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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, l’armata dietrofront

Il Simplicissimus Anna Pulizzi 24 maggio 2021

L’articolo è interessante ma non viene menzionata la questione dell’oppio. L’oppio è fondamentale per le organizzazioni criminali e anche per Big Pharma (materie prime a buon mercato). 

AEREAO FUGA2.jpgLa si potrebbe definire la Guerra dei Vent’anni ed è quella che va concludendosi in Afghanistan con il ritiro delle truppe d’occupazione straniere, già iniziato da mesi e che dovrebbe essere ultimato entro settembre. La definizione è tuttavia azzardata, dal momento che la guerra è un periodo in cui si spara più del solito, mentre nel caso specifico si è combattuto molto anche prima e tutto lascia immaginare che lo si farà ancora di più nelle fasi immediatamente successive.

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Il coraggio delle ragazze di Kabul

Una notizia che presenta la forza e il coraggio delle ragazze di Kabul che non vogliono rinunciare al loro futuro

Corriere della Sera/Editoriali – 22 maggio 2021 Ragazze in classe

La scuola colpita dall’attentato di poche settimane fa ha riaperto. Insegnanti e allieve (sopravvisute) fanno a gara a tornare in classe

Se dall’Afghanistan arriva una buona notizia non perdetela, perché potrebbe essere l’ultima. La battuta che a Kabul accompagna il ritiro delle forze americane e alleate va tenuta in conto. Soprattutto ora che le buone notizie sono addirittura due.

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Cemil Bayık: l’atto della Turchia di interrompere l’approvvigionamento idrico dall’Eufrate “è un crimine di guerra”

UIKI onlus – 19 maggio 2021  

Il dirigente esecutivo della Kcemilbayik 1CK Cemil Bayik ha descritto l’atto della Turchia di interrompere l’approvvigionamento idrico dall’Eufrate alla Siria come un “crimine di guerra e un crimine contro l’umanità”.

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Ieri Afrin, oggi Avashin

Il Kurdistan è ormai fuori dalle prime pagine dei giornali ma l’offensiva turca continua con l’intento di occupare il Kurdistan meridionale e di distruggere la popolazione curda.

Rete Kurdistan Italia, 18 maggio 2021 di Firaz Amarg avasin 700x325 copy

La guerra infuria nel Kurdistan meridionale da 25 giorni. Guerra che mira all’occupazione e al genocidio. Il regime turco AKP-MHP vuole occupare il Kurdistan meridionale e nel corso di tutto questo commettere un genocidio contro la popolazione curda.

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«Afghanistan, via anche i civili». L’ambiguo messaggio italiano

L’ambasciata italiana a Kabul invita gli italiani che lavorano in Afghanistan a lasciare il Paese perché la sicurezza è sempre più compromessa, quindi nonostante il Ministro Di Maio abbia dichiarato  «non abbandoneremo gli afgani» suona in modo ambiguo.

Il Manifesto – 19 maggio 2021, di Emanuele Giordana  07desk1 dentro apertura di maio

Tutti a casa dall’Afghanistan ma non solo i soldati. Via anche i civili il prima possibile da un Paese che evidentemente non dà garanzie. È il messaggio che l’Italia ha dato all’inizio del mese ai connazionali che lavorano in Afghanistan: se ci abitate andate a casa, se dovete tornarci evitate.

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Il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan

Le basi militari strategiche statunitensi che si trovano sul territorio afghano secondo un accordo sottoscritto nel 2014 saranno a loro uso esclusivo. Da queste basi, gli Stati Uniti possono operare una politica di controllo funzionale ad agire, potenzialmente, in Iran, Russia, Cina, Pakistan e India. Quindi come ha dichiarato in un’intervista il Segretario di Stato Antony Blinken: «solo perché le nostre truppe stanno tornando a casa, non vuol dire che ce ne stiamo andando. Assolutamente». 

Lo Spiegone, 16 maggio 2021, di Laura Santilli  US and Afghan soldiers

Il 7 ottobre 2001, l’allora presidente George W. Bush annunciò l’inizio di quella che sarebbe stata una “guerra lampo” in Afghanistan. Il prossimo 11 settembre, le truppe statunitensi lasceranno il Paese, decretando così, la fine dell’operazione militare Enduring Freedom, durata alla fine vent’anni.

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Murat Karayılan conferma l’uso di armi chimiche da parte dell’esercito turco nell’attacco in corso nel Kurdistan meridionale

Uiki Onlus – 16 maggio 2021

Murat karayilan

Il comandante in capo dell’HPG Murat Karayılan ha confermato l’uso di armi chimiche da parte dell’esercito turco nei suoi attuali attacchi al Kurdistan meridionale.

Intervenendo a Stêrk TV, Murat Karayılan ha affermato: “L’esercito turco sta usando tecnologia sofisticata e mercenari islamisti nei suoi attacchi nel Kurdistan meridionale. Dove non va da nessuna parte usa gas chimici. Non li utilizza su una vasta area, ma in modo molto mirato.

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Il fallimento della «liberazione» delle donne

Il Manifesto, Giuliana Sgrena, 11 maggio 2021

sgrena

Il conto alla rovescia è cominciato e si concluderà l’11 settembre, una data simbolicamente infelice per la conclusione dell’intervento americano in Afghanistan che proprio da quella data aveva preso il via. Sono passati vent’anni e con il ritiro delle truppe – non solo americane – entro l’11 settembre l’Afghanistan dovrebbe tornare «libero». La guerra più lunga sostenuta dagli Usa presenta un bilancio fallimentare.

In Afghanistan molti temono questo ritiro, soprattutto le donne, e gli attentati degli ultimi giorni, che hanno preso di mira una scuola femminile (a Kabul, 60 vittime) e studenti che preparavano l’esame per accedere all’università nella provincia di Logar (30 vittime), giustificano le preoccupazioni. Poco importa la rivendicazione, la matrice è nell’estremismo islamico che non è stato eliminato, anzi è stato alimentato dalla presenza straniera, con la diffusione anche dell’isis.

Il ritiro lascia terra bruciata e se tra gli obiettivi più ipocriti vi era «la liberazione delle donne dal burqa» il fallimento è evidente.

Si ritorna al 2001 quando questa guerra era iniziata per cacciare i taleban e si finisce con il ritorno dei taleban, sdoganati dagli stessi Usa che li volevano eliminare.

Gli attentatori delle torri gemelle non provenivano dall’Afghanistan – ma dall’Arabia saudita – però l’Afghanistan aveva dato ospitalità a Osama bin Laden e, soprattutto, i media avevano amplificato le immagini delle donne afghane sottomesse a un regime oscurantista che nella lotta al sesso femminile aveva fatto la sua bandiera e la guerra contro gli studenti coranici otteneva facilmente il plauso. Le donne non avevano diritti: né di lavoro, né di scuola, né di voce, né di visibilità, costrette com’erano a vivere sotto il burqa. Erano vietati anche i tacchi a spillo che potevano fare rumore!

L’intervento occidentale aveva suscitato molte aspettative, ne avevamo discusso allora con molte donne, cercando di sfatare molte illusioni rispetto a un intervento militare, ma era comprensibile il loro desiderio di libertà a qualsiasi prezzo.

E molte di loro si sarebbero poi impegnate nella lotta contro l’occupazione.

Non sono stati certamente i militari a liberare le afghane, ma ricordo la prima manifestazione delle donne contro il burqa a Kabul, quando alzando quell’orribile velo scoprivano una pelle squamata perché privata per anni dei raggi del sole che avevano provocato anche carenze di vitamine.

Nulla è stato regalato a queste donne che hanno saputo conquistarsi spazi a un caro prezzo in politica, nell’informazione, nelle arti e in molti altri lavori.

Il burqa è stato sostituito con un foulard che lascia vedere ciocche di capelli, c’è anche chi non lo usa sempre. E c’è chi osa denunciare il marito violento e abbandona la famiglia per vivere in case protette, organizzate da Ong come Hawca.

Nel mondo si sono fatte conoscere donne straordinarie come Malalai Joya, deputata espulsa dal parlamento al grido di «stupratela» perché aveva osato denunciare i signori della guerra presenti nella Loya Jirga.

Selay Ghaffar che, dopo aver diretto Hawca, è diventata portavoce del partito Solidarietà (Hambastagi).

Due donne coraggiose costrette a vivere in clandestinità in quello che è considerato il paese meno sicuro per le donne. Perché molte hanno perso la vita: Farkhunda nel 2015 è stata uccisa a calci e bastonate per strada senza che gli agenti della polizia intervenissero. Più recentemente, il 3 marzo, Mursal Habibi, Saadia e Shahnaz avevano appena lasciato l’Enikass tv, dove lavoravano a Jalalabad, quando sono state uccise da uomini armati.

Sono solo alcune delle vittime, molte anche fra i giornalisti. È possibile un peggioramento? È quanto emerge da un rapporto di Ashley Jackson dell’Overseas Development Institute del 2018 sulle condizioni imposte nelle zone controllate dai taleban: l’educazione cessa alla pubertà, le donne non possono andare al mercato e possono lavorare solo in zone protette (segregate).

I taleban già controllano buona parte del paese ma se tornassero, e torneranno in base agli accordi con gli Usa, al governo il loro potere sarebbe maggiore. A confermare l’«inflessibilità» dei taleban anche nei negoziati e l’accettazione del rispetto dei diritti delle donne solo in base alla legge islamica è un rapporto del Consiglio di informazione nazionale degli Usa.