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Tag: violenza sulle donne

Una schiava vestita da moglie

Avizha Khorshid, 8AM Media, 23 luglio 2025

L’amaro racconto di Mina sul matrimonio forzato e gli abusi dei talebani

Diverse donne e ragazze denunciano che, con le restrizioni imposte dai talebani e l’eliminazione dalla struttura governativa delle istituzioni di supporto alle donne, la violenza domestica contro di loro ha raggiunto livelli senza precedenti. Anche la violenza contro le donne all’interno delle famiglie dei combattenti talebani è stata ripetutamente documentata. Questo rapporto si concentra sulle condizioni di vita di una donna, sposata con la costrizione a un talebano per 400.000 afghani e successivamente sottoposta a gravi abusi fisici, fino alla perdita di conoscenza, che racconta una storia amara e dolorosa, affermando di essere trattata come una schiava sessuale.

Mina in passato era un’insegnante. Racconta che adesso i suoi sogni e la sua passione per l’insegnamento si sono spenti, e passa ore a fissare il muro, incapace di ricordare l’ultima volta che si è alzata in piedi. A volte si perde così tanto nei suoi pensieri da non sentire il pianto del suo bambino e la sua mente è sottoposta a una pressione così intensa che il suo cervello fatica a elaborarla.

Un tempo una donna sana, istruita e piena di speranza, ora è sull’orlo del collasso psicologico. I suoi occhi versano lacrime involontarie e la sua mente è sopraffatta dalla paura, dalla rabbia e da un pesante silenzio.

Il prezzo della sposa

Mina è nata in un piccolo villaggio nella provincia di Maidan Wardak, dove ha assaporato l’amarezza della solitudine fin dai suoi primi istanti di vita. Donna alta, con i capelli neri, la pelle color grano e gli occhi grandi, il suo aspetto emana una bellezza silenziosa. Il suo nome è legato all’affetto, eppure il suo destino è costellato di sofferenza e vulnerabilità.

Perse il padre prima di nascere, vittima di conflitti etnici. Sua madre, suo unico rifugio e speranza, morì poco dopo la sua nascita. Il destino affidò Mina allo zio e a sua moglie, che la consideravano non un essere umano, ma un mezzo per guadagnare denaro. Senza il suo consenso, la diedero in sposa a un membro dei talebani, ricevendo 400.000 afghani come prezzo della sposa.

Mina racconta che da quel giorno la sua vita divenne una schiavitù nella casa del marito, dove non riceveva né amore né rispetto. Sentiva ripetere più volte: “Ti abbiamo comprato per 400.000; non sei costata poco”.

Vivendo sotto il peso degli abusi domestici, Mina racconta che non le era nemmeno permesso mangiare con gli altri, doveva aspettare che tutti fossero sazi, sperando che rimanesse qualcosa per lei e, senza permesso, non poteva mangiare niente. “Anche se c’era molta frutta, dovevo aspettare che fosse infestata da mosche o vermi e che nessun altro la volesse: solo allora era il mio turno”. Quando parlava, veniva messa a tacere con insulti e violenza.

Sono passati tre anni dal matrimonio forzato di Mina. Ora ha un figlio di due anni ed è all’ottavo mese di gravidanza. Qualche giorno fa, quando il suo bambino aveva fame, gli ha dato un pezzetto di pane. Questo semplice gesto ha provocato l’ira della suocera, che ha preteso che il figlio, appena rientrato dal servizio, “insegnasse alla moglie a stare al suo posto” e le facesse capire di non agire mai senza permesso. Mina conferma che il marito l’ha picchiata così violentemente da farle perdere conoscenza. Il feto nel suo grembo è rimasto immobile per ore.

Il sospetto per la donna istruita

Donna istruita che un tempo aveva studiato scienze religiose e insegnato alle ragazze del suo villaggio, la sua conoscenza e la sua consapevolezza erano viste come una minaccia dalla famiglia del marito. La famiglia, non solo analfabeta ma profondamente radicata in credenze superstiziose e tradizioni umilianti, guardava con sospetto alla sua istruzione.

Mina sottolinea di aver studiato i principi islamici e di cercare sempre di reagire ai comportamenti ingiusti con calma e ragionevolezza, ma suo marito analfabeta si sente spesso inferiore e sminuito dalle sue parole. Perciò, per affermare il suo dominio maschile, si oppone anche alle sue osservazioni più semplici e a volte la picchia senza sosta e senza alcuna giustificazione, solo per affermare il suo controllo.

Discriminazione, povertà, umiliazione, violenza e solitudine hanno intessuto la vita di questa donna. I medici dicono che, a causa di numerose lesioni fisiche alla parte bassa della schiena, non riesce più a controllare la vescica. Però il suo vero dolore non risiede solo nel corpo, ma anche nello spirito ferito, che non è stato curato per anni, una ferita inflitta dalla crudeltà del suo destino. Eppure, Mina lotta con tutte le sue forze per la figlia di due anni e per il nascituro che porta in grembo, affrontando le difficoltà e le ingiustizie della vita, senza che la sua voce venga ascoltata da nessuno.

 

I Talebani intensificano l’apartheid di genere: decine di donne arrestate per “violazione dell’hijab”

CISDA, Comunicato, 25 luglio 2025

In questi giorni abbiamo ricevuto il racconto affranto delle donne appartenenti alle associazioni afghane che sosteniamo, le quali confermano le notizie allarmanti apprese da alcuni siti circa l’arresto arbitrario di decine di donne da parte della polizia morale, presumibilmente per “violazioni dell’hijab”, trattenute senza accesso a un legale, senza contatti con i familiari e senza assistenza medica.

Ci hanno scritto:

“Negli ultimi giorni, la situazione per donne e ragazze è tornata ad essere estremamente allarmante. La polizia morale pattuglia le strade, ferma i veicoli e trattiene le donne con la forza. Molte ragazze sono sotto shock e spaventate, hanno paura anche solo di uscire di casa. Secondo quanto riferito, dopo essere state rilasciate, alcune donne sono state rifiutate dalle loro famiglie, come se il peso dell’ingiustizia fosse ancora una volta posto sulle loro spalle.

Una ragazza, che per paura aveva inizialmente negato di avere subito un arresto, quando ha compreso il nostro sostegno ha iniziato a piangere e ha detto:

‘Per Dio, ero completamente coperta: indossavo l’hijab, la maschera e il chapan. Ma all’improvviso mi hanno circondata come animali selvatici, mi hanno insultata e colpita con una pistola”. Sono svenuta per la paura e il dolore. Quando ho ripreso conoscenza, mi trovavo in uno scantinato buio con decine di altre ragazze assetate e terrorizzate, senza alcun contatto con le nostre famiglie. Quello che abbiamo passato è stato peggio della morte…’.

Con voce tremante, ha aggiunto: ‘La libertà è stata l’inizio di un nuovo dolore. Il comportamento di tutti nei miei confronti è cambiato, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Vorrei non essere mai uscita di casa’.

Questa paura ha colpito profondamente anche le nostre studentesse. In molte, piangendo, hanno confermato quanto amano imparare, ma hanno chiesto di essere esentate dalla frequenza per qualche giorno, finché la situazione non si sarà calmata. Abbiamo deciso di sospendere le lezioni per due settimane. Anche oggi la polizia morale è passata diverse volte davanti al nostro centro e non possiamo mettere a repentaglio la sicurezza delle nostre studentesse.

Sono giorni bui e pesanti, ma la vostra presenza e il vostro sostegno sono per noi una luce di speranza e conforto, la vostra solidarietà ci dà la forza per andare avanti”.

Nel suo sito, RAWA NEWS informa:

In un nuovo e più intenso attacco alle libertà delle donne, i talebani hanno lanciato un’ondata di arresti arbitrari in tutto l’Afghanistan, prendendo di mira donne e ragazze accusate di aver violato l’interpretazione estremista che il gruppo dà delle regole sull’hijab. Solo nell’ultima settimana, decine di donne sono state arrestate a Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif, applicando standard di “modestia” vaghi e mutevoli, senza alcun processo o giustificazione legale.

Questi arresti avvengono in strade, centri commerciali, caffè e campus universitari, spazi pubblici dove le donne cercano semplicemente di condurre la propria vita quotidiana. A Kabul, nelle zone di Shahr-e-Naw, Dasht-e-Barchi e Qala-e-Fataullah, i testimoni hanno riferito che in alcuni casi sono state aggredite fisicamente dagli agenti talebani prima di essere costrette a salire sui veicoli. Poi sono state trattenute nei cosiddetti “centri di moralità” – strutture gestite dal Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, un’istituzione temuta che ora opera come una forza di polizia religiosa – e rilasciate solo dopo che i loro tutori maschi firmavano garanzie scritte che avrebbero “corretto” il loro comportamento.

Negli ultimi giorni a Herat sono state arrestate almeno 26 donne, molte delle quali giovani e alcune minorenni; a Mazar-e-Sharif una decina, sempre con l’accusa di non coprirsi completamente il volto. I funzionari talebani hanno confermato gli arresti, sostenendo che le donne erano state avvertite in precedenza.

Secondo quanto riferito, le arrestate sono state trattenute senza poter usufruire di assistenza legale, contattare le proprie famiglie o ricevere cure mediche. Alcune famiglie hanno paura di far uscire di casa le proprie figlie, temendo che possano essere arrestate.

NON PER LA RELIGIONE MA PER IL PREDOMINIO

Le Nazioni Unite e gli osservatori dei diritti umani hanno condannato questi arresti, ritenendoli delle gravi violazioni del diritto internazionale e un chiaro segno di apartheid di genere. Tuttavia, i talebani non sembrano intenzionati a cedere. Anzi, i funzionari del ministero hanno raddoppiato le loro minacce, annunciando che qualsiasi donna trovata a indossare un “cattivo hijab” sarà punita immediatamente e senza preavviso.

Queste azioni non riguardano la religione, ma il predominio: i talebani usano l’imposizione del hijab come arma politica per mettere a tacere e cancellare le donne. Criminalizzando le normali scelte di abbigliamento, i Talebani inviano un messaggio agghiacciante: le donne non appartengono alla sfera pubblica e qualsiasi tentativo di affermare la propria presenza sarà represso con la forza. Si tratta di un’ulteriore fase del sistematico smantellamento dei diritti delle donne da parte dei talebani, che include il divieto di istruzione per le ragazze oltre la prima media, il divieto per le donne di lavorare con le ONG e le organizzazioni internazionali e dure restrizioni nella possibilità di movimento  e nell’abbigliamento.

Nonostante la crescente repressione, molte donne afghane resistono, rifiutandosi di scomparire, documentando gli abusi e parlando, anche a rischio della propria vita. Ma le loro voci sono accolte con indifferenza dalla maggior parte della comunità internazionale.

Il tempo delle condanne simboliche è finito. Le azioni dei talebani equivalgono a una prolungata campagna di persecuzione di genere e devono essere trattate come tali. Senza una pressione internazionale concreta, il regime continuerà senza controllo la sua guerra contro le donne, incoraggiato dal silenzio di un mondo che un tempo aveva promesso di stare dalla parte del popolo afghano.

Afghanistan, centinaia di donne arrestate a Kabul: apartheid di genere

Focus on Africa, 20 luglio 2025, di Giorgia Pietropaoli

Le forze talebane hanno condotto una nuova ondata di arresti di decine di giovani donne a Kabul, suscitando reazioni e condanne unanimi.

Gli arresti, avvenuti principalmente nei quartieri di Qala-e Fathullah, Kote- e Sangi, Dasht-e-Barchi e Shahr-e-Naw, sollevano gravi interrogativi sul rispetto dei diritti umani e sulla condizione femminile in Afghanistan.

Tra venerdì 17 luglio e sabato 18 luglio, per ordine del Ministero della Promozione della Virtù e della Prevenzione del Vizio diverse giovani donne sono state portate via, letteralmente sequestrate, senza precise accuse. Secondo fonti locali e testimonianze dirette raccolte da Afghanistan International e da testimoni presenti sul posto, gli arresti sono avvenuti in strada, anche nel centro città. Un testimone oculare ha riferito che i talebani hanno usato particolare violenza durante le operazioni, anche a causa dell’assenza di agenti donne.

Questa nuova ondata segue di pochi giorni un’analoga retata avvenuta mercoledì 15 luglio a Shahr-e-Naw, dove sono state arrestate quasi 100 giovani donne. I familiari, che ancora ignorano dove siano state condotte, sono molto preoccupati; hanno raccontato che le donne sono sono state arrestate nonostante la maggior parte di loro indossasse il velo islamico, prelevate da strade, mercati, minibus e persino ospedali e trasferite in centri di detenzione senza che siano state fornite motivazioni.

Un video diffuso da Afghanistan International mostra diverse donne terrorizzate circondate dai talebani, una di loro grida: “Ci avete privato della vita, dell’istruzione e della scuola; cosa volete di più? Temete Dio!”. Alcune delle donne arrestate mercoledì sono state rilasciate dopo una notte, ma solo dopo che le loro famiglie hanno fornito garanzie scritte.

Finora, i talebani non hanno fornito alcuna spiegazione ufficiale per queste detenzioni di massa. Contemporaneamente agli arresti, sono state segnalate ispezioni da parte di agenti talebani nei ristoranti di Shahr-e-Naw, a Kabul, dove il Ministero della Promozione della Virtù e della Prevenzione del Vizio controlla regolarmente le sale da pranzo e ordina alle donne di coprirsi il volto in pubblico.

Questi eventi hanno scatenato forti condanne. Il Fronte per la Libertà, che ha già preso di mira negli ultimi mesi combattenti e funzionari talebani, ha annunciato che il Ministero della Promozione della Virtù e della Prevenzione del Vizio sarà ora un obiettivo dei “legittimi attacchi”. Anche figure di spicco come l’ex Ministro degli Interni afghano Mohammad Omar Daudzai hanno criticato aspramente le azioni “arbitrarie” dei talebani, definendole una prova della loro “inaffidabilità”. Anche l’ex leader jihadista Abdurrab Rasool Sayyaf ha duramente condannato la detenzione di donne e ragazze, considerandola ingiustificata e contraria alla “decenza umana” e all’”orgoglio afghano”.

Questi arresti si inseriscono in un quadro più ampio di repressione e violenza contro le donne in Afghanistan. Emblematico è il caso di Marina Sadat, una studentessa di 23 anni arrestata nel dicembre 2023 nella zona di Dasht-e-Barchi per “uso improprio dell’hijab”. Dopo 21 giorni di ricerche da parte della famiglia, il suo corpo torturato è stato ritrovato, con segni evidenti di violenze efferate. La famiglia di Marina continua a subire minacce, evidenziando la brutalità e le conseguenze a lungo termine delle azioni talebane.

La sistematica rimozione delle donne dalla vita pubblica, attraverso detenzioni arbitrarie, restrizioni e violenze, è una chiara manifestazione dell’ apartheid di genere che affligge il Paese, un problema deliberato, duro e continuo che richiede una condanna netta e una reazione immediata da parte della comunità internazionale.

Le forze talebane usano scosse elettriche sulle donne afghane sopra i vestiti

Rukhshana Media, 12 luglio 2025

Secondo quanto riportato da Rukhshana Media, le forze talebane stanno somministrando scosse elettriche alle donne per aver violato un obbligo così restrittivo sull’uso dell’hijab che impone loro persino di coprirsi il volto in pubblico.

Vittime e testimoni oculari hanno descritto donne rese incoscienti da scosse elettriche mentre resistevano ai tentativi della famigerata polizia morale afghana di arrestarle per il loro abbigliamento. Altri hanno riferito che i dispositivi erano ampiamente utilizzati nelle carceri femminili.

L’organizzazione per i diritti umani Amnesty International ha chiesto il divieto globale dei dispositivi che erogano scosse elettriche a contatto diretto, definendoli “intrinsecamente abusivi” e affermando che possono causare lesioni gravi e persino la morte. Gli standard internazionali per le forze dell’ordine stabiliscono che le scosse elettriche dovrebbero essere utilizzate solo come ultima risorsa e per autodifesa.

Nafisa*, 20 anni, stava comprando delle sciarpe invernali con sua sorella a Kabul lo scorso ottobre, quando le due sono state aggredite da quattro agenti della polizia morale talebana in uniforme. Uno di loro le ha chiesto perché non fosse vestita come sua sorella, che indossava un completo nero dalla testa ai piedi e una mascherina sul viso, poi le ha ordinato di salire in macchina. Terrorizzata, ha stretto forte la mano della sorella e ha cercato di resistere mentre una donna che lavorava con la polizia la trascinava via.

“Quando ho opposto resistenza, mi hanno dato la scossa elettrica. Dopo, non ricordo più nulla”, ricorda Nafisa, che è stata trattenuta per la notte in una cella di polizia fredda e buia con altre otto donne e tre ragazze.

Una giovane donna è stata picchiata e arrestata per essere vestita in modo inappropriato, nonostante indossasse abiti lunghi fino al ginocchio, un hijab inappropriato, un’altra per aver avuto contatti con un uomo con cui non aveva alcun legame di parentela. Altre sono state arrestate per aver mendicato per strada.

La sorella maggiore di Nafisa, Zohal*, 24 anni, balbetta nervosamente ricordando quel giorno. “Nafisa è caduta a terra davanti ai miei occhi e i talebani l’hanno trattata come un cadavere, l’hanno gettata in macchina e se ne sono andati”, racconta. “È stato il momento peggiore della mia vita e quei secondi mi sono sembrati ore. Ho continuato a chiedere aiuto alla gente, ma se ne sono andati. Nessuno ha osato dire una parola ai talebani”.

Entrambe le donne hanno dichiarato di essere rimaste traumatizzate dall’accaduto e hanno successivamente assunto antidepressivi per diversi mesi.

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Meno di un anno dopo il loro ritorno al potere nel 2021, i talebani hanno introdotto nuove e severe regole che impongono alle donne di coprirsi completamente indossando un burqa o un hijab completo con una mascherina per il viso e di non uscire se non in caso di assoluta necessità.

L’applicazione della legge è stata rigorosa e ha incluso arresti di massa, inizialmente in un’area della parte occidentale di Kabul, dominata dalla popolazione di etnia hazara, e poi in altre parti del paese, secondo una ricerca delle Nazioni Unite . Alcune donne sono state rilasciate dopo poche ore, ma altre sono rimaste in custodia per giorni o addirittura settimane, ha scoperto. Il loro rilascio è stato spesso subordinato alla promessa da parte dei parenti maschi di vigilare sul loro abbigliamento in futuro.

Una fonte che ha parlato con Rukhshana in condizione di anonimato ha ricordato di aver sentito le urla di una donna a un posto di blocco talebano in una zona centrale di Kabul. Si è precipitato verso la folla che si era radunata e ha visto una donna alle prese con la polizia morale, che stava cercando di trascinarla dentro un veicolo. Diversi uomini tra la folla hanno cercato di intervenire e liberare la donna, ma è stato intimato loro di non interferire con il lavoro del Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, che controlla gli sforzi dei talebani per imporre la legge islamica in Afghanistan, ha riferito la fonte. Poi, uno degli agenti ha estratto un dispositivo dalla tasca e lo ha puntato al collo della donna, infliggendole scosse elettriche più volte fino a farla perdere conoscenza e cadere a terra. Quattro agenti di polizia l’hanno afferrata per braccia e gambe e hanno trascinato il suo corpo senza vita dentro il veicolo, ha ricordato.

Un altro testimone oculare ha descritto un incidente avvenuto nei pressi di un centro commerciale di Kabul, dove gli ufficiali talebani hanno utilizzato scosse elettriche per fermare una giovane donna che si rifiutava di salire sul loro veicolo.

“Resisteva molto, diceva ‘Non ci vado'”, ha detto il testimone. “Alla fine, le hanno dato una scossa elettrica. La poveretta è crollata a terra e l’hanno spinta violentemente dentro il veicolo. La polizia morale è terrificante.”

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Quasi tutte le donne e le ragazze che hanno avuto incontri con militari o agenti di polizia talebani affermano di aver subito violenze di qualche tipo. La nuova legge, ampiamente criticata, sulla Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio conferisce agli agenti ampia autorità di affrontare le donne in merito al loro abbigliamento e di infliggere punizioni immediate. Anche prima della sua introduzione, gli agenti talebani utilizzavano dispositivi per la scossa elettrica contro le donne, in particolare il 16 gennaio 2022, quando furono impiegati per disperdere una protesta pacifica di piazza .

Wahida Amiri, ex detenuta e attivista per i diritti delle donne di 33 anni, ha descritto l’incidente in un’intervista rilasciata a Rukhshana Media dopo l’accaduto.

“Le loro forze armate ci hanno circondato in uno spazio aperto e ci hanno fatto prigioniere”, ha detto. “Il trattamento riservato dai talebani alle manifestanti in strada è stato terrificante e orribile. Hanno usato gas lacrimogeni, sparato colpi in aria e usato scosse elettriche contro le donne”.

Sebbene l’uso di scosse elettriche contro manifestanti disarmati costituisca una chiara e grave violazione dei diritti umani, sembra che per gli ufficiali talebani l’utilizzo di tali dispositivi sia diventato una prassi routinaria. Non sembra esistere un protocollo formale o un sistema di responsabilità per il loro utilizzo, né alcuna supervisione per prevenirne gli abusi.

Rukhshana Media ha anche documentato casi di donne sottoposte a scosse elettriche in carcere. Nel 2022, Zarifa Yaqubi ha trascorso 41 giorni sotto la custodia delle forze talebane, che, a suo dire, l’hanno torturata per costringerla a confessare con l’uso di scosse elettriche e percosse con cavi.

Parwana Ibrahimkhil Najrabi, un’altra ex prigioniera talebana che ha trascorso almeno un mese in isolamento, ha affermato che il gruppo ha utilizzato scosse elettriche durante il suo arresto.

Per Nafisa, il danno è duraturo. Ricorda ancora la cella e si preoccupa per le altre donne con cui l’ha condivisa.

“Non so come andare avanti”, ha detto. “Credo di portarmi dietro la prigione talebana ovunque. Le scosse elettriche, la stanza fredda e buia, le molteplici accuse e le donne il cui destino è sconosciuto.”

Nota*: i nomi sono stati cambiati per motivi di sicurezza.

* Pubblicato in collaborazione con More to Her Story.

[Trad. automatica]