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Autore: Anna Santarello

Afghanistan, i rimpatri della vergogna

Q CODE MAGAZINE – 23 febbraio 2018, di Christian Elia
IL RAPPORTO ANNUALE DI AMNESTY INTERNATIONAL TORNA A DENUNCIARE I RIMPATRI DALL’UE VERSO UN PAESE DEFINITO SICURO.

È stato diffuso ieri il RAPPORTO ANNUALE di Amnesty International, disponibile anche in versione cartacea per Infinito Edizioni.

Un lavoro, come sempre, necessario, sia per le singole campagne che per la visione d’insieme di come e quanto lo spettro delle violazioni dei diritti umani nel mondo sia ampio e radicato e di quanto questo ordito di violenze e sopraffazioni incida sulla possibilità di creare un mondo più giusto.

Il lavoro dei ricercatori di Amnesty, diviso per aree geografiche e per temi, permette di cercare il generale e il particolare, a seconda dei campi di studio e di interesse.

Per l’Afghanistan, da tempo, il racconto generalista ruota attorno al bilancio fallimentare dell’operazione militare a guida Usa lanciata nel 2001 e su come tutti gli aspetti della vita nel paese siano deteriorati, ma raramente allarga lo sguardo ai rimpatri.

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Afghanistan: Amnesty International Rapporto annuale 2017-2018

amnesty.it – 22 febbraio 2018

Afghanistan: conflitto armato, violazioni da parte dei gruppi armati, tortura, pena di morte, tutte le violazioni raccontate nel Rapporto annuale 2017-2018

logo amnesty 2REPUBBLICA ISLAMICA DELL’AFGHANISTAN
Capo di stato e di governo: Mohammad Ashraf Ghani

La popolazione civile ha subìto diffuse violazioni dei diritti umani a causa del conflitto ancora in corso. Le violenze legate al conflitto hanno provocato morti, feriti e sfollati. Il numero di vittime civili è rimasto elevato; nella maggior parte dei casi sono state uccise o ferite da gruppi armati d’insorti ma una minoranza significativa dalle forze filogovernative. Il numero degli sfollati interni a causa del conflitto ha superato i due milioni; circa 2,6 milioni di rifugiati afgani vivevano fuori dal paese.

La violenza di genere contro donne e ragazze è perdurata per mano di attori statali e non statali. è stato segnalato un aumento del numero di donne punite pubblicamente da gruppi armati che applicavano le norme della sharia. Difensori dei diritti umani hanno ricevuto minacce da parte di attori statali e non statali; giornalisti hanno subìto violenze e censura. Ci sono state nuove condanne alla pena capitale; cinque persone sono state messe a morte a novembre. I membri del gruppo di minoranza hazara e gli sciiti hanno continuato a essere vittime di vessazioni e aggressioni sempre più frequenti, soprattutto per mano di gruppi armati d’insorti.

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Wells: “Da sola l’azione militare contro i talebani non basta”.

In Terris, di Veronica Lea – 22 febbraio 2017

img800 wells da sola l azione militare contro i talebani non basta 132376Lo dice la vice assistente Segretario di Stato Usa per gli Affari dell’Asia centrale e meridionale.

Le prospettive di pace e sicurezza per l’Afghanistan non risiedono solo nell’azione militare contro i talebani, ma anche in una soluzione politica negoziata che comprenda il Pakistan”. Ne è certa Alice Wells, principale vice assistente Segretario di Stato Usa per gli Affari dell’Asia centrale e meridionale, intervistata dalla tv di Kabul.

“Processo di Kabul”
Il governo dell’Afghanistan ha invitato i rappresentanti di numerosi Paesi del mondo ad un incontro denominato “Processo di Kabul”. Si tratta del secondo incontro di questo tipo. Il primo, al quale parteciparono 21 nazioni, si svolse il 6 giugno 2017. Lo scopo è il medesimo: tentare di mettere fine al conflitto in corso ponendo fine alla militanza talebana, che si è protratta per 17 anni, dopo che l’invasione militare statunitense del paese ha rovesciato il governo talebano.

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Afghanistan 2017: i conti con la morte.

Dal Blog di Enrico Campofreda – 21 febbraio 2018

low res twiterL’ultimo rapporto Unama (la struttura delle Nazioni Unite che si occupa di Afghanistan) per l’anno che si è chiuso mostra una nota leggermente confortante: ci sono meno vittime civili rispetto al 2016 e a quella tendenza in costante crescita dal 2009. Otto anni nei quali si sono contati 28.291 morti e 52.366 feriti. Solo il 2012 era parso come un momento di flessione degli attacchi e delle vittime, poi i lutti sono progressivamente risaliti.

Ecco le cifre del 2017: 10.453 colpiti in vario modo (3.438 morti, 7.015 feriti) con una diminuzione del 9%. Le donne bersagliate sono 1.224 (359 vittime, 865 ferite) con un incremento dell’1%, mentre i bambini finiti nel mirino sono stati 3.179 (861 morti, 2.318 feriti) con una flessione del 10% rispetto al 2016. Descritte anche la modalità degli assalti. Gli scontri di terra hanno prodotto 823 morti, 2.661 feriti, una diminuzione del 19%; quindi attacchi suicidi: 605 morti, 1.690 feriti, incremento del 17%; Ieds: 624 morti, 1.232 feriti, diminuzione del 14%; uccisioni mirate: 650 morti, 382 feriti, diminuzione dell’8%; esplosione di residuati bellici: 164 morti 475 feriti, flessione del 12%; operazioni Usa: 295 morti, 336 feriti incremento del 7% sempre rispetto al 2016.

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Diritti umani: sotto attacco chi difende i migranti.

Osservatorio diritti, di Lorena Cotza – 20 febbraio 2018

diritti umani iom malavoltaIl nuovo rapporto del relatore speciale Onu sui Difensori dei diritti umani denuncia l’attacco in corso contro chi protegge le persone in movimento. Si parla di processi contro chi dà da mangiare ai migranti, campagne di denigrazione e accuse di vicinanza ai trafficanti. E c’è spazio pure per l’Italia.

Denunce e processi contro chi dà cibo e acqua ai migranti, accuse infondate di collusione con i trafficanti contro le organizzazioni non governative che salvano vite in mare, minacce e aggressioni contro gli operatori di centri che offrono sostegno a migranti e rifugiati, campagne di delegittimazione e stigmatizzazione: come evidenzia il nuovo report «sulla situazione dei difensori dei diritti umani» di Michel Forst, relatore speciale dell’Onu sui Difensori e le difensore dei diritti umani, chi si impegna a proteggere i diritti delle persone in movimento è sempre più sotto attacco*.

Pubblicato il 14 febbraio, il report sarà presentato il 1° marzo al Consiglio per i Diritti umani dell’Onu a Ginevra. Andando oltre le categorie – spesso inappropriate o riduttive – di migranti economici, ambientali, sfollati interni, vittime di tratta, rifugiati o richiedenti asilo, nel report si utilizza la più ampia definizione di difensori dei diritti di persone in movimento (“people on the move“).

Si tratta di una precisazione importante, che sottolinea come ognuna di queste persone – al di là delle motivazioni che l’hanno spinta o costretta a lasciare il proprio Paese – abbia gli stessi diritti e la stessa dignità e come chiunque abbia il diritto a proteggerle e agire in solidarietà con loro.

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Crimini di guerra della Turchia a Afrin

UIKI, 17/2/2018

corteoDal 19 gennaio 2018 l’esercito turco ha iniziato a attaccare località nel nord della Siria a Afrin con artiglieria pesante. Il giorno successivo ha fatto irruzione in territorio siriano con truppe di terra, sostenute da armi pesanti e dal cielo. Questo corrisponde al reato di „crimine di aggressione“, descritto nell’art. 8bis dello Statuto della Corte Penale Internazionale (Statuto CPI, Statuto di Roma) come “a pianificazione, preparazione, avvio o esecuzione di un’azione di attacco che per la sua natura, la sua gravità e la sua dimensione costituisce una palese violazione della Carta delle Nazioni Unite“.

Il bombardamento e l’invasione di territorio siriano sono una chiara violazione dell’integrità territoriale della Siria del divieto di violenza secondo l’art. 2 cifr. 4 Carta dell’ONU. Questo attacco non è legittimato né da un mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in base all’art. 39/42 della Carta dell’ONU né da autodifesa in base all’art. 51 della Carta dell’ONU. Il territorio turco non è né stato attaccato da Afrin né esiste la minaccia di un attacco in futuro. Obiettivo dichiarato dell’esercito turco sono la distruzione delle Unità di Difesa del Popolo curde YPG e il controllo dei territori curdi nel nord della Siria. Questi obiettivi non sono protetti dalla legislazione internazionale.

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Afghanistan, l’inesauribile guerra

Blog di E. Campofreda – 14/2/2018

attentato suicida jalalabad afghanistan orig 2 main 150x150La quiete di questi giorni, dopo il mese del terrore (233 vittime solo di attentati, dal 28 dicembre al 29 gennaio scorsi), non illude nessuno. La guerra afghana può riprendere come nei peggiori anni dell’occupazione Nato (2009-2012), quando le truppe anti talebane toccavano il massimo: 110.000 marines, 30.000 contractors, 300.000 soldati dell’Afghan Security Army. Lo pensano parecchi analisti, lo suppongono oppositori democratici che sentiremo a breve. Assolutamente improduttivo s’è dimostrato il tentativo di accordo governativo coi vertici talebani, inefficaci anche i buoni uffici d’un fondamentalista di vecchia guardia del calibro di Hekmatyar.

È sembrato che i turbanti volessero prendere il potere con le armi, come nel 1996. Però, nonostante le attuali cospicue aree di controllo: Helmand a sud, Nuristan a est, Ghor al centro, oppure medio-alto: Farah (ovest), Paktika (est), Kunduz (nord) non c’è una stabilizzazione di un potere talebano. Proprio il caso dell’assedio di Kunduz, nell’autunno 2015, dimostrò che i guerriglieri potevano assediare e spodestare i soldati di Ghani, ma di fronte al massiccio intervento dei bombardieri statunitensi dovevano ritirarsi. Insomma non riuscivano a tenere stabilmente una grande città.

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Dedica Festival focus Afghanistan: eventi dal 16/2 al 7/3

Dedica Festival Anteprima: eventi dal 16/2 al 7/3

Dedica2018 150x150Un “Festival nel Festival” quest’anno, il percorso di avvicinamento alla settimana del Festival, che diventa un viaggio in Afghanistan, il Paese di Atiq Rahimi, con tanti testimoni d’eccezione, fra libri, mostre, reading, cinema, incontri, realizzati in collaborazione con diversi soggetti che si occupano a vario titolo di cultura in Friuli Venezia Giulia e nel vicino Veneto.
Il calendario degli eventi – dal 16 febbraio al 7 marzo 2018 – si snoda tra Pordenone, Udine, Azzano Decimo, Codroipo, Gruaro, Porcia e Sacile.
Tutti gli eventi sono ad ingresso libero.

Segnaliamo in particolare:
martedì 20 febbraio – ore 20.45 Auditorium R. Diemoz,
Via delle Risorgive 3 Porcia (Pordenone)
SOTTO UN CIELO DI STOFFA. AVVOCATE A KABUL
incontro con Cristiana Cella e Carla Dazzi presenta Daniele Zongaro

mercoledì 21 febbraio – ore 18.00 Sede Fondazione Friuli – Palazzo Contarini
Via Manin 15 Udine
SOTTO UN CIELO DI STOFFA. AVVOCATE A KABUL
incontro con Cristiana Cella e Carla Dazzi presenta Anna Dazzan

martedì 27 febbraio – ore 18.00 Crédit Agricole Friuladria Palazzo Cossetti
Piazza XX Settembre 2 Pordenone
AFGHANISTAN… PER DOVE…
inaugurazione mostra fotografica di Carla Dazzi presenta Adriana Lotto

Gli Usa spenderanno 45 miliardi in Afghanistan nel 2018

AnalisiDifesa, 13/2/2018

ADfeb 150x150Gli Stati Uniti spenderanno 45 miliardi di dollari nella guerra in Afghanistan nel corso del 2018. È la stima presentata da Randall Schriver, funzionario del dipartimento della Difesa, alla commissione Esteri del Senato, durante la sua prima testimonianza sulla guerra da quando il presidente Donald Trump ha presentato una nuova strategia, sei mesi fa.
Ad agosto, la Casa Bianca ha annunciato l’invio di migliaia di militari in più in Afghanistan per addestrare e assistere le forze governative (le forze statunitensi aumenteranno da circa 8.400 a 14.000 unità).

A ottobre, il Segretario alla Difesa statunitense, James Mattis, ha annunciato la rimozione dei requisiti di prossimità per gli attacchi contro le forze nemiche in presenza in civili (rendendo così più elastiche e permissive le regole d’ingaggio e soprattutto l’impiego di raid aerei e fuoco d’artiglieria) e l’avvio di rapporti più stretti con le forze afgane sul terreno per rafforzare e rendere più efficiente la battaglia contro i talebani, che ora operano nel 70% dell’Afghanistan.

Il sentiero di Meena è la via dell’emancipazione dall’occupazione e dal dispotismo fondamentalista!

RAWA, 4/2/2018

Meena 150x150Il 4 febbraio coincide con il 31° anniversario della morte di Meena, la fondatrice di RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan). Il terribile nemico ha strangolato una donna che era un’icona ribelle di libertà combattuta contro l’aggressione dei russi e dei criminali fondamentalisti. I membri di RAWA e altri movimenti democratici e di liberazione all’interno dell’Afghanistan piangono ancora la perdita di una leader forte e saggia, eppure continuiamo a lottare per la libertà nel suo nome.

Nonostante la considerevole presenza di donne sempre più consapevoli nel movimento progressista e pionieristico dell’Afghanistan degli anni ’70 e ’80, i problemi delle donne e la loro emancipazione sono stati messi da parte e non sono stati affrontati seriamente dai circoli e dalle organizzazioni democratiche. Nonostante ciò, Meena e il suo gruppo di sostenitori erano convinti che le donne fossero parte integrante di qualsiasi movimento politico e sociale nella lotta per il cambiamento, a patto che questi “leoni dormienti” prendessero coscienza e si muovessero in questo senso.

Inoltre, Meena era completamente consapevole che l’emancipazione delle donne non poteva essere separata dalla libertà di tutti gli esseri umani, dall’ingiustizia e dall’oppressione. Perciò, gettò le basi di RAWA nel 1977 con lo slogan di libertà, democrazia e giustizia sociale. Da quarant’anni, RAWA continua ad essere al fianco degli innocenti afgani e a mettere in luce le sporche facce dei lacchè dei paesi stranieri, dei criminali jihadisti e dei loro intellettuali.

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