Fra lo studente universitario di Kabul e lo studente coranico (talib) che l’uccide c’è il comune denominatore dell’età: sono entrambi giovani. Seguono corsi differenti. Quelli morti stamane, mentre s’apprestavano ad entrare nelle aule, cercano nella cultura un’arma di riscatto in un Paese condannato all’instabilità eterna proprio da coloro che si vantano di parlare di pace. Quelli che indossano il turbante della tradizione affermano di difendere l’Afghanistan ammazzandone i fratelli.
Segnaliamo questo articolo per mettere in evidenza come alcune donne sono usate per dare una parvenza di apertura ai diritti delle donne in Afghanistan facendo partecipare ai cosiddetti “colloqui di pace” con i talebani alcune donne che sono legate o a partiti fondamentalisti o a signori della guerra o a trafficanti di droga, Sul nostro sito cisda.it nella pagina controvento (Jamila Afghani) si possono trovare le biografie “alternative” di questi personaggi e vi invitiamo a anche l’articolo di Enrico Campfreda “Afghanistan, donne che avversano le donne” sempre su questo sito.
Segnatevi questo nome: Jamila Afghani. Di lei sentiremo molto parlare, e non solo perché sta promuovendo a tutti i costi – e costi quel che costi – l’empowerment femminile in Afghanistan. Reduce da due giorni di panel discussion a Doha, in Qatar, Al Jazeerariporta quanto affermato dalla giovane attivista al meeting che l’ha vista difendere con le unghie e con i denti il ruolo delle donne nella società islamica odierna.
Un gruppo di sospetti talebani arrestati a Ghazni, in Afghanistan, lo scorso 8 luglio
KABUL. I talebani in Afghanistan dichiarano guerra alla stampa. L’Emirato Islamico ha diffuso un avvertimento, in cui intima ai media di smettere di diffondere propaganda pro-governativa. I giornalisti di stazioni radio e canali televisivi devono immediatamente interrompere questo tipo di attività mediatica.
Nella commedia dei colloqui per la pace afghana, di cui s’è recentemente concluso a Doha il settimo giro di giostra, erano presenti bene in vista alcune rappresentanti della società civile del martoriato Paese mediorientale.
L’onnipresente Fawzia Koofi, Habiba Sarabi e alcune new entry: Asila Wardak, Mary Akrami. La presenza di queste figure che ricoprono incarichi ufficiali – Koofi nella Commissione per i diritti umani, Sarabi da vice presidente dell’Alto Consiglio di pace, mentre Wardak è egualmente rappresentante dell’Alto Consiglio di pace e Akrami dichiara di organizzare rifugi per donne abusate – è stata posta sotto i riflettori sia dal gran cerimoniere del ciclo d’incontri per parte statunitense Zalmay Khalilzad, sia dal sistema mediatico internazionale tutto rivolto a esaltare il grande passo compiuto dai talebani nel sottoscrivere una “road-map” che parla di diritti delle donne in campo politico, sociale, economico, culturale.
Care compagne e sorelle, è un grande onore per me essere ancora fra di voi in un’altra conferenza CISDA. È molto importante per Rawa partecipare agli incontri CISDA poiché permette di stare coi nostri grandi supporters in Italia e scambiarci idee su come affrontare la causa comune che condividiamo.
Inoltre è inestimabile per noi ospitare le amiche/ci italiani in Afghanistan. Nonostante i problemi di sicurezza le delegazioni dei membri del CISDA cercano di vedere la realtà sul campo e ciò che RAWA sta facendo. Tutto ciò fa comprendere la situazione e la lotta dura che i membri di RAWA affrontano nell’Afghanistan attuale. Inoltre visitando le attività di RAWA in Afghanistan le compagne si rendono conto di come aiutare le donne afghane. Ad esempio le amiche CISDA quando nel 2018 visitarono un villaggio remoto nell’est del paese si resero conto della necessità di realizzare una clinica in quell’area. Si resero disponibili subito, raccolsero i fondi, tornarono di nuovo quest’anno e misero la prima pietra per la costruzione. La clinica è ora in costruzione e speriamo sia funzionante molto presto.
Erano le prime ore della mattina oggi a Kabul quando in pieno centro, area di Shah Darak – dov’è il ministero della Difesa oltre a quello degli Affari Esteri e alcune ambasciate occidentali (Germania, Francia) – è esploso l’ennesimo camion-bomba. Le strade risultavano già trafficate da auto e passanti infatti si registrano dieci vittime e una settantina di feriti, fra cui dieci bambini. Subito dopo la deflagrazione, secondo un copione consolidato, tre miliziani armati sono penetrati nell’ingresso dell’edificio governativo ingaggiando un conflitto a fuoco con un reparto dell’esercito afghano posto a guardia della struttura.
Il gip si pronuncia a favore della capitana della nave Ong. Salvini dispone l’accompagnamento coatto alla frontiera ma l’espulsione deve essere convalidata dalla Procura che non ha concesso il nullaosta
Una giornata in lunghissima attesa. Poi alle otto di sera il verdetto della gip di Agrigento Alessandra Vella. Carola Rackete, la comandante della Sea-Watch 3 torna libera dopo quattro giorni trascorsi agli arresti domiciliari. Il gip è andata ben oltre la richiesta dei pm, non convalidando l’arresto della comandante della Sea Watch, Carola Rackete, escludendo il reato di resistenza e violenza a nave da guerra e ritenendo che il reato di resistenza a pubblico ufficiale sia stato giustificato da una “scriminante” legata all’avere agito “all’adempimento di un dovere”, quello di salvare vite umane in mare. Viene dunque meno la misura degli arresti domiciliari deciso dalla procura che aveva chiesto la convalida della misura restrittiva e il divieto di dimora in provincia di Agrigento.
La capitana della Sea Watch 3 ha garantito la sicurezza delle vite salvate in mare: che il Governo protegga e sostenga chi lavora per difendere la dignità umana.
La rete “In Difesa Di – Per i diritti umani e chi li difende” esprime la sua grave preoccupazione per i provvedimenti giudiziari, gli attacchi verbali di stampo sessista, e la campagna d’odio e di delegittimazione nei confronti della difensora dei diritti umani Carola Rackete e dell’equipaggio della nave umanitaria Sea Watch 3.
Nella mattina di oggi, 24 giugno, sul sagrato della Basilica di San Miniato si è svolta una cerimonia laica durante la quale centinaia di persone si sono strette intorno ai genitori di Lorenzo ‘Orso’ Tekoser.
È andata bene, benone oltre ogni speranza per il sindaco dei 18 giorni Ekrem Imamoğlu. Quanto gli era stato tolto da un Consiglio Elettorale Supremo molto compiacente ai voleri del Sultano glielo restituisce l’odierno voto popolare, con un cospicuo conforto.