Alfred McCoy – The Guardian – 9 gennaio 2018 – Trad. di Ester Peruzzi, Lucia Olimpia, Elena Boraschi, Claudia Pisello, Giulia Rodari e Cristina Cangemi.
Dopo sedici anni e un trilione di dollari spesi, il conflitto sembra non avere fine, ma gli interventi dell’Occidente hanno reso l’Afghanistan il primo vero narco-Stato al mondo.
Dopo aver combattuto la guerra più lunga della storia, gli Stati Uniti si trovano sull’orlo della sconfitta in Afghanistan. Com’è possibile?
Il docufilm è diretto da Benedetta Argentieri, giornalista indipendente e reporter di guerra: “Quando mi chiedono com’è essere una donna al fronte non riesco a capire perché ci sia sempre una disparità nella narrazione tra una donna e un uomo che sceglie, consapevolmente, di andare in una zona di guerra, come purtroppo dimostrata il dibattito italiano su Silvia Romano, a cui dedico un pensiero”
“Ci sono dei segnali che noti in una giovane donna quando passa da vittima a difensore: la sua voce diventa più forte, il pianto comincia a fermarsi, e poi dice no, oggi non piangerò”.
Ghaffar come valuta Hambastagi il possibile accordo di pace fra statunitensi e talebani?
Lo consideriamo il solito gioco americano: pace senza giustizia… La verità è che Stati Uniti e Nato non vogliono pacificare il nostro Paese, puntano a cronicizzare la destabilizzazione per farne un terreno di scontro coi giganti russo e cinese.
Tre Paesi diversi, tre storie diverse, tre modi di lottare diversi, ma con un punto in comune: sono donne forti e coraggiose che non accettano di vivere in una società ingiusta.
A Dasht-e Barchi, area ovest di Kabul stamane sopraggiungeva un bel manipolo di uomini che contano, in gran parte signori della guerra (Mohaqiq, Salahuddin Rabbani), l’ex presidente Karzai, i vicepresidenti Abdullah e Qanooni, i candidati alle presidenziali Atmar e Pedram.
Avrebbero preso parte alla commemorazione di Ali Mazari, leader dell’Hezb-e Wahdat e signore della guerra sul versante dell’etnìa hazara, ucciso 24 anni fa negli strascichi della guerra civile. Eliminato dai talebani prima della loro presa del potere.
Per la festa della donna #8marzo condividiamo il messaggio che ha mandato per tutte le donne di Insieme si può una donna straordinaria: Selay Ghaffar.
Attivista afghana che lotta per i diritti umani, in particolare delle donne. Oggi è la portavoce del Solidarity Party afghano, unica espressione realmente democratica nel panorama politico afghano.
Ha collaborato con Insieme si può in diversi progetti in Afghanistan per la tutela, protezione e alfabetizzazione delle donne.
Alla vigilia della Giornata Internazionale delle Donne, le nostre ragazze a Kabul stanno aspettando con impazienza l’arrivo di 32 nuove bambine che si uniranno all’orfanotrofio Mehan la settimana prossima.
Tutte le ragazze e le vedove dell’orfanotrofio Mehan ti augurano il meglio e una vita di successo in questo giorno davvero speciale… Felice giornata delle donne!
Non tutti sanno che Afceco lavora anche per le vedove. Le nostre donne, rimaste vedove, sono forti, amorevoli e profondamente impegnate per i bambini dell’AFCECO.
Sono le fondamenta e la forza dei nostri orfanotrofi.
Nel Nord della Siria il popolo curdo sta realizzando una forma di democrazia di grande significato:
Partecipazione di tutti fin dal livello del piccolo villaggio (“La Comune”)
Amministrazioni democratiche ricche e articolate a ogni livello (“confederalismo democratico”)
Centralità della liberazione delle donne (principio della doppia carica: un uomo e una donna in qualunque organismo)
Principio di pluralità e rispetto della diversità (di genere, etnica, religiosa)
Politiche ecologiche di salvaguardia dell’ambiente, e sobrietà degli stili di vita.
Tutto ciò – quasi incredibilmente – in una situazione in cui i curdi vengono minacciati di sterminio: prima da parte dell’ISIS – che le milizie curde hanno sconfitto – e oggi da parte della Turchia.
MILANO, SABATO 16 MARZO – ORE 15.30 Centro Culturale “Concetto Marchesi” – Via Spallanzani 6 (MM1 Venezia)
Interverranno TANRIKULU OZLEM dell’Ufficio Informazioni del Kurdistan in Italia
NURSEL AYDOGAN già deputata HDP
STEFANIA BATTISTINI giornalista RAI, autrice del documentario, “Liberi da Isis. Viaggio nel Rojava”, di cui proietteremo una parte.
Coordina Sergio De La Pierre
Promuovono: UIKI, Associazione Culturale Punto Rosso, Associazione Fonti di Pace, Laboratorio di Democrazia Partecipata, Società dei territorialisti e delle territorialiste
Aderiscono: CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno alle Donne Afghane), Centro Culturale “Concetto Marchesi”, Rete Jin – Solidarietà alle donne curde
A un mese dal primo incontro preliminare con l’inviato statunitense per il processo di pace Zalmay Khalilzad, dal 25 al 27 febbraio e poi ancora sabato 2 marzo 2019 i talebani hanno riaperto le porte del loro ufficio politico di Doha, la capitale del Qatar. Il quinto dell’ultima serie di incontri avviati dagli Stati Uniti e dai talebani nell’estate del 2018, ma che hanno escluso il governo afghano.
I colloqui di Doha sono stati i più importanti, tra i molti avvenuti durante tutta la guerra, sia per il livello delle delegazioni, sia per i risultati in termini di convergenza di intenti, benché con tempi e modalità differenti. Colloqui che però, a fronte delle aspettative, non hanno portato a un accordo condiviso: «Finora non vi è stata convergenza su alcun accordo o documento» ha dichiarato il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, il 3 marzo. Dunque, tutto rinviato ai prossimi incontri.
Gli “special rapporteurs” delle Nazioni unite esprimono preoccupazione per i ripetuti episodi di xenofobia e per gli attacchi del governo alle Ong e ai difensori dei diritti degli immigrati.
“Riconosciamo il ruolo importante ed esemplare che l’Italia ha giocato salvando i migranti in mare negli ultimi anni e riconosciamo le sfide del paese in assenza di una politica globale dell’Unione europea di solidarietà con gli Stati membri alle frontiere esterne dell’Unione europea. Tuttavia, crediamo che queste circostanze non possono essere usate come una giustificazione per violare i diritti umani dei migranti e mancare di rispetto agli obblighi internazionali”.Per gli ‘Special rapporteurs’ dell’Onu, dunque, l’Italia viola i diritti umani dei migranti e le norme internazionali.