Turchia: possibile accordo coi Curdi

Settimana NEWS, 23 gennaio 2025, di Riccardo Cristiano
Alle volte la storia riparte da dove si era interrotta. Così la storia del pluralismo “mediorientale” potrebbe ripartire dalla Turchia. Forse, con molti punti interrogativi, il complesso mondo mediorientale arabo e turco potrebbe vedere un nuovo pluralismo prendere le mosse dall’Anatolia – prima testimone di un nazionalismo malato.
Parliamo di Paesi complessi, quali sono la Turchia, la Siria, il Libano, l’Iraq.
Nazionalismo arabo vs. colonialismo europeo
Per quanto esistano idee diverse al riguardo del genocidio armeno, è innegabile il ruolo cruciale che vi svolsero i nazionalisti che presero proprio allora il potere, i Giovani Turchi. Così a cavallo tra le due guerre mondiali si è diffuso un nazionalismo che si è definito in queste aree diverse, ma da una storia comune in reazione al colonialismo europeo.
Se in Turchia ne sono stati caposaldo i Giovani Turchi, nel mondo arabo ne sono stati espressione i pan-arabisti, che volevano la nazione degli arabi, ossia di coloro che parlano arabo. Scivolata dalle mani dei grandi intellettuali in quelle di possenti generali, l’idea di nazione è parsa respingere ogni complessità: una nazione ha una lingua, un’etnia, un capo. Ci possono essere state delle parziali eccezioni, o delle aggiunte, ma l’unicità è stata un forte collante.
La storia è stata feroce, o atroce, con quelle che chiamiamo minoranze e che, invece, dovrebbero essere ricchezze di un territorio: etniche e religiose. Oggi i curdi ne sono una nota vittima, perché si tratta non di etnia turca in Turchia, non di etnia araba in Siria e Iraq. Altre ce ne sono.
Ora, sorprendentemente per il momento che il mondo sta vivendo e che sembra caratterizzato da idee molto strette di cosa sia una “nazione”, per i curdi sarebbe alle porte il possibile inizio di una pagina nuova, che se funzionasse potrebbe essere foriera di grandi novità anche in Siria, Paese dove ai curdi era proibito anche il passaporto. Questo avrebbe peso per tutti, non solo per i curdi: si comincerebbe a pensare diversamente a cosa sia una nazione? Intanto parliamo dei fatti.
Curdi turchi: lungo colloquio con Ocalan
I due principali parlamentari turchi appartenenti alla comunità curda, Pervin Buldan e Sirri Sureyya Onder (del partito DEM), si sono intrattenuti per quattro ore con Ocalan: il doppio del tempo trascorso con lui a dicembre nel penitenziario di massima sicurezza dove è detenuto da 26 anni, cioè dal secolo scorso, in isolamento. DEM pubblicherà presto un comunicato ufficiale.
Fonti autorevoli, citate dal sito specializzato sul Medio Oriente al-Monitor, hanno però fatto capire ufficiosamente il percorso che si delinea. Il 15 febbraio prossimo, 26esimo anniversario della sua cattura, Ocalan potrebbe chiedere, in particolare al suo PKK, di deporre le armi e annunciare la fine della lotta armata. Contemporaneamente la Turchia porrebbe fine alla detenzione in regime di isolamento cui Ocalan è sottoposto da così tanti anni, libererebbe i politici e attivisti curdi più noti, a cominciare dal leader di DEM Selahattin Demitras, e accantonerebbe la sua contrarietà a un’autonomia de facto curda – secondo forme e criteri sin qui non divulgati.
L’accordo coinvolgerebbe anche l’azione politica dei curdi in Siria, dove il partito di Ocalan, il PKK, è molto presente, combattendo contro i turchi che bombardano anche villaggi curdi. Anche qui la linea sarebbe la stessa: cessazione delle ostilità in presenza di una rinnovata e riconosciuta forma di autonomia non belligerante con le istituzioni centrali siriane.
L’ottimismo però deve fare i conti con la storia. Un appello a favore della pace e della partnership strategica tra turchi e curdi, Ocalan lo aveva già fatto proprio il 21 marzo del 2013. Ma negli anni successivi i negoziati tra Erdogan e DEM fallirono. Il leader turco si alleò con la destra nazionalista, anche quella estrema, per resistere. Ora però uno dei più noti esponenti del nazionalismo estremo turco, Umit Ozdag, è stato arrestato – probabilmente per impedirgli di organizzare eventi ostili all’intesa.
Le ambizioni di Erdogan e la fine del conflitto turco-curdo
Nel retrobottega della politica si considera che se Erdogan perseguirà davvero questa strada, potrebbe considerare di aver posto termine a un conflitto gravissimo e lunghisismo, dimettersi da Presidente e, in virtù della Costituzione che gli impedirebbe di ricandidarsi se completasse il suo secondo mandato, ricandidarsi perché dimessosi in anticipo e così sperare di essere rieletto.
Quanto conseguito gli darebbe la speranza di vincere, soprattutto se la pacificazione della Siria fosse effettiva e parte dei tantissimi profughi siriani potesse cominciare a scegliere di rientrare in patria, anche considerato quanto i nazionalisti turchi gli rendano difficile la vita in Turchia. Calcoli ottimisti? Va ricordato che alle recenti presidenziali Erodgan fu rieletto per pochissimi voti e i curdi sostennero il suo sfidante. In questo caso potrebbero almeno non correre in massa alle urne. Altri dicono che Erdogan vorrebbe cambiare la Costituzione sulla rieleggibilità, con il sostegno dei curdi.
Le ricadute sulla Siria
Il capitolo siriano non è certo irrilevante, visto che lì i turchi e i curdi si combattono aspramente, soprattutto con le parti di milizie curde legate al PKK turco. Ma per favorire l’intesa è sceso in campo il leader dei curdi iracheni, Barzani, che proprio in questi giorni si è incontrato con la sua controparte in Siria, il leader curdo Kobane. Il destino degli aderenti curdi di origini turche aderenti al PKK rimane incerto, per i miliziani siriani si prefigurerebbe un ingresso nell’esercito siriano, come auspicato dal leader de facto siriano Ahmad al Sharaa.
Sarà chiesta l’espulsione dei curdi turchi in armi dalla Siria? Di questo si sa solo che la questione è stata sollevata, non è noto con quali possibili risultati. E questo punto sembra difficile per le molte difficoltà operative e tecniche. I dettagli da chiarire, non irrilevanti, sono moltissimi.
L’importanza di questo accordo per la Siria è enorme: non solo perché i curdi sono circa il 12% dell’attuale popolazione siriana, ma perché si aprirebbe una prospettiva nuova per la Siria. I timori più noti riguardano i gruppi jihadisti come l’Isis, contro i quali i curdi combattono da anni e il loro ingresso nell’esercito siriano gli darebbe credibilità come forza nazionale e anti jihadista al cospetto di tutti coloro che, da varie milizie, ancora oggi hanno dubbi al riguardo.
Sarebbe un rafforzamento del governo centrale, ma con un’impostazione non centralista, il che aiuterebbe a dar forma a un Paese plurale: non una sommatoria di pezzi disconnessi tra loro, ma neanche una “dittatura” di una forza che si impone sulle altre.
Una nuova prospettiva per il Medio Oriente
Se così andranno le cose, e soprattutto se andassero bene, sia la Turchia che la Siria troverebbero una stabilità tutta nuova: ossia, l’idea che lo Stato sia proprietà di un gruppo etnico sotto un capo indiscutibile, o di una sola comunità di credenti, si comincerebbe a modificare e questo potrebbe a nuove amicizie, a Stati non ostili l’uno all’altro e senza più, almeno in prospettiva, cittadini di “serie b”.
Questo si incrocia con i cambiamenti che stanno emergendo dal Libano e che potrebbero dare linfa nuova all’idea di Stato plurale. Non si tratta di “cantonalizzare” un Paese, ma di creare uno Stato che li consideri cittadini uguali di diverse identità religiose che devono servire insieme l’interesse comune.
È quello che un sorprendete premier, Nawaf Salam, giurista formatosi tra Harvard e Sorbona, sta cercando di fare, togliendo ai partiti il potere di scegliere i ministri: “saranno delle diverse comunità di fede per rappresentare tutti, ma scelti da me e votati da tutto il Parlamento” – non da un solo partito, quello che li designa. Ci riuscirà?
Sembra difficile, ma se già riuscisse a cominciare a muovere qualche passo in questa direzione darebbe un colpo durissimo a tutte le famiglie feudali che si sono impossessate della rappresentazione delle comunità religiose, ridando smalto alla politica. E a quel punto i nuovi rapporti con la nuova Siria potrebbero immaginarsi. Forse…
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