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Autore: Anna Santarello

Il programma per la protezione dei diritti delle donne promosso da HAWCA e il Legal Aid Center in favore delle donne vittime di violenza

Hawca – 2 maggio 2018

Hawca fotoNella provincia afghana di Mazar la violenza contro le donne sta aumentando drasticamente. Da molti anni HAWCA, con il supporto dei suoi donatori CISDA, Fondazione Adiuvre e Antessa Banca, servizi di gratuito patrocinio alle donne vittime di violenza e diritti delle donne fin dalla sua fondazione.
Il 30 aprile 2018 HAWCA ha organizzato un programma di patrocinio nel quartiere di Nahir Shahi nella città di Mazar Sharif, cui più di 300 persone, tra uomini e donne, hanno partecipato. Il programma è iniziato con una conferenza sui diritti delle donne. È il responsabile del progetto, Qasim Sultani, ha illustrato le pagine e le sfide del progetto.Anche Zarghona Sadat, capo dell’ufficio legale di EVAW, L’esame della violenza contro le donne, della Procura Generale, ha sostenuto le conclusioni sulla violenza e le donne ha vinto HAWCA per aver supportato le donne vittime di violenza per tutti questi anni .
Il gruppo era composto da Zarghona Sadat, capo dell’ufficio legale di EVAW della Procura Generale, il Colonnello Abdul Mohammad Zamari, capo del reparto di formazione della Polizia di Balkh, Nadia Samar, capo dell’ufficio legale della direzione degli affari femminili, detto Basile della direzione di Giustizia, Abdul Qaum Babak, giornalista freelance, Manochehr Ibrahimi, capo della rete della società civile della provincia di Balkh, Maniza Mokhlis e Shamila lalzai, avvocati difensori di HAWCA.Il gruppo ha discusso dei problemi da un caso in cui una donna vittima di violenza ha presentato delle richieste. Sono stato discusso anche le richieste di HAWCA. Alla fine, il responsabile del programma di HAWCA, Mohammad Hashim Ahmadi, ha presentato le pubblicazioni di HAWCA e ne ha riassunto il programma.

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Hambastagi, il partito di lotta che sogna il governo

di Enrico Campofreda, Agoravox -12 marzo 2018

5 protest against afghan war criminals“La lotta è la soluzione”, eppure si dice ad Hambovati, il passato è combattuto di quel che è il panorama politico afghano, impaludato in una guerra cronica partita da lontano: l’epoca dell’invasione sovietica, in corso civile e poi avvento talebano, per finire nell’invasione targata “foneticamente occidentale” a guida americana. Hambastagi nasce nel 2004, la diversità, i diritti delle donne, il diritto di voto, la democrazia, la libertà, la democrazia e la libertà. Ovviamente si tratta di più anziani, quelli che hanno praticato la resistenza ai sovietici accorsi in aiuto dei gruppi locali clonati da Mosca in epoca brežneviana. La generazione attuale, quella che ha fondato il partito nel 2004, chiamandolo della Solidarietà, è nata nei campi profughi pakistani.

Sì, è formata attorno alla struttura dell’associazione Rawa (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghanistan) che nelle varie epoche di attività avviata in quarantennio fa, ha sempre vissuto un occhio speciale per affari e diritti, formando migliaia di attiviste coraggiose e preparatissime sotto ogni profilo . formando migliaia di attiviste coraggiose e preparatissime sotto ogni profilo. Una scuola-quadri al femminile invidiabilissima. Una scuola-quadri al femminile invidiabilissima. formando migliaia di attiviste coraggiose e preparatissime sotto ogni profilo. Una scuola-quadri al femminile invidiabilissima. Eppure un errore il gruppo dirigente di Hambastagi lo fece.Proprio all’avvìo del suo rinnovato impegno, sicuramente periglioso e sempre rivolto alle masse. Pensò che quell’uomo, Hamid Karzai, che nel dicembre 2004 è diventato presidente dopo aver diretto l’amministrazione transitoria del Paese, ha preso una decisione per la stessa popolazione afflitta da oltre un ventennio di lutti. Non per ingenuità, ma per realismo politico, i dirigenti di Hambastagi hanno sperato nelle riforme popolari enunciate da Karzai: dovettero ricredersi.

Niente di più sbagliato. Il successo sui talib, frutto della massiccia invasione, non noto col termine di Enduring Freedom, una fine 2001, si sbarazzò d’un quinquennio di terrore ma pose le premesse per dolori e lutti altrettanto gravi. Complice mister Karzai, politico fantastico, voluto e protetto dalla Casa Bianca, che presto rinnegò i promessi propositi di riforma e contrasto ai bombardamenti del 2004 e 2009.E ‘tempo alle nuove leve, subentrate nella direzione del partito attorno al 2009, hanno elaborato un programma assai più tagliente. Il 33% di loro sono donne, e quella parità di genere, rivendicata come principio basilare dello statuto, vede ulteriormente crescere le quote al femminile.

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Afghanistan. Diciassette anni di occupazione e la metà del paese è in mano ai Talebani

da Contropiano – AA, 5 maggio 2018

contingente italiano Herat AfghanistanQuasi diciassette anni fa, l’Afghanistan è nato prima bombardato e poi invaso da migliaia di militari delle potenze della Nato a Stati Uniti.
Sono stati anni di guerra, e spesso di “guerra sporca”, ma sono stato confermato L’ultimo rapporto dello Special Inspector General for Afghanistan Ricostruzione (Sigar) sostiene che i Talebani a fine gennaio 2018 erano presenti, con diversi livelli di forza militare, nel 44% dei distretti afghani, quasi la metà del paese e con una percentuale di immutata rispetto all’anno precedente.
Il sito di AnalisiDifesa.it, che dice il SIGAR il governo di Kabul controlla o ha una influenza prevalente nel 229 dei 407 distretti afghani (56,3%), mentre i talebani controllano o influenzano 59 distretti (14,5%) e sono presenti e combattono nei restanti 119 (29,2%).

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Giornata globale di Azione contro l’invasione turca del Kurdistan 26 Maggio

da Uiki – 7 maggio 2018
defendafrin 599x275Il governo di Erdogan ha portato le ambizioni coloniali dello Stato turco ad un nuovo livello. Il suo obiettivo ora è distruggere tutte le conquiste dei kurdi tanto nel Kurdistan sud quanto nel Kurdistan ovest. Qualora non ci riuscisse, si intende mettere sotto assedio i territori kurdi e soffocarli. Lo Stato turco continua a fare la sua politica epocale contro i kurdi e il Kurdistan, con l’obiettivo di privare i kurdi dei loro diritti ancora una volta. La politica attuale dello stato turco contro i kurdi è quella della guerra a tutto campo, della distruzione e dell’occupazione.

Erdogan ha lanciato l’ultima aggressione nella regione kurda della Turchia
Il governo di Erdogan ha rotto i negoziati di pace e ripreso l’aggressione militare a Bakur (la regione della kurda della Turchia). Ha sferrato un’ondata di repressione a atrocità brutale, compreso l’assedio di decine di città, provocando la morte di migliaia di persone, migliaia di sfollati, la detenzione incostituzionale di popoli locali e parlamentari kurdi democraticamente eletti, l ‘ arresto di migliaia di attivisti.

Il bombardamento e l’invasione allo stato turco su Africa del Nord della Siria
L’aggressione militare è stata spostata al limite del confine, in territorio siriano. Lo stato turco ha illegalmente bombardato ed occupato Afrin, una regione una nazione che è stata un’oasi di pace in un paese lacerato dalla guerra, un luogo di rifugio, una roccaforte del progetto democratico confederale. Questa invasione criminale ha effetti speciali di morti e nuove ondate di migrazione massiva. Più allarmante ancora, tutto indica che ci sono piani di una pulizia etnica su vasta scala contro i kurdi.

La potenziale invasione del territorio kurdo iracheno da parte dello Stato turco
Recentemente, l’assalto genocida contro i kurdi in Turchia e Siria ha registrato una nuova escalation, con bombardamenti aere. Si stanno moltiplicando i segnali di una imminente invasione su larga scala del territorio kurdo iracheno, nel tentativo di circondare e strangolare ulteriormente l’unico spazio di libertà nella regione.

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Elezioni turche, democrazia sempre più in bilico

di Enrico Campofreda, dal suo blog – 3 maggio 2018

Turchia repressione 1 maggio 300x218L’incertezza sull’occupazione giorno turca, voluta da Erdoğan col notevole ausilio del lupo grigio Bahçeli, è un dilemma che si risolverà con lo spoglio elettorale post 24 giugno. La Turchia polarizzata arriva a questa scadenza con una legge votata a metà marzo scorso, legge che cementa l’alleanza di comodo fra islamisti e nazionalisti del Mhp. Una legge che presenta emendamenti a quattro norme e che ha anticipato le previsioni per novembre 2019. L’opposizione che sta accadendo nel Paese dopo il fallimento di luglio 2016: stato d’emergenza, arresti ed epurazioni nei settori statali di sicurezza, amministrazione, istruzione, giustizia più la continuazione di stampa istituzionalizzate di autoritarismo. Il passo della legge in questione inquieta ulteriormente perché va a minare elementi primari della consultazione democratica (imparzialità, indipendenza, trasparenza).

Secondo la voce del Partito Democratico dei popoli con cambiamenti “Oltre a distruggere il pluralismo, ostacoleranno un’equa rappresentanza di idee diverse e di segmenti della popolazione. Pot quasi rendere il voto quasi impossibile in alcune regioni per via dei dati tecnici che lo rendono difficile. Polizia armata o altre forze di sicurezza possono essere utilizzate per mettere gli elettori sotto pressione,

Paure sono espresse anche sul fronte del maggior partito d’opposizione (Chp) che nella consultazione del novembre 2015 aveva ottenuto oltre 12 milioni di voti ed eletto 113 deputati, mentre l’Hdp coi suoi 59 onorevoli rendeva sicuro l’exploit del giugno precedente , pur perdendo una ventina di eletti. Nei mesi successivi, complice la stretta repressiva in atto, molti di questi parlamentari sono finiti in galera, uno dai dai co-presidenti del partito, Demirtaş e Yüksekdağ, accusati direttamente di terrorismo.

Ora, sempre il partito filo kurdo, contesta talune innovazioni vantaggiose per il governo. L’articolo 1 insegna elettorale presenta la possibilità per il cittadino di registrarsi in più seggi, l’eccezione che rimuovere quel controllo diretto sulla presenza in un unico seggio. Con l’articolo 2 i governatori (i nominati da Stato per sostituzione i sindaci kurdi, ne sono stati attuali rimpiazzati 94) possono essere utilizzati per valutare i voti. Tali spostamenti possono incidere sull’accesso al voto di molti cittadini, ad esempio in zona montuose come quelle del sud-est dove il sostegno all’Hdp è considerevole. Sempre questo partito contesta l’accorpamento del voto politico a quello presidenziale perché, a suo dire, confligge col principio della separazione dei poteri. Nell’articolo 8 è prevista la possibilità che chiunque possa convocare le forze dell’ordine nel seggio, potrebbe farlo solo il presidente del seggio stesso. In tal modo chi vorrà ostacolare i nomi di lista sgraditi oppure la presenza di osservatori internazionali troverà appigli nella norma. E non è finita.

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Le YPJ non sono cadute dal cielo

dinamopress.it – intervista a Meral Çiçek di Miguel Ángel Conejos Montalar, 2 maggio 2018

Meral Cicek 1024x683Meral Çiçek, Presidente del Kurdish Women’s Relation Office nel Sud Kurdistan, ha rilasciato questa intervista in occasione della sua partecipazione, insieme a Bettina Cruz, alla giornata inaugurale e di apertura dell’XVIII Edizione del Seminario di Solidarietà Politica tenutasi dal 17 al 26 aprile a Saragozza.

Quello che succede in Siria è una guerra civile? Ad esempio, c’è una presenza americana, una presenza russa, forze iraniane, la Turchia è dentro che crea una situazione molto complicata. Non la chiamerei guerra civile. Direi che quello sta sta accadendo in Siria è un gioco in questo processo, ma quello dell’intero Medio Oriente.
Direi che è più una guerra di potere. È iniziata una guerra civile e allo stesso tempo di potere e ha assunto caratteristiche, più spesso dell’una, più più dell’altra. Negli ultimi anni, sono apparse forze come quelle islamiste di Al-Nusra, Al-Qaeda e, successivamente, Daesh, armati da potenze straniere. Ora siamo in una situazione in cui le forze straniere e regionali combattono direttamente, quindi abbiamo i tempi di guerra.

In che modo questa guerra di potere incide sul popolo curdo?
È davvero interessante quello che sta succedendo. Perché il Rojava è la parte più piccola del Kurdistan e non è mai stato un centro della resistenza. È sempre stato un luogo di supporto. Per esempio, se torniamo indietro agli anni ’30 o nel 1940, vedremo che le altre parti del Kurdistan hanno avuto una resistenza nazionale: allo stesso tempo c’è stato un movimento nel Kurdistan iraniano e in Afghanistan. E il Rojava è sempre stato un luogo di esilio per i leader dei movimenti curdi.
Nessuno si aspettava che un giorno il Rojava fosse il centro della rivoluzione. Ma fattori interni ed esterni creano dinamiche che cambiano la situazione. Si tratta di stabilire una terza via. Né lo status quo né l’intervento straniero. Un progetto democratico. Nel contesto bellico, si è cercato di approfittare del fatto che le forze siriane si siano concentrate maggiormente in posti come Aleppo, o in città con più scontri. Questo vantaggio ha permesso di stabilire un governo autonomo democratico e allo stesso tempo forze di autodifesa.
Quindi, ora siamo in un processo in cui, più o meno, possiamo liberare le aree curde e raggiungere uno stadio determinato dall’approfondimento dei conflitti e delle relazioni allo stesso tempo. Se guardi il quadro generale, ci sono molte relazioni e contraddizioni. Se guardi i russi o gli americani in questo momento, ci sono molte contraddizioni tra loro, ma in molti casi cooperano. Ad esempio, ad Afrin si è visto che seguono la stessa linea politica, dando il via libera alla Turchia per conquistarla.

Il conflitto ideologico e politico tra il movimento curdo e le forze sul terreno si sta approfondendo. Se guardiamo all’Afghanistan, all’Iraq e in seguito alle primavere arabe, il ritmo è stato molto veloce. Ma la Siria è in guerra da sette anni e non possono cacciar via il governo. Credo che le ragioni principali per cui non possono sono la posizione della Russia, la cui entrata nel 2015 ha generato molti cambiamenti e, allo stesso tempo, un’altra ragione principale è l’alternativa stabilita dai curdi, perché causa molti problemi. In Iraq non c’è stata un’alternativa, in Afghanistan non c’è stata un’alternativa creata dal popolo, nelle primavere arabe non c’è stata un’alternativa. C’era solo lo status quo e l’intervento, niente di più. Ma questa volta esiste una terza via e questo ha creato una situazione completamente diversa che ha consentito ai Curdi di partecipare e convertirsi in attori principali. Una situazione totalmente nuova: volta a stabilire relazioni tattiche e non politiche, per combattere contro Daesh. Ma ora che Daesh è più o meno distrutto, è il momento di trovare una soluzione. Nel futuro politico in Siria siamo tutti in direzioni diverse. Ad esempio, la Russia vuole ripristinare il potere dello stato siriano. Gli americani vogliono dividere la Siria in due o tre parti, come in Iraq vogliono creare una regione curda, sunnita e sciita. Ma questa non è la soluzione. Stanno cercando di indebolire i curdi in tutti i modi: militarmente, politicamente e socialmente.

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Uno sguardo nella polvere dell’Afghanistan – Incontro con Malalai Joya

di F.M. 5AR 24/04/2018

Dell’incontro con Malalai colpisce la forza e la determinazione che trasmette in ogni singola frase, elementi che arricchiscono il suo intenso curriculum di battaglie, impegni, azioni e successi nelle aride terre afghane.

Malalai Joya ha narrato una realtà poco nota, distante, certamente complessa; forse troppo spesso presentata in maniera semplificata. Una realtà generatasi dalla mortale combinazione di guerra, corruzione e conflitti interni (dopati da forze esterne) che hanno ridotto l’Afghanistan (e le sue infrastrutture) a poco più di un cumulo di macerie polverose.

Ricostruire una nazione dopo anni di devastazione è sicuramente un compito arduo, ma non impossibile. Sono necessarie non solo ingenti risorse economiche; ma anche forti volontà politiche e sociali, sia dentro che fuori i confini nazionali.

L’Afghanistan, nonostante siamo stati abituati a immaginarlo come un paese omogeneamente arretrato e tradizionalista, è ricco di perle innovative, soprattutto tra le giovani generazioni. Perle come Malalai, che racconta degli eroi segreti sulla scena politica afghana: i bambini che riescono accedere all’istruzione e che iniziano già in giovanissima età ad interessarsi di politica.

Malalai denuncia con forza come il vero ostacolo allo sviluppo socio-economico della politica afghana sia in realtà la corruzione e gli interessi stranieri a tenere il territorio e la società dell’Afghanistan in permanente stato di arretratezza.

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Essere una donna è… molto difficile.

Milano 25/04/2018 di Giada Mariani

Ci troviamo in un mondo in cui, giorno dopo giorno, si sente di migliaia di donne uccise a causa di violenza. Vi sono alcune parti del mondo dove tali situazioni sono più gravi, l’Afghanistan è uno di questi paesi. Ci troviamo in un mondo in cui denunciare il proprio aggressore non è cosa facile; paura, terrore, sottomissione, sono tutti sentimenti che ruotano nella testa delle vittime di abusi e maltrattamenti. Ci troviamo in un mondo in cui le donne sono persone, non oggetti, e come tali dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini, e allora perché questa situazione continua imperterrita anno dopo anno? Oggigiorno vi sono associazioni che provano a sostenere le persone vittime di abusi, persone senza più speranze, persone che hanno paura di rientrare a casa perché potrebbero essere picchiate e violentate dai lori mariti, mariti che spesso gli è stato imposto di sposare senza amarli realmente. Queste associazioni lavorano insieme con le donne per i loro diritti, per far si che trovino la forza di denunciare il loro aggressore, ma spesso questo è compito arduo.

In un incontro a scuola abbiamo avuto l’occasione di conoscere Malalai Joya, donna afghana che da anni combatte a favore dei diritti delle donne. Le abbiamo chiesto perché avesse iniziato questa lotta, e perché la continuasse, pur essendo a conoscenza dei rischi che vi erano e vi sono tutt’ora. Ci ha risposto che è il suo paese, che sono i suoi diritti, i diritti delle sue compagne e amiche, e come tali si sente in dovere di farli rispettare. Ci ha risposto che ha paura, paura di non poter tornare a casa la sera, paura che, durante un attentato, anche qualcun altro possa morire a causa della sua presenza, ci ha raccontato che è dovuta scappare, travestirsi e nascondersi, nascondersi dietro ad un burqa, contro il quale aveva lottato fortemente.

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Malalai Joya e l’Afghanistan

scritto da S.

“By the permission of the esteemed attendees, and by the name of God and the colored-shroud martyrs of the path of freedom, I would like to speak for a couple of minutes”. Diciassette Dicembre 2003, Loya Jirga, Kabul. Malalai Joya, dalla provincia di Farah, tiene un discorso di tre minuti, così concesso dal capo dell’assemblea, nel quale denuncia pubblicamente i “Warlords”, i Signori della Guerra, responsabili delle atrocità commesse in Afghanistan e del continuo impoverimento del paese, lì presenti, alla Loya Jirga come “esponenti politici” del nuovo governo democratico in Afghanistan. Viene allontanata dall’Assemblea, definita comunista e infedele. Da quel giorno rischia la vita, con continue minacce di morte e attentati.

Nel corso degli anni, soprattutto a partire dal 2001 successivamente all’attacco alle Twin Towers, abbiamo osservato la mobilitazione di un numero elevato di contingenti militari provenienti dagli U.S.A, iniziata sotto l’amministrazione Bush e successivamente dai vari paesi NATO. Nonostante tra gli obiettivi ufficiali ci fossero anche quelli di stabilizzare il paese, di ridurre le ingiustizie e di eliminare i fondamentalisti armati, la situazione non può dirsi di certo migliorata: dall’inizio del conflitto è stimato che i civili uccisi potrebbero arrivare anche a 35.000, senza contare che essi sono le maggiori vittime dei bombardamenti e dei raid aerei delle forze NATO.

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La situazione afghana: l’altra faccia della guerra.

Il 19 aprile alcune classi del mio istituto hanno potuto incontrare Malalai Joya, parlamentare sostenitrice del movimento democratico in Afghanistan. In questa occasione abbiamo ricevuto un report dettagliato sulle condizioni del suo paese straziato dalla guerra. Le problematiche afghane vanno ben oltre l’immaginabile. Sul piano civile notiamo che la maggior parte dei diritti fondamentali non sono lontanamente garantiti; l’analfabetismo è a livelli altissimi soprattutto tra le donne e nelle zone rurali.

Qui infatti a causa dei bombardamenti scuole e ospedali sono praticamente inesistenti. Malalai si batte da anni affinché il diritto all’istruzione sia garantito, anche grazie ad aiuti e ad associazioni no profit. La situazione politica afghana è piú che instabile. Il governo è retto da signori della guerra più volte condannati da Malalai come assassini e carnefici. La corruzione dilaga in ogni strato della società. Il popolo non ha possibilità di ribellarsi ai tiranni che li soggiogano e l’appoggio a dei paesi occidentali a questo governo rende ancor peggiore la situazione.

L’economia è allo stremo. Le risorse naturali non possono essere sfruttate per via dei costanti bombardamenti, le aree coltivabili sono impiegate per la coltivazione di oppio per finanziare “i ribelli”, cioè i gruppi fondamentalisti, invece che per la produzione di cibo. Gas naturali e acqua potabile vengono comprati dal governo afghano negli stati confinanti nonostante l’abbondanza di tali risorse nei confini nazionali. Buona parte delle soluzioni sono però sotto i nostri occhi.

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