare la loro ideologia a un auditorio di prigionieri. Questo potrebbe rivelarsi uno degli sviluppi più spaventosi nell’Asia sud-occidentale da quando gli Stati Uniti hanno abbandonato l’Afghanistan ai talebani nel 2020-’21.

Gli attacchi terroristici e i gruppi terroristici raramente nascono dal nulla. Al contrario, sono spesso il prodotto della socializzazione di persone vulnerabili nel corso di un periodo di tempo considerevole. È quindi importante essere vigili sui processi di incubazione del terrorismo, e un paese che dovrebbe essere fonte di crescente allarme è l’Afghanistan sotto il controllo dei talebani.

Indottrinamento della gioventù

L’incubazione di atteggiamenti mentali distruttivi ha una lunga storia. Nel febbraio del 1921, nella Russia bolscevica, fu emanato un decreto per istituire una “Commissione per il miglioramento della vita dei bambini” (Komissiia po uluchsheniiu zhizni detei). Si trattava in parte di una risposta all’elevato numero di orfani in circolazione conseguenza della guerra civile russa, ma aveva anche una dimensione più sinistra. Il primo presidente della Commissione, Feliks Dzierżyński, era anche il capo della polizia segreta del regime, la Čeka, e col tempo la Commissione divenne l’incubatrice di una nuova generazione di sostenitori del regime. In questo senso, fu un precursore della creazione, da parte dei successivi regimi autocratici, di istituzioni che avrebbero socializzato i giovani secondo i loro modi di pensare: tra queste, la Lega dei Giovani Comunisti (Kommunisticheskii soiuz molodezhi, o Komsomol) in URSS e la Gioventù Hitleriana (Hitlerjugend) e la Lega delle Ragazze Tedesche (Bund Deutscher Mädel) nella Germania nazista.

Il potenziale dirompente della gioventù radicalizzata non fu solo un fenomeno europeo; si manifestò in modo evidente nella forma delle Guardie Rosse in Cina alla fine degli anni ’60, durante l’apice della “Grande Rivoluzione Culturale Proletaria”. C’era una logica cupa in queste iniziative; come avrebbe detto Sant’Ignazio di Loyola, “Datemi il bambino fino a 7 anni e vi mostrerò l’uomo”.

Un paese che non sfuggì a questo problema fu l’Afghanistan. Dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel dicembre 1979, il regime fantoccio sovietico adottò il precedente dei bolscevichi del 1921 e, il 5 settembre 1981, fu istituito un organismo chiamato “Casa Famiglia della Patria” (Parwareshgah-i Watan), il cui primo direttore fu il dottor Najibullah, capo della polizia segreta del regime. Con l’obiettivo di creare una “classe di giannizzeri”, sovrintendeva all’invio di orfani in URSS per l’addestramento e alcune famiglie, temendo un più ampio programma di allontanamenti forzati, fuggirono dal paese per impedire che anche i loro figli venissero selezionati per l’invio.

Uno sviluppo ancora più pericoloso si stava delineando oltre confine, in Pakistan, dove milioni di rifugiati afghani si erano rifugiati in seguito all’invasione sovietica. Gli orfani dei campi profughi venivano reclutati in collegi islamici radicali ( madrase ) dove ricevevano una  vera dose di ideologia religiosa.

All’epoca questo non fu molto considerato: persino il materiale didattico fornito dagli Stati Uniti tendeva a enfatizzare l’idea della lotta religiosa ( jihad ) come strumento motivazionale contro l’URSS. A lungo termine, tuttavia, i laureati di queste madrase costituirono truppe d’assalto chiave del movimento talebano, che dal 1994 fu promosso dal Ministro degli Interni pakistano e dall’Inter-Services Intelligence Directorate (ISI) come strumento per bloccare la crescita dell’influenza indiana in Afghanistan.

L’estremismo dei Talebani si è manifestato in tutta la sua potenza durante l’occupazione di Kabul, dal 1996 al 2001, ed è riemerso con forza dopo che gli Stati Uniti hanno abbandonato i loro alleati afghani filo-occidentali, firmando alle loro spalle un accordo di uscita con i Talebani il 29 febbraio 2020. Sebbene l’attenzione si sia ora decisamente spostata dall’Afghanistan – un teatro umiliante di cui pochi politici occidentali vogliono parlare – i pericoli derivanti dalla presa del potere da parte dei Talebani sono ancora molto concreti, non da ultimo a causa della loro lunga storia di utilizzo del terrorismo e per l’accoglienza dei vari altri gruppi terroristici. E uno dei pericoli maggiori deriva dal desiderio dei Talebani di formare una nuova generazione socializzata nel loro modo di pensare estremista.

Esplosione di madrase

Mentre alcuni attivisti hanno cercato di sostenere che l’Afghanistan sia ingiustamente oppresso dalle sanzioni occidentali e dal congelamento dei beni della banca centrale detenuti negli Stati Uniti, i Talebani non hanno avuto difficoltà a mobilitare risorse per una massiccia espansione del numero di madrase nel paese. Si tratta di un fenomeno senza precedenti nell’Asia sudoccidentale dall’esplosione numerica delle madrase nella provincia del Punjab, nel vicino Pakistan, all’inizio degli anni ’90, che ha alimentato anni di feroce violenza settaria in quel paese.

Un organismo indipendente dal nome inquietante, “Direzione Generale delle Scuole Jihadiste” ( Riasat-e umumi-i madaras-e jehadi ), è stato istituito all’interno del Ministero dell’Istruzione dei Talebani. Secondo la Direzione, attualmente in Afghanistan ci sono 6830 madrase , di cui non meno di 5618 istituite dopo presa del potere da parte dei Talebani. Come i pesantren più radicali in Indonesia che hanno generato gruppi come gli attentatori di Bali, il sistema “educativo” dei talebani si sta configurando come una fabbrica di estremismo. Il pericolo più ampio di tali sistemi radicalizzati è che possono sfuggire di mano, producendo laureati con ambizioni più oscure e più espansive di quanto persino i loro insegnanti avrebbero potuto immaginare o prevedere. La potenziale minaccia che ciò rappresenta – non solo per le minoranze vulnerabili in Afghanistan, come gli Hazara, prevalentemente sciiti, i Panjsheri, perseguitati di recente, e gli attivisti democratici, ma per il mondo in generale – non dovrebbe essere sottovalutata.

Il numero di nuove madrase è di per sé preoccupante, ma diventa ancora più allarmante se si considera l’approccio più ampio dei Talebani ai contenuti del curriculum. Come riflesso della mentalità anti-occidentale dei Talebani, persino le scuole che insegnavano un curriculum moderno sono costrette a eliminare componenti cruciali per far spazio all’ideologia religiosa talebana.

Un percorso alternativo per le ragazze?

Naturalmente, l’aspetto dell’approccio dei Talebani all’istruzione che ha attirato maggiore attenzione è stata l’esclusione delle ragazze dall’istruzione secondaria o universitaria, un aspetto cruciale della loro più ampia politica di apartheid di genere. Questo ha indotto alcuni a ipotizzare che le madrase femminili potrebbero aprire un percorso alternativo all’istruzione femminile. Ciò che ha ricevuto meno attenzione, tuttavia, è il modo in cui i Talebani hanno modificato il curriculum anche per le scuole di base che le ragazze possono ancora frequentare, rifocalizzandoli specificamente sul tipo di dottrine religiose sunnite a cui i Talebani aderiscono.

E mentre nel breve periodo l’apertura delle madrase alle ragazze più grandi potrebbe superficialmente sembrare una via di fuga dalla situazione di tipo carcerario che molte sopportano, a lungo termine potrebbe consolidare l’ espansione dell’estremismo negli ambienti domestici. Mentre alcune figure talebane mandano ipocritamente le proprie figlie all’estero per studiare, la misoginia della leadership talebana a Kandahar è radicata e profonda, ed è illusorio pensare che le madrase offrano una via di mezzo sulla strada del ritorno alle pari opportunità. Al contrario, le madrase non sono assolutamente la soluzione al problema di garantire un adeguato accesso all’istruzione alle ragazze in Afghanistan.

Ciò non dovrebbe sorprendere. Si dimentica troppo facilmente che i Talebani – noti prima dell’agosto 2021 per i loro attacchi terroristici contro insegnanti e studenti nelle università afghane, nonché per la distruzione di scuole nelle aree rurali – non hanno alcun interesse nei confronti di forme moderne e pluraliste di educazione critica. Quando i sostenitori propongono di cercare un impegno con i Talebani attraverso misure come l’assistenza ai Talebani nel pagamento degli stipendi degli insegnanti, dovrebbero prima chiedersi cosa insegnerebbero tali insegnanti.

Una cosa dovrebbe essere chiara: per gli Stati occidentali, sovvenzionare inavvertitamente o inconsapevolmente la diffusione dell’ideologia talebana sarebbe sia l’ignominia definitiva dopo anni trascorsi a fraintendere le intenzioni dei Talebani, sia una fonte di reale pericolo per il futuro.

 

Il professore emerito William Maley , AM, FASSA, FAIIA è autore di Rescuing Afghanistan (2006), What is a Refugee? (2016), Transition in Afghanistan: Hope, Despair and the Limits of Statebuilding (2018), Diplomacy, Communication and Peace: Selected Essays (2021) e The Afghanistan Wars (2021), ed è coautore (con Ahmad Shuja Jamal) di The Decline and Fall of Republican Afghanistan (2023).

Questo articolo è pubblicato con licenza Creative Commons e può essere ripubblicato citandone la paternità.

Sotto il regime dei talebani, donne e ragazze in Afghanistan ricorrono alla droga a causa della crescente depressione

8AM Media, Rawa, 10 aprile 2025

Una conseguenza dell’affrontare solo un futuro desolante e del vedersi negato il diritto allo studio e al lavoro

Questo articolo è stato scritto da Behnia per Hasht-e Subh Daily e pubblicato il 27 marzo 2025. Una versione modificata dell’articolo è pubblicata su Global Voices nell’ambito di un accordo di media partnership.

A seguito dell’imposizione da parte dei talebani di restrizioni all’istruzione, agli studi e all’occupazione femminile, molte donne e ragazze in Afghanistan si sono rivolte a diverse sostanze stupefacenti. Un’inchiesta di Hasht-e Subh Daily ha rivelato che ragazze e donne fanno uso di  tabacco, nonché di farmaci sedativi e ansiolitici, per sfuggire a pressioni psicologiche, stress mentale e depressione.

Il rapporto include interviste con 30 persone: ragazze a cui è stata negata l’istruzione, donne che hanno subito la prigionia dei talebani e donne che vivono in esilio. I risultati sono stati raccolti negli ultimi sei mesi nelle province di Kabul, Herat, Balkh, Takhar, Jawzjan, Ghazni e Sar-e Pul.

Diversi psicologi, medici e farmacisti hanno riferito di aver visto, nell’ultimo anno, un numero significativo di giovani donne e ragazze adolescenti ricorrere a sigarette, droghe sintetiche, antidolorifici e farmaci antidepressivi a causa di una grave depressione. Secondo queste fonti, nell’ultimo anno, fino a 500 giovani donne e ragazze hanno cercato un trattamento, utilizzando questi farmaci per alleviare la depressione, forti mal di testa e la solitudine e per prevenire l’autolesionismo.

Le prospettive degli psicologi sulla crescente dipendenza

Uno psicologo dell’Ospedale Mentale di Kabul riferisce che nell’ultimo anno, più di 100 ragazze provenienti da Kabul e da altre province hanno visitato la struttura a causa di una grave depressione. Solo nell’ultimo mese, sono stati registrati due casi di consumo di Tablet K, un tipo di metanfetamina. Lo psicologo ha spiegato in un’intervista con Hasht-e Subh Daily: “Due clienti, di 22 e 19 anni, si sentivano chiuse le porte e usavano Tablet K per ridurre la pressione psicologica e mentale”.

Lo psicologo aggiunge che lo stato mentale ed emotivo delle ragazze peggiora ogni giorno e che le ragioni principali del consumo di tabacco tra le giovani donne e le adolescenti sono la chiusura delle opportunità educative e l’incapacità di realizzare le proprie aspirazioni.

Uno psicologo della provincia nord-occidentale di Balkh, che lavora presso un centro di salute mentale della provincia, afferma che, oltre al suo lavoro presso il centro, collabora con organizzazioni e assiste personalmente ragazze e donne a cui viene negato l’accesso all’istruzione e al lavoro e che soffrono di depressione grave. Nell’ultimo anno, ha avuto più di 130 clienti donne presso il suo studio privato. Osserva che alcune di queste clienti si sono rivolte alle sigarette a causa delle restrizioni imposte dai talebani alle donne.

Perché le studentesse si sono rivolte alle sigarette e alle droghe?

Diverse studentesse e universitarie affermano che le pressioni psicologiche ed emotive derivanti dalla negazione dell’istruzione, unite alle pressioni esercitate dalle loro famiglie, le hanno spinte a fumare. Raccontano che, senza fumare, soffrono di forti mal di testa, solitudine e un senso di soffocamento, che le porta a sentirsi disperate nel continuare la propria vita.

Nilab (pseudonimo), una studentessa del decimo anno, è sotto pressione a causa dell’esclusione scolastica e delle pressioni familiari, che l’hanno portata a una grave depressione. Questa, unita all’eccessiva preoccupazione per il suo futuro incerto, le ha causato forti mal di testa. Inizialmente ha fatto ricorso a sonniferi e sedativi e ora fuma anche sigarette.

Aggiunge che quattro sue amiche si trovano nella stessa situazione e fumano anche loro di nascosto dalle loro famiglie.

I risultati del rapporto indicano che il consumo di tabacco è più diffuso tra le giovani donne e le adolescenti di età compresa tra 18 e 25 anni.

Anche farmaci antidolorifici e antidepressivi come Tramadolo, Zeegap, Zoloft, Prolexa, Sanflex, Zing, Arnil, Amitriptilina, Brufen, Paracetamolo e iniezioni di sedativi sono ampiamente utilizzati. Negli ultimi tre anni, l’uso di questi farmaci ha portato molte ragazze a sviluppare dipendenza, assumendoli da una a quattro volte al giorno.

Dipendenza tra le donne che hanno vissuto la prigionia

L’esperienza della prigionia talebana è un fattore significativo nella dipendenza dal tabacco delle donne. Le pressioni psicologiche ed emotive che le donne portano con sé in esilio dopo aver sopportato le prigioni talebane le hanno portate a usare non solo sedativi prescritti dagli psichiatri, ma anche vari prodotti del tabacco, come sigarette e narghilè elettronici.

Una donna imprigionata dai talebani e ora residente in Pakistan racconta che molte donne con esperienze simili hanno subito gravi danni psicologici ed emotivi, ricorrendo a sigarette e narghilè elettronici per gestire la loro tensione mentale. Il consumo di questi prodotti del tabacco tra queste donne è diffuso e, secondo lei, alcune consumano un intero pacchetto di sigarette in un solo giorno.

Secondo lei, sebbene l’uso del tabacco non curi alcun dolore, le donne si sentono costrette a farlo per sfuggire all’intensità delle loro pressioni psicologiche.

Automedicazione, costi elevati e accesso ai farmaci

Il consumo di droghe tra ragazze e donne avviene in due modi distinti. Alcune, avendo accesso a psicologi, consultano neurologi o psichiatri e utilizzano sedativi, antistress, ansiolitici e sonniferi prescritti come parte del trattamento.

Sebbene l’uso prolungato di questi farmaci non sia raccomandato dagli psichiatri, molte ragazze, attratte dai loro effetti immediati, smettono di consultare il medico e iniziano a procurarseli autonomamente in farmacia. La maggior parte delle donne e delle ragazze, soprattutto a Kabul e in esilio, continua a usare questi farmaci anche dopo la fine del trattamento prescritto.

Tuttavia, la maggior parte delle ragazze e delle donne afferma di usare antidolorifici, sedativi e antidepressivi senza consultare uno psicologo o uno psichiatra. Paracetamolo e ibuprofene, economici e facilmente reperibili in farmacia, sono ampiamente utilizzati dalle ragazze.

Questo è particolarmente comune nelle province con accesso limitato a psichiatri e farmacie. Mahdia, della provincia sudorientale di Ghazni, ad esempio, ottiene questi farmaci dopo una camminata di tre ore fino a una farmacia locale e li assume per forti mal di testa – non ha mai visto uno psichiatra. Anche Fatima, della provincia nordorientale di Takhar, riceve gratuitamente antidolorifici e antidepressivi dall’ospedale locale della sua provincia.

Razia, residente a Kabul, afferma di pagare 1.500 AFN (21 dollari) per uno dei suoi farmaci, l’equivalente del costo di un sacco di farina per la sua famiglia. Se dovesse comprare tutti i suoi farmaci, costerebbe 4.000 AFN (56 dollari) al mese. Maryam, una studentessa di Kabul, aggiunge che spende tra i 400 e gli 800 AFN (6-12 dollari) al mese per i suoi farmaci, un prezzo elevato che deve sostenere nonostante la sua difficile situazione economica.

La crescente tossicodipendenza e dipendenza da farmaci tra donne e ragazze in Afghanistan è uno dei tanti effetti distruttivi involontari delle politiche restrittive dei talebani. Con più tempo e ulteriori ricerche, verranno svelate altre implicazioni sociali ed economiche negative dei maltrattamenti subiti dalle donne in Afghanistan.

Educazione vietata alle donne in Afghanistan. Un rapporto dell’Unesco

Tuttoscuola, 8 aprile 2025

Banned from education: a review of the right to education in Afghanistan” (“Escluse dall’educazione: una indagine sul diritto all’educazione in Afghanistan”) è il titolo di un aggiornato rapporto pubblicato nei giorni scorsi dall’Unesco e che getta nuova luce sul dramma delle donne afghane, e in particolare delle giovani in età scolare, alle quali – dopo il ritorno al potere dei talebani nel 2021 – è stato vietato di frequentare la scuola al di là di quella primaria, che dura 6 anni.

Le cifre sono impressionanti: dal 2021 al 2024 è stato impedito di continuare gli studi a un milione e mezzo di ragazze, mentre da una indagine censuale condotta dall’Unicef nel 2024 è risultato che anche una buona parte dei loro coetanei maschi è stata avviata al lavoro per far fronte alla grave crisi economica del Paese, spesso anche prima di completare la scuola primaria.

Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione de facto (così lo definisce il rapporto Unesco), le iscrizioni dei ragazzi sono diminuite da 4.092.658 (primaria) e 1.393.423 (secondaria) del 2021-22 a 3.791.447 (primaria) e 1.177.363 (secondaria) dell’anno 2023-24). Inoltre i ritardi nei pagamenti delle indennità per le persone con disabilità e delle pensioni per i dipendenti pubblici hanno limitato e limiteranno ulteriormente l’accesso all’istruzione, perché questi ritardi, creando difficoltà finanziarie alle famiglie, non consentono loro di sostenere la spesa per acquisire le risorse educative di base o pagare le tasse scolastiche.

A questo vero e proprio processo di descolarizzazione dell’Afghanistan concorre anche il peggioramento della qualità dell’insegnamento dovuto al fatto che, secondo testimonianze raccolte dai ricercatori dell’Unesco, alcuni insegnanti e amministratori recentemente assunti siano stati scelti in base alle loro “connessioni e affiliazioni con il Ministero dell’Istruzione de facto”, piuttosto che delle loro qualifiche o esperienze professionali. Inoltre, secondo diversi intervistati, anche gli stipendi degli insegnanti sono stati sostanzialmente ridotti. La presa del potere da parte dei talebani ha portato a una fortissima restrizione delle risorse assegnate al sistema educativo del Paese, compromettendo ulteriormente la qualità dell’istruzione, visto che già prima del loro ritorno al governo (2021) un numero considerevole di scuole pubbliche non disponeva di strutture e materiali adeguati, soprattutto nelle aree rurali. E a pagare il prezzo più alto sono, come sempre con i fondamentalisti islamici di scuola sciita, le donne, a partire da quelle in età scolare.

Afghanistan: 2,2 milioni di ragazze senza istruzione scolastica

Unicef, 24 marzo 2025

Dichiarazione della Direttrice generale dell’UNICEF, Catherine Russell, nel terzo anniversario del divieto di istruzione secondaria per le ragazze in Afghanistan.

«Con l’inizio del nuovo anno scolastico in Afghanistan, ricorrono tre anni dall’inizio del divieto di istruzione secondaria per le ragazze. Questa decisione continua a danneggiare il futuro di milioni di ragazze afghane. Se il divieto persisterà fino al 2030, oltre quattro milioni di ragazze saranno private del diritto all’istruzione oltre la scuola primaria. Le conseguenze per queste ragazze – e per l’Afghanistan – sono catastrofiche.

Il divieto ha un impatto negativo sul sistema sanitario, sull’economia e sul futuro della nazione. Con un minor numero di ragazze che ricevono un’istruzione, le ragazze affrontano un rischio più elevato di matrimonio precoce, con ripercussioni negative sul loro benessere e sulla loro salute. Inoltre, il Paese subirà una carenza di operatori sanitari qualificati. Questo metterà in pericolo delle vite.

Con un numero inferiore di medici e ostetriche, le ragazze e le donne non riceveranno le cure mediche e il sostegno di cui hanno bisogno. Si stima che ci saranno 1600 morti materne in più e oltre 3500 morti infantili. Questi non sono solo numeri, ma vite perse e famiglie distrutte.

Per oltre tre anni, i diritti delle ragazze in Afghanistan sono stati violati. Tutte le ragazze devono poter tornare a scuola subito. Se a queste ragazze capaci e brillanti continuerà a essere negata l’istruzione, le ripercussioni dureranno per generazioni. L’Afghanistan non può lasciare indietro metà della sua
popolazione.

All’UNICEF, il nostro impegno nei confronti dei bambini afghani – ragazze e ragazzi – rimane incrollabile. Nonostante il divieto, abbiamo garantito l’accesso all’istruzione a 445 000 bambini attraverso l’apprendimento comunitario, il 64% dei quali sono bambine. Stiamo anche potenziando le insegnanti donne per garantire che le ragazze abbiano modelli di ruolo positivi.

Continueremo a sostenere il diritto di ogni ragazza afghana a ricevere un’istruzione, ed esortiamo le autorità de facto a revocare immediatamente questo divieto. L’istruzione non è solo un diritto fondamentale; è la via per una società più sana, stabile e prospera.»