I novantamila occhi dei talebani a Kabul regna il Grande Fratello
La Repubblica, 6 marzo 2025, di Alberto Cairo
Gli afgani hanno appreso da tv e radio la notizia del piano di installare novantamila telecamere di videosorveglianza nella capitale. Nessun annuncio ufficiale è venuto fino ad ora dalle autorità. I proprietari di svariati condomini riferiscono comunque di avere ricevuto nelle ultime settimane la richiesta di installare delle telecamere a proprie spese. Senza minacce ma in maniera pressante, ad invitarli hanno pensato i wakìl, i rappresentanti di quartiere, una volta eletti dai residenti, ora nominati d’ufficio. Ogni condominio deve averne, hanno spiegato, soprattutto quelli d’angolo, posti agli incroci. L’invito non è avvenuto in maniera uniforme, essendo nel Paese molto lasciato all’iniziativa personale dei funzionari, alle loro opinioni e al loro zelo, creando confusione.
Si tratterebbe secondo alcuni di una cifra di apparecchi molto alta, volutamente esagerata per intimorire, per altri invece è un numero credibile in una città ormai enorme e in continua espansione. Dove saranno installati? la domanda. Ovunque o soprattutto nei quartieri considerati ribelli, quelli a maggioranza tajika, l’etnia rivale del regime, o sciita? I talebani hanno rivelato alla Bbc che si tratta di telecamere cinesi ad alta precisione in grado di identificare persone e cose a grande distanza e ad ogni ora. La convinzione che funzioneranno solo parzialmente è però legittima, viste le continue e lunghe interruzioni nell’erogazione dell’elettricità.
Comunque sia, rafforzeranno i controlli e la pressione sulla popolazione, al momento già pesanti grazie perquisizioni, fermi, delazioni. La gente tace, non esprime opinioni in pubblico, non rischia. Il numero degli informatori è alto.
In realtà niente di nuovo in questo. Ognuno degli ultimi regimi se ne è servito copiosamente, reclutando collaboratori ovunque. Ho dei precisi ricordi in proposito. Arrivato a Kabul nel 1990 – i comunisti erano al potere – avevo ingaggiato un insegnante che mi aiutasse a capire un po’ il Paese, usanze e tradizioni e mi insegnasse i rudimenti della lingua.Mi accorsi presto che era malvisto dai guardiani e dalla signora cuoca-donna delle pulizie. Di solito loquaci, in sua presenza parlavano a malapena. Pensai a beghe personali e non badai quando mi dissero che era affiliato al Khad, la polizia segreta. Dovetti ricredermi quando sparìimprovvisamente una settimana prima della caduta del presidente Najibullah.
Sotto il primo regime talebano e quello instaurato dagli occidentali dopo il 2001, lavorando a un programma di riabilitazione fisica e sociale, aiutavamo con micro-prestiti le persone disabili a iniziare piccole attività commerciali. Alcuni misero su dei chioschi per vendere sigarette e piccole cose. Per quanto il capitale investito fosse minimo e gli affari decisamente magri, ripagavano
puntualmente le rate. Ammirevoli, pensavo. Invece il chiosco nascondeva un’altra attività, ben remunerata. Piazzati in punti cruciali, riportavano ogni movimento considerato sospetto. A uno di loro un giorno cadde di tasca una radio ricetrasmittente. «L’ho trovata per strada», si giustificò. Sparì anche lui con il cambio di regime nel 2021.
C’è comunque chi applaude alle nuove telecamere, non solo i sostenitori dei talebani, una larga fetta della popolazione. Rapine e furti diminuiranno, dicono (già sono diminuiti, va ammesso). Per le donne, ormai punite da una interminabile lista di divieti, la vita potrebbe invece diventare sempre più soffocante, specie per quelle che ancora lavorano o continuano in qualche modo a studiare. Darebbe alla polizia per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù un ulteriore strumento di controllo. Facilmente immaginabili poi gli effetti sulla dissidenza, su quel poco che ne rimane. Il Ministero degli Interni sarà a capo dell’intera operazione.
Altri sono tuttavia i problemi che tormentano gli afgani oggi. L’economia in primo luogo. La disoccupazione (giovanile in particolare) è altissima. Non passa giorno senza che qualcuno contatti NOVE Caring Humans, la mia organizzazione, per chiedere aiuto o un lavoro. Il numero dei poveri e dei bambini a rischio malnutrizione riportato dalle Nazioni Unite resta spaventoso. Posso solamente confermare che tantissime famiglie hanno perso gli introiti che consentivano loro una vita decente e si arrabattano miseramente. I programmi governativi non hanno per ora portato miglioramenti. Circa l’istruzione femminile, la promessa delle autorità di riaprire le scuole alle ragazze appena le condizioni di sicurezza lo permetteranno, dopo tre anni resta una promessa. E poi l’incertezza dovuta alle lotte interne al regime, con il gruppo di Kandahar opposto al clan degli Haqqani e il rafforzamento della politica più intransigente; i ritorni forzati da Pakistan e Iran che hanno riportato nel Paese migliaia di afgani senza una casa e un lavoro; le numerose cliniche chiuse a causa della sospensione dei progetti sostenuti da USAID decisa dalla nuova amministrazione americana, le piccole e medie organizzazioni umanitarie che devono licenziare il personale perché senza fondi.
Quello del taglio agli aiuti internazionali desta un enorme timore. Migliaia le persone che vivono e si curano grazie ad essi. Attraverso i media e internet gli afgani sono informati, pensano che sia solo l’inizio. L’Inghilterra è stata la prima a dichiararlo: aumenterà le spese militari a scapito dei fondi che invia all’estero. Nella corsa agli armamenti, altri paesi potrebbero imitarla. L’Afghanistan sa di rischiare un isolamento ancora maggiore, economico e politico. Non potrà che contare sulla propria resilienza. Quanta dovrà averne?
Alberto Cairo, fisioterapista, lavora in Afghanistan per NOVE Caring Humans, ong italiana
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