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Come pietre pazienti, pagine afghane

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ilmanifesto.it Farian Sabahi 2febbraio 2025

PAGINE Percorso di letteratura contemporanea afghana, i romanzi di Atiq Rahimi e le voci di donne raccolte da Zainab Entezar

 

Lo scrittore e cineasta afgano Atiq Rahimi ci aveva fatto ascoltare il rombo della guerra nel romanzo breve Terra e cenere, scritto in persiano (trad. di Babak Karimi e Mahshid Moussavi Asl, Einaudi, 2002, pp. 86, euro 7,50). Dedicato a suo padre e a tutti gli altri padri che hanno pianto durante la guerra, è ambientato nei dintorni della città di Polkhomri negli anni dell’occupazione sovietica. I protagonisti sono un vecchio e un bambino che, dopo un bombardamento che ha fatto strage di civili, si chiedono perché siano ancora vivi. Nonno e nipote cercano un passaggio per raggiungere la miniera dove lavora Morad, il figlio del vecchio nonché padre del bambino. Le riflessioni sono queste: «Che preghi o no, in fondo, Dio non ti pensa nemmeno. Magari ti pensasse almeno per un istante, magari si accostasse alle tue miserie… No, Dio ha abbandonato le sue creature».

Nato a Kabul nel 1962, Atiq Rahimi ha lasciato l’Afghanistan e vive in Francia. Dizionario alla mano, ha scritto in francese il suo secondo romanzo, Pietra di pazienza, ambientato nel suo paese d’origine. Una donna velata veglia un uomo disteso in un letto. L’uomo è privo di conoscenza, ha una pallottola in testa, qualcuno gli ha sparato per un futile motivo. La donna parla, senza fermarsi. Si prende cura del marito mujaheddin, gli svela segreti che non avrebbe potuto rivelargli se lui fosse stato nel pieno delle sue forze. Il corpo immobile del marito diventa così la pietra paziente a cui le afgane confidano ricordi, angosce, segreti e speranze. Una pietra che assorbe il dolore delle donne fino al momento in cui si frantuma, in un inno alla libertà. Un romanzo convincente, dato alle stampe dapprima in Francia, dove aveva vinto il Premio Goncourt, e poi da Einaudi nel 2009 (traduzione di Yasmina Melaouah, pp. 110, euro 17). Un romanzo diventato lungometraggio con protagonista l’attrice iraniana Golshifteh Farahani (Come pietra paziente, 2012).

Nel 2024 Einaudi ha pubblicato Se solo la notte di Atiq Rahimi e Alice Rahimi. (trad. di Emanuelle Caillat, pp. 186, euro 18,50). Lontani durante il lockdown del 2020, padre e figlia si scrivono. Una mail dopo l’altra, raccontano il tempo sospeso, quasi per distrarsi dalle tragiche notizie sulla pandemia. Giorno dopo giorno, il padre racconta alla figlia gli eventi che hanno segnato la sua vita: l’invasione sovietica, la fuga da Kabul, l’approdo in Europa, la morte delle persone care. Il libro non ha la stessa freschezza delle opere precedenti, ma può valere la pena leggerlo per approfondire le vicende afgane e conoscere qualche dettaglio in più di questo straordinario personaggio, che ha contribuito a salvare centinaia di suoi connazionali.

Nell’agosto 2021, quando la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva abbandonato l’Afghanistan lasciandolo preda dei Talebani, Atiq Rahimi ha infatti scritto una lettera al presidente francese Macron convincendolo a organizzare i voli aerei necessari a portare a Parigi intellettuali e artisti afgani che avrebbero altrimenti rischiato di essere ammazzati dagli integralisti.

A dare invece un’idea di quello che sta succedendo in Afghanistan dopo la presa di potere da parte dei Talebani nell’agosto 2021 è la raccolta Fuorché il silenzio. Trentasei voci di donne afgane a cura di Daniela Meneghini, docente di Lingua e letteratura persiana a Ca’ Foscari (Jouvence 2024, pp. 590, euro 30,00). Si tratta di trentasei testimonianze femminili, autobiografiche, raccolte dalla scrittrice e regista Zainab Entezar e riviste dallo scrittore afgano Asef Soltanzadeh, dapprima emigrato in Iran e ora residente in Danimarca. Le storie personali di queste donne sono in lingua dari (persiano). Ognuna con parole e stile propri, si racconta dall’infanzia fino alla primavera del 2022, quando Zainab Entezar decide di chiudere il progetto per motivi di sicurezza. Il comune denominatore di queste testimonianze sono la ribellione e il desiderio di libertà, che passano attraverso l’istruzione e il lavoro come strumenti di emancipazione.

Corredato da una cronologia storica di riferimento, Fuorché il silenzio. Trentasei voci di donne afgane è una preziosa fonte di informazioni, di prima mano, sul significato di lotta contro i Talebani. Nel suo contributo, la docente universitaria e attivista Zahra Karimi (n. 1989-1990) scrive: «Il senso esatto di lotta era lo scorrere dell’acqua, che conteneva l’onda e il ruggito e che se si fosse fermata avrebbe ristagnato per sempre.

Le proteste delle donne erano iniziate a Kabul, Herat e Mazar-e Sharif e avevano creato quell’onda: se le donne non fossero rimaste ferme immobili per centinaia di anni prima di noi, ora quell’acqua scorrerebbe e sarebbe fresca». In questo contesto, continua Zahra Karimi, la protesta diventa un dovere: «Ero stata privata dei miei diritti e, se non avessi protestato, me ne avrebbero tolti ancora di più. Forse un giorno non avrei potuto più dire il mio nome da nessuna parte, mi avrebbero chiamata figlia di tizio, sorella di caio o madre del tal dei tali. Dopo qualche anno, avrei dimenticato io stessa il mio nome. Mi sarei trasformata in una palude».

 

 

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