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Tag: Fondamentalismo

Femminismo, non razzismo!

شفق همراه, Razm Ara Hawash, 3 ottobre 2025

In un paese come l’Afghanistan dove le strutture sociali, politiche e intellettuali sono fortemente maschili ed etniche, il femminismo non è solo un approccio alla parità di genere ma un modo per criticare il potere, il dominio e la discriminazione in tutte le sue forme.

Ma con il tempo assistiamo all’emergere di una sorta di “femminismo dimostrativo” che invece di criticare le strutture di oppressione, è diventato il braccio pubblicitario delle forze politiche, etniche e religiose. Questa tendenza deviata, che può essere chiamata “femminismo etnico” o “femminismo nazionale”, contraddice di fatto lo spirito liberatorio del femminismo.

Cos’è il femminismo?

Il femminismo è fondamentalmente una lotta per porre fine all’oppressione di genere, alla disuguaglianza strutturale e all’esclusione sistematica delle donne dal processo decisionale e dalla vita sociale. Il movimento femminista non si limita a lottare per il diritto delle donne all’istruzione, al lavoro e alla partecipazione politica, ma cerca anche di combattere le radici della discriminazione di genere, nella cultura, nella religione, nella politica e nel potere.

Il vero femminismo critica il potere oppressivo comunque si manifesti, sia in nome della religione, dell’etnia, della politica o della tradizione; anche se quel potere deriva dalla “propria comunità”, anche se appare sotto forma di “capo popolare” o di “eroe nazionale”.

Cos’è il femminismo etnico?

Il femminismo nazionalista è quando le donne sostengono gli uomini invece di opporsi alle strutture di potere maschile, diventano strumento dei leader etnici o religiosi; non solo non criticano la struttura maschile all’interno della propria razza o religione, ma la giustificano, la nascondono e persino l’abbelliscono.

Nel femminismo etnico, la questione dell’oppressione contro le donne non viene vista da una prospettiva generale e strutturale, ma solo da una prospettiva etnica. Cioè, una donna oppressa è riconosciuta come vittima solo quando è di un’altra tribù. Ma quando sono gli uomini della propria tribù a violare i diritti delle donne, si fa silenzio, si giustificano o si tollerano.

Quando le donne difendono i guerrieri

Esempi di femminismo razzista si possono vedere nelle narrazioni che fanno dei leader e signori della guerra che si dichiarano a favore delle donne ma il loro comportamento è pieno di crimini, stupri, repressione e rimozione delle donne dagli spazi pubblici. Queste donne, con narrazioni e ricordi personali o argomenti non documentati, cercano di giustificare il volto duro, misogino e oppressivo dei loro leader etnici.

Questo modo di vedere non solo diventa il centro del femminile, ma è profondamente al servizio della riproduzione del potere maschile. In tali narrazioni le donne vengono sminuite a esseri passivi che devono ricorrere ai leader maschi per accedere ai loro diritti; come se l’istruzione, il lavoro o la libertà fossero doni che solo gli uomini possono concedere, non diritti intrinseci delle donne.

Questo genere di femminismo, invece di essere la voce degli oppressi, è diventato la voce del potere etnico. Non parla di donne fatte a pezzi sotto i razzi dei leader jihadisti, né di corpi stuprati nei campi di guerra, né di ragazze private di istruzione, presenza sociale e partecipazione.

Invece di criticare la violenza, il femminismo etnico la giustifica con termini come “eroismo”, “leadership”, o “difesa della religione e della nazione”. Queste donne, a volte consapevolmente e a volte per ignoranza politica, diventano gli strumenti per ripulire l’immagine dei criminali etnici.

Il pericolo di distorcere la lotta delle donne

Uno dei danni più grandi che il femminismo etnico porta alla lotta delle donne è la distorsione dell’essenza di questa lotta, che diventa non più costruttiva e critica nei confronti del potere maschile ma invece sottomessa e dipendente dagli uomini potenti. Nelle loro narrazioni, una donna valida è una donna che sostiene la nazione, fedele ai leader maschi e silenziosa circa la violenza domestica.

L’istruzione delle donne, in questo discorso, è dovuto alla “gentilezza” dei leader maschi, non un diritto umano. La libertà è un “dono”, non un principio fondamentale. E il silenzio contro i crimini del proprio popolo è segno di lealtà, non tradimento della verità.

Il vero femminismo è nemico della mitologia

Il vero femminismo è nemico di tutti i miti che si sono costruiti sui concetti di eliminazione, soppressione e sangue, per cui molti leader non sono considerati eroi ma parte di un sistema di oppressione e violenza. In questo femminismo, etnia, religione o storia politica di un leader non possono essere una giustificazione per ignorare la violenza sulle donne.

Il femminismo, che non può difendere le donne vittime di guerre civili, le donne vittime di abusi sistematici, le donne rimosse dagli spazi pubblici, non è femminismo: è complice del sistema maschile, sebbene parli alle donne.

O con le donne, o con il potere degli uomini

In definitiva, il femminismo richiede una scelta chiara: o stare dalla parte delle donne e delle vittime di ingiustizie strutturali, o stare con le strutture di potere che le hanno rese vittime.
Non è possibile difendere i diritti delle donne e contemporaneamente elogiare le figure che sono alla base dell’esclusione della donna dalla vita sociale e politica.

Il femminismo non è uno strumento di potere etnico, né una copertura della violenza, ma invece è la voce delle donne che vogliono decidere, vivere e fare la storia senza mediazione maschile, senza alcun potere esterno.

Quindi è ora di essere chiare: diciamo “no” al femminismo etnico

Il femminismo è globale. Anche la nostra solidarietà deve esserlo

I talebani bandiscono dalle università i libri scritti da donne

The Guilty Feminist Podcast, Blog, 27 settembre 2025

I talebani hanno ora ordinato alle università afghane di rimuovere dai loro programmi tutti i libri scritti da donne. Dei 679 libri di testo sottoposti a revisione, 140 scritti da autrici donne sono stati vietati, insieme a 18 corsi completi, molti dei quali incentrati su questioni femminili, genere, diritto, diritti umani e persino scienze di base. Centinaia di altri corsi sono ancora “sotto indagine”.

Non si tratta solo di vietare libri. Si tratta di cancellare la voce delle donne, limitare la conoscenza e controllare ciò che un’intera generazione è autorizzata a pensare. Rimuovendo i testi scritti da donne e i corsi incentrati sulle esperienze femminili, i talebani stanno riscrivendo il panorama intellettuale dell’Afghanistan, strappando con la forza le prospettive delle donne.

L’istruzione è un’ancora di salvezza. Zittire le donne nelle aule e nelle biblioteche è un’altra forma di violenza, volta a rendere le donne invisibili.

Il femminismo è globale. Anche la nostra solidarietà deve esserlo.

Cosa possiamo fare:

Amplificare la voce delle donne afghane: condividere e ascoltare le attiviste, le scrittrici e le educatrici afghane che resistono alla cancellazione. Tra cui @saramwahedi.

Sostenere le organizzazioni guidate da donne come RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane), Women for Afghan Women e Afghan Women’s Educational Center, tra cui @amnestyfeminist.

Rimanere informati: mantenere l’attenzione sull’Afghanistan – il silenzio permette all’oppressione di crescere inosservata, seguire @rukhshanamedia

Fare pressione sui governi e sulle istituzioni: esigere che i diritti delle donne rimangano al centro dei negoziati internazionali e delle politiche di aiuto. Continuare a scrivere ai propri parlamentari!

Solidarietà significa rifiutarsi di distogliere lo sguardo.

Rimozione delle foto delle donne dalle carte d’identità nazionali: una nuova esclusione

La rimozione delle foto delle donne dalle carte d’identità nazionali  è l’ultimo tentativo dei Talebani di cancellare le donne dalla vita pubblica dell’Afghanistan. Le donne protestano con una campagna social

Azada Taran, Rukhshana Media, 18 settembre 2025

La decisione dei talebani di rimuovere, su richiesta, le immagini delle donne dalle carte d’identità nazionali ha scatenato le proteste dei difensori dei diritti umani, che affermano che si tratta dell’ultimo tentativo di cancellare le donne dalla vita pubblica in Afghanistan.

Un portavoce dell’Autorità nazionale di statistica e informazione controllata dai talebani ha affermato che il leader supremo del gruppo ha preso personalmente la decisione di consentire la rimozione delle foto delle donne dalle carte d’identità su consiglio del Dar al-Ifta, o consiglio religioso.

I talebani hanno affermato che le donne potranno scegliere se far comparire la propria immagine sulla tessera. Ma molte attiviste per i diritti delle donne temono che la scelta possa essere loro sottratta, dato lo squilibrio di genere nella società afghana, che i talebani hanno fatto di tutto per rafforzare da quando hanno ripreso il potere quattro anni fa.

È stata lanciata una campagna sui social media per protestare contro questa decisione con lo slogan “La mia foto, la mia identità“, con i critici che accusano i talebani di voler privare le donne dei loro diritti di cittadinanza.

Ulteriore esclusione delle donne dalla sfera pubblica

“Quando i talebani privano le donne di questo diritto, in realtà mirano a escluderle dalla partecipazione sociale, dall’accesso ai servizi, persino dai diritti di proprietà e dal diritto di viaggiare”, ha dichiarato a Rukhshana Media l’attivista per i diritti delle donne Zahra Mousawi.

“Queste politiche sono deliberatamente concepite per limitare ulteriormente le donne e cancellarle dalla sfera pubblica”.

Mousawi ha affermato che le donne afghane hanno lottato per anni affinché la loro identità fosse riconosciuta e ha esortato le istituzioni per i diritti umani a fare pressione sui talebani affinché ripristinassero questo e altri diritti.

Un’altra attivista, Hamia Naderi, ha espresso il timore che la rimozione delle sue foto avrebbe rafforzato l’impressione che le donne siano dipendenti dai membri maschi della famiglia, piuttosto che adulte autonome.

Già oggi, le donne afghane devono essere accompagnate da un parente maschio per uscire di casa, in base alle nuove leggi introdotte da quando i talebani hanno ripreso il potere nel 2021. Alle donne e alle ragazze è vietato l’accesso all’istruzione secondaria e superiore e non possono lavorare fuori casa, se non in pochissimi lavori. Persino il loro abbigliamento è soggetto a controlli rigorosi.

Una forma di apartheid di genere

Naderi ha affermato che quest’ultima mossa potrebbe facilitare il furto d’identità, il traffico di esseri umani e persino i matrimoni forzati. “Rimuovere le foto delle donne dalle carte d’identità è una delle forme più evidenti dell’apartheid di genere dei talebani. Priva sistematicamente le donne della cittadinanza indipendente e le rende senza volto e invisibili”, ha affermato.

“Con la rimozione dell’identità delle donne, queste non sono più viste come individui, ma solo come persone a carico dei membri maschi della famiglia.”

Mohammad Halim Rafi, portavoce dell’Autorità nazionale di statistica e informazione afghana controllata dai talebani, ha affermato che le preoccupazioni che i parenti maschi possano sfruttare la nuova norma “non ci riguardano”, aggiungendo: “Ecco perché è stata resa facoltativa”.

Secondo le nuove norme, includere le foto delle donne nelle carte d’identità è considerato “consentito in casi di estrema necessità e facoltativo”, ha affermato.

Le carte d’identità nazionali sono fondamentali per molti aspetti della vita quotidiana in Afghanistan, ma le donne ne sono state private a lungo. Anche prima del ritorno dei talebani, oltre il 50% non possedeva una carta, rispetto a solo il 6% degli uomini , con implicazioni per tutto, dal voto all’apertura di un conto in banca, fondamentale per raggiungere l’indipendenza finanziaria.

L’esperto legale Hasan Payam ha affermato che cancellare le foto delle donne dalle carte d’identità “creerebbe un divario di genere che equivale a discriminazione di genere”, mettendo ancora più controllo sulla vita delle donne nelle mani degli uomini.

La mossa segue una dichiarazione rilasciata il mese scorso da UN Women, che condannava la crescente limitazione dei diritti delle donne afghane e affermava che con ogni nuova restrizione loro imposta, le donne afghane venivano “spinte sempre più fuori dalla vita pubblica, e sempre più vicine a esserne completamente eliminate”.

“Questa volta non veniamo cancellati dalle strade e dai vicoli, ma dalle nostre stesse carte d’identità”, ha scritto Rana Shojai, una delle tante persone che si sono rivolte ai social media per esprimere la propria indignazione.

“Le donne che sono madri, sorelle, figlie e mogli in questa terra ora non significano nulla per i talebani, non valgono nemmeno una singola foto. Non si tratta solo di rimuovere una foto; è un altro passo verso la sistematica cancellazione delle donne dalla vita pubblica

Vietare 700 libri e 18 materie: l’ultimo tentativo dei talebani di smantellare l’istruzione superiore

I talebani stanno cercando di trasformare le università afghane in madrase religiose

Sharif Ghazniwal, Zan Times, 16 settembre 2025

I talebani continuano ad attaccare l’istruzione superiore e le istituzioni accademiche. Il 25 agosto, il Ministero dell’Istruzione Superiore ha emesso due direttive distinte ai dirigenti delle università e degli istituti di istruzione superiore in tutto il Paese. A questi funzionari è stato ordinato di interrompere l’insegnamento di 18 materie accademiche e di vietare circa 700 libri di testo e materiali didattici.

Copie di queste direttive sono state ottenute da “Zan Times”.

I decreti affermano che le materie appena vietate contraddicono la Sharia e le politiche dei talebani: “L’elenco delle materie in determinati campi accademici è stato esaminato da studiosi ed esperti della Sharia e, tra queste, 18 materie di varie discipline sono state ritenute contrarie alla Sharia e alle politiche del sistema e sono state pertanto rimosse dal curriculum”.

Le direttive stabiliscono inoltre che altre 201 materie, considerate parzialmente problematiche, devono essere insegnate con una prospettiva critica. Dichiarano inoltre che quasi 700 libri di testo e risorse accademiche, precedentemente utilizzati nelle università pubbliche di tutto il Paese, sono stati ufficialmente vietati.

L’elenco dei libri vietati è stato stilato dopo che il Ministero dell’Istruzione Superiore dei talebani ha chiesto agli amministratori delle università pubbliche di presentare i loro programmi e risorse didattiche.

Una fonte informata, che ha parlato con “Zan Times” in condizione di anonimato, afferma che un consiglio di studiosi che riceveva ordini diretti dalla leadership talebana è responsabile della revisione del materiale accademico e della determinazione di quali siano conformi o meno alla legge della Sharia e al sistema politico dei talebani.

I corsi vietati

L’appendice a una delle direttive elenca le 18 materie accademiche che le università sono tenute a rimuovere dai loro programmi di studio. La maggior parte riguarda il diritto costituzionale, i sistemi politici, i diritti umani o le questioni femminili. Tra queste:

1 Diritto costituzionale dell’Afghanistan
2 Movimenti politici islamici
3 Buona governance
4 Sistemi elettorali
5 Sistema politico dell’Afghanistan
6 Sociologia politica dell’Afghanistan
7 Genere e sviluppo
8 Diritti umani e democrazia
9 Analisi della Costituzione dell’Afghanistan
10 Globalizzazione e sviluppo
11 Storia delle religioni
12 Sociologia delle donne
13 Filosofia morale
14 Molestie sessuali
15 Diversità occupazionale paritaria di genere
16 Leadership di piccoli gruppi
17 Comunicazioni di genere
18 Il ruolo delle donne nella comunicazione pubblica

L’appendice elenca anche altre 201 materie che devono essere insegnate con un approccio “critico e orientato alla riforma”. Tra queste, corsi come Protocollo diplomatico ed etichetta; Politica e governo negli Stati Uniti; Politica estera delle grandi potenze; ​​Demografia; Sociologia della religione; Lotta alla corruzione amministrativa; Sistemi educativi familiari; Filosofia islamica; ed Ermeneutica.

Libri proibiti e le loro università

I talebani hanno ritenuto che questi titoli fossero “contrari alla Sharia e alle politiche dell’Emirato Islamico” e ne hanno formalmente vietato l’uso come materiale didattico.

I funzionari hanno anche incaricato altre università pubbliche e private di sottoporre i loro programmi di studio e il materiale didattico per la valutazione. Si prevede che il numero totale di libri proibiti aumenterà una volta completate queste revisioni. Le restrizioni non si applicano solo alle università sottoposte a valutazione. Fonti interne all’università confermano che l’elenco dei libri proibiti è stato diffuso a livello nazionale, con istruzioni esplicite che questi testi non devono essere assegnati agli studenti.

L’Afghanistan ha storicamente letto libri pubblicati da editori iraniani. Pertanto, le pubblicazioni iraniane costituiscono la quota maggiore delle opere vietate, inclusi i libri pubblicati dall’Università di Teheran, dalla SAMT (la casa editrice accademica iraniana), dall’Islamic Republic of Iran Broadcasting (IRIB) e da altre case editrici iraniane. Seguono per numero di libri vietati le opere pubblicate in Afghanistan, i libri senza un editore ufficiale e gli appunti e i capitoli preparati dai docenti. Una quota minore include materiali stampati da agenzie statunitensi come USAID e USIP, dall’Asia Foundation e da alcuni editori dei paesi arabi.

Le autrici costituiscono una quota consistente della lista dei libri proibiti. Almeno 140 dei libri proibiti sono scritti da donne. Un membro del gruppo che recensisce libri ha dichiarato alla BBC Persian che “non è consentito insegnare libri scritti da donne”.

La talebanizzazione delle università afghane

Considerato l’attuale approccio dei talebani alle istituzioni educative, il regime sembra determinato a trasformare le università afghane in seminari religiosi progettati dai talebani.

Durante un incontro privato, lo sceicco Ziaur Rahman Aryoubi, viceministro per gli affari accademici presso il Ministero dell’istruzione superiore dei talebani, ha affermato che negli ultimi 20 anni le università sono state “promotrici dei valori occidentali” e pertanto “devono essere riformate o eliminate”, ha riferito una fonte ben informata al Zan Times.

Diversi professori temono che alcune discipline come diritto, scienze politiche e sociologia possano essere eliminate completamente dal sistema di istruzione superiore a causa della sfiducia dei talebani nei loro confronti. Prevedono inoltre che l’elenco dei libri proibiti si allungherà man mano che i talebani richiederanno programmi e materiali didattici ad altre università pubbliche e private.

Vietando i libri di testo standard e imponendo ai professori di produrre autonomamente i propri appunti (capitoli) per verificarne l’allineamento con le politiche talebane, gli accademici temono che, sebbene i titoli dei corsi e le liste di lettura possano tecnicamente rimanere relativamente indenni, i loro contenuti principali vengano talibanizzati. Sembra che queste direttive segnino solo l’inizio di un processo radicale, che proseguirà con determinazione e la rigorosa supervisione di un consiglio di religiosi di cui la leadership talebana si fida.

Di fatto, i talebani stanno cercando di trasformare le università afghane in madrase religiose.

Sharif Ghazniwal è lo pseudonimo di un ex professore universitario di Kabul.

 

Dalla disconnessione di internet al controllo delle informazioni

I talebani hanno tagliato il servizio Internet in fibra ottica in 14 province: Balkh, Kandahar, Helmand, Herat, Uruzgan, Nimroz, Kunduz, Takhar, Badakhshan, Baghlan, Paktika, Laghman e Nangarhar.
A Kunduz il governatore ha affermato che i servizi internet sono stati sospesi su ordine del leader supremo per prevenire “immoralità.”

شفق همراه, Eid Mohammad Forough, 17 settembre 2025

La disconnessione di internet in fibra ottica in più di dieci province dell’Afghanistan non può essere considerato una mera misura tecnica: rappresenta un cambiamento profondo e una trasformazione nel modo in cui il governo talebano governa e controlla lo spazio digitale, un cambiamento che rimuove le infrastrutture di comunicazione dal loro ruolo naturale e pubblico e le rende uno strumento per esercitare il suo potere e gli scopi politici.

Una trasformazione occulta della società

Limitare internet non solo trasforma la società, ma pone le basi per un maggiore estremismo. Anche se occupazione e istruzione erano stati ridotti sotto il dominio talebano, Internet era comunque una piattaforma vitale e affidabile che collegava l’Afghanistan alla rete globale e forniva ai cittadini un lavoro e un’istruzione online. Bloccare questo percorso significa tagliare uno dei pochi ponti che collega la società afghana con l’esterno.

Questa mossa può essere considerata una sorta di “ridisegno occulto nella mappa del potere” del governo talebano. In precedenza, sebbene ci fosse stata censura e monitoraggio delle attività nello spazio virtuale e digitale, la fibra ottica creava comunque opportunità per superare le limitazioni. Ad esempio, uno studente poteva scaricare qualsiasi articolo scientifico dalle biblioteche digitali globali, un giornalista poteva inviare l’articolo ai media internazionali senza paura, e un professore universitario poteva insegnare agli studenti all’interno o all’estero attraverso una piattaforma stabile.

Ora queste strade vengono chiuse o d’ora in poi i dati passeranno attraverso canali completamente controllati dal governo talebano. Un cambiamento del genere toglie l’indipendenza digitale ai cittadini e trasforma qualsiasi comunicazione in dati prevenibili, che possono essere manipolati o bloccati.

Trasparenza forzata

Questa trasformazione non rappresenta solo una riduzione della qualità o dell’affidabilità del servizio internet, ma anche un rigoroso controllo della privacy e della sicurezza personale. Internet ha permesso agli utenti di avere una certa fiducia nella sicurezza delle infrastrutture, ma rimuovendolo completamente la società entrerà sicuramente in una fase che potrebbe essere chiamata di “trasparenza forzata”, una situazione dove tutto è visibile, prevenuto e controllato.
In altre parole, le disconnessioni della fibra ottica creano una struttura di governance digitale in cui ogni interazione umana, dalla classe al discorso familiare, sociale e politico, è potenzialmente esposta ad audit e censurata.

Internet in fibra ottica non è ancora scollegato del tutto ed è disponibile in alcune parti del paese, tuttavia ci sono segnali che la tendenza potrebbe presto diventare nazionale. Infatti, la stessa incertezza della situazione ha creato una sorta di instabilità digitale e insicurezza in settori come quello bancario, l’istruzione e l’occupazione.

La gente non sa se domani avrà accesso alle risorse globali per l’occupazione, la scienza e l’istruzione. I loro contatti con la famiglia emigrata saranno interrotti in pochi secondi o no? E le loro attività online crolleranno improvvisamente in un giorno qualsiasi? Questa incertezza è una forma di pressione psicologica che distrugge la fiducia in qualsiasi connessione digitale.

Distruggere la memoria digitale collettiva

Da una prospettiva più ampia, questa azione significa anche indebolire e distruggere la memoria digitale collettiva. La fibra ottica ha reso possibile che le produzioni scientifiche, culturali e mediatiche afghane fossero viste insieme a quelle delle altre nazioni e rimangano parte della memoria comune dell’umanità.

Ma tagliando questo percorso internazionale, le narrazioni dell’Afghanistan rimarranno nelle quattro mura domestiche, saranno censurate e saranno private della riflessione globale. Di conseguenza, l’Afghanistan sarà emarginato e i suoi cittadini privati della possibilità di ottenere un’immagine reale e umana della vita del mondo.

Il silenzio digitale è anche una sorta di silenzio storico, perché ciò che non si vede e non si ascolta non verrà registrato e immortalato nella memoria mondiale.

L’identità digitale delle nuove generazioni

Un’altra delle dimensioni e degli effetti devastanti di questa tendenza è quella sull’identità sociale e la mentalità delle giovani generazioni. La fibra ottica accanto a una piattaforma tecnologica affidabile e adeguata era una finestra su diverse narrazioni e discorsi globali, accesso che aiuta i giovani ad acquisire orizzonti più ampi, a confrontare le realtà politiche, sociali e tecnologiche del loro paese con quelle delle altre comunità e, attraverso questo confronto, trovare critiche e interrogativi.

Ma se questa finestra che si chiude, avverrà un graduale silenzio del pensiero critico e un indebolimento della memoria storica della generazione da cui dipende il futuro del Paese. Lo spegnimento della fibra ottica non è solo un’interruzione del servizio tecnico ma anche dell’identità digitale di generazioni, che passeranno dalla diversità e dalla capacità di relazione al silenzio, all’estremismo e alla monotonia.

La disconnessione della fibra ottica finalizzata a concentrare il flusso di dati e informazioni nelle mani del governo rende praticamente possibile il controllo completo delle informazioni. Questo significa determinare ciò che le persone vedono o non vedono, e quindi ciò che rimarrà impresso come “verità” nelle menti delle generazioni attuali e future.

Si può parlare di “nascita della generazione digitale muta”, generazione che perde la possibilità di libera rappresentazione della propria identità, pensiero e narrazione e vedrà l’aumento dell’estremismo.

La disconnessione della fibra ottica prefigura un Afghanistan rimosso dalla carta dell’economia mondiale incentrata sulla conoscenza; la sua gioventù si trasformerà in una generazione silenziosa, estremista e isolata. Se questo processo continua, ci sarà un vuoto che non sarà possibile colmare in pochi anni e che potrebbe richiedere generazioni.

 

Estorsioni in nome della Sharia

Le estorsioni sono diventate parte integrante delle attività quotidiane delle forze di sicurezza talebane

Sayeh, شفق همراه, settembre 2025

Le autorità preposte alla promozione del bene e la proibizione del male, che secondo i leader del gruppo talebano dovrebbero attuare la Sharia, sono progressivamente diventati un apparato estorsivo.

Questi funzionari accusano le donne per il mancato rispetto dell’hijab (velo) e per la mancanza di un mahram maschile (parente maschio), mentre gli uomini sono incolpati di indossare abiti contrari alla cultura islamica afghana, di tagliarsi i capelli in violazione della Sharia e di avere tatuaggi. Con minaccie di punizirli, portarli in caserma e rinchiuderli in prigione, li spaventano per poter estorcere loro denaro e oggetti di valore. Queste estorsioni sono diventate parte integrante delle attività quotidiane delle forze di sicurezza talebane.

Non si tratta solo di fatti occasionali: ogni giorno ci sono donne e giovani che vengono violate e insultate in qualche parte della città; a causa del “hijab” o del “zahir” (aspetto), subiscono violenze e umiliazioni e sono costrette a pagare e a consegnare i loro beni di valore per non essere portate via e subire abusi.

Sajeda, che ora ha lasciato l’Afghanistan, racconta la sua terribile esperienza: “L’estate scorsa stavo facendo i preparativi per un viaggio e sono uscita di casa per fare degli acquisti. Indossavo uno scialle semplice e modesto, ma avevo lasciato fuori alcune ciocche di capelli che, in realtà, non pensavo potessero essere oggetto di biasimo. Questo, però, è bastato perché la cosiddetta banda talebana mi fermasse”.

Mentre arrivava a Pul-e-Sorkh, incontrò le forze dell’ordine talebane che le ordinano di fermarsi. “Uno di loro disse ad alta voce: ‘Fermati, ragazza. Che razza di vestito è questo?'”.

Quando lei spiegò che il suo vestito era in regola, uno di loro disse che aveva i capelli che uscivano dal velo e che la sua famiglia doveva venire a garantire per lei per
chè fosse lasciata libera. “Mi hanno costretta a seguirli al terzo distretto, ma quando siamo stati nelle vicinanze mi hanno fatta entrare in un vicolo che scende in fondo al mare e uno dei più giovani mi ha detto: ‘Dammi cinquemila afgani e sei libera’. All’inizio ho opposto resistenza e ho detto che non avevo soldi, ma loro non hanno accettato».

Le prensero il cellulare, guardarono le foto contenute e poi, indicando quelle della famiglia, le dissero: ‘La vostra famiglia ha un problema con l’hijab’. Nella galleria del mio cellulare c’erano foto del matrimonio di mio fratello e della mia festa di compleanno. Quando ho detto che quelle foto erano private, uno di loro ha gridato con rabbia: ‘La Sharia deve essere osservata sia in pubblico che in privato’”.

“Mentre ci avvicinavamo al posto di polizia, continuavano a minacciarmi e a ripetermi che il mio crimine era grave, perciò ho capito che mi avrebbero trattenuta e che non avevo alcuna possibilità di venirne fuori. Quindi mi sono decisa a pagare tremila afghani per salvarmi”.

Questo caso mostra come il “mahram” e l’“hijab” non costituiscano un principio religioso per i talebani, ma un mezzo di intimidazione e di controllo finalizzato all’estorsione. Quando una ragazza viene arrestata con l’accusa di aver indossato un velo troppo corto, presa in ostaggio e ricattata con il pretesto di qualche ciocca di capelli e sottoposta a un processo sommario, è evidente che l’obiettivo è il controllo e il ricatto. Questo comportamento intimidatorio e umiliante compromette la sicurezza delle donne anche nelle più semplici attività e movimenti quotidiani.

Anche i ragazzi sono presi di mira

Vahid “Mastar”, un ragazzino che ha un piccolo tatuaggio sul polso ed è stato molestato più volte dai talebani per questo, racconta l’ultima volta che ciò è accaduto: “Avevo fatto il tatuaggio prima che arrivassero i talebani. All’inizio, quando mi rimboccavo le maniche, mi molestavano sempre, perciò lo nascondevo. Questa primavera mentre stavo tornando a casa, non mi ero abbottonato la manica e il mio tatuaggio era visibile. Una persona mi ha invitato a raggiungerla, ma quando ha visto il tatuaggio, mi ha schiaffeggiato e ha detto: “Questo è un segno di infedeltà”.

Però non si trattò solo di una minaccia: lo portò direttamente alla polizia di zona togliendogli il cellulare. «Mi ha fatto passare davanti a un container e ha minacciato di rinchiudermi lì. Uno dei talebani, che non indossava l’uniforme bianca e che non sembrava essere un membro dell’Amr al-Ma’ruf, era seduto su uno sgabello. Mi si è avvicinato e ha detto: “Promettimi che rimuoverai il tatuaggio e verrai rilasciato'”.

Quando ritornò il funzionario talebano, Wahid iniziò a supplicarlo e a promettere di cancellare il tatuaggio. Dopo qualche istante, lui accettò e gli portò carta e penna per scrivere la promessa. “Poi mi disse: ‘Ora ti conosco e se vedo che hai ancora il tatuaggio non ti perdonerò’. Mentre me ne andavo, gli ho detto che aveva il mio cellulare. Mi si avvicinò e mi disse: ‘Non credo che tu abbia capito perché ti ho rilasciato così facilmente’. Mi resi conto che non mi avrebbe restituito il cellulare. Onestamente, ero spaventato perchè avevo visto molte persone picchiate senza motivo”.

Quando Vahid uscì dal commissariato, il funzionario lo seguì e gli fece notare che non aveva affatto un cellulare e che se gli avesse rivisto un tatuaggio, si sarebbe messa male per lui.

Ora le strade di Kabul e di altre città sono diventate un terreno di ricatto e di guadagno per il gruppo talebano; quella che chiamano “imporre ciò che è giusto e proibire ciò che è sbagliato” è in realtà una pratica di estorsioni e umiliazioni, un luogo in cui le donne vengono fermate a causa dei loro capelli e il colore dei loro vestiti e i giovani a causa del loro aspetto fisico, mentre sono sottoposti a estorsioni, insulti e umiliazioni.

 

La carenza di medici donne aggrava la tragedia del terremoto: le politiche dei talebani lasciano le donne senza assistenza

Avizha Khorshid, 8AM Media, 2 settembre 2025

Ieri sera, le province di Kunar e Nangarhar sono state colpite da un terremoto mortale. I talebani hanno dichiarato che 800 persone hanno perso la vita e 2.500 sono rimaste ferite nell’incidente. Tuttavia, fonti locali affermano che la carenza di medico donna nei centri sanitari di queste due province ha impedito alle vittime del terremoto di ricevere cure urgenti e di accedere ai servizi sanitari di emergenza. Le fonti affermano che le donne ferite, a causa della mancanza di personale sanitario donna, sono costrette ad attendere ore o che le loro cure subiscono ritardi. Fonti locali avvertono che se non si interviene con urgenza per aumentare la capacità dei centri sanitari e la presenza di medico donna, la situazione peggiorerà.

Diverse vittime del terremoto e fonti locali, intervistate dall’Hasht-e Subh Daily, affermano che i dati sulle vittime forniti vanno oltre quanto riportato dai media. Secondo loro, donne e ragazze sono in condizioni peggiori e necessitano di assistenza medica urgente.

Zamir Sardarkhel, uno degli abitanti del distretto di Kunar, afferma che le donne e le ragazze ferite dal terremoto versano in condizioni più difficili e che, con l’aumento del numero di feriti, la carenza di personale medico si fa sentire in modo significativo. Ritiene che le statistiche fornite dai media siano errate e sottolinea che, in base alla situazione attuale, il numero di vittime e feriti è superiore a quanto riportato e che queste cifre sono in continuo aumento.

Sardarkhel afferma: “La maggior parte delle vittime e dei feriti sono donne e bambini, e gli ospedali stanno affrontando una grave carenza di personale femminile. Inoltre, il numero attuale non soddisfa i bisogni”. E continua: “Chiediamo alle organizzazioni umanitarie di intervenire il prima possibile, perché le vittime vivono nelle peggiori condizioni e hanno urgente bisogno di cibo, medicine, cure e riparo. Le statistiche di morti e feriti aumentano di momento in momento”.

Inoltre, un’altra fonte che ha chiesto l’anonimato nel rapporto afferma: “Un gran numero di donne e bambini colpiti dal terremoto sono stati trasferiti nei centri sanitari nei distretti di Kunar e Nangarhar; ma sfortunatamente, la carenza di medico donna ha causato seri problemi nell’assistenza a questo gruppo vulnerabile“. Avverte che se non vengono prese misure urgenti per aumentare la capacità dei centri sanitari e la presenza di medico donna, la situazione potrebbe peggiorare.

Questa fonte aggiunge: “Questa è una società afghana in cui un uomo non può toccare o curare una donna. Molte donne sono state costrette ad aspettare ore per ricevere assistenza medica e, in alcuni casi, l’assistenza è stata ritardata a causa dell’assenza di medico donna. Questo problema fa aumentare il numero di vittime e molte donne perdono la vita”.

In precedenza, il Ministero della Salute Pubblica dei Talebani aveva anche confermato che alcune province orientali del Paese stavano affrontando una carenza di medico donna. Le vittime del mortale terremoto di Kunar lamentano la carenza di medico e personale sanitario, mentre i Talebani hanno chiuso le università, in particolare gli istituti di formazione medica, a ragazze e donne in Afghanistan negli ultimi quattro anni, compresi i corsi di ostetricia, infermieristica e tecnologia medica.

Le donne e le ragazze vittime del mortale terremoto di Kunar e Nangarhar soffrono per la carenza di medico e personale sanitario donna e lottano contro la morte, mentre Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani, nelle sue ultime dichiarazioni ha definito la questione dell’istruzione femminile “minore”; questa decisione ha messo a rischio di morte e distruzione la vita di centinaia di donne e ragazze.

In precedenza, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) aveva lanciato l’allarme: la carenza di personale sanitario qualificato e la mancanza di strutture sanitarie mettono a serio rischio la vita di un gran numero di cittadine.

Una schiava vestita da moglie

Avizha Khorshid, 8AM Media, 23 luglio 2025

L’amaro racconto di Mina sul matrimonio forzato e gli abusi dei talebani

Diverse donne e ragazze denunciano che, con le restrizioni imposte dai talebani e l’eliminazione dalla struttura governativa delle istituzioni di supporto alle donne, la violenza domestica contro di loro ha raggiunto livelli senza precedenti. Anche la violenza contro le donne all’interno delle famiglie dei combattenti talebani è stata ripetutamente documentata. Questo rapporto si concentra sulle condizioni di vita di una donna, sposata con la costrizione a un talebano per 400.000 afghani e successivamente sottoposta a gravi abusi fisici, fino alla perdita di conoscenza, che racconta una storia amara e dolorosa, affermando di essere trattata come una schiava sessuale.

Mina in passato era un’insegnante. Racconta che adesso i suoi sogni e la sua passione per l’insegnamento si sono spenti, e passa ore a fissare il muro, incapace di ricordare l’ultima volta che si è alzata in piedi. A volte si perde così tanto nei suoi pensieri da non sentire il pianto del suo bambino e la sua mente è sottoposta a una pressione così intensa che il suo cervello fatica a elaborarla.

Un tempo una donna sana, istruita e piena di speranza, ora è sull’orlo del collasso psicologico. I suoi occhi versano lacrime involontarie e la sua mente è sopraffatta dalla paura, dalla rabbia e da un pesante silenzio.

Il prezzo della sposa

Mina è nata in un piccolo villaggio nella provincia di Maidan Wardak, dove ha assaporato l’amarezza della solitudine fin dai suoi primi istanti di vita. Donna alta, con i capelli neri, la pelle color grano e gli occhi grandi, il suo aspetto emana una bellezza silenziosa. Il suo nome è legato all’affetto, eppure il suo destino è costellato di sofferenza e vulnerabilità.

Perse il padre prima di nascere, vittima di conflitti etnici. Sua madre, suo unico rifugio e speranza, morì poco dopo la sua nascita. Il destino affidò Mina allo zio e a sua moglie, che la consideravano non un essere umano, ma un mezzo per guadagnare denaro. Senza il suo consenso, la diedero in sposa a un membro dei talebani, ricevendo 400.000 afghani come prezzo della sposa.

Mina racconta che da quel giorno la sua vita divenne una schiavitù nella casa del marito, dove non riceveva né amore né rispetto. Sentiva ripetere più volte: “Ti abbiamo comprato per 400.000; non sei costata poco”.

Vivendo sotto il peso degli abusi domestici, Mina racconta che non le era nemmeno permesso mangiare con gli altri, doveva aspettare che tutti fossero sazi, sperando che rimanesse qualcosa per lei e, senza permesso, non poteva mangiare niente. “Anche se c’era molta frutta, dovevo aspettare che fosse infestata da mosche o vermi e che nessun altro la volesse: solo allora era il mio turno”. Quando parlava, veniva messa a tacere con insulti e violenza.

Sono passati tre anni dal matrimonio forzato di Mina. Ora ha un figlio di due anni ed è all’ottavo mese di gravidanza. Qualche giorno fa, quando il suo bambino aveva fame, gli ha dato un pezzetto di pane. Questo semplice gesto ha provocato l’ira della suocera, che ha preteso che il figlio, appena rientrato dal servizio, “insegnasse alla moglie a stare al suo posto” e le facesse capire di non agire mai senza permesso. Mina conferma che il marito l’ha picchiata così violentemente da farle perdere conoscenza. Il feto nel suo grembo è rimasto immobile per ore.

Il sospetto per la donna istruita

Donna istruita che un tempo aveva studiato scienze religiose e insegnato alle ragazze del suo villaggio, la sua conoscenza e la sua consapevolezza erano viste come una minaccia dalla famiglia del marito. La famiglia, non solo analfabeta ma profondamente radicata in credenze superstiziose e tradizioni umilianti, guardava con sospetto alla sua istruzione.

Mina sottolinea di aver studiato i principi islamici e di cercare sempre di reagire ai comportamenti ingiusti con calma e ragionevolezza, ma suo marito analfabeta si sente spesso inferiore e sminuito dalle sue parole. Perciò, per affermare il suo dominio maschile, si oppone anche alle sue osservazioni più semplici e a volte la picchia senza sosta e senza alcuna giustificazione, solo per affermare il suo controllo.

Discriminazione, povertà, umiliazione, violenza e solitudine hanno intessuto la vita di questa donna. I medici dicono che, a causa di numerose lesioni fisiche alla parte bassa della schiena, non riesce più a controllare la vescica. Però il suo vero dolore non risiede solo nel corpo, ma anche nello spirito ferito, che non è stato curato per anni, una ferita inflitta dalla crudeltà del suo destino. Eppure, Mina lotta con tutte le sue forze per la figlia di due anni e per il nascituro che porta in grembo, affrontando le difficoltà e le ingiustizie della vita, senza che la sua voce venga ascoltata da nessuno.

 

I Talebani intensificano l’apartheid di genere: decine di donne arrestate per “violazione dell’hijab”

CISDA, Comunicato, 25 luglio 2025

In questi giorni abbiamo ricevuto il racconto affranto delle donne appartenenti alle associazioni afghane che sosteniamo, le quali confermano le notizie allarmanti apprese da alcuni siti circa l’arresto arbitrario di decine di donne da parte della polizia morale, presumibilmente per “violazioni dell’hijab”, trattenute senza accesso a un legale, senza contatti con i familiari e senza assistenza medica.

Ci hanno scritto:

“Negli ultimi giorni, la situazione per donne e ragazze è tornata ad essere estremamente allarmante. La polizia morale pattuglia le strade, ferma i veicoli e trattiene le donne con la forza. Molte ragazze sono sotto shock e spaventate, hanno paura anche solo di uscire di casa. Secondo quanto riferito, dopo essere state rilasciate, alcune donne sono state rifiutate dalle loro famiglie, come se il peso dell’ingiustizia fosse ancora una volta posto sulle loro spalle.

Una ragazza, che per paura aveva inizialmente negato di avere subito un arresto, quando ha compreso il nostro sostegno ha iniziato a piangere e ha detto:

‘Per Dio, ero completamente coperta: indossavo l’hijab, la maschera e il chapan. Ma all’improvviso mi hanno circondata come animali selvatici, mi hanno insultata e colpita con una pistola”. Sono svenuta per la paura e il dolore. Quando ho ripreso conoscenza, mi trovavo in uno scantinato buio con decine di altre ragazze assetate e terrorizzate, senza alcun contatto con le nostre famiglie. Quello che abbiamo passato è stato peggio della morte…’.

Con voce tremante, ha aggiunto: ‘La libertà è stata l’inizio di un nuovo dolore. Il comportamento di tutti nei miei confronti è cambiato, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Vorrei non essere mai uscita di casa’.

Questa paura ha colpito profondamente anche le nostre studentesse. In molte, piangendo, hanno confermato quanto amano imparare, ma hanno chiesto di essere esentate dalla frequenza per qualche giorno, finché la situazione non si sarà calmata. Abbiamo deciso di sospendere le lezioni per due settimane. Anche oggi la polizia morale è passata diverse volte davanti al nostro centro e non possiamo mettere a repentaglio la sicurezza delle nostre studentesse.

Sono giorni bui e pesanti, ma la vostra presenza e il vostro sostegno sono per noi una luce di speranza e conforto, la vostra solidarietà ci dà la forza per andare avanti”.

Nel suo sito, RAWA NEWS informa:

In un nuovo e più intenso attacco alle libertà delle donne, i talebani hanno lanciato un’ondata di arresti arbitrari in tutto l’Afghanistan, prendendo di mira donne e ragazze accusate di aver violato l’interpretazione estremista che il gruppo dà delle regole sull’hijab. Solo nell’ultima settimana, decine di donne sono state arrestate a Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif, applicando standard di “modestia” vaghi e mutevoli, senza alcun processo o giustificazione legale.

Questi arresti avvengono in strade, centri commerciali, caffè e campus universitari, spazi pubblici dove le donne cercano semplicemente di condurre la propria vita quotidiana. A Kabul, nelle zone di Shahr-e-Naw, Dasht-e-Barchi e Qala-e-Fataullah, i testimoni hanno riferito che in alcuni casi sono state aggredite fisicamente dagli agenti talebani prima di essere costrette a salire sui veicoli. Poi sono state trattenute nei cosiddetti “centri di moralità” – strutture gestite dal Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, un’istituzione temuta che ora opera come una forza di polizia religiosa – e rilasciate solo dopo che i loro tutori maschi firmavano garanzie scritte che avrebbero “corretto” il loro comportamento.

Negli ultimi giorni a Herat sono state arrestate almeno 26 donne, molte delle quali giovani e alcune minorenni; a Mazar-e-Sharif una decina, sempre con l’accusa di non coprirsi completamente il volto. I funzionari talebani hanno confermato gli arresti, sostenendo che le donne erano state avvertite in precedenza.

Secondo quanto riferito, le arrestate sono state trattenute senza poter usufruire di assistenza legale, contattare le proprie famiglie o ricevere cure mediche. Alcune famiglie hanno paura di far uscire di casa le proprie figlie, temendo che possano essere arrestate.

NON PER LA RELIGIONE MA PER IL PREDOMINIO

Le Nazioni Unite e gli osservatori dei diritti umani hanno condannato questi arresti, ritenendoli delle gravi violazioni del diritto internazionale e un chiaro segno di apartheid di genere. Tuttavia, i talebani non sembrano intenzionati a cedere. Anzi, i funzionari del ministero hanno raddoppiato le loro minacce, annunciando che qualsiasi donna trovata a indossare un “cattivo hijab” sarà punita immediatamente e senza preavviso.

Queste azioni non riguardano la religione, ma il predominio: i talebani usano l’imposizione del hijab come arma politica per mettere a tacere e cancellare le donne. Criminalizzando le normali scelte di abbigliamento, i Talebani inviano un messaggio agghiacciante: le donne non appartengono alla sfera pubblica e qualsiasi tentativo di affermare la propria presenza sarà represso con la forza. Si tratta di un’ulteriore fase del sistematico smantellamento dei diritti delle donne da parte dei talebani, che include il divieto di istruzione per le ragazze oltre la prima media, il divieto per le donne di lavorare con le ONG e le organizzazioni internazionali e dure restrizioni nella possibilità di movimento  e nell’abbigliamento.

Nonostante la crescente repressione, molte donne afghane resistono, rifiutandosi di scomparire, documentando gli abusi e parlando, anche a rischio della propria vita. Ma le loro voci sono accolte con indifferenza dalla maggior parte della comunità internazionale.

Il tempo delle condanne simboliche è finito. Le azioni dei talebani equivalgono a una prolungata campagna di persecuzione di genere e devono essere trattate come tali. Senza una pressione internazionale concreta, il regime continuerà senza controllo la sua guerra contro le donne, incoraggiato dal silenzio di un mondo che un tempo aveva promesso di stare dalla parte del popolo afghano.

I Talebani vietano anche il bigliardino: è a rischio idolatria

CISDA, Redazione, 6 luglio 2025

I Talebani non danno tregua con le loro farneticanti e repressive disposizioni. Dalla rassegna stampa locale emergono sempre nuove proibizioni, a volte generali provenienti dal capo Akhundzada e dalla legge sulla Propagazione dei Vizi e delle Virtù, a volte solo locali. Tutte comunque rivolte al controllo dei comportamenti individuali nella vita privata. E non colpiscono più solo le donne…

 

In Afghanistan International troviamo questa notizia:

“A Daikundi i talebani vietano il bigliardino, citando i rischi di idolatria”

I talebani hanno vietato il calcio balilla nella provincia di Daikundi, secondo quanto riferito da fonti locali ad Afghanistan International. Il gruppo sostiene che le miniature dei giocatori del gioco assomigliano a idoli, cosa che, a loro dire, è proibita dall’Islam.
Mercoledì 28 maggio 2025 alcune fonti hanno riferito che i talebani hanno ordinato ai club di calcio balilla di rimuovere le teste delle miniature dei giocatori per consentire la continuazione del gioco. La mancata osservanza di queste disposizioni comporterà il divieto assoluto di giocare.
Negli ultimi quattro anni, il governo talebano ha progressivamente limitato o vietato vari giochi e attività ricreative in Afghanistan. Recentemente, l’autorità sportiva talebana aveva sospeso la Federazione Scacchistica Afghana, dichiarando gli scacchi “haram” (proibiti).

Il 19 giugno su AMU Tv:

“I talebani vietano gli smartphone nelle scuole di Kandahar”

Secondo fonti a conoscenza della direttiva, la Direzione dell’istruzione dei talebani nella provincia di Kandahar ha emesso un’ordinanza che vieta l’uso degli smartphone sia agli insegnanti che agli studenti in tutte le scuole della regione.
Il divieto si basa su un ordine diretto del leader talebano Hibatullah Akhundzada e rimarrà in vigore fino a nuovo avviso, secondo quanto riferito da alcune fonti. I trasgressori affronteranno conseguenze legali, secondo la dichiarazione, condivisa con dirigenti scolastici e personale docente all’inizio di questa settimana.
Un preside di una scuola superiore pubblica di Kandahar ha affermato che il divieto allontanerà ulteriormente gli insegnanti dagli strumenti didattici moderni. “In molti paesi gli istituti scolastici usano internet per connettersi e migliorare la qualità dell’insegnamento”, ha affermato. “Qui, persino gli strumenti tecnologici di base sono vietati”.

Il 16 giugno ancora su Afghanistan International:

“I talebani criminalizzano l’uso di account falsi sui social media”

Il Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio dei Talebani ha annunciato che l’uso di falsi account sui social media è ora considerato un reato, nell’ambito di una più ampia repressione delle attività online.
In una dichiarazione rilasciata questa settimana, il portavoce del ministero Saif-ul-Islam Khyber ha avvertito che chi viola la direttiva andrà incontro a gravi conseguenze legali. “Nessuno dovrebbe fare un uso improprio dei social media”, ha affermato, aggiungendo che le piattaforme online devono essere utilizzate esclusivamente per “condividere informazioni accurate, affari, istruzione e sensibilizzazione pubblica”.
L’annuncio segna l’ultima di una serie di restrizioni imposte dai talebani alle piattaforme digitali. Il ministero, in coordinamento con l’agenzia di intelligence talebana, ha già arrestato e, a quanto pare, torturato diversi utenti dei social media accusati di diffondere contenuti anti-talebani.

Ancora su AMU Tv il 27 giugno:

“I talebani vietano la fotografia agli studenti dell’Università di Kandahar”

Gli studenti dell’Università di Kandahar affermano che i talebani hanno proibito la fotografia e la videoripresa all’interno del campus, estendendo le restrizioni sempre più stringenti a tutte le istituzioni educative del Paese.
Diversi studenti hanno raccontato ad Amu TV che durante una recente cerimonia di premiazione i talebani hanno avvertito i partecipanti che era vietato scattare foto o video e proibito di farlo anche in futuro.
Gli studenti di giornalismo dell’università hanno riferito che avvertimenti simili erano già stati emessi in precedenza, specificamente rivolti al loro corso di studi, lamentando che l’ordine di non scattare foto o registrare video all’interno dell’università ostacola la loro formazione accademica e il loro sviluppo professionale.
Il divieto arriva mentre le autorità talebane estendono norme sociali sempre più restrittive in tutto il Paese. Fotografare esseri viventi, persone e animali compresi, è stato dichiarato illegale in quasi la metà delle province afghane e Kandahar è stata indicata come il punto di partenza di questa tendenza nazionale.

Su Daryo

“L’Afghanistan reprime gli utenti dei social media e dei videogiochi con arresti di massa”

L’11 maggio i Talebani hanno rilasciato una dichiarazione in cui hanno rafforzato la loro posizione sulla condotta digitale, avvertendo che l’utilizzo dei social media per “scopi non etici e illegali” avrebbe comportato conseguenze legali. Il regime ha ribadito i divieti su TikTok e sul videogioco PUBG, messi al bando nel 2023 perché “corrompono i giovani” promuovendo l’immoralità.
La repressione si è ulteriormente intensificata il 13 maggio, quando Shir Ali Mubariz, noto personaggio di TikTok della provincia di Baghlan, è stato arrestato da agenti dell’intelligence talebana. Noto per le sue divertenti dirette streaming, è stato accusato di “comportamento scorretto” sui social media. La sua detenzione evidenzia la più ampia campagna del regime per reprimere i contenuti digitali che si discostano dai suoi rigidi codici ideologici e religiosi.
Saif al-Islam Khyber, un portavoce dei talebani, ha affermato che i social media dovrebbero essere utilizzati solo per “istruzione, informazione affidabile e affari legittimi” e ha avvertito che “deviazioni ideologiche, insulti, discriminazioni o qualsiasi abuso contrario ai valori religiosi” sarebbero stati considerati reati.

In AMU Tv il 30 maggio:

“A Herat i Talebani impongono multe agli uomini che saltano le preghiere collettive”

Secondo quanto riportato dai residenti informati sulla disposizione, nella provincia occidentale di Herat i talebani hanno imposto una multa agli uomini che non hanno partecipato alle preghiere quotidiane nelle moschee locali.
Otto fonti locali hanno confermato ad Amu che il Ministero talebano per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio ha ordinato ai responsabili delle moschee di monitorare la presenza dei fedeli e di imporre una multa di 100 afghani – circa 1,15 dollari – a chiunque si assenti dalle preghiere quotidiane. La misura fa parte di una più ampia estensione delle misure di controllo religioso e sociale in tutta la città.
I residenti hanno affermato che le pattuglie talebane hanno intensificato il controllo negli spazi pubblici, nei mercati e nei terminal dei mezzi di trasporto, controllando sia gli uomini che le donne per verificare il rispetto del codice di abbigliamento e degli obblighi di preghiera.
Nel vivace mercato dell’usato di Herat, noto come Bazar-e Lailami, la polizia morale avrebbe effettuato ispezioni brandendo fruste, secondo quanto riferito dai residenti. In molti hanno affermato che alle donne vestite con cappotti o altri abiti non approvati era vietato entrare nei centri commerciali come Qasr-e Negine e Qasr-e Herat.
“Negli ultimi giorni, le restrizioni per le donne si sono intensificate”, ha detto una donna. “Anche se già indossavamo abiti lunghi e mascherine, ora ci viene detto che non possiamo uscire di casa senza un abito da preghiera. La polizia morale ha bloccato entrambi i lati della strada di Lailami, nonostante fosse affollata prima dell’Eid.”
Un altro residente ha raccontato di essere stato fermato dagli agenti talebani mentre faceva la spesa con la moglie. “Hanno fermato la nostra auto e mi hanno intimato di non far uscire di nuovo mia moglie indossando un cappotto invece di un abito da preghiera”, ha detto. “Controllavano taxi e risciò, non ovunque, ma in alcuni posti di blocco”.
L’applicazione della legge si è estesa anche agli uomini. In diversi quartieri, i talebani avrebbero distribuito quelle che la gente del posto chiama “liste di presenza alle moschee”, usate per prendere nota di chi partecipa alle preghiere della comunità. Un medico ha dichiarato di ricevere multe quotidiane nonostante i suoi orari di lavoro impegnativi. “Frequento la moschea appena posso”, ha detto. “Ma se perdo le preghiere serali o notturne per via del lavoro, vengo multato di 100 afghani ogni volta. I fedeli della moschea sanno che sono un frequentatore abituale, ma non importa. Non c’è nessuno a cui fare appello”.

Afghanistan International, il 13 giugno

“A Herat, i Talebani vietano la guida alle donne”

Secondo una lettera ufficiale ottenuta dai media locali, la Direzione per la diffusione della virtù e la prevenzione del vizio dei talebani nella provincia di Herat ha ordinato all’autorità locale del traffico di vietare alle donne di guidare.
La lettera, firmata dallo sceicco Azizurrahman Muhajir, capo della direzione, affermando che guidare è “una professione importante e di grande responsabilità” e che anche piccoli errori possono causare la perdita di vite umane, sostiene che “le donne hanno la mente distratta e sono incapaci di imparare a guidare”.