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Tag: rifugiati

Migranti afghani in Iran intrappolati in un ciclo di paura e sopravvivenza

Haniya Frotan, Rukhshana Media, 30 settembre 2024

Gli afghani fuggiti in Iran per mettersi in salvo dopo la caduta dell’Afghanistan nelle mani dei talebani nel 2021 affermano di subire  molestie e xenofobia crescenti da quando l’Iran si è impegnato a procedere con le deportazioni di massa dei migranti irregolari.

Il capo della polizia iraniana Ahmad-Reza Radan ha dichiarato in un’intervista questo mese che “quasi due milioni di stranieri illegali saranno deportati dall’Iran” nei prossimi sei mesi. Una campagna del genere porterebbe a una media di oltre 80.000 deportazioni a settimana.

 

Bahara. Molestie sul lavoro e razzismo

La migrante afghana Bahara*, 26 anni, vive nella capitale iraniana Teheran da tre anni da quando ha lasciato l’Afghanistan. Teme che la repressione dei migranti vulnerabili stia causando un aumento dello sfruttamento da parte dei datori di lavoro iraniani.

Il suo capo, proprietario di una sartoria di Teheran, le suggerì di “diventare la sua ragazza e godersi la vita in Iran”. Dopo aver rifiutato la sua proposta, fu costretta a cambiare posto di lavoro e il suo stipendio fu ridotto da 9 milioni di toman (213 dollari USA) al mese a 7 milioni (166 dollari USA). Per motivi di sicurezza, non ha rivelato il nome del negozio.

Bahara ha affermato che le molestie si sono estese oltre il posto di lavoro.

“Un giorno, ero seduta in un minibus quando una donna iraniana di mezza età mi ha chiesto di cederle il posto. Mentre stavo per protestare, un altro passeggero maschio ha detto: “Una afghana osa obiettare?

Bahara ha affermato che, secondo la sua esperienza, avrebbe potuto essere arrestata o deportata se avesse protestato contro tale trattamento, quindi non ha avuto “altra scelta che rimanere in silenzio”.

Prima che i talebani prendessero il controllo dell’Afghanistan nell’agosto 2021, Bahara lavorava nel teatro e nel cinema nella capitale Kabul. La maggior parte dei suoi colleghi è riuscita a ottenere visti per la Francia dopo la caduta di Kabul, ma lei ha perso la possibilità di scappare perché non aveva il passaporto.

“Tutti i miei sforzi per lasciare l’Afghanistan e unirmi ai miei colleghi sono stati vani. Sono persino andata all’aeroporto, ma non mi è stato permesso di entrare perché non avevo il passaporto”, ha detto.

Bahara ha tentato più volte di lasciare l’Afghanistan attraverso vie sicure e legali, ma alla fine si è rassegnata a indossare il burqa e introdursi clandestinamente in Iran.

Ora lotta per vivere, nella paura costante.

“Per me, come migrante afghano, Teheran non è molto diversa da Kabul governata dai talebani. Forse a Kabul mi sarebbe già successo qualcosa, a Teheran il processo è più graduale”, ha detto Bahara.

 

Fatima. Sfruttamento, fame e umiliazioni

Fatima*, 31 anni, a Teheran con la madre e il fratello, sta vivendo sfide simili sul posto di lavoro, dove la sua situazione viene sfruttata per costringerla a lavorare molte ore per una paga misera.

Tre quarti del suo stipendio mensile di 10 milioni di toman (237 dollari) vengono utilizzati per pagare l’affitto, lasciando a lei e alla sua famiglia solo 3 milioni per le spese di sostentamento.

“L’esistenza dei migranti vede anche giorni di fame”, ha affermato.

“Un giorno ero così debole per la fame che ho chiesto a una ragazza iraniana di comprarmi del pane. Oggi, sette mesi dopo, l’umiliazione di quel giorno è ancora viva.”

Il posto di lavoro e l’ambiente esterno alla casa sono sempre pieni di discriminazioni e insulti, ha detto Fatima.

“Ogni giorno mi trovo ad affrontare incontri spiacevoli con le persone e rimango semplicemente in silenzio.”

Fatima era un’impiegata governativa prima del ritorno dei talebani e ha lasciato l’Afghanistan dopo la sua caduta. Preferisce non rivelare il suo precedente posto di lavoro.

Fatima ha affermato che suo fratello è così paralizzato dalla paura di essere deportato e da altre molestie che ormai non esce quasi più di casa.

“L’ultima volta che mio fratello è tornato a casa, sanguinava dalla testa e dal viso. Gli iraniani lo avevano picchiato così forte che gli sono serviti 17 o 18 punti di sutura”, ha detto Fatima.

Suo fratello è stato aggredito a luglio, in concomitanza con le proteste nel distretto 15 di Teheran, dove i residenti avevano scandito “Morte agli afghani” in risposta alle accuse secondo cui un giovane afghano aveva ucciso un iraniano.

 

Aumentano gli immigrati e le tensioni

Dopo la presa del potere da parte dei talebani, l’Iran ha assistito a un notevole afflusso di migranti afghani.

L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR ha stimato che circa 4,5 milioni di cittadini afghani vivano attualmente in Iran. Tuttavia, le agenzie di stampa iraniane hanno lanciato il numero fino a 6 milioni o 8 milioni.

La loro presenza importante a Teheran ha intensificato le tensioni interne, spingendo molti cittadini iraniani a chiederne l’espulsione.

A maggio, il Ministero degli Interni iraniano ha riferito che negli ultimi 12 mesi sono stati deportati in Afghanistan 1,3 milioni di migranti clandestini.

Secondo quanto riportato di recente dalla BBC Persian, ogni giorno vengono deportati dall’Iran almeno 3.000 migranti, compresi quelli con residenza legale.

Sia Bahara che Fatima temono di tornare in Afghanistan, ma si sentono spinte al limite della loro sopravvivenza in Iran.

Bahara ha detto che non sarebbe stata al sicuro a Kabul, ma ha anche detto: “Sono tre anni che sopravvivo, vivendo la mia vita come una creatura senza scopo [a Teheran]”.

Fatima si sente sopraffatta dal modo in cui viene trattata a Teheran.

Ho subito così tanti insulti e umiliazioni che preferirei tornare in Afghanistan e farmi uccidere”.

*Nota: i nomi sono stati cambiati per motivi di sicurezza.

PAKISTAN. Rimpatri e abusi per i migranti afgani in fuga dai talebani

Pagine Esteri, 19 settembre 2024, di Claudio Avella

Pagine Esteri, 19 settembre 2024. Il 29 agosto il governo pakistano, attraverso il Ministro dell’Interno Moshin Raza Naqvi, ha dichiarato che presto verrà annunciata e pianificata una nuova ondata di rimpatri di migranti afgani. La dichiarazione è avvenuta durante un incontro con una delegazione delle Nazioni Unite con il rappresentante speciale per l’Afganistan Indrika Ratwatte.

Non è ancora seguito un annuncio ufficiale come avvenuto nel 2023, ma ormai da diversi mesi, almeno da marzo, il governo dichiara di voler iniziare una seconda fase di rimpatri. Durante la prima fase, lo scorso inverno, almeno 450.000 persone, in quattro mesi, hanno lasciato il Pakistan, dopo che il governo annunciò la deportazione di coloro che fossero privi di documenti.

Si stima che oggi siano più di 4 milioni gli afgani che vivono in Pakistan. Di questi solo 2,9 milioni sono in possesso di un documento valido: la Prova di Registrazione (POR), rilasciata dal governo e frutto di un accordo tra Pakistan e UNHCR del 2006, o la Carta per i cittadini afgani (ACC), frutto di un accordo con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM). Il Pakistan non ha mai firmato la Convenzione sui Rifugiati delle Nazioni Unite del 1951 e non ha, quindi, un sistema di asilo, per cui circa 500.000 persone sono rifugiati in transito, registrati presso l’UNHCR e in attesa di asilo presso un altro paese.

Dopo la caduta di Kabul nel 2021, circa 500.000 persone sono arrivate in maniera regolare, con un visto di ingresso o registrandosi all’arrivo, ma probabilmente ce ne sono almeno altre 300.000 irregolari.

Lo scorso anno l’operazione del governo aveva destato le attenzioni e gli allarmi di Amnesty International: arresti e detenzioni arbitrarie, separazione di famiglie, inclusi minori, donne e anziani. In almeno 7 dei 49 centri di detenzione o “centri di transito” AI denunciò la sospensione dei diritti legali delle persone detenute, come il diritto a un avvocato o a comunicare con le famiglie. A questo va aggiunto che questi rimpatri sono avvenuti in inverno, quando le condizioni in un paese privo di adeguate infrastrutture come l’Afganistan sono insostenibili. Amnesty denuncia anche che il rimpatrio di donne nell’Afghanistan dei Talebani le espone alla violazione dei diritti umani, quali quello all’educazione, al lavoro e alla libertà di movimento.

Anche le condizioni economiche dell’Afghanistan sono un motivo di fuga dal paese. Spiega a Pagine Esteri Liaqat Banori, avvocato per i rifugiati in Pakistan: “dopo l’annuncio del governo di voler rimpatriare le persone non regolari, quando sono iniziati gli arresti e le detenzioni molti sono tornati volontariamente, per evitare umiliazioni, ma una volta oltrepassata la frontiera hanno trovato condizioni non dignitose: mancanza di infrastrutture e mancanza di opportunità di lavoro. Non c’è certezza di quanti siano tornati volontariamente e quanti siano stati deportati.”

Spiega ancora Banori: “le molestie nei confronti dei rifugiati sono un fenomeno comune in Pakistan e tutti i rifugiati se ne lamentano. Molti rifugiati provvisti di POR o documenti regolari vengono arrestati o detenuti e molti sono stati erroneamente deportati. Non sappiamo questi quanti siano, pochi probabilmente, ma spiegano il livello di violazione di diritti umani nei confronti dei rifugiati in Pakistan.”

Anche chi oggi ha dei documenti validi non si sente al sicuro: la POR, infatti, continua ad essere una Spada di Damocle per i rifugiati, in quanto deve essere rinnovata di continuo dal governo. A luglio di quest’anno il governo ne ha rinnovato la validità per un altro anno.

D’altra parte, il piano del governo è chiaro, spiega Liaqat Banoori: una volta rimpatriati coloro che sono privi di documenti, in una successiva fase saranno rimpatriati coloro in possesso dell’ACC, infine coloro che sono in possesso della POR.

Shameen e Mukhtar (nomi di fantasia per proteggere il loro anonimato), raggiunti nella città vecchia di Peshawar, raccontano: “non possiamo dire apertamente alla gente che siamo afgani, soprattutto alle autorità, anche se siamo registrati regolarmente, perché abbiamo paura di essere deportati”.  Entrambi hanno lavorato, prima della caduta di Kabul, per organizzazioni statunitensi come carpentieri o trasportatori. Shameen è in attesa da tre anni di ottenere lo stato di rifugiato per il Canada. Dopo aver passato due anni a Karachi, si è trasferito a Peshawar per evitare il rischio di essere deportato insieme alla famiglia.

Le attese infinite per chi si trova nella condizione di rifugiato in transito sono estremamente comuni: Spasil Zazai, racconta a PagineEsteri una storia simile a quella raccontata da diverse altre persone intervistate in questi giorni. Spasil vive a Peshawar con tre delle sue quattro figlie; la quarta è fuggita in Polonia dopo aver ricevuto minacce di morte a causa della sua attività di attivista e poliziotta prima dell’arrivo dei Talebani al potere. Spasil ha divorziato dal marito, un uomo violento che oggi vive nell’Afganistan dei Talebani, ed è diventata un’attivista per i diritti delle donne. Dopo tre anni, la sua famiglia è ancora in attesa di ottenere asilo.

Anche la ricerca di un lavoro o di una casa dove vivere è estremamente difficile: molti datori di lavoro non vogliono assumere persone che potrebbero essere rimpatriate da un momento all’altro e i proprietari di case preferiscono evitare potenziali problemi con le autorità, affittando le proprie case a persone che potrebbero diventare irregolari.

Alcune fonti ritengono che le politiche del Pakistan di deportazione in massa dei rifugiati siano una leva strategica per fare pressione sul governo afgano, ogniqualvolta i gruppi talebani pakistani, appartenenti al Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP), incrementano la propria attività terroristica.

A farne le spese sono i rifugiati, la cui vita sembra un percorso a ostacoli senza mai fine. Pagine Esteri