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Autore: Anna Santarello

IL CISDA ESPRIME SOLIDARIETÀ AL COSPE

cospe logoIl Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane desidera esprimervi piena solidarietà contro le accuse che vi sono state mosse sotto il segno di una continua criminalizzazione della società civile e delle Associazioni che operano per la solidarietà internazionale.

Vi siamo vicine e vi salutiamo con stima e affetto.

L’associazione ha lanciato un comunicato stampa, che pubblichiamo qui di seguito.

La Lega Toscana all’arrembaggio dell’Aquarius. Nella foga di cercare nemici, sbaglia mira e affonda!

Un’interrogazione, quello di di Jacopo Alberti rappresentante della Lega in Regione Toscana, basata su notizie false e frammentarie. Che nasce con il solo intento di criminalizzare, ancora una volta, la solidarietà e le realtà che lavorano in questo ambito nel nostro paese. Qui di seguito la nostra risposta! Molte gli attestati di solidarietà che ci stanno arrivando.

Abbiamo appreso nei giorni scorsi la notizia dell’interrogazione al Consiglio Regionale della Toscana del consigliere della Lega Jacopo Alberti, rispetto ai fondi che la Regione Toscana ha erogato alla nostra ONG. Come è noto i fondi regionali sono erogati con avviso pubblico, così come i risultati e il resoconto dettagliato delle spese effettuati sui progetti sono di pubblico dominio. Non staremo quindi qui ad elencare i progetti presentati e regolarmente aggiudicati, così come i numerosi risultati raggiunti con trasparenza e molto lavoro qualificato e molto altro volontario e appassionato alle cause in cui crediamo.

Stupisce invece che il Consigliere Alberti prima e oggi alcune testate abbiano basato un’interrogazione e degli articoli su notizie false e sillogismi che farebbero rabbrividire il povero Aristotele. COSPE rivendica con orgoglio il fatto di aver sostenuto la nascita di Sos Mediterranée Italia sebbene non abbia mai contribuito finanziariamente alle attività ma solo con il lavoro volontario di attivisti della nostra ONG. Sos Mediterranée è l’organizzazione europea che dal febbraio 2016 gestisce le operazioni di salvataggio di migranti nel Mediterraneo – in coordinamento con la Marina Militare Italiana e il MRRC (Maritime Research and Rescue Centre) – con la nave Aquarius ed ha salvato 27.746 persone nel Mediterraneo.

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AFGHANISTAN: I TALEBANI SONO CONTRO LE ASSOCIAZIONI UMANITARIE PERCHÉ NON APPARTENGONO ALL’UMANITÀ

di Atai Walimohammad – Pressenza.com – 1 ottobre 2018

Screenshot 2018 10 01 20 52 43 1 720x487Circa 15 milioni di persone – metà della popolazione – vivono in aree controllate dai talebani o in cui i talebani sono apertamente presenti e fanno regolarmente attività militari. Lalpur è un distretto che subisce attacchi giornalmente. Parliamo con Malak Meran Jan capo dei villaggi del distretto di Lalpur nella provincia di Nangarhar; un uomo che ha sempre accusato gli americani di essere dietro all’instabilità della provincia di Nangarhar. Abbiamo realizzato l’intervista per mezzo di un amico giornalista afghano che preferisce restare anonimo per motivi di sicurezza.
 
Com’è la situazione?
Quando usciamo di casa, siamo incerti se torneremo vivi. Le esplosioni, il terrore e i talebani fanno parte della nostra vita quotidiana. I talebani hanno fatto saltare la sede di “Save the Children” a Jalalabad perché non vogliono che i bambini vengo istruiti, medicati e aiutati dal punto di vista umana, i talebani sono contro tutte le associazioni umanitarie perché loro non appartengono all’umanità e per questo spargono sangue come per godersi la vita quotidiana.
 
Come sta cambiando la situazione nel vostro settore?
I talebani hanno armi pesanti e sono molto tecnologici, gli americani forse pensano che siamo ciechi e sordi e per questo la situazione sta peggiorando; i talebani stanno diventando più forti del 2001, la situazione attuale è terribile, le scuole e le università sono state chiuse, i contadini sono costretti a coltivare l’oppio, non vediamo da quasi 3 anni il governo afgano, i nostri bambini non possono uscire dalle case, se escono vengono rapite e messi nei centri di addestramento per farli diventare kamikaze. Dobbiamo obbedire ai talebani se no altrimenti ci sgozzano, bisogna portare la barba, non ascoltare la musica, fare le preghiere e nulla altro. I talebani non sanno niente del Corano e lo vediamo tutti giorni, la maggior parte dei talebani non sanno nemmeno leggere il corano, ma ci impongono una legge che la chiamano islamica ma non ha nulla a che vedere con l’Islam.

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AFGHANISTAN: I BAMBINI PAGANO IL PREZZO PIÙ ALTO DELLA GUERRA

di Atai Walimohammad – notiziemigranti.it – 2 ottobre 2018

children 63175 1280 800x445Effetti della guerra sui bambini afgani e Perdita di fiducia
La perdita della fiducia è una delle conseguenze del conflitto: i bambini e i giovani possono perdere la fiducia, negli altri e nel futuro. Spesso diventano ansiosi, depressi e, in certi casi, aggressivi.
Milioni di bambini e giovani in tutto il mondo specialmente in Afghanistan sono coinvolti in conflitti armati. Ogni giorno si confrontano con violenza, pericolo, sfruttamento, paura e perdita. Molti bambini sono costretti a fuggire. Alcuni testimoniano la morte dei propri cari.

Alcuni sono costretti a farsi reclutare con i gruppi terroristici come TALEBANI e ISIS o a premere il grilletto da soli. Le comunità sono divise e non possono più fornire un ambiente sicuro per i bambini. Gli adulti sono impegnati a sopravvivere, i genitori hanno poco tempo per i loro figli o la maggior parte dei bambini hanno perso i loro genitori. Le scuole e i parchi giochi sono danneggiati o rilevati da gruppi armati, e i giocatoli dei bambini sono i veri armi.

Diritti Violati
Durante il conflitto, i diritti dei bambini e dei giovani sono violati su vasta scala; i loro diritti di essere protetti dalla violenza, dall’abuso, dall’abbandono, dallo sfruttamento di essere usati come bombe umane.

Le scuole spesso diventano bersagli, i giovani afghani vivono e lavorano sulle strade, ed il governo afgano e la comunità internazionale non fa molto per proteggerli.

Generazioni di bambini hanno pagato il prezzo più alto in un paese che ha perso la pace fin dagli anni ’70. Un rapporto del New York Times dell’aprile 2018 citava la violenza diffusa come motivo principale della dispersione scolastica.

L’Afghanistan rimane sospeso nello spazio liminale tra conflitto e ripresa, e nonostante miliardi di dollari siano stati pompati in sforzi di ricostruzione finanziati a livello mondiale. L’ultima valutazione del governo degli Stati Uniti ammette che gli obiettivi di crescita e stabilizzazione che le sue agenzie umanitarie hanno promulgato in un conflitto incessante potrebbero essere “non realistici“.

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LA TURCHIA INCARCERA PLURIPREMIATO REGISTA CURDO.

Rete Kurdistan Italia – di Ari Khalidii – 30 settembre 2018

sehir 700x325Un tribunale turco nella città curda di Diyarbakir sabato ha rimandato in detenzione il regista Giyasettin con l’accusa di terrorismo. Agendo su mandato di un procuratore locale, la polizia ha arrestato Sehir durante una perquisizione nella sua abitazione tre giorni fa.

È stato accusato di essere membro di “organizzazione terroristica” evidentemente in riferimento al partito armato dei lavoratori del Kurdistan (PKK) senza ulteriori dettagli disponibili a riguardo del caso nei suoi confronti prima della prossima udienza giudiziaria.

Sehir aveva ricevuto il premio come migliore regista al Film festival internazionale Golden Orang nella città di Antalya nel 2011 per il suo ruolo nella realizzazione del film curdo “Meş” , Il cammino.

Meş è un film che racconta la vita della gente comune intrappolata nella città curda di Nusaybin durante il dominio della giunta militare turca che aveva preso il potere e la sua brutale repressione negli anni 80.

Sehir è anche uno de fondatori del Centro Dicle e Firat che forma giovani nel cinema, nella musica, nella danza e nel teatro.

Il regime del presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha chiuso il centro unitamente a centinaia di altre associazioni curde nel 2016, a seguito del fallito colpo di stato contro il governo.

La detenzione di Sehir, in attesa di processo, giunge dopo che un altro tribunale turco ad Istanbul ha condannato il cantante curdo-tedesco Ferhat Tunc a due anni di carcere.

Il reato di Ferhat Tunc è stato quello di aver dato voce sui social media al sostegno alle Unità di protezione del popolo (YPG) che combattono lo Stato Islamico in Siria.

AFGHANISTAN, URNE E BUCHI ELETTORALI.

Dal Blog di Enrico Campofreda – 29 settembre 2018

Sama 0A meno d’un mese dalla scadenza, fissata per il 20 ottobre, parte la campagna elettorale per i 249 seggi da assegnare alla Wolesi Jirga, la Camera bassa del Parlamento afghano. Secondo la Commissione elettorale i 2500 candidati, fra cui 400 donne, possono iniziare la propaganda. Lo fanno direttamente o con l’ausilio di sostenitori issando cartelloni e affiggendo proprie immagini dov’è possibile, anche su muri di edifici privati, talvolta entrando in conflitto coi proprietari.

Per tale pratica fuori da normative di legge, peraltro fumose, sono previste multe fino a 100.000 afghani. Multe simboliche più che onerose, visto che il massimo della quota corrisponde a un euro e quattordici centesimi. I candidati più navigati tengono anche pubbliche concioni, in genere in luoghi chiusi per ovvie ragioni di sicurezza. I 5.100 seggi saranno vigilati da 55.000 militari, cui si potranno aggiungere circa 10.000 riservisti.

Non è chiaro se alla scadenza si voterà in tutte le province o verranno escluse quelle controllate dai talebani, che non si sono fatti convincere dalle carezze diplomatiche governative e guardano con spregio alla consultazione. Parecchi candidati si rivolgono ai gruppi etnici, minoritari o meno, sebbene ce ne siano altri che contestano quest’approccio, sottolineando la piena apertura a qualsiasi etnìa e puntando sul concetto di nazione.

C’è anche chi pone temi come il sostegno di chi si occupa delle sicurezza, dunque l’Afghan National Army, attraverso la donazione del sangue per i militari che pongono la vita al servizio del Paese. Nonostante il populismo diffuso qualche vecchia volpe del logoro scenario politico mette i piedi nel piatto, criticando Ghani e Abdullah e accusandoli di pensare alle proprie tasche più che agli interessi del Paese. Tutto vero.

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AFGHANISTAN, LA GUERRA DIMENTICATA: DIECI BAMBINI MORTI SOTTO LE BOMBE.

Globalist – 27 settembre 2018

00050453 una bambina afghanaUn’intera famiglia (12 in tutto) sepolta interamente sotto le macerie della propria casa dopo l’ennesimo raid criminale.

Una guerra dimenticata, un paese destabilizzato per l’insieme di tante circostanze, divisioni storiche e colpe collettive.
Un paese che vive sotto le bombe e nel quale tutti sono contro tutti e del quale ci ricordiamo solo per respingere i profughi afgani che fuggono in Europa, forse perché anni di ‘missioni di pace’ hanno solo fatto proliferare la guerra.

“Domenica scorsa nella provincia di Wardak, Afghanistan, 12 civili sono rimasti vittime di un attacco aereo, 10 di questi erano bambini. Un’intera famiglia sepolta interamente sotto le macerie della propria casa”. Lo ha detto Andrea Iacomini, Portavoce dell’Unicef Italia.
“Sono solo le ultime vittime di un conflitto che solo nel 2017 ha causato la morte di 861 bambini, prodotto 2.300 i feriti di cui moltissimi mutilati, per non parlare dei circa 100 casi di bambini reclutati come soldato. Numeri che danno i brividi”, continua Iacomini.

“Eppure dell’Afghanistan si parla poco, nonostante sia un paese travagliato da una guerra che dura più di 10 anni e la popolazione sia costantemente sotto attacco. Solo nell’ultimo anno sono stati registrati ben 58 attacchi agli ospedali, 16 alle scuole per non parlare di chi, come la famiglia di Wardak, è rimasto schiacciato tra le mura della propria casa. Chi sopravvive alle bombe deve fare i conti con la siccità, che nell’ultimo anno ha interessato 2/3 del paese, la carenza di cibo e il sopraggiungere di malattie causate dalla mancanza di acqua potabile”.
“Apriamo gli occhi su questa strage: i bambini afghani sono le prime vittime di una guerra che non hanno voluto” ha concluso Iacomini.

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA PACE INDETTA DALL’ONU

Traduzione a cura di Alessia Palmiero

Intervento di Samea Walid, Rawa

A nome dell’associazione RAWA e di tutta la popolazione afghana vorrei esprimere la mia gratitudine agli onorevoli amici del centro Balducci per il loro grande supporto negli ultimi dieci anni e ringraziarli per avermi invitata a parlare delle “ Donne afghane e distruzione della pace e della giustizia sotto l’occupazione della NATO”.

Abbiamo sempre sottolineato quanto siano inestimabili per noi la solidarietà e il sostegno dei nostri amici, specialmente in Italia. il vostro sostegno ai partiti democratici e secolari e alle organizzazioni in Afghanistan in un momento in cui questi corpi sono stati completamente ignorati e soppressi dagli imperialisti americani e il loro regime fantoccio è molto importante.
L’America imperialista e i suoi alleati della NATO avevano pianificato l’invasione del nostro bistrattato paese e la letale guerra contro la nostra gente indifesa già all’indomani degli attacchi dell’11 settembre. Negli ultimi diciassette anni di invasione americana, con la presenza di decine di migliaia di soldati dotati delle ami più moderne; con il lancio di centinaia di attacchi aerei e attacchi con i droni; con la costruzione di nove basi militari ufficiali e decine di centri militari segreti e centri di spionaggio; con l’investimento di miliardi di dollari e innumerevoli piani di guerra, il nostro paese non ha più né pace né sicurezza.
Dal 2009, il governo statunitense ha cercato di risolvere il ginepraio afgano con la “pace” e non con la guerra, per via della pressione da parte degli americani e di tutti i pacifisti del mondo e per calmare temporaneamente la crisi economica, per dimostrare che fondamentalmente la sua invasione avesse fini “umanitari” e pacifici. Da allora, gli Stati Uniti e il loro governo fantoccio hanno esortato i criminali talebani e il famigerato assassino Gulbuddin dal partito islamico a smettere di finanziare la guerra e unirsi al governo. Tale annuncio non sorprese affatto gli afgani in quanto era chiaro che gli Stati Uni volessero soltanto costruire un governo fantoccio e corrotto in Afghanistan per raggiungere i loro scopi geostrategici, politici ed economici. E chi meglio criminali fondamentalisti e lacchè per quest’obiettivo.

Nel 2010 il regime fantoccio afgano fondò il Consiglio di pace il cui scopo era quello di continuare le negoziazioni di pace con i talebani e Gulbuddin. Questo consiglio di pace era formato da jihadisti e guerrieri talebani, CIA e spie dell’ISIS e guidato da ben noti capi criminali jihadisti come Burhanuddin Rabani e Karim Khalili.

Sin dall’inizio dell’invasione dell’Afghanistan, gli Stati Uniti hanno tratto grande vantaggio dall’orribile condizione in cui versano le donne sotto il governo dei talebani. Sotto il nome di emancipazione delle donne e dar loro ruoli di leadership in politica hanno messo al potere donne come ad esempio Fawzia Kufi, Amina Afzali, Fatiman Gilani, Sima Samar, Shukria Barikzai, Habiba Surabi, Dilbar Nazari, Hawa Alam Noristani e altre. la maggior parte di queste donne ha forti legami con i militanti jihadisti ed esse sono coinvolte in attività criminali e corrotte. Questo gruppo è sostanzialmente composto da attori dei piani statunitensi in Afghanistan, tacendo sulle cause della tremenda condizione delle donne sotto l’occupazione di un governo traditore. Una parte di queste donne siede dietro i loro partner fondamentalisti nel consiglio di pace per rappresentare apparentemente il ruolo delle donne nei dibattiti sulla pace. E il risultato finale delle loro attività era di riportare al potere Gulbuddin Hekmatyar, un giovane ragazzo dagli occhi blu della CIA e dell’ISIS. Gulbuddin è un famoso misogino che quando era all’università attaccò delle donne con l’acido; violò diritti umani, inclusa la tortura e l’uccisione di decine di intellettuali afgani in Pakistan; uccise migliaia di civili durante le battagli di Kabul e ne devastò la meravigliosa città e altri innumerevoli crimini. Negli ultimi anni il partito di Gulbuddin è stato responsabile di diversi attacchi suicidi a Kabul, le cui vittime furono donne e bambini innocenti. In uno di questi attentati morì Hameeda Barmaki, avvocato e professoressa universitaria, insieme al marito e ai quattro figli. Gulbuddin si unì ai fratelli jihadisti Sayyaf, Dostum, Khalili, Atta Mohammad Noor, Mohaqiq, Abdulla, Qanoonie altri senza essere ritenuto colpevole dei crimini commessi.

Sorprendentemente l’UE si assunse la responsabilità per la sua sicurezza e spese migliaia di dollari per questo scopo. È così che pace e giustizia vengono distrutti sotto l’occupazione.
In questi giorni il governo di Ghani è stato estremamente impegnato a raggiungere un accordo di pace con i talebani, una fazione crudele che miete vittime innocenti ogni giorno. E mentre da un lato i talebani continuano ad attaccare le città, dall’altro Ghani incitando a un cessate il fuoco,li invita a Kabul e offre loro un gelato. La storia mondiale non ha mai registrato un accordo di pace così ridicolo. È un vero e proprio tradimento nei confronti delle migliaia di famiglie delle vittime parlare di riconciliazione con un gruppo tanto feroce, le cui azioni parlano solo di terrore, distruzione e violazione dei più basilari diritti umani. Questo tipo di collusione serve agli Stati Uniti e ai suoi alleati e non tiene affatto in considerazione i desideri di milioni di afgani. Gli aggressori sono disposti a calpestare centinaia di migliaia di persone e compiacere individui spietati pur di ottenere il loro tornaconto personale.

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“SEMBRA MIO FIGLIO”

Mauro Donzelli – Comingsoon – 19 settembre 2018

foto film copy copyCi sono voluti anni di lavoro certosino, di continua riscrittura, a Costanza Quatriglio per partire da un documentario su una realtà romana e raccontare fino alle montagne dell’Afghanistan la storia di una delle persone conosciute per quel lavoro. Il film è nel percorso fra la persona e il personaggio, con l’aggiunta di pennellate di finzione per rendere esemplare la sua storia e la storia di una popolazione una volta maggioritaria nel Paese alle pendici dell’Himalaya e ormai sterminata e ridotta in minoranza costantemente sotto attacco dai talebani.

Sono il popolo Hazara, a cui appartiene Ismail, scappato da bambino alle persecuzioni insieme al fratello Hassan. Vive in Italia, a Trieste, non casualmente una zona di confine, dove troverà altri reduci da altre guerre appena oltre le alpi, e se la cava piuttosto bene.

Sta per lasciare un lavoro subordinato per mettersi in proprio ed è inserito nel tessuto sociale, dando anche una mano a chi arriva solo ora come immigrato. Lamadre la sente solo al telefono, il padre è morto da tempo, e nel corso dei mesi la sente cambiare, non lo riconosce più, la voce maschile di un nuovo compagno sembra averla cambiata, resa una persona diversa. Sembra mio figlio ci conduce in una prima parte quasi sospesa nel tempo, in cui il tempo passa scandito solo da pochi sviluppi nel rapporto fra i due fratelli e fra loro e la madrepatria, che irrompe nella quotidianità solo come una voce al telefono, quasi onirica.

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SEDICI ANNI DI GUERRA IN AFGHANISTAN SONO COSTATI ALL’ITALIA 1,3 MILIONI DI EURO AL GIORNO

Davide Falcioni – www.fanpage.it – 10 ottobre 2018

afghanistan1 cartinaSecondo l’Osservatorio Milex il conflitto è costato all’Italia complessivamente 7,5 miliardi di euro. I risultati? “A parte un lieve calo del tasso di analfabetismo e un modestissimo miglioramento della condizione femminile il paese è in condizioni disperate”. E i talebani controllano ancora molte aree.

La partecipazione alla Guerra in Afghanistan è costata all’Italia sette miliardi e mezzo di euro in 16 anni, cioè 1,3 milioni di euro al giorno. A riferirlo Osservatorio Milex sulle spese militari italiane, che ha stilato un bilancio del conflitto iniziato il 7 ottobre 2001, a poche settimane dalla attentato alle Torri Gemelle di New York. Presentata come una “guerra lampo contro il terrorismo”, la missione è ad oggi la più lunga e onerosa della storia italiana ed è, soprattutto, ancora in corso.

I costi sostenuti dall’Italia nella Guerra in Afghanistan sono i più alti della nostra storia

Secondo il dossier Afghanistan, sedici anni dopo la guerra è costata complessivamente 900 miliardi di dollari: 28mila dollari per ogni cittadino afgano (che ha un reddito medio di 600 dollari l’anno). Secondo Milex, il costo sostenuto dall’Italia a partire dal novembre 2001 in tutte le missioni (Enduring Freedom fino al 2006, ISAF fino 2014, Resolute Support dal 2015) è di 6,3 miliardi di euro, cioè più di un milione di euro al giorno in media. A questo costo – spiega il dossier – “va aggiunto l’esborso di 360 milioni a sostegno delle forze armate afgane (120 milioni l’anno a partire dal 2015) e circa 900 milioni di spese aggiuntive relative al trasporto truppe, mezzi e materiali da e per l’Italia, alla costruzione di basi e altre infrastrutture militari in teatro, al supporto operativo della Task Force Air (Emirati, Qatar e Bahrein) e degli ufficiali di collegamento distaccati presso Comando Centrale USA di Tampa, Florida, al supporto d’intelligence degli agenti AISE, della protezione attiva e passiva delle basi, al supporto sanitario del personale della Croce Rossa Italiana, alla protezione delle sedi diplomatiche nazionali e alle attività umanitarie militari strumentali (CIMIC, classificate all’estero, con più realismo, come Psy Ops, cioè guerra psicologica: aiuti in cambio di informazioni). Si arriva così a oltre 7,5 miliardi, a fronte di 260 milioni investiti in iniziative di cooperazione civile”.

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TUTTA LA MIA VITA È STATA UNA LOTTA

Il 25 settembre 2018, presso la Casa delle Donne di Milano, via Marsala 8, ore 20.30

foto sakine 300x188 300x188presentazione del libro TUTTA LA MIA VITA È STATA UNA LOTTA, terzo volume della biografia di Sakine Cansiz, esempio della forza, della resistenza e della lotta del movimento delle donne kurde.

La presentazione del libro sarà a cura di Silvia Todeschini, del movimento delle donne kurde.

Introduce Cecè Damiani della Casa delle Donne di Milano.

Sakine Cansız nacque a Dersim (Tunceli) nel 1958. Attiva nel movimento giovanile studentesco di Elazığ, si unì al movimento rivoluzionario curdo nel 1976 e fu tra le fondatrici e i fondatori del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). Nel 1978 venne arrestata, incarcerata e sottoposta a pesanti torture. È diventata un simbolo della lotta per la libertà delle donne curde per il suo coraggio e la sua resistenza. Dopo il suo rilascio, nel 1991, continuò la sua lotta in diversi luoghi del Medio Oriente. Nel 1998 Sakine ottenne l’asilo politico in Francia
e fu attiva politicamente sulla questione curda e sui temi delle donne in diversi paesi europei. È stata assassinata a Parigi nel gennaio 2013, presumibilmente da un sicario dei servizi segreti
turchi. Sakine Cansız è una figura trainante che riesce ancora oggi con la sua personalità e il lavoro che ha compiuto a dare forza alla lotta per la liberazione delle donne curde, sia per la popolazione curda in Kurdistan sia nella diaspora.