dinamopress.it – intervista a Meral Çiçek di Miguel Ángel Conejos Montalar, 2 maggio 2018
Meral Çiçek, Presidente del Kurdish Women’s Relation Office nel Sud Kurdistan, ha rilasciato questa intervista in occasione della sua partecipazione, insieme a Bettina Cruz, alla giornata inaugurale e di apertura dell’XVIII Edizione del Seminario di Solidarietà Politica tenutasi dal 17 al 26 aprile a Saragozza.
Quello che succede in Siria è una guerra civile? Ad esempio, c’è una presenza americana, una presenza russa, forze iraniane, la Turchia è dentro che crea una situazione molto complicata. Non la chiamerei guerra civile. Direi che quello sta sta accadendo in Siria è un gioco in questo processo, ma quello dell’intero Medio Oriente.
Direi che è più una guerra di potere. È iniziata una guerra civile e allo stesso tempo di potere e ha assunto caratteristiche, più spesso dell’una, più più dell’altra. Negli ultimi anni, sono apparse forze come quelle islamiste di Al-Nusra, Al-Qaeda e, successivamente, Daesh, armati da potenze straniere. Ora siamo in una situazione in cui le forze straniere e regionali combattono direttamente, quindi abbiamo i tempi di guerra.
In che modo questa guerra di potere incide sul popolo curdo?
È davvero interessante quello che sta succedendo. Perché il Rojava è la parte più piccola del Kurdistan e non è mai stato un centro della resistenza. È sempre stato un luogo di supporto. Per esempio, se torniamo indietro agli anni ’30 o nel 1940, vedremo che le altre parti del Kurdistan hanno avuto una resistenza nazionale: allo stesso tempo c’è stato un movimento nel Kurdistan iraniano e in Afghanistan. E il Rojava è sempre stato un luogo di esilio per i leader dei movimenti curdi.
Nessuno si aspettava che un giorno il Rojava fosse il centro della rivoluzione. Ma fattori interni ed esterni creano dinamiche che cambiano la situazione. Si tratta di stabilire una terza via. Né lo status quo né l’intervento straniero. Un progetto democratico. Nel contesto bellico, si è cercato di approfittare del fatto che le forze siriane si siano concentrate maggiormente in posti come Aleppo, o in città con più scontri. Questo vantaggio ha permesso di stabilire un governo autonomo democratico e allo stesso tempo forze di autodifesa.
Quindi, ora siamo in un processo in cui, più o meno, possiamo liberare le aree curde e raggiungere uno stadio determinato dall’approfondimento dei conflitti e delle relazioni allo stesso tempo. Se guardi il quadro generale, ci sono molte relazioni e contraddizioni. Se guardi i russi o gli americani in questo momento, ci sono molte contraddizioni tra loro, ma in molti casi cooperano. Ad esempio, ad Afrin si è visto che seguono la stessa linea politica, dando il via libera alla Turchia per conquistarla.
Il conflitto ideologico e politico tra il movimento curdo e le forze sul terreno si sta approfondendo. Se guardiamo all’Afghanistan, all’Iraq e in seguito alle primavere arabe, il ritmo è stato molto veloce. Ma la Siria è in guerra da sette anni e non possono cacciar via il governo. Credo che le ragioni principali per cui non possono sono la posizione della Russia, la cui entrata nel 2015 ha generato molti cambiamenti e, allo stesso tempo, un’altra ragione principale è l’alternativa stabilita dai curdi, perché causa molti problemi. In Iraq non c’è stata un’alternativa, in Afghanistan non c’è stata un’alternativa creata dal popolo, nelle primavere arabe non c’è stata un’alternativa. C’era solo lo status quo e l’intervento, niente di più. Ma questa volta esiste una terza via e questo ha creato una situazione completamente diversa che ha consentito ai Curdi di partecipare e convertirsi in attori principali. Una situazione totalmente nuova: volta a stabilire relazioni tattiche e non politiche, per combattere contro Daesh. Ma ora che Daesh è più o meno distrutto, è il momento di trovare una soluzione. Nel futuro politico in Siria siamo tutti in direzioni diverse. Ad esempio, la Russia vuole ripristinare il potere dello stato siriano. Gli americani vogliono dividere la Siria in due o tre parti, come in Iraq vogliono creare una regione curda, sunnita e sciita. Ma questa non è la soluzione. Stanno cercando di indebolire i curdi in tutti i modi: militarmente, politicamente e socialmente.