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Autore: Anna Santarello

The last 20: la parola agli ultimi della Terra

Dal 22 al 25 luglio a Reggio Calabria il ‘summit’ dei paesi più poveri è stato il controcanto al G20. La sessione che affrontava il tema delle giovani donne per il futuro, organizzato dal CISDA, ha visto una adesione alta e partecipata e il collegamento telefonico con una giovane donna afghana che ha raccontato la situazione nel suo paese dopo l’uscita degli Usa. Dal 10 al 12 settembre il prossimo appuntamento a Roma

Loredana Cornero, Noi Donne, 28 luglio 2021

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Kongra Star in solidarietà con la resistenza delle donne in Afghanistan

Kongra Star invia un messaggio di solidarietà dal Rojava alla resistenza delle donne in Afghanistan, citando Abdullah Öcalan: “L’autodifesa delle donne è una questione molto seria che non può essere lasciata alla mercé degli uomini”.

Kongra Star, ANF, 9 luglio 2021

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Afghanistan, nuove generazioni…

Questa è la voce della nuova generazione dell’Afghanistan, consapevole dei propri diritti civili e della propria libertà, fianco a fianco con i coetanei delle altre parti del mondo

Meena Karimi, Facebook, 6 luglio 2021 

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Questa è la voce della nuova generazione dell’Afghanistan.

La generazione che è germogliata dal contesto delle scuole e delle università e si è sintonizzata con Internet e la tecnologia, fianco a fianco con i loro coetanei in altre parti del mondo. Una generazione consapevole dei propri diritti civili e della propria libertà.

Siamo intolleranti all’estremismo e al fanatismo, siamo disgustati da qualsiasi guerra o atto di aggressione che abbia luogo in qualsiasi angolo di questo mondo.

Crediamo davvero che qualsiasi guerra o aggressione possa essere prevenuta con la diplomazia e il dialogo.

Crediamo che attraverso l’istruzione, potremmo dare vita a una nuova generazione di afghani che difendono la diplomazia sui conflitti e le aggressioni.

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Intervista ad Hambastagi

Intervista ad Hambastagi (Solidarity Party of Afghanistan) 22/07/2021

di Linda Bergamo e Laura Quagliuolo, attiviste CISDA

Logo HLa persona con cui parliamo non ha la videocamera accesa. Per partecipare all’intervista, ha avuto accesso alla connessione a internet in un ufficio di una ONG, dove lavora un conoscente.

Chiedo se il tempo è bello lì: è estate. Mi dice subito che il clima politico invece è molto teso. Anche la popolazione afgana è stata colpita dal corona virus, la seconda grande ondata è in corso in questo momento e sta facendo molti morti, ma la gente ha ben altro di cui preoccuparsi. Il fatto che le forze NATO, e gli Stati Uniti in primis, stiano lasciando il paese, è un evento che solleva molti interrogativi per il futuro.

Eccoci qui, a 20 anni dall’invasione delle forze NATO, in particolare quelle statunitensi, a parlare della riconquista dei talebani. A parlare della loro possibile partecipazione al governo. Centinaia di miliardi di dollari dopo, una cifra equivalente al piano Marshall, un’Afghanistan distrutto e in preda alla guerra. Decine di migliaia di morti. Nel 2001 il progetto di ricostruzione prevedeva di instaurare una “democrazia di mercato”. Ciò che questo progetto è diventato è un governo transazionale [1] in cui la partecipazione degli afgani è solo di facciata, in cui i principali beneficiari dell’aiuto internazionale sono i paesi donatori, le imprese internazionali, qualche élite afgana. Di democratico non c’è niente, solo la corruzione è diffusa quanto i campi d’oppio, e le frodi elettorali non aiutano la popolazione a dare un senso a tutto questo circo.

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Dentro l’assedio di Kunduz

Per frenare la violenza e limitare i movimenti talebani il ministero degli Interni afghano ha imposto un coprifuoco notturno in 31 delle 34 province del Paese dove le forze governative sono sempre più in difficoltà. Questo articolo racconta l’assedio di una importante città del Nord del Paese.

71ce49b62aa9950b4700cd58299b0833Rolling Stone -25 luglio 2021, di Jason Motlagh

Dopo la ritirata dell’esercito americano, l’Afghanistan sta rapidamente tornando sotto il controllo dei Talebani. Siamo stati a Kunduz, città nel nord del Paese che resiste, appesa a un filo.

Nel negozio di un meccanico trasformato in avamposto militare nella zona est della città assediata di Kunduz, l’ufficiale dell’esercito afgano Shafiqullah Shafiq mi indica un cecchino talebano che domina l’intero quartiere appostato in un palazzo a tre piani a non più di 70 metri da noi. Uno degli uomini di Shafiq corre fuori e spara una raffica verso il bersaglio prima di nascondersi dietro un muro rinforzato di sacchi di sabbia e copertoni e tutto bucherellato dai proiettili. Due giorni prima, un altro soldato si è preso un proiettille in testa per essere rimasto un po’ troppo prorpio in quel punto. È uno dei cinque uomini che l’unità di Shafiq ha perso nell’ultimo mese.

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Turchia: non si arresta l’ondata di aggressioni razziste contro le famiglie curde.

Rete Kurdistan Italia – 24 luglio 2021, di Gianni Sartori

Turchia curdi violenza 690x325Genocidio strisciante? Pulizia etnica a “macchie di leopardo”? Pogrom diffuso? Forse ancora no, ma comunque in fase propedeutica. Comunque lo si definisca, la sostanza resta la stessa. Un attacco continuo, uno stillicidio di aggressioni, violenze, ferimenti e uccisioni a danno dei curdi. Il tutto sotto lo sguardo benevolo e compiaciuto, diciamo la supervisione, dei governanti turchi. Ormai non si contano più gli episodi in cui famiglie curde subiscono attacchi da parte di razzisti turchi.

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I paesi europei dovrebbero cessare immediatamente tutte le deportazioni in Afghanistan

Progetto MELTING POT EUROPA – 23 luglio 2021

L’appello di 30 organizzazioni: “Nel paese la loro vita è a rischio”

Traduciamo e pubblichiamo l’appello di 30 Ong all’Unione europea affinché si sospendano immediatamente le deportazioni di persone di nazionalità afghana e sia garantito l’accesso alla protezione. Traduzione a cura di: Linda_Bergamo

Dichiarazione congiunta delle ONG

Noi, come ONG, organizzazioni di rifugiati e membri della diaspora afgana in Europa, siamo profondamente preoccupati per l’aumento del conflitto e della violenza in Afghanistan. A causa del peggioramento della situazione per quanto riguarda la sicurezza, invitiamo tutti i paesi europei a fermare le deportazioni verso Afghanistan, a garantire l’accesso alla protezione per gli afghani sul proprio territorio e concentrarsi sulle misure per prevenire un’ulteriore escalation di violenza all’interno dell’Afghanistan.

La situazione della sicurezza in Afghanistan non consente il ritorno delle persone nel paese senza mettere a rischio la loro vita. Dopo due decenni, la presenza militare internazionale guidata dagli Stati Uniti in Afghanistan terminerà ufficialmente nel settembre 2021. I Paesi europei e della NATO stanno ritirando le loro truppe dall’Afghanistan in un momento in cui la situazione della sicurezza è spaventosa. Pesanti combattimenti continuano in tutto il paese e i combattenti talebani hanno preso il controllo di molti quartieri. Più del 50% del territorio dell’Afghanistan è ora conteso o sotto il controllo dei talebani.

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Afghanistan addio. E l’Italia non ha scuse

La recente storia afghana ripercorsa da un osservatore d’eccezione: Enrico Calamai (Roma, 1945), diplomatico italiano nominato ambasciatore a Kabul nel 1987. Nelle sue riflessioni Calamai non fa sconti a un Occidente che non ha mai smesso di ingerire negli affari afghani, quasi sempre affidandosi ad attori sbagliati e molto pericolosi, soprattutto per la popolazione afghana vittima di oltre quarant’anni di guerre.

Enrico Calamai è noto soprattutto per aver salvato la vita, da vice-console in Argentina negli anni 70, a oltre 300 perseguitati dalla dittatura militare. Da allora è celebre anche come «lo Schindler di Buenos Aires».

italiani via dallafghanistan ap  Il Manifesto, 23 luglio 2021, di Enrico Calamai

La storia si ripete. Dal ritiro dell’Armata rossa a quello delle forze occidentali, che procede in questi giorni tra mielosi ammainabandiera, zero autocritica e nessuna richiesta di perdono alla popolazione locale per gli ultimi 20 inutili anni di guerra, l’ex ambasciatore a Kabul racconta le fasi e le responsabilità che possono spiegare anche il prossimo bagno di sangue.

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La lotta delle femministe clandestine in Afghanistan

Intervista esclusiva a un’attivista di Rawa sulla situazione attuale in Afghanistan 

foto rawa

Spazio pubblico n. 4/2021, di Ugo Lucio Borga, [pp. 24-27]

La bandiera ammainata a Herat l’8 giugno scorso, in uno dei momenti più drammatici e incerti della storia afghana, ha messo simbolicamente la parola fine a una delle missioni militari più controverse della storia della Repubblica. Costata oltre un milione di euro al giorno, e durata vent’anni, ha visto l’avvicendamento, sul terreno, di oltre cinquantamila soldati italiani. Cinquantatré di loro hanno perso la vita, perlopiù nel corso di attentati o di incidenti. Entro luglio, approfittando della copertura aerea ancora garantita delle forze armate USA, l’intero contingente abbandonerà la nave che affonda, giorno dopo giorno, in una tempesta di violenza mai conosciuta prima. Nessuna retorica sarà mai in grado di edulcorare la bruciante sconfitta militare della coalizione NATO

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