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Tag: Partito Dem

«La pace non riguarda solo i curdi, in ballo c’è il futuro della Turchia»

Il manifesto, 17 agosto 2025, di Tiziano Saccucci

Fare fuoco Intervista a Berdan Öztürk, deputato del partito Dem: «Il Pkk ha compiuto passi importanti, ora Ankara dovrà riformarsi»

Il 15 agosto ha segnato il quarantunesimo anniversario della prima azione del Pkk contro lo Stato turco. Per la prima volta da allora il partito e i suoi sostenitori celebreranno l’anniversario di una lotta armata dichiarata conclusa. Nel suo comunicato, l’Unione delle comunità del Kurdistan (Kck) invita il popolo curdo a proseguire la battaglia sul terreno politico, contribuendo al processo di pace «con lo spirito dell’offensiva del 15 agosto» e dedica le celebrazioni a Nûreddîn Sofî e Koçero Urfa: il primo, uno dei comandanti più carismatici del Pkk; il secondo, cugino di Abdullah Öcalan. Entrambi uccisi nel 2021, la loro morte è stata resa pubblica solo alla vigilia dell’anniversario.

Se le armi tacciono, alla politica spetta il compito più difficile: trasformare la tregua in un percorso irreversibile. È la sfida che racconta Berdan Öztürk, co-presidente del Congresso della Società Democratica e deputato del partito Dem.

Qual è la situazione attuale del processo di pace? È stata appena formata una commissione parlamentare a cui partecipano quasi tutti i principali partiti, tranne il partito Iyi, di estrema destra.

Il 12° congresso del Pkk ha deciso di sciogliere l’organizzazione, hanno anche bruciato simbolicamente le proprie armi, tutti passi compiuti unilateralmente. Per questo, la formazione della commissione era fondamentale. Iyi ha una visione politica ristretta, legata a calcoli elettorali. Sarà presto dimenticato o ricordato solo come il partito contrario alla pace. Bahçeli non è solo il leader dell’Mhp, rappresenta lo «Stato profondo» e agisce quando lo Stato ne trae beneficio. Il fatto che l’appello venga da lui indica che non è un’iniziativa del governo, ma una volontà dello Stato. Ciò rende questo processo di pace diverso dai precedenti. La commissione dovrebbe ampliare il proprio raggio d’azione, includendo non solo i partiti in Parlamento, ma anche quelli fuori, insieme ad accademici, giornalisti, ricercatori e cittadini.

Ora che lo Stato ha compiuto il suo primo passo, pensa che il Pkk debba fare un altro passo o, per il momento, ha già fatto la sua parte?

Non è un baratto in cui si dà qualcosa e si riceve qualcos’altro in cambio. È un processo. In Turchia ci sono molte questioni da affrontare e, come ha dichiarato Öcalan, il fulcro è la democratizzazione del Paese. Il Pkk e il movimento di liberazione curdo hanno già compiuto passi molto importanti, dimostrando al mondo la loro sincerità. Perché si realizzi una vera soluzione politica in Turchia, è necessario modificare alcune leggi che attualmente impediscono alle persone di esprimere liberamente le proprie idee e opinioni. Non si tratta solo della questione curda: molti partiti di opposizione, incluso il Chp, hanno sindaci attualmente in prigione e questo contraddice il processo di pace. Se si vuole costruire un Paese democratico, non si può attaccare il principale partito di opposizione in Turchia.

Qual è il ruolo e l’atteggiamento del Chp in questo processo? All’inizio sembrava poco convinto, ora pare coinvolto.

Abbiamo dimostrato più volte al popolo turco, al Chp e ai suoi sostenitori, soprattutto durante le elezioni, che ci atteniamo ai principi: lottiamo per la democrazia, la libertà, la giustizia e una pace onorevole. All’inizio, il Chp e altri partiti erano scettici, sospettando un accordo tra Erdogan e Öcalan. Noi, invece, abbiamo sempre detto che non si tratta della rielezione di Erdogan, ma del modo in cui vivremo insieme d’ora in poi. Quando il governo ha nominato commissari nei nostri comuni, abbiamo avvertito il Chp che un giorno sarebbe potuto succedere anche a loro. Credevano che non fosse possibile, essendo il partito fondatore dello Stato. Ora, però, assistiamo a numerose operazioni contro membri e sindaci del Chp, come Imamoglu a Istanbul. Inoltre, il Medio Oriente ha vissuto cambiamenti e ne seguiranno altri: L’Iraq sotto Saddam non è durato. In Siria la popolazione ha chiesto più libertà e democrazia, Assad ha risposto con oppressione e una guerra civile durata quattordici anni e oggi non è più al potere. La Turchia deve cambiare: non c’è altra opzione, altrimenti non potrà sopravvivere. Il Chp e altri partiti politici riconoscono questa realtà, per questo partecipano alla commissione.

Come crede che l’opinione pubblica stia prendendo questo processo?

All’inizio c’erano molti sospetti da parte dei curdi. Öcalan ha più volte cercato di avviare un processo di pace con i governi turchi in passato. L’ultima volta tra il 2013 e il 2015, ma purtroppo quel tentativo non ha avuto successo. La prosecuzione del processo di pace non conveniva a Erdogan: ha interrotto il dialogo, avviando una guerra contro il movimento di liberazione curdo, insieme a un’intensificazione dell’oppressione contro il partito politico curdo in Turchia e contro l’intero popolo. Questo ha alimentato la diffidenza verso il governo, ma se oggi lo Stato turco si trova a questo punto è grazie alla lotta e ai sacrifici del popolo curdo. Anche i turchi erano diffidenti, pensando si trattasse solo di un tentativo per la rielezione di Erdogan. Ma ora numerosi sondaggi mostrano che il 70% della popolazione sostiene il processo di pace. Sono certo che questo sostegno crescerà ancora di più.

Ci sono altri attori che hanno un ruolo in questo processo?

Certo, non si tratta solo di ottenere sostegno in Turchia, abbiamo bisogno anche del supporto dei nostri amici, compagni e tutte le persone che desiderano la pace in Turchia. So che moltissimi compagni hanno sostenuto a lungo la causa curda, lottando al nostro fianco. Ma oggi la lotta è cambiata. Dobbiamo fare in modo che lo Stato turco compia passi concreti. È fondamentale ricordare loro le responsabilità che hanno. Non dovremmo sederci, ovunque siamo, ad aspettare che succeda qualcosa. Dobbiamo far sì che accada.