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Autore: Anna Santarello

Per la libertà e la pace in Medio Oriente difendiamo il Rojava

ocalan 7 599x275Libertà per Öcalan e per tutti i prigionieri politici

 Da 21 anni il leader del popolo curdo Abdullah Öcalan è sequestrato nell’isola-carcere di Imrali, in condizione di totale isolamento. Lo scorso anno, grazie alla pressione esercitata dallo sciopero della fame iniziato dalla deputata dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli) Leyla GÜVEN e sostenuto da migliaia di prigionier* politic*, per pochi mesi i famigliari e gli avvocati sono riusciti ad avere accesso all’isola di Imrali. Ciò è durato poco. Dal 12 agosto 2019, Öcalan e gli altri tre prigionieri sono nuovamente isolati dal mondo esterno.

 Negli incontri che in quel breve periodo si sono svolti, Abdullah Öcalan ha fatto ancora una volta concrete proposte per una soluzione politica della questione curda e dato la sua disponibilità per contribuire a un processo che, sulla base della democratizzazione, porti la pace in Medio Oriente, dimostrando di avere un ruolo importante nel far fronte alla situazione attuale che vede venti di guerra ancora più forti e che coinvolgono sempre più territori, dalla Siria fino alle porte di casa dell’Italia e dell’Europa, in Libia.

 La proposta di un sistema democratico multietnico basato sulla parità di genere e sull’ ecologia, come quello realizzato nel Nord – Est della Siria, dove tutti i popoli della regione hanno combattuto per ricercare un modello amministrativo laico, democratico ed egualitario fa paura alle potenze regionali. L’ esperimento del Confederalismo Democratico va quindi difeso dall’invasione turca e dalla pressione delle potenze globali.

Intanto in Turchia aumenta la repressione con il preciso obiettivo di mettere a tacere qualsiasi opposizione democratica. Occupando interi territori in Medio Oriente, Erdogan sta distruggendo la storia e l’identità culturale, provocando esodi di massa di intere popolazioni. Catastrofi umanitarie, come quelle provocate in Siria (ad Afrin prima, a Serekaniye e Gire Spi ora) invase, saccheggiate e occupate da turchi e alleati jihadisti sono la dimostrazione della barbarie del regime di Erdogan che espande le sue mire a tutta l’area del Mediterraneo orientale. L’ invio di mercenari islamisti in Libia è uno strumento col quale esercitare maggiore pressione sull’ Europa, giocando la carta dei profughi e delle risorse energetiche.

È ora più che mai necessario, per la pace in Medio Oriente, far sentire la nostra voce contro il fascismo neo-ottomano di Erdogan. Porre fine all’ isolamento di Abdullah Öcalan significa dare una prospettiva di pace e di democrazia a tutti quei territori martoriati da decenni di guerra, distruzioni e milioni di profughi.
Il 15 febbraio, da Strasburgo a Roma, si terrà la annuale manifestazione europea per chiedere la sua liberazione.

Difendiamo il Rojava per la libertà e la pace in Medio Oriente
Libertà per Ocalan e per tutte e tutti i prigionieri politici

Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia e Comunità Curda di Italia

Afghanistan 2019: annus horribilis

Atlanteguerre.it – 16/1/20

A 10 cacciaIndiscrezioni danno per imminente una tregua ma l’anno appena finito si chiude con un bilancio nefasto per i civili. E per la prima volta esercito afgano e alleati detengono il primato delle vittime civili.
Sebbene, secondo fonti giornalistiche, il leader talebano mullah Hibatullah Akhundzada si sarebbe detto d’accordo con una riduzione di sette giorni della violenza in Afghanistan a condizione che venga firmato un accordo di pace con gli americani, il 2019 si è chiuso per il Paese nella maniera più nefasta per le vittime civili della guerra*. Lo dice Human Rights Watch nel suo World Report 2020.
L’organizzazione di monitoraggio dei diritti umani scrive in proposito che gli attacchi delle varie parti coinvolte nel conflitto armato hanno causato nel 2019 danni devastanti alla popolazione civile e che, per la prima volta, i decessi causati dall’esercito nazionale afgano e dalle operazioni degli Stati Uniti hanno superato quelli causati dai talebani nella prima metà del 2019. Effetti dovuti in gran parte al forte aumento dei raid aerei statunitensi.

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GIORNATA INTERNAZIONALE DEGLI AVVOCATI IN PERICOLO – AVVOCATI DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI

Venerdì 24/1/2020 ore 15,00-18,00 (registrazione ore 14,30)
Salone d’Onore del Comune di Cuneo

Comitato Pari Opportunità del Consiglio dell’Ordine Avvocati di Cuneo
GIORNATA INTERNAZIONALE DEGLI AVVOCATI IN PERICOLO – AVVOCATI DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI

Saluti istituzionali
Avv. Claudio Massa -Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Cuneo
Avv. Cristina Clerico – Assessore per le Pari Opportunità del Comune di Cuneo
Introduce e modera
Avv. Sara Tomatis Presidente Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Cuneo
Ruolo dell’Avvocato difensore dei diritti umani e tutela costituzionale. Ruolo dell’Osservatorio Internazionale Avvocati in Pericolo (OIAD)
Avv. Claudio Massa – Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cuneo
Sotto un cielo di stoffa. Avvocate a Kabul
Cristiana Cella – giornalista e scrittrice con lunga esperienza di Afghanistan (membro CISDA)

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Insieme si può: entro il 2020 nuova clinica in Afghanistan

Telebelluno.it – 15 gennaio 2020

Entro fine anno Insieme si può darà vita in Afghanistan ad una clinica dove verranno offerte cure mediche essenziali ed educazione sanitaria di base per garantire una speranza di vita in particolare a donne e ai bambini. Oltre 111 mila Euro il valore del progetto.

Video

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Malalai Joya, una vita da clandestina per la libertà e la giustizia in Afghanistan

Globalist.it – 14 gennaio 2020

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Era deputata del Parlamento afghano da dove fu espulsa per i suoi attacchi ai Signori della Guerra. Anche i talebani vorrebbero ucciderla. Ma lei continua la sua battaglia.

di Cristiana Cella

L’Afghanistan, quasi ignorato, come sempre, dai media, potrebbe  essere coinvolto nell’inasprirsi dei rapporti tra Iran e Usa. Il paese ospita il contingente più numeroso di militari americani (13.000) nell’area, che hanno installato sul territorio numerose  basi aeree a due passi dal confine iraniano. Teheran è presente in Afghanistan con una forte penetrazione culturale e religiosa e sostiene ed arma, come tutti gli altri attori sullo scacchiere afghano, i suoi gruppi di talebani che operano  nella regione occidentale del paese.

Ognuno le sue pedine, nella propria guerriglia per procura. I progressisti afghani non credono che ci sarà una guerra tra Iran e Usa,  che non conviene a nessuno dei due, ma la tensione è più alta del solito. E’ utile ascoltare la voce di una coraggiosa attivista che si batte per i diritti e la democrazia fin da quando faceva parte del Parlamento afghano come deputata di Farah: Malalai Joya, espulsa da quel Parlamento per i suoi attacchi ai Signori della Guerra. Una voce scomoda per molti che la costringe a una vita difficile e nascosta, l’alto costo per la sua scelta di resistenza.

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Sabato 25 gennaio 2020 giornata di mobilitazione internazionale per la pace

Arci.it  14 gennaio 2020

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‘Spegniamo la guerra, accendiamo la Pace!’   contro le guerre e le dittature a fianco dei popoli in lotta per i propri diritti.

“La guerra è un male assoluto e va ‘ripudiata’, come recita la nostra Costituzione all’Art. 11: essa non deve più essere considerata una scelta possibile da parte della politica e della diplomazia”.

Il blitz del presidente Trump per uccidere il generale iraniano Soleimani, il vicecapo di una milizia irachena ed altri sei militari iraniani, è un crimine di guerra compiuto in violazione della sovranità dell’Iraq. Insieme alla ritorsione iraniana si è abbattuto anche sui giovani iracheni che da tre mesi lottano contro il sistema settario instaurato dall’occupazione Usa e contro le ingerenze iraniane, in un paese teatro di guerre per procura ed embarghi da decenni.

Irak, Iran, Siria, Libia, Yemen: cambiano i giocatori, si scambiano i ruoli, ma la partita è la stessa.

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Afghanistan, droni assassini e Resolute Support

Enrico Campofreda – Blog – 10 gennaio 2020

droneColpito, esploso, bruciato. Ieri un leader talebano è finito come il generale Soleimani, disintegrato da un drone statunitense nella provincia occidentale afghana di Herat.
Si chiamava Nangyalay, era un mullah. Ma un deputato del Consiglio provinciale ha ricordato che nell’azione “mirata” sono rimasti uccisi anche sessanta civili.
Si registra anche un numero imprecisato di feriti. I missili lanciati sono stati numerosi e hanno investito l’area abitata di Shindand. Il capo talib ucciso apparteneva alla fazione del mullah Rasool.

L’operazione rientra nelle iniziative della missione Resolute Support che ha cinque anni di vita e con cui la coalizione Nato presente sul territorio sostiene di “contribuire ad addestramento, assistenza e consulenza delle Istituzioni e delle Forze di Sicurezza afghane, al fine di facilitare le condizioni per la creazione di uno stato di diritto, Istituzioni credibili e trasparenti e, soprattutto, di Forze di Sicurezza autonome e ben equipaggiate, in grado di assumersi autonomamente il compito di garantire la sicurezza del Paese e dei propri cittadini”.

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La morte di Soleimani complica la pace in Afghanistan

Segnaliamo questo articolo di Giuliano Battiston perché ci sembra interessante per le fonti che utilizza molto accurate sulle questioni interne talebane. Anche se come sempre ci dicono le nostre fonti afghane il processo di pace tra USA e talebani che tanti commentatori, compreso Battiston, danno come unica speranza per una pace in Afghanistan non è certo fatto per la popolazione civile ma per dare modo agli Stati Uniti di lasciare il paese senza perdere “la faccia”. L’impegno del Cisda rimane sempre quello di segnalare le notizie ma di dare anche una lettura critica secondo i contatti che abbiamo costantemente con persone e organizzazioni con cui collaboriamo e che in Afghanistan lottano per una vera pace per tutto il popolo afghano.

afghanistan studentsISPI – 8 gennaio 2020, di Giuliano Battiston

Tra i fronti sui quali peseranno le conseguenze dell’uccisione del generale Qassem Soleimani ce n’è uno cruciale, pressoché trascurato dai media italiani, meno invece da quelli internazionali: l’Afghanistan.

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L’uccisione di Sulaimani – Come il macellaio del popolo è diventato un eroe antimperialista

Hawzhin Azeez – hawzhin.press – 4 gennaio 2020

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Viviamo in un mondo in cui spesso ci si dimentica che possono coesistere più verità allo stesso tempo. In un momento storico in cui i media continuano a riportare gli stessi slogan e titoli a favore della guerra e in cui gli enormi fallimenti delle sinistre sono sotto gli occhi di tutti, la verità viene spesso ridotta a una semplicistica dualità manichea: bianco/nero, o/o, prospettiva USA/prospettiva Iran.

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“Né con gli Usa, né con l’Iran”: accanto ai cittadini iracheni

Sara Manisera – Dinamo Press – 4 gennaio 2020

Iran

Non ci sono buoni da una parte e cattivi dall’altra: sono sempre i popoli a pagare le politiche di forza dei governi, in tutto il Medio Oriente

 

In Iraq da tre mesi ci sono proteste che rivendicano il cambio di un sistema politico che dal 2003 ha alimentato le divisioni su base confessionale. Tre mesi raccontati poco. L’attenzione internazionale è arrivata solo con l’uccisione del generale Sulaimani. Ora più che mai occorre sostenere chi si ribella

Quasi 500 morti e 20.000 feriti. Senza contare il numero di attivisti/e, avvocati, difensori per i diritti umani uccisi, minacciati e costretti alla fuga. Da parte delle forze di sicurezza e milizie.

È questo il bilancio delle manifestazioni pacifiche che dal 1 ottobre hanno attraversato tutto l’Iraq. Da Baghdad fino a Basra, passando per Najaf, Kerbala, Babel, Nasiriyah, Amara e Muthana. Tre mesi di proteste pacifiche da parte di cittadini che rivendicano diritti, giustizia sociale e il cambio di un sistema politico che dal 2003 ha alimentato le divisioni su base confessionale in Iraq. Tre mesi raccontati e documentati da pochi, pochissimi giornali, media e organi di informazione.

Iraq

Eppure questa mattina tutti, ma proprio tutti, hanno avvertito l’esigenza di scrivere e condividere la propria analisi, commento e pronostico sull’attacco statunitense che ha ucciso ieri notte a Baghdad il comandante dell’unità al Quds Qassem Sulaimani e Abu Mahdi al-Muhandis vice capo delle Forze di Mobilitazione Popolare (PMU).

Da giornalista impegnata a raccontare la società civile irachena dal 2015, ci sono un paio di cose che reputo faziose, ingiuste e fallaci di tutta questa narrazione.

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