AFGHANISTAN, 2021: IL PENTAGONO RIAPRE IL CASO DEL RITIRO
difesaonline.it Vasco Monteforte 20 maggio 2025
A quasi quattro anni dal caotico ritiro delle truppe statunitensi da Kabul, il Dipartimento della Difesa U.S.A. avvia una nuova indagine interna per fare piena luce su una delle pagine più controverse della recente storia militare americana. Oggi il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha firmato un memorandum indirizzato a tutto il vertice del Pentagono annunciando ufficialmente la costituzione di uno Special Review Panel per riesaminare in profondità quanto accaduto durante l’evacuazione dell’Afghanistan sotto l’amministrazione Biden.
Il documento parte da un episodio simbolico e traumatico: l’attentato suicida del 26 agosto 2021 all’Abbey Gate dell’aeroporto di Kabul, che costò la vita a 13 militari americani e 170 civili afghani. Quella tragedia, sottolinea il memorandum, rappresenta “uno dei momenti più bui e mortali nella storia internazionale americana” recente.
Nonostante le precedenti inchieste svolte da Pentagono, Congresso e Dipartimento di Stato, Hegseth denuncia la necessità di un’indagine “completa” che vada oltre, ricostruendo le decisioni, le responsabilità e i silenzi.
Il linguaggio usato nel documento è netto: si parla di “evento catastrofico” e di dovere morale verso i cittadini americani e verso chi ha “sacrificato la propria giovinezza in Afghanistan”. In gioco, secondo il segretario, c’è la fiducia dell’opinione pubblica e l’onore delle Forze Armate. Da qui l’istituzione dello Special Review Panel, sotto la guida del senior advisor Sean Parnell (veterano decorato dell’U.S. Army, autore ed ex candidato politico, oggi portavoce del Pentagono), con l’incarico di riesaminare testimonianze, documenti e decisioni critiche, in una missione che punta a restituire trasparenza e giustizia.
Se il documento promette rigore e imparzialità, non manca però un chiaro sottotesto politico: Hegseth menziona esplicitamente il proprio impegno e quello dell’ex presidente Donald Trump per garantire piena trasparenza, tracciando così una linea di demarcazione rispetto alla precedente amministrazione democratica. L’iniziativa appare quindi anche come un atto politico volto a consolidare la narrazione di una “gestione fallimentare” del ritiro da parte di Joe Biden e dei suoi vertici militari e diplomatici.
Quanta parte della disorganizzazione fu frutto di valutazioni errate, ritardi operativi o sottovalutazioni dell’intelligence? Il materiale bellico abbandonato sul terreno – poi finito nelle mani dei talebani – fu il risultato di una resa logistica inevitabile o di scelte strategiche mal concepite? E ancora: esistevano piani alternativi realmente praticabili nei mesi precedenti alla presa di Kabul?
La revisione voluta dal nuovo vertice del Pentagono si muove su un crinale sottile: da un lato la legittima esigenza di verità e giustizia per i caduti e per l’istituzione militare; dall’altro il rischio che il riesame diventi una leva di propaganda in una stagione politica attraversata da tensioni e rese dei conti.
Una cosa è certa: l’Afghanistan continua a interrogare l’America. Non solo per il modo in cui è finita la sua guerra più lunga, ma per ciò che quella fine dice – ancora oggi – sul rapporto tra potere politico e comando militare, tra strategia e realtà, tra dovere e responsabilità.