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Autore: Anna Santarello

L’Ufficio legale Asrin critica il CPT per non aver ispezionato Imrali durante la visita in Turchia

Rete Kurdistan Italia – 28 gennaio 2021

Avvocati Asrin 700x325
L’ufficio legale di Asrin ha criticato il Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) per non aver ispezionato la prigione dell’isola di Imrali durante la sua visita in Turchia. Non c’è stato alcun segno di vita da Abdullah Öcalan e dai suoi tre compagni di prigionia dall’aprile 2020.

L’ufficio legale Asrin ha rilasciato una dichiarazione sulla visita in Turchia del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d’Europa.

 L’ufficio, che rappresenta Abdullah Öcalan e gli altri tre prigionieri a Imrali, critica il fatto che non sia stata effettuata alcuna visita all’isola prigione e che esso stesso non sia stato consultato.

La dichiarazione dello studio legale Asrin recita come segue:

“Il fatto che il CPT sia stato in Turchia per varie visite tra l’11 e il 25 gennaio è qualcosa che abbiamo appreso dalle dichiarazioni ai media del CPT e del Ministero della Giustizia. Secondo il CPT, sono stati visitati diversi centri di detenzione del Ministero dell’Interno e alcune prigioni del Ministero della Giustizia.

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L’Iran supporta l’inclusione dei talebani nel governo afghano.

Si rinsaldano i legami tra Iran e talebani in vista dei negoziati di “pace” che la nuova amministrazione statunitense vuole rimettere in discussione  prima del  ritiro delle  truppe USA dall’Afghanistan che in base agli accordi con l’amministrazione Tramp dovrebbe avvenire entro maggio 2021. [N.d.R.]  

Sicurezza Internazionale – 27 gennaio 2021, di Maria Grazia Rutigliano ambasciatore Iran

L’ambasciatore iraniano in Afghanistan, Bahadur Aminian, ha dichiarato che l’Iran supporta l’inclusione dei talebani in un nuovo governo afghano e ha chiesto che il processo di pace non venga monopolizzato da “alcuni Paesi”. 

Tali dichiarazioni sono state rilasciate durante un’intervista all’emittente afghana Tolo News, andata in onda il 26 gennaio, durante la quale il diplomatico iraniano ha affermato che i talebani sono “una realtà” in Afghanistan. “I talebani fanno parte della realtà in Afghanistan che deve essere fusa nelle attuali strutture del Paese”, ha dichiarato Aminian. In tale contesto, il rappresentante iraniano ha criticato il fatto che il processo di pace sia monopolizzato da “alcuni Paesi”, sottolineando la necessità che questa situazione cambi.

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Temperature fino a -30 in Afghanistan, si aggrava la situazione umanitaria

Pandemia e tempeste invernali aggravano l’emergenza umanitaria in Afghanistan dove milioni dipendono dall’assistenza umanitaria, bambini e donne in gravidanza in particolare sono a rischio malnutrizione. L’appello di Azione contro la fame. [N.d.R.]

Redattore Sociale – 27 gennaio 2021 

Appello di Azione contro la fame: “Paese provato da guerra, pandemia e fame. La gente ha urgente bisogno di cibo, acqua, materiale per il riscaldamento e medicine”

freddo bimbiROMA – “L’inverno estremamente freddo sta colpendo, con tutta la sua forza, le popolazioni situate nelle regioni di montagna afghane. Qui le temperature scendono fino a meno 30 gradi di notte. Neve e ghiaccio, anche in piena pandemia, tagliano fuori interi villaggi dal mondo esterno. Circa 17 milioni di persone, oggi, sono colpite da insicurezza alimentare acuta in Afghanistan. La gente ha urgente bisogno di essere rifornita di cibo, acqua, materiale per il riscaldamento e medicine”. Questo l’appello del direttore generale di Azione contro la Fame, Simone Garroni.

La situazione umanitaria nel Paese, scosso da 40 anni di conflitti, è drammatica. “I conflitti armati in corso, l’instabilità dell’economia, così come le conseguenze della diffusione del Covid-19, hanno un impatto devastante sulla popolazione – si legge nel comunicato. – Secondo le previsioni delle Nazioni Unite, 18.4 milioni di persone dipenderanno dall’assistenza umanitaria nel 2021. Inoltre, 5.5 milioni sono colpiti dalla fame nella sua forma più acuta.
L’Afghanistan presenta, “il secondo più alto numero al mondo di persone che vivono uno stato di insicurezza alimentare. Quasi un bambino su due sotto i cinque anni e una donna in gravidanza o in allattamento su quattro saranno colpiti dalla malnutrizione”.

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Dalla rivoluzione del Rojava è nata una società nuova

Rete Kurdistan Italia – 26 gennaio 2021, di  Nilufer Koc co-presidentessa del Congresso nazionale Kurdistan

Traduzione a cura di Sveva Haertter nilufer koc 630x325

2011-2021. Le primavere arabe. Le origini del confederalismo democratico per un mondo in comune: economia sociale, eguaglianza di genere, etnia e confessione e democrazia diretta. Nella Siria del nord-est quartieri, villaggi e città autogestiscono tutti i compiti pubblici: lo Stato e le istituzioni gerarchiche diventano superflui.

La crisi di sistema richiede un intervento alternativo

La constatazione di Antonio Gramsci che “La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere, definisce nel modo più preciso l’attuale situazione globale. In effetti il sistema capitalista si trova in una crisi profonda che non può più controllare e coordinare. Il suo inizio ha avuto luogo con il crollo del sistema mondiale bipolare tra gli Usa e la Russia come sostituta dell’Unione Sovietica. Dagli anni ‘90 guerre e conflitti sono aumentati a livello mondiale. L’umanità intera umanità si trova di fronte a grandi sfide.

In Medio Oriente questa crisi diventa evidente attraverso la condizione degli Stati-nazione. Turchia, Iran, Siria, Iraq, Libia, Yemen, Egitto, Tunisia, Afghanistan, Pakistan ecc. lottano per la sopravvivenza e allo stesso tempo agiscono in modo sempre più aggressivo nei confronti delle loro società che lottano per i diritti e la libertà. Andando a guardare gli attori che hanno le mani in pasta in questa crisi onnipresente, si può senz’altro parlare di una Terza Guerra Mondiale. La primavera araba ha rappresentato un tentativo di insurrezione popolare contro i regnanti della regione, ma purtroppo è fallita. Invece di un profondo cambiamento democratico, sono stati soltanto sostituiti alcuni vertici di regime nel senso desiderato dal sistema capitalista mondiale.

Le potenze coloniali nel Kurdistan

Nel centro di questa regione di crisi, le potenze coloniali nel Kurdistan, ovvero la Turchia, l’Iran e la Siria sono in rivolgimento. Tutte sono state testimoni di ciò che successo al loro Stato vicino, l’Iraq, dagli anni ‘90 in poi.

Il leader del popolo curdo e pensatore Abdullah Öcalan, che dal suo sequestro organizzato a livello internazionale nel 1999 viene tenuto prigioniero come ostaggio politico sull’isola di Imrali, è stato colpito personalmente da questo sconvolgimento.

Il suo sequestro ha che fare con questa crisi in modo diretto. Si era occupato in modo intenso e critico del crollo dell’Unione Sovietica, dato anche che il suo partito, il Pkk, si collocava nel blocco socialista. Dalla sua cella, nella quale da 21 anni viene trattenuto come ostaggio, ha formulato una soluzione che stava cercando fin dagli anni ’90e  che ha annunciato il 21 marzo 2005 in occasione del capodanno curdo Newroz: Il Confederalismo Democratico. “A Imrali sono nato di nuovo”, ha detto ripetutamente annunciando il suo nuovo paradigma socialista.

I curdi, che hanno creduto in lui per 40 anni e che lo fanno ancora oggi, hanno accolto questa nuova idea con entusiasmo e con grandi sacrifici l’hanno messa in pratica negli ultimi 15 anni. Oggi il nuovo paradigma, e il corrispondente modello del confederalismo democratico, ha una risonanza positiva anche ben oltre il Kurdistan.

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Afghanistan a pace millantata: Italia bersaglio e sogno e il contingente a ritiro segreto.

L’articolo è uno spunto per riflettere sul ruolo dell’Italia nel contesto afghano tra segreti e contraddizioni. E un appello degli interpreti afghani che lavorano al fianco del personale italiano [N.d.R.]

REMOCONTRO – 26 gennaio 2021  

Blindato biciIeri una esplosione ha sfiorato un veicolo dell’Ambasciata italiana a Kabul, personale afghano leggermente ferito, nessun italiano coinvolto. Attentato-messaggio, senza troppa ferocia ed esplosivo, per fortuna, al ministro della Difesa Guerini arrivato sempre ieri e Herat, base italiana di Camp Arena, cambio delle guardia tra alpini della Julia e parà della Folgore. Trombe e picchetto, ma nessuno a dirci quando mai finirà questa ‘discussa’ missione Nato, noi italiani, i più numerosi dopo gli americani in ritirata, Biden permettendo.
L’accordo di pace con i talebani vantato elettoralmente da Trump e dichiarato incerto da Biden che frena sul ritiro di corsa delle truppe, mentre il personale afghano che traduce o collabora in vari modi con gli italiani, chiede un visto per potersi sottrarre alle future vendette al momento della inevitabile ritirata. Un visto sul passaporto, come fanno gli americani, e non la fuga attraverso l’inferno delle piste balcaniche.

Vanteria Trump, diffidenza Biden, bomba agli italiani

Un veicolo dell’Ambasciata italiana è rimasto coinvolto, ieri stamattina, in un’esplosione provocata da un ordigno improvvisato. L’incidente non ha causato vittime né sono stati coinvolti nostri connazionali, dichiara la Farnesina. Secondo una fonte della sicurezza citata dall’agenzia afghana Tolo News, a bordo del mezzo c’era personale afghano della rappresentanza diplomatica e una persona è rimasta lievemente ferita. L’attacco è arrivato nel giorno in cui il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini è atterrato ad Herat. Oggi, nella base italiana di Camp Arena, il ministro partecipa alla cerimonia di avvicendamento tra la Brigata alpina Julia e la Brigata paracadutisti Folgore.

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La Turchia sta commettendo un genocidio, deve essere chiamata a renderne conto immediatamente

Rete Kurdistan Italia – 26 gennaio 2021 

tal rifat 700x325L’Organizzazione per i diritti umani di Afrin ha denunciato il massacro di Til Rifat e ha affermato che lo Stato turco ha commesso crimini di guerra e di genocidio e deve essere chiamata immediatamente renderne conto.

L’Organizzazione per i diritti umani di Afrin ha rilasciato una dichiarazione scritta sul massacro di civili da parte dello Stato turco invasore e delle sue bande nel distretto siriano settentrionale di Til Rifat.

La dichiarazione afferma: “Le violazioni dei diritti e i crimini commessi dall’esercito turco di occupazione e dalle sue bande contro tutti i civili nella Siria settentrionale e orientale, e di coloro che si sono trasferiti a Shehba dopo essere fuggiti dalla persecuzione dello stato turco e delle bande ad Afrin continuano.

ll 23 gennaio 2021, alle 13:45, le forze di occupazione hanno preso di mira il distretto di Til Rifat con il fuoco di artiglieria. Come risultato dell’attacco, 4 civili, tra cui 2 bambini, sono rimasti uccisi e molte altre persone sono rimaste ferite “.

Ricordando il massacro del 2 dicembre 2019, in cui 10 civili, 8 dei quali bambini, sono stati uccisi e molte persone sono rimaste ferite, l’Organizzazione per i diritti umani di Afrin ha dichiarato che questo massacro è stato commesso davanti agli occhi del mondo, ma finora nessuno si è opposto ai crimini dello Stato turco che violano il diritto internazionale e la Convenzione di Ginevra.

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LA STORIA RITORNA INDIETRO. LA VOCE DI RAWA.

Cisda, Finestre afghane – di Cristiana Cella e Linda Bergamo – 26 gennaio 2021

education pÈ il 1977, quando un gruppo di giovani donne, sotto la guida di Meena Keshwar Kamal, uccisa dieci anni dopo, nell’87, fonda a Kabul, Rawa, l’Associazione Rivoluzionaria delle donne afghane. Da allora, queste donne, le loro figlie e le loro nipoti, che si sono passate il testimone nel corso degli anni, non hanno mai smesso di lottare per i diritti delle donne e per la democrazia. Una lotta non violenta, una resistenza tenace, coraggiosa e intelligente, che lavora in ogni angolo del paese, anche in quelli più oppressi dalla brutalità e dall’ignoranza.
Hanno aperto spazi nel fanatismo più oscuro, hanno dato speranze, istruzione, possibilità e coraggio, dove tutte le porte sembravano chiuse. Un manipolo di circa mille militanti che spesso, per motivi di sicurezza, non si conoscono tra loro. Lavorano in clandestinità e lavorano con la gente. La loro difesa è il consenso delle persone che sostengono e per le quali costruiscono progetti. Progetti che aiutano nella vita concreta di ogni giorno, con il lavoro, l’istruzione, la costruzione del futuro, ma nello stesso tempo, progetti politici, che danno strumenti per la consapevolezza dei propri diritti e armi per ottenerli.
Queste donne hanno visto passare sulla loro pelle tutte le fasi della Storia afghana degli ultimi 50 anni. Tutte disastrose per le donne e per chi crede nella giustizia. Non si sono mai perse d’animo, adattandosi, ingegnandosi, penetrando profondamente nel territorio, rischiando ogni giorno e portando avanti la piccola grande luce delle loro idee di libertà.

Abbiamo chiesto a Nafas, una di loro, di aiutarci a decifrare il confuso presente afghano e il suo incerto futuro.

Cosa vogliono ottenere, secondo te, Talebani e Daesh con questa escalation di violenza nel paese?

I talebani hanno molto da guadagnare dall’escalation della guerra, così come i loro mecenati dell’esercito pakistano e i militanti islamisti. Per oltre cinque decenni, in Afghanistan, il Pakistan e gli Stati Uniti hanno creato, nutrito e finanziato congiuntamente vari gruppi fondamentalisti islamici, compresi i talebani e Daesh. Ora che gli Stati Uniti promettono di ritirare i soldati e sembrano liberare alcune delle loro basi militari, i talebani e il Pakistan si danno da fare per riempire questo spazio. Un maggiore controllo territoriale consente ai talebani di ottenere più concessioni durante i negoziati, e quindi una maggiore influenza politica per il Pakistan rispetto ai suoi rivali nella regione.

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Afghanistan, i talebani non rispettano gli accordi denuncia Biden.

Con il cambio dell’amministrazione statunitense si rivedranno i termini degli accordi voluti da Tramp per il ritiro delle truppe? Secondo le donne di Rawa: “Per gli Stati Uniti, una nazione divisa, un governo precario e una situazione instabile in Afghanistan sono l’opzione migliore.qui l’intervista a Nafas attivista di RAWA. [N.d.R.]

REMOCONTRO – 25 gennaio 2021, di Piero Orteca Tele3baqni

Basta bugie a indorare la pillola a uso e vantaggio politico, aveva promesso neppure una settimana fa il neo presidente Usa, e così accade. In casa, prima il Covid poi in resto: a 417 mila vittime, e gli Stati Uniti ripristinano il bando ai viaggiatori dall’area Schengen, dalla Gran Bretagna, dall’Irlanda  e dal Brasile, cancellando la fine delle restrizioni che Trump aveva deciso a partire da domani. E poi nel mondo, Russia e Cina a litigare meno per soldi e più per i diritti umani, e subito l’Afghanistan dove il ritiro di corsa delle truppe Usa deciso da Trump, più che una ritirata sembra una fuga con molti guai attorno, e si va ridiscutere con i talebani.

«La mossa del cavallo»

Nella grande scacchiera della diplomazia internazionale, la Casa Bianca fa “ la mossa del cavallo”. Ci si aspettava che il nuovo Presidente indirizzasse immediatamente la sua attenzione su un’area di crisi prioritaria come il medio oriente o su un altro tema di foreign policy da cui dipendono i destini del pianeta: i rapporti con la Cina, ed esempio. Invece, Joe Biden, spinto dagli esperti che formano la spina dorsale della sua nuova Amministrazione, ha puntato i riflettori sull’Asia Centrale. Il nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, infatti, ha lanciato un primo messaggio inequivocabile, che sarà già rimbombato in tutte le Cancellerie.

Accordi coi talebani da ridiscutere

Gli Stati Uniti sono decisi a rivedere gli accordi firmati da Donald Trump con i talebani in Qatar lo scorso anno. Allora l’intesa raggiunta dall’ex Presidente repubblicano fece rumore, perché arrivò inaspettata e perché si pensò che finalmente potesse essere la chiave per giungere ad una soluzione pacifica del conflitto afghano dopo venti anni. Certo, accanto alla soddisfazione per quella sorta di “ temporary agreement”, furono anche sollevate molte perplessità. Da parte nostra si sottolineò l’estrema difficoltà di trovare interlocutori credibili nella frammentata galassia talebana. Insomma, chi doveva fare rispettare questi accordi alle milizie Pashtun? E soprattutto l’ipotetico referente, avrebbe avuto la forza per imporre le condizioni poste dalla diplomazia americana?

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Afghanistan, così i Talebani addestrano i bambini soldato

La Repubblica – 24 gennaio 2021 – di Pierluigi Bussi

I talebani sono i principali interlocutori dei “cosiddetti” accordi di pace con gli Stati Uniti ma nonostante ciò non sembra che si preoccupino di perdere credibilità internazionale reclutando bambini che secondo lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale sia ritenuto un crimine di guerra. [N.d.R.]

Accade nella provincia di Kunar. I bambini vengono spinti ad usare le armi dagli insorti. Nonostante gli accordi di Doha, gli attacchi non sembrano subire pause, anzi sono aumentati in maniera esponenziale. E con loro sono in forte crescita i reclutamenti dei “bambini soldato”, sempre più utili a stanare le forze di sicurezza afghane senza eccessivi controlli.

In Afghanistan la guerra di propaganda dei Talebani negli ultimi mesi non dà tregua. I bambini delle zone rurali e sperdute del Sud Est afghano sono sempre più presi di mira. Nell’ultimo anno i fondamentalisti islamici hanno il pieno controllo delle provincie al confine con il Pakistan: nonostante gli accordi di Doha, gli attacchi non sembrano subire pause, anzi sono aumentati in maniera esponenziale. E con loro sono in forte crescita i reclutamenti dei “bambini soldato”, sempre più utili a stanare le forze di sicurezza afghane senza eccessivi controlli. 

In questo video i talebani sono in un villaggio della provincia di Kunar situata nella parte sud-orientale dell’Afghanistan al confine con il Pakistan. Incitano i bambini ad usare le armi. Le loro parole in lingua pashto sono inequivocabili. “Questi sono i soldati di Dio e si sacrificheranno per l’amore di Dio,  scacceranno via gli infedeli dall’Afghanistan. I bambini a questa età sono pronti per il sacrificio in nome di Allah, il popolo afghano è con i talebani, sia le donne che gli anziani e soprattutto i bambini aiuteranno i talebani. Con il loro sostegno sconfiggeremo gli infedeli. Allah accetterà il loro sacrificio”. I bambini rispondono con grande fervore. “Allahu Akbar. Viva i talebani e morte al governo afghano e alle milizie locali”.

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Bombe e promesse

Qual è la strategia talebana?

Cristiana Cella, Linda Bergamo, CISDA, 4 gennaio 2021

kabul attentato“Sì, io c’ero. Ero alla mia Università, a Kabul, quella mattina del 2 novembre”. Nashrin ha 21 anni, studentessa alla facoltà di Lettere e Lingue.

“La lezione era sospesa. Qualche minuto di pausa, stavamo chiacchierando. Uno di noi è uscito dall’aula ed è tornato subito indietro, terrorizzato. Gridava di uscire immediatamente, dovevamo scappare. C’era un attacco in corso. All’inizio non lo abbiamo preso sul serio, abbiamo capito qualche secondo dopo, con il rumore assordante degli spari, sempre più vicini, e le urla che rimbombavano nei corridoi. Abbiamo avuto fortuna, siamo riusciti ad uscire dall’ Università. Altri compagni non ce l’hanno fatta, sono rimasti intrappolati, feriti o morti. Ho perso due carissimi amici quella mattina. Ogni giorno ci sono attacchi in Afghanistan, anche all’Università ne avevamo già subiti, ma quando ci sei in mezzo, vedi, senti il terrore e provi il dolore della morte di persone care, la vita non può mai più tornare come prima”. Leggi tutto

Il Governo, si lamentano gli studenti, non fa niente per proteggerli. Né ha fatto nulla per le famiglie degli studenti uccisi o per i feriti. Nemmeno per far fuori i terroristi, tre, ce l’hanno fatta da soli. Sono intervenute le truppe Nato, unità della missione ‘Resolute Support’. Ragazze e ragazzi si sentono abbandonati, lasciati soli ad affrontare la paura e la morte, la scommessa di restare vivi. Ma sono ancora più severi nelle loro accuse.

“Lo stato afghano, continua Nashrin, è implicato in tutti gli attacchi che avvengono nel paese. Non direttamente, come esecutore, ma è complice. Lascia entrare nel nostro territorio armi e esplosivi, lascia fare. Del resto è ovvio. Il Governo è un mercenario degli Usa, del Pakistan, dell’Iran. E gli Usa, da sempre, sostengono talebani e fondamentalisti di tutti i tipi, usandoli come pedine nei loro giochi. Dunque è chiaro che il Governo non si impegni nella sicurezza”.

Talebani e Daesh si palleggiano le responsabilità degli attentati, negando, rivendicando, negando di nuovo. La firma sulla morte non ha alcuna importanza per questi ragazzi che ogni giorno devono lottare per strappare il loro futuro al disastro. Proprio loro sono diventati l’obiettivo più frequente degli attentati degli ultimi mesi.

“C’è una volontà di distruggere l’istruzione – conclude Nashrin – Cercano di annientare la generazione futura, vogliono che restiamo tutti analfabeti, senza coscienza di quello che accade nel paese, incapaci di governarci, per poterci manovrare e instaurare i loro governi fondamentalisti senza ostacoli”.

Dasht-e-Barchi, quartiere di Kabul. Li avevo incontrati un anno fa. Ragazze e ragazzi, seduti per terra insieme, uno accanto all’altra, davanti alla vetrata luminosa che proietta le loro ombre intrecciate. Giovani donne e giovani uomini, seri, impegnati, che sorridono compunti, con i loro occhi a mandorla. Sono tutti hazara, sciiti, molti vengono da Bamyan, dove le persone sono più aperte e più ostili al fondamentalismo.

E questo i terroristi lo sanno.

È qui, in questo quartiere, pieno di casermoni in costruzione e polvere, ai margini della città, che l’attentatore si è fatto saltare in aria, la mattina del 24 ottobre, nell’ora in cui gli studenti entravano nel complesso scolastico. 13 ragazzi morti e decine di feriti. Nella foto, la desolazione del dopo, di ogni attentato: terra bruciata, scarpe spaiate, oggetti personali, macchie scure, plastica bruciacchiata, fogli di quaderni. Chissà se c’erano anche loro, i ragazzi che ho conosciuto, quella mattina alle 8:30? Chissà se sono ancora vivi.

“Aiutiamo gli studenti che arrivano qui a Kabul per la prima volta – mi raccontavano – Vengono dalla guerra, dalla povertà, alcuni da Bamyan come noi. Noi siamo i loro fratelli maggiori, li sosteniamo nelle scelte, troviamo un posto dove farli abitare, un piccolo lavoro. Parliamo molto, trasmettiamo le nostre idee di democrazia e uguaglianza, dei diritti delle donne”.

E anche questo lo sanno i terroristi.

Sono loro, questi ragazzi seri e generosi con le loro idee di resistenza, sono loro i nemici. È questo che talebani e Daesh vogliono colpire. I ragazzi di Dasht-e-Barchi hanno, ai loro occhi, due colpe imperdonabili: sono Hazara, sciiti, e vogliono studiare.

Dall’inizio dei ‘colloqui di pace’ gli attacchi, non solo contro gli studenti, si sono moltiplicati, assediano i civili in ogni spazio della loro vita. Secondo l’Onu, c’è stato un aumento dei massacri del 50% negli ultimi tre mesi. Il primo risultato, delle tanto decantate trattative, per la popolazione, è stato questo.

Un esempio. Solo nell’ultimo mese: il 15 dicembre saltano in aria il vice-governatore di Kabul Mahbubullah Muhibbi e il suo segretario. Contemporaneamente, è ucciso un poliziotto, durante un assalto in un’altra zona della città. Il 13 dicembre in due attacchi separati, con bombe e armi da fuoco, muoiono tre persone. Alla periferia di Kabul una bomba magnetica, attaccata a una macchina, fa quattro vittime, mentre, in un’altra zone della città, viene ucciso un Pubblico Ministero. Lo stillicidio di morte quotidiana della capitale. L’aumento giornaliero degli omicidi ‘mirati’.

Un amico anestesista, che lavora a Kabul, ci confessa, per la prima volta nella sua vita, di avere davvero paura: “Un giorno i terroristi uccidono un giornalista, il giorno dopo un medico, o un procuratore o un insegnante. Possono seguirti, controllarti. Non sai mai se e quando toccherà a te”.

Nelle province gli attacchi talebani continuano, ogni giorno, a mietere vittime nella polizia, nell’esercito, tra i civili.

A quale strategia risponde questa micidiale escalation di orrore?

C’è una logica interna al movimento, blandire i più estremisti, c’è la rivalità con Daesh, la guerra tra loro per il controllo del territorio. Ma non solo.

La violenza è un’arma di pressione per ottenere il massimo dai colloqui di pace. Per sedersi a questo tavolo, i talebani hanno già intascato la promessa della partenza delle truppe Nato e il rilascio di ben 5000 loro compari. Non poco.

Il 2 dicembre, finalmente, gli esponenti talebani e il Governo si sono accordati sulle regole procedurali da seguire durante i colloqui veri e propri, che stanno iniziando dal 5 gennaio a Doha.

Hanno stabilito la legittimità del Governo di Kabul, riconosciuto per la prima volta anche dai talebani. Le risoluzioni dell’Onu e le decisioni prese nella recente Loya jirga saranno la base di partenza per le discussioni comuni. Punto spinoso, e rimasto irrisolto: quale codice islamico costituirà la base giuridica dei negoziati? I talebani pretendono il codice Hanafita ma nella rappresentanza del Governo a Doha, ci sono musulmani sciiti che seguono la scuola giuridica Jafari.

Quali che siano i problemi dottrinali, ai talebani conviene giocare la partita.

Si sentono forti adesso, sono i primi attori della scena, sul palcoscenico internazionale.

La guerra ventennale che ha fatto strage di militari e ha orribilmente ucciso e mutilato migliaia di civili (diecimila solo nel 2019), è stata un successo per la galassia terrorista. Successo politico, diplomatico, militare ed economico. Degli ‘accordi di pace’ approfitteranno al massimo. Sono gli interlocutori degli Usa e del fragile e corrotto Governo di Kabul, siedono nelle hall di Doha insieme agli inviati di Trump, tengono in scacco l’esercito afghano, sempre più sconfitto e demoralizzato, e quelli dell’occidente da 19 anni, governano direttamente quasi la metà delle province afghane e altre le controllano indirettamente, sono diventati economicamente autonomi grazie al sempre più fiorente traffico di eroina, acquistata anche dalle grandi case farmaceutiche dell’Occidente e dei minerali preziosi, al ricco sostegno di donatori stranieri e alla domestica attività quotidiana di estorsioni su piccola e larga scala. Un budget complessivo di circa 1,6 miliardi di dollari all’anno. Molti hanno business e proprietà nel vicino Pakistan. Nelle trattative hanno il coltello dalla parte del manico, saldamente tenuto con la violenza e la brutalità di tanti morti civili. L’escalation impone, sotto la spada del ricatto degli attentati continui, traguardi sempre più alti.

Tratteranno per veder riconosciuto formalmente il potere che di fatto già detengono in quasi metà del paese e una partecipazione più estesa e autorevole al governo. C’è chi prevede che riusciranno anche a cambiare la Costituzione. Molto probabile che ne facciano le spese i pochi articoli a favore dei diritti delle donne.

Il Governo guarda al futuro e si porta avanti, cominciando dai bambini.

“Il Ministero dell’Istruzione – racconta Nadia, di Rawa (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane) – ha rilasciato una dichiarazione secondo la quale tutti gli alunni delle scuole primarie, nei primi tre anni, devono essere istruiti nelle moschee o nelle madrasa per dare agli studenti una “potente identità islamica”. Questa decisione, oltre a permettere ai mullah di molestare sessualmente i bambini piccoli, avrà implicazioni catastrofiche”.

Il traffico di droghe, eroina e anfetamina, la nuova scoperta, continuerà indisturbato a riempire le casse talebane. Nessuno ovviamente lo dice, ma è plausibile che ci sia anche questa clausola negli accordi.

Possono perfino permettersi di non rispettare le promesse, come quella di tagliare i ponti con Al Qaeda. Un documento segreto della Nato, reso pubblico il mese scorso, mostra la consapevolezza degli americani che non si fanno alcuna illusione su questo impegno. Yakoub, il nuovo futuro capo talebano, potrà tranquillamente calcare le orme di suo padre Omar. Il documento conclude che per far fuori i talebani, come è stato per i gangster americani, bisogna colpirne le finanze. Tracciare, bloccare, mandare a monte i numerosi business, soprattutto eroina e minerali preziosi.

20 anni di massacri di militari e civili, uomini, donne, bambini soprattutto, e ci si ritrova come nel 2001, solo che i terroristi sono molto più forti e gli attacchi sempre più sanguinari.

La gente ha paura, soprattutto le donne.

Pashtana è direttrice dell’Orfanotrofio di Afceco, che ospita 62 ragazze.

“Ce lo dice la nostra Storia. Con l’avanzata dei talebani siamo minacciati dal ritorno di un passato spaventoso. Per questo siamo molto preoccupati per i pericoli che assediano le nostre studentesse e per le minacce che riceviamo. In questo momento la sicurezza è una priorità, più urgente del solito, e ci stiamo attrezzando”.

L’Afghanistan del futuro potrebbe essere sempre più simile all’Emirato Islamico di triste memoria e sempre meno a una, anche solo di facciata, democrazia. Un mondo in cui i diritti umani e soprattutto quelli delle donne saranno sacrificati. Se con i ‘colloqui di pace’ cambierà qualcosa, è poco probabile che sia in meglio.