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Il velo ci riguarda tutte

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Non solo in Iran, o in Afghanistan… il velo ci riguarda tutte. Una riflessione di Giuliana Sgrena

Giuliana Sgrena,  Facebook, 4 luglio 2025

Nei paesi musulmani le donne lottano, rischiano la vita per liberarsi dal velo, in occidente la sinistra e persino alcune femministe difendono l’uso del velo. Perché? Per ignoranza o per relativismo culturale, per paura di essere confusi con la destra? La destra è contro il velo perché difende la cristianità dell’Italia e dell’Europa, io ho sempre sostenuto le donne che si ribellano al velo, anche in Italia, perché i diritti delle donne sono diritti universali.

A proposito delle leggi antivelo – legittime in un paese laico come la Francia, meno in uno stato non laico come l’Italia – non si entra nel merito della questione anche perché, da sempre, bandiera della Lega. A tale proposito, leggo sulla Repubblica di oggi (4 luglio 2025) una dichiarazione di Marco Grimaldi (deputato di Sinistra italiana-Avs) che sostiene: «Le ordinanze anti-velo…. mirano a limitare la libertà di scelta e di espressione delle donne che a parole vogliono difendere: vietare il velo significherebbe negare la loro identità e cultura».

Di quale identità e cultura parla Grimaldi? Proprio in nome della identità della donna musulmana Khomeini ha imposto il velo in Iran dopo il suo arrivo al potere. Nemmeno il Corano prevede l’uso del velo per le donne, l’unica identità rappresentata dal velo è quella ideologica di appartenenza a uno stato islamico. Una politica conservator-religiosa che rappresenta la destra nei paesi musulmani. E che in occidente impone alle donne l’uso del ciador, ma perché il dovere di manifestare pubblicamente l’appartenenza a un movimento attraverso il comportamento – compreso l’uso del velo – tocca solo alle donne? E quale cultura? Nei paesi musulmani le culture sono diverse e non sono certo omologabili con il velo, che non appartiene nemmeno alla tradizione, perché nella tradizione ogni paese aveva usi e costumi diversi.

Peraltro, anche in Italia le nostre bisnonne portavano il velo, ma noi no. In Afghanistan il re Amanatullah aveva abolito il velo nel 1926, forse possiamo sostenere che il burqa imposto dai taleban sono un segno di identità?

Difendendo l’uso del velo – e tutte le costrizioni che l’accompagnano – condanniamo le donne che osano ribellarsi alle imposizioni di genitori, mariti, fratelli. Le denunce aumentano ma non garantiamo nessuna protezione a queste donne che rischiano di fare la fine di Saman, Hina, Sana e altre di cui non conosciamo nemmeno il nome.

Pensavo che la rivolta delle donne iraniane avesse fatto comprendere anche in occidente – come in Iran a donne e uomini, giovani e vecchi di tutte le etnie – che il velo è il simbolo dell’oppressione della donna. E per mostrare la nostra solidarietà non basta tagliare una ciocca di capelli. E ora quelle donne che rischiano la vita e il carcere per le loro scelte sono ancor più isolate dopo l’attacco di Israele e Usa all’Iran. E che nessuno osi dire che con i bombardamenti si distrugge il potere teocratico degli ayatollah, al contrario il regime in difficoltà si è ricompattato dopo i bombardamenti.

 

Nei paesi musulmani le donne lottano, rischiano la vita per liberarsi dal velo, in occidente la sinistra e persino alcune femministe difendono l’uso del velo. Perché? Per ignoranza o per relativismo culturale, per paura di essere confusi con la destra? La destra è contro il velo perché difende la cristianità dell’Italia e dell’Europa, io ho sempre sostenuto le donne che si ribellano al velo, anche in Italia, perché i diritti delle donne sono diritti universali.
A proposito delle leggi antivelo – legittime in un paese laico come la Francia, meno in uno stato non laico come l’Italia – non si entra nel merito della questione anche perché, da sempre, bandiera della Lega. A tale proposito, leggo sulla Repubblica di oggi (4 luglio 2025) una dichiarazione di Marco Grimaldi (deputato di Sinistra italiana-Avs) che sostiene: «Le ordinanze anti-velo…. mirano a limitare la libertà di scelta e di espressione delle donne che a parole vogliono difendere: vietare il velo significherebbe negare la loro identità e cultura». Di quale identità e cultura parla Grimaldi? Proprio in nome della identità della donna musulmana Khomeini ha imposto il velo in Iran dopo il suo arrivo al potere. Nemmeno il Corano prevede l’uso del velo per le donne, l’unica identità rappresentata dal velo è quella ideologica di appartenenza a uno stato islamico. Una politica conservator-religiosa che rappresenta la destra nei paesi musulmani. E che in occidente impone alle donne l’uso del ciador, ma perché il dovere di manifestare pubblicamente l’appartenenza a un movimento attraverso il comportamento – compreso l’uso del velo – tocca solo alle donne? E quale cultura? Nei paesi musulmani le culture sono diverse e non sono certo omologabili con il velo, che non appartiene nemmeno alla tradizione, perché nella tradizione ogni paese aveva usi e costumi diversi. Peraltro, anche in Italia le nostre bisnonne portavano il velo, ma noi no. In Afghanistan il re Amanatullah aveva abolito il velo nel 1926, forse possiamo sostenere che il burqa imposto dai taleban sono un segno di identità?
Difendendo l’uso del velo – e tutte le costrizioni che l’accompagnano – condanniamo le donne che osano ribellarsi alle imposizioni di genitori, mariti, fratelli. Le denunce aumentano ma non garantiamo nessuna protezione a queste donne che rischiano di fare la fine di Saman, Hina, Sana e altre di cui non conosciamo nemmeno il nome.
Pensavo che la rivolta delle donne iraniane avesse fatto comprendere anche in occidente – come in Iran a donne e uomini, giovani e vecchi di tutte le etnie – che il velo è il simbolo dell’oppressione della donna. E per mostrare la nostra solidarietà non basta tagliare una ciocca di capelli. E ora quelle donne che rischiano la vita e il carcere per le loro scelte sono ancor più isolate dopo l’attacco di Israele e Usa all’Iran. E che nessuno osi dire che con i bombardamenti si distrugge il potere teocratico degli ayatollah, al contrario il regime in difficoltà si è ricompattato dopo i bombardamenti.

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