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Autore: Anna Santarello

Hazara: genocidio, autodifesa, conflitto etnico

Enrico Campofreda dal suo Blog – 17 giugno 20121

hazara

Che gli hazara afghani siano l’etnìa più colpita dal fondamentalismo islamico è da anni sotto gli occhi di chiunque segua e voglia capire dove sta andando il Paese del ‘Grande Gioco’ imperialista e dei mille e uno Signori della Guerra. A tal punto che negli ultimi tempi un buon numero di questi rifugiati in diversi angoli del mondo sta facendo rete e lancia un richiamo inequivocabile: è in atto un genocidio verso l’etnìa che in territorio afghano conta circa nove milioni di abitanti. Se si va indietro di alcuni secoli i testi storici parlano di una maggioranza di questa gente che vive concentrata in un’area nota come l’Hazarajat, a cavallo fra gli attuali Iran e Afghanistan. Se si cercano le origini, storici e antropologi dibattono contrastandosi. Una teoria fa degli hazara i discendenti dei mongoli di Gengis Khan, un’altra li identifica come popolo autoctono di origine uiguro-turca insediato nella regione di Bamiyan, quella dei famosi Buddha distrutti dai talebani prima della loro uscita da Kabul nel 2001. Mentre uno studio recente fra gruppi di hazara presenti in Pakistan riporta i loro cromosomi alla stirpe del famoso condottiero mongolo. Dna permettendo, lo spirito collettivo dell’attuale comunità è in gran parte rivolto ad altri mestieri più che all’arte della guerra, di cui invece subisce i colpi nelle situazioni più varie. Nei giorni scorsi un’ennesima strage ha investito una decina di lavoratori impegnati come sminatori con l’Ong britannica Halo Trust. La quale afferma di voler a ogni costo mantenere l’impegno di bonifica nell’area di Baghlan, ma occorrerà vedere se potrà farlo, poiché per l’ennesima volta l’attentato evidenzia l’impotenza dell’esercito locale sul fronte della sicurezza. 

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Afghanistan: tutto può accadere

Un’articolata analisi di questi vent’anni di occupazione dell’Afghanistan con il pretesto delle liberazione delle donne e che si è rivelata una ventennale catastrofe. Anche la risoluzione proposta al Parlamento europeo dai Popolari sebbene fosse ammantata da afflati umanitari era di fatto un testo che accettava le posizioni della Nato per questo il gruppo The Left ha votato contro la risoluzione proposta.

transform! Italia, 16 giugno 2021, di Stefano Galieni   

C’era da aspettarsi chcina 24 640x360e il disimpegno delle forze straniere presenti in Afghanistan potesse subire battuta d’arresto dopo la tremenda strage delle 85 studentesse della scuola Sayed al-Shuhada di Kabul l’8 maggio scorso, colpevoli per gli attentatori, di essere sciite, donne e di voler studiare. Altro che ritorno alla pace e alla democrazia. Invece il 13 giugno è stata ammainata la bandiera italiana nell’hangar dell’aeroporto di Herat, sancendo la conclusione della ventennale presenza del contingente italiano in Afghanistan.

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IRAQ: INTERNAZIONALISTE/I EUROPEE/I ARRESTATI E DEPORTATI A ERBIL (KURDISTAN IRACHENO) E DÜSSELDORF (GERMANIA)

Radio Onda d’Urto – 14 giugno 2021

hotel erbil delegazione fermataIntervento repressivo dell’asse Turchia – Regione autonoma del Kurdistan iracheno – Germania contro una delegazione internazionale europea nel Kurdistan iracheno. Attualmente si trovano a Erbil 30 internazionaliste/i da tutta Europa, impegnate/i in una delegazione il cui scopo principale è denunciare l’invasione turca e promuovere la pace nella regione. Nella giornata del 12 giugno è stato impedito a un secondo gruppo, di circa 60 persone, di raggiungere l’area. A una trentina di loro è stato impedito di partire dall’aeroporto di provenienza; 27 persone sono state bloccate a Düsseldorf dalla polizia federale tedesca ed è stato loro applicato un divieto di volo verso l’Iraq per una durata di 30 giorni. Tra queste persone c’erano anche politici, tra cui Canzu Özdemir, donna curda, deputata del Parlamento di Amburgo. Altre 14 persone sono state invece arrestate all’aeroporto di Erbil. Alcune sono già state deportate nei loro paesi di origine, altre sono tuttora trattenute e circondate presso il loro hotel dalla polizia della regione Autonoma del Kurdistan iracheno, governata dalla destra curda alleata della Turchia.

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Afghanistan, fa notizia o no che abbiamo perso la guerra?

I soldati italiani dopo quasi vent’anni lasciano l’Afghanistan. Pochi giorni fa alla presenza del ministro Guerini c’è stata la cerimonia dell’ammaina bandiera nella base militare italiana di Herat. La ritirata da Kabul è passata quasi sotto silenzio nessuno sembra farsi le domande che tanti si pongono come è stato possibile questo disastro ? Quali errori di valutazione politica, strategica, militare sono stati fatti? E da chi? E perché?

Il Manifesto. In una parola: rubrica settimanale di Alberto Leiss  amainabandiera italiani

Una settimana fa, lunedì 7 giugno, sono rimasto colpito dal linguaggio diretto dell’editoriale di Paolo Mieli sul Corriere della Sera. Il titolo con un «occhiello» generico: «La guerra, i doveri». Il messaggio: «Salviamo chi ci aiuta a Kabul».

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DIFENDERE il KURDISTAN Contro l’occupazione turca

Rete Kurdistan Italia, 14 giugno 2021 

Noidonnekurde – circa 150 politici, difensori dei diritti umani, giornalisti, accademici, sindacalisti, parlamentari, attivisti politici, ecologisti e femministe di tutta Europa – abbiamo seguito da vicino i pericolosi sviluppi derivanti dagli attacchi della Turchia al Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale) dal 23 aprile 2021. Di conseguenza, ci siamo riuniti oggi ad Erbil e abbiamo deciso che dobbiamo intervenire.

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Herat, giù le bandiere della guerra

Enrico Campofreda, 8 giugno 2021

soldatiL’ammainabandiera dell’occupazione si svolge a Camp Arena, la base Nato di Herat, casa dei militari italiani, e per vent’anni di diversi giornalisti nostrani ‘incorporati’. Il parà che oggi saluta la mesta discesa degli stendardi (tricolore, stelle e strisce, e l’inventato simbolo del Resolute Support) che tre generazioni di cittadini afghani – dunque non solo i taliban – hanno considerato bandiere di guerra, da domani all’11 settembre prossimo volerà via assieme ai commilitoni. Trascinandosi apparecchiature di difesa e offesa, quelle armi che hanno sempre rappresentato la smaccata contraddizione di missioni cosiddette di pace. I primi cento in divisa giunsero dalle caserme nostrane dal dicembre 2001, due mesi dall’avvio dell’operazione Enduring Freedom. L’ottobre successivo i reparti furono rafforzati con centinaia di specialisti alpini, parà, bersaglieri, carabinieri per l’Isaf Mission, e dal 2014 per il citato Resolute Support.

Cinquantamila nostri militari si sono alternati negli anni, con una punta massima di quasi cinquemila effettivi, sempre e comunque diretti dal comando statunitense. E cinquantatré bare di ritorno. Una missione di servizio più che alla Nato alla politica estera americana, che con George W. Bush decise l’invasione dell’Afghanistan.

La mantenne durante i due mandati di Barack Obama, raggiungendo il massimo delle truppe sul campo: 140.000 uomini. Proseguì con Donald Trump, seppure con l’intenzione di sganciarsi da un pasticciaccio geopolitico che ha prodotto esclusivamente danni. Non solo per la disfatta del sedicente progetto di democratizzazione del Paese, una gigantesca balla venduta a un’opinione pubblica che si è voluta, e si vuole, tenere disinformata sulla reale situazione interna. I fatti hanno svelato la corruzione dei politici promossi dall’Occidente – prima Hamid Karzai, quindi Ashraf Ghani -; i loro rapporti coi vecchi Signori della guerra, reintrodotti nelle Istituzioni e nei governi; il sostegno a un fondamentalismo non inferiore a quello dei talebani che si volevano combattere. 

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Afghanistan, gli italiani vanno via, le stragi restano

Afghanistan. Nel quartiere hazara di Kabul, reportage dalla scuola in cui un mese fa hanno trovato la morte 72 studentesse

Kabul quartiere Dasth Barchi

Giuliano Battiston, Il Manifesto – 9 giugno 2021

Nella base militare di Herat, Lorenzo Guerini ammaina la bandiera. Ce ne andiamo ma non vi abbandoniamo, assicura il ministro della Difesa italiano. A Kabul, nel quartiere sciita di Dasht-e-Barchi, si chiedono giustizia e protezione. «Siamo sotto attacco, il governo non ci ascolta: chiediamo alle Nazioni unite, a tutti i Paesi del mondo di fermare gli attentati contro la comunità hazara, di trovare i colpevoli».

MOHAMMAD HUSSEIN NAZARI ci accoglie sulla porta di casa, lungo una strada polverosa che sale sulla collina. Siamo nel quartiere occidentale di Dasht-e-Barchi. «Siamo sciiti, siamo hazara, vogliamo educare le nostre figlie e progredire. Per questo ci attaccano». Sul cancello in metallo, un ritratto commemora la figlia Rehana, 16 anni, studentessa alla scuola Sayed al-Shohada, a qualche centinaio di metri da casa sua.

Un mese fa, l’8 maggio, durante il Ramadan, un triplice attentato colpisce le studentesse che escono dalla scuola. «Erano le 4 e 30 del pomeriggio. In uscita c’erano 4.500 studenti e studentesse, 150 insegnanti, tra cui molti volontari», ci racconta Aqila Tavaqoli, già insegnante, preside dal 2012. «La prima macchina imbottita di esplosivo è saltata in aria a cento metri dall’ingresso della scuola».

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Non lasciamoli soli!

Voci dall’Hazaristan – 5 giugno 2021

Da quando Ghani ha preso il potere, nel 2014, gli attentati e gli attacchi diretti contro gli Hazara sono aumentati in maniera vertiginosa, tanto da tornare ad assumere i connotati di un genocidio, di una vera e propria pulizia etnica organizzata. Si deve pretendere più aiuto dalla comunità internazionale, dall’Onu, dalle ONG che operano in Afghanistan e dai leader politici occidentali. Non lasciamoli soli!

hazar

Nei distretti occidentali di Kabul, quelli popolati principalmente da Hazara, vivono circa 1,6 milioni di persone. In meno di cinque giorni sono avvenute quattro esplosioni, che hanno provocato complessivamente più di quaranta morti.

Dopo l’attentato alla Sayyd al-Shuhada, Ghani aveva garantito l’adozione di un piano specifico per la sicurezza nella zona occidentale. L’alta concentrazione di attentati ed attacchi diretti in una zona praticamente sprovvista di polizia e sicurezza, aveva obbligato il governo afghano ad agire e a commissionare la redazione di linee guida efficaci a garantire la protezione di un numero così grande di cittadini.

Secondo Mohammad Mohaqiq, che svolge il ruolo di Consigliere Senior del governo per la sicurezza, però, Ghani si starebbe ora rifiutando di mettere in pratica questo piano e di rendere sicura la zona, aumentando le forze di sicurezza presenti.

D’altronde, da un presidente che non si è nemmeno degnato di commentare quattro esplosioni che uccidono più di quaranta persone a distanza di nemmeno quarantotto ore, forse non si può pretendere di più.

Si può e si deve pretendere di più, invece, dalla comunità internazionale, dall’Onu, dalle ONG che operano in Afghanistan e dai leader politici occidentali che, rifiutandosi di guardarsi allo specchio per riconoscere il fallimento politico e sociale delle proprie missioni, continuano a considerare il governo afghano come un interlocutore stabile, affidabile e democratico.

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Gli attacchi alle scuole contro gli hazara sono solo l’inizio

L’orribile massacro dell’8 maggio purtroppo non è stato un caso anomalo. Gli hazara afgani temono davvero per la loro vita.

Sitarah Mohammadi, Sajjad Askary, The Diplomat – 19 maggio 2021

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Sabato 8 maggio, a Dasht-e Barchi, un’area prevalentemente popolata da Hazara a Kabul, in Afghanistan, 85 scolari, principalmente ragazze, sono stati massacrati e almeno 147 feriti.

Mentre la violenza è diffusa in tutto l’Afghanistan e la sofferenza degli afghani è collettiva, gli hazara sono costantemente oggetto di persecuzione e omicidio. Il massacro dell’8 maggio è, ahimè, solo l’ultima brutalità di massa contro una comunità che porta la triste reputazione di essere uno dei popoli più perseguitati al mondo . Comprendere la storia della persecuzione degli Hazara non solo colloca il massacro dell’8 maggio nel contesto, ma fornisce un terrificante avvertimento di potenziali violenze da seguire.

Gli hazara ora costituiscono circa un quarto della popolazione afgana di 38 milioni, ma un tempo erano il più grande gruppo etnico afghano, costituendo quasi il 67 per cento della popolazione totale dello stato. Il declino è dovuto alla triste storia degli Hazara. La persecuzione statale autorizzata contro gli Hazara iniziò alla fine del XIX secolo. Da quel momento circa il 60 per cento della popolazione hazara è stata eliminata in diversi modi : uccisa, venduta come schiava o costretta all’esilio.

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I talebani ottengono guadagni militari “strategici” in Afghanistan mentre le forze straniere si ritirano

Dall’inizio del ritiro militare internazionale il 1° maggio, i talebani hanno preso distretti strategici vicino alla capitale Kabul, invaso siti militari e assediato paesi e città in tutto l’Afghanistan.

Frud Bezhan, Gandhara, 1 giugno 2021

talebani

Le prime conquiste militari dei talebani hanno alimentato i timori che potrebbero rovesciare il governo afghano appoggiato dall’Occidente e le sue maltrattate forze di sicurezza, una volta che tutte le forze straniere se ne saranno andate entro settembre.

Non è chiaro se il gruppo militante stia tentando un’acquisizione forzata dell’Afghanistan o semplicemente cercando di aumentare la sua influenza in colloqui di pace in stallo volti a raggiungere un cessate il fuoco permanente e un accordo di condivisione del potere.

I colloqui intra-afghani iniziati a settembre hanno fatto pochi progressi, ostacolati da profonda sfiducia, violenza militante e un enorme divario su questioni chiave tra i talebani e i rappresentanti afghani. Inoltre, gli insorti il ​​mese scorso si sono ritirati da una conferenza di pace internazionale di alto livello ospitata dalla Turchia.

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