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Tag: Elezioni

Per la nuova Siria le donne sono una minaccia

ilmanifesto.it Lorenzo Trombetta 27 ottobre 2025

Per ogni regime fondamentalista il nemico principale sono le donne.

Senza democrazia. Escluse dai processi di transizione, marginalizzate e intimidite alle elezioni. L’«inclusione» è un termine buono solo per i donatori stranieri

DAMASCO
Le donne sono state mandate a casa presto. Solo gli uomini sono rimasti fino a tarda notte a contare le schede della sezione elettorale di Aleppo in occasione delle elezioni legislative siriane, le prime dal cambio di potere avvenuto dieci mesi fa. Nel nuovo parlamento per ora figurano solo sei donne.
Non si è trattato di elezioni dirette, bensì di una selezione di deputati, avvenuta a più fasi e cominciata questa estate, gestita in toto dai nuovi signori di Damasco. Dei 210 deputati totali, 121 sono stati scelti in base a un meccanismo articolato in commissioni centrali e locali fortemente controllate dalla presidenza. Dovevano essere 140 (i due terzi) ma all’appello mancano i 21 deputati assegnati per le regioni del nord-est (Hasake e Qamishlo) e del sud-ovest (Sweida) escluse dal processo elettorale. La presidenza si è riservata il diritto di nominare direttamente i restanti 70 deputati, il cosiddetto terzo di garanzia, che permette al raìs Ahmad Sharaa di controllare formalmente l’organo legislativo. C’è da rivoluzionare la Siria. A cominciare dalle sue leggi. Senza che la thawra – la rivoluzione – sia ostacolata da inutili impacci. Come le donne.

TRA I CIRCA 1.500 candidati solo il 14% erano donne. Le uniche sei deputate rappresentano poco meno del 5% dei 121 onorevoli, scelti da un manipolo di seimila delegati elettorali (rispetto a 18 milioni di aventi diritto al voto). Lontani dal 30% di «quota rosa» chiesto a gran voce dalle varie piattaforme della società civile siriana negli incontri di luglio con la Suprema commissione elettorale.
Ma non è solo una questione di numeri. Il vizio di questo processo pseudo-elettorale risiede nel fatto che non è stato affatto inclusivo e partecipativo. Così come non sono state inclusive e partecipative le altre due principali iniziative intraprese dal governo dall’inizio dell’anno fino a oggi: il «dialogo nazionale» e la sua conferenza-photo opportunity di febbraio; l’annuncio a marzo della nuova costituzione.
«INCLUSIVO» e «partecipativo» sono due aggettivi che possono risultare vuoti e buoni solo agli slogan dei donatori stranieri. In realtà qui risiede il cuore del problema: l’elaborazione della nuova legge elettorale per il parlamento richiedeva un lavoro paziente e collettivo, non dettato dalla fretta predatoria di metter le mani su una istituzione formalmente democratica ma da usare in un’ottica autoritaria.
Questo processo avrebbe dovuto coinvolgere nelle varie località quei gruppi della società civile che da anni lavorano per una pace sostenibile e non violenta, basata sulla condivisione trasparente della gestione delle risorse e della distribuzione dei servizi e sulla ricomposizione delle fratture causate dalla dittatura e la guerra. In ogni cittadina e villaggio siriano ci sono donne, ben conosciute a chi lavora sul terreno e che da tempo sono impegnate in questi ambiti civili di riconciliazione e rinascita.
QUANDO ALCUNE di queste attiviste hanno provato a proporsi come candidate in almeno tre località sono state, con pressioni più o meno esplicite, invitate a farsi da parte. Ed è un fatto che il processo di scrittura della legge elettorale per il rinnovo del parlamento ha seguito un canovaccio solipsistico, totalmente pilotato dalla nuova classe al potere.
DOPO ESSERE stata nominata dal presidente, la Suprema commissione elettorale, formata da otto uomini e due donne, ha cominciato i suoi lavori a fine giugno, avviando una sequenza di scelta dei membri delle commissioni locali e quindi dei delegati chiamati a eleggere i 140 deputati. In questo processo la commissione ha coinvolto quasi esclusivamente ambienti maschili.
Come hanno raccontato gli stessi membri della Commissione, sono state ascoltate due categorie di cittadini: le autorità locali, dai governatori ai direttori provinciali dei ministeri; i notabili locali, dai leader religiosi e civili agli imprenditori e ai faccendieri. Trovare una donna è stato davvero difficile. Foto e filmati di queste riunioni raccontano di uno schiacciante dominio maschile.
LA STESSA COMMISSIONE non ha mai fatto riferimento a incontri con esponenti di organizzazioni nazionali e locali della società civile, note per aver elaborato proposte e progetti per promuovere pari opportunità e diritti di genere. Questi gruppi non sono mai stati ben visti dal potere centrale. E non lo sono certo oggi. Nel 2022, più di due anni prima della caduta del regime degli Assad, diverse associazioni femministe erano state prese di mira da una campagna mediatica alimentata da gruppi religiosi, espressione di poteri maschilisti e patriarcali, che accusavano le organizzazioni femministe di «adescare le nostre ragazze con iniziative accattivanti ma piene di veleno in nome di quella che chiamano liberazione della donna… una minaccia più pericolosa di una battaglia armata».
La campagna di tre anni fa è stata solo la punta dell’iceberg di una quotidianità fatta di naturali e sistematiche esclusioni. Nonostante ciò, prima e durante la guerra, le siriane hanno ampiamente tentato di partecipare alla vita pubblica, in presenza e in assenza degli uomini: non solo per reclamare la liberazione di mariti e figli nelle carceri di Asad o in quelle delle milizie oggi al potere; e non solo per tenere in piedi un’intera famiglia dentro la disperazione di un campo profughi senza il capofamiglia scomparso in guerra o affogato nel Mediterraneo. Ma anche per rivendicare, giorno dopo giorno, con un’azione spesso non intercettata dai grandi media, il rispetto dei diritti civili e politici di tutte le siriane e i siriani.
Le comunità druse nel sud-ovest e le curde nel nord-est – le regioni escluse dalle «elezioni» del 5 ottobre – sono state quelle che hanno mostrato un attivismo femminile più marcato rispetto ad altre regioni siriane. Sebbene la loro esclusione dal processo elettorale non appaia legata direttamente alla questione femminile, i calcoli politico-militari di Damasco per non coinvolgere i drusi e i curdi hanno a che fare, in fin dei conti, anche con l’atteggiamento più pugnace e meno restio a subire l’autorità maschile e patriarcale da parte di numerose attiviste di queste due comunità.
A CHI AFFERMA che bisogna dare tempo ai nuovi governanti siriani, c’è chi risponde: «per incoraggiarti a comprare un vestito stretto il negoziante ti dice che l’abito col tempo si allarga». Nel caso della partecipazione femminile, l’impressione è che col tempo lo spazio di libertà si restringerà ancora di più.

Lorenzo Trombetta
Per 25 anni corrispondente ANSA e LiMes per il Medio Oriente da Beirut, autore di monografie sulla Siria contemporanea. Arabista, con un dottorato alla Sorbona in Studi Islamici, insegna Storia del Mondo Islamico all’università