Nel Rojava si autogestisce anche l’assenza
Siria. Nel campo di Washokani 15mila sfollati hanno ricreato una «little Serekaniye», la loro città occupata dalla Turchia: comuni, assemblee di quartiere e comitati. Mentre ad Afrin l’occupazione turco-islamista prosegue nell’operazione di ingegneria demografica
Chiara Cruciati – il manifesto, 16 giugno 2021
Rinas accende il telefono e fa partire un breve video: una cascata d’acqua, un ruscello, il verde caldo di alberi e arbusti. «Questo è quello che avevo vicino a casa mia, è Afrin». Sorride mentre ci mostra il luogo che ha abbandonato tre anni fa, in fuga con altre 300mila persone dal cantone curdo della Siria nel nord-ovest durante i mesi della brutale offensiva turca.
Ramoscello d’ulivo, l’avevano ribattezzata gli alti comandi turchi. Di quell’offensiva restano centinaia di migliaia di sfollati, distribuiti in tutto il Rojava, e un piano avanzato di ingegneria demografica.
FATMA HA 70 ANNI, è la mamma di Rinas. È venuta a Qamishlo a far visita al figlio, alla nuora e ai tre nipoti. Lei vive ancora vicino Shabha, la sola zona che durante i bombardamenti accolse con enormi difficoltà gli sfollati. Persone senza rifugio, aiutate dalle comunità tra Aleppo e Afrin, con il governo di Damasco che chiudeva la strada per il sud della Siria e l’Amministrazione autonoma che tentava di imbastire un’accoglienza mentre resisteva ai turchi.
«Nei campi di Shabha ci sono 7.500 persone – ci spiega il Rojava Information Center – e 115mila nei villaggi della zona. Decine di migliaia sono nei quartieri turchi di Aleppo. Un numero imprecisato è fuggito in Europa e in Iraq».