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Autore: Anna Santarello

Incontro Nazionale CISDA

Anche quest’anno ci siamo incontrate a Lavaggiorosso dal 7 al 9 luglio, per l’ormai consueto incontro nazionale del CISDA alla presenza di tutte le associazioni della sua rete e delle/i compagne/i dal Kurdistan, dalla Turchia, dall’Afghanistan, dalla Spagna e dalle Germania. Sono stati tre giorni intensi di lavoro e scambi di notizie e opinioni al più presto un più dettagliato rapporto dei lavori.

TURCHIA. Arrestata la direttrice di Amnesty International.

Nena News – 6 luglio 2017

TURCHIAIdil Eser era nell’isola di Buyukada (a sud di Istanbul) dove partecipava ad un workshop sulla sicurezza digitale. Nel blitz della polizia di ieri sera sono state arrestate 12 persone. Sette sono attivisti per i diritti umani.

Infischiandosene della marcia per la giustizia dell’opposizione, la repressione del presidente turco Erdogan continua imperterrita. Ieri sera la polizia turca ha arrestato 8 attivisti per i diritti umani durante un incontro nell’isola di Buyukada, a sud di Istanbul. A darne la notizia sono stati oggi i media turchi.

A finire con le manette ai polsi è stata anche la direttrice di Amnesty International (AI) in Turchia, Idil Eser. AI ha chiesto immediatamente il suo rilascio dicendo che è “profondamente disturbata e indignata” per il blitz di ieri della polizia avvenuto mentre era in corso un workshop sulla sicurezza digitale. “E’ un abuso di potere grottesco ed evidenzia la difficile situazione in cui si trovano ad operare i difensori dei diritti umani nel Paese” ha denunciato il segretario generale di Amnesty, Salil Shetty. “Gli arrestati devono essere immediatamente e incondizionatamente rilasciati” ha poi aggiunto. C’è poi molta preoccupazione perché, come scrive il quotidiano Hurriyet, al momento non si sa dove essi sono detenuti.

Ad intervenire sulla vicenda è anche il commissionario per l’allargamento dell’Unione Europea: Joannes Hahn ha infatti dichiarato che gli arresti saranno discussi durante il vertice con Ankara di questa settimana. “Dobbiamo affrontare queste questioni in amicizia e comprensione reciproca – ha detto Hahn provando a stemperare i toni – è per questo che siamo qui”.

Secondo l’agenzia Reuters, le persone detenute sono in totale 12. Insieme a Eser, ci sarebbero altri 7 attivisti per i diritti umani, 2 preparatori stranieri (uno tedesco e l’altro svedese), un avvocato e il proprietario dell’hotel dove l’incontro si stava svolgendo. Tra le associazioni coinvolte vi sono la “Coalizione delle donne”, “Human Rights Agenda”, “Citizens Assembly”, “Equal Right Watch”.

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Turchia in marcia per la giustizia.

Dal Blog di Enrico Campofreda, 10 luglio 2017

adaletLa lunga marcia kemalista ha avuto successo. Quasi un mese di tragitto a piedi, partendo dal cuore anatolico della capitale per finire con un’immensa manifestazione sul Mar di Marmara. Sulla pur decentrata spianata di Maltepe, nella Istanbul asiatica ben lontana dal centro storico, l’omino bianco leader dei repubblicani, l’alevita Kılıçdaroğlu, ha arringato non solo i propri attivisti. Ha parlato a una componente eterogenea di cittadini: senza partito, cani sciolti come i trascorsi contestatori di Gazi park, laici e comunisti. Secondo fonti governative mescolati c’erano anche militanti del Pkk e gülenisti, ma l’affermazione sembra viaggiare a metà strada fra denuncia e paranoia.

Questi soggetti politici, che esistono, risultano, i primi da due anni in reciproco conflitto armato con le forze turche della repressione; i secondi da dodici mesi al centro delle purghe, attive tuttora a quattro giorni dal fatidico 15 luglio, primo anniversario d’un golpe provato e fallito. Invece il contraccolpo delle epurazioni ha portato in galera cinquantamila cittadini, ne ha emarginati centotrentamila, attuando licenziamenti, pensionamenti, spingendo a dismissioni volontarie e fughe.

Di fatto il presidente Erdoğan, l’ingombrante avversario che Kılıçdaroğlu non nomina mai, non solo resiste all’interno controllando Parlamento, magistratura, forze armate e stampa, ma ha riacquisito credito internazionale e centralità nelle varie crisi mediorientali, con un’ultima mano tesa all’emiro al-Thani. Ha pure la capacità di riunire un gran numero di oppositori. I più vari.

In quest’occasione, snobbandoli, li ha fatti sfilare, controllati a vista da migliaia di poliziotti. Ciascuno nel proprio ruolo appare soddisfatto. I protestatari, partiti in sordina quindi cresciuti nelle adesioni attive, hanno realizzato una marcia gandhiana senza incidenti. Hanno mostrato la forza e il coraggio di cittadini soffocati da un anno di stato d’emergenza che cuce bocche, blocca gambe, soffocando finanche i pensieri. Questo pezzo di Turchia non è entrata nelle case dei turchi islamisti, perché emittenti e testate filogovernative non hanno acceso i riflettori sull’evento. Quel che trapela proviene da fonti esterne e social media. Il governo dell’Akp si vanta della propria tolleranza che, a suo dire, conferma una democrazia presente nel Paese con la sola negazione di detrattori, filo golpisti e terroristi.

Eppure il deputato del Chp Enis Berberoğlu resta in galera. Un Tribunale gli ha affibbiato venticinque anni di reclusione per aver fornito notizie secretate al quotidiano Cumhuriyet, avrebbe potuto rischiare l’ergastolo o peggio, per tradimento e attacco alla sicurezza della nazione. Ma in galera restano in migliaia, compresi i deputati della Repubblica, fra cui un nutrito numero di onorevoli dell’Hdp, il partito filo kurdo, i cui presidenti Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, arrestati nello scorso novembre, sono accusati di terrorismo. In questi giorni Demirtaş, che poteva essere ascoltato dalla Corte, non è stato ammesso in aula perché si rifiutava di farsi ammanettare durante il tragitto dal carcere al Tribunale. Dichiarava: “Sono ancora un membro del Parlamento turco in servizio attivo con tanto d’immunità. Trovo che la pratica sia illegale e immorale”.

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INSEGNATE LORO A COMBATTERE L’OPPRESSIONE.

Letteradonna – 11 luglio 2017

b3282a0c 547b 40ba ac83 c74d2745cb40L’Afghanistan è il peggior posto al mondo per una donna. Di storie spiacevoli ne sentiamo molte, troppe, da sempre. Perciò stupisce un poster come quello recentemente comparso nelle strade del Paese. «È il momento di studiare e non del matrimonio. Dite no al matrimonio delle bambine», recita il manifesto immortalato dal giornale online Yjr.

Espressioni che a noi sembrano più che ovvie, ma che in una realtà come quella sono un oltraggio alla cultura patriarcale. Una cultura sicuramente pronta ad alzare le barricate davanti a un messaggio del genere. D’altronde le associazioni che operano per i diritti parlano chiaro.
Secondo Human Rights Watch, ad esempio, l’85% delle donne sono private dell’istruzione minima, e le conseguenze non sono indifferenti. Senza poi dimenticare la scarsa assistenza medica che fa sì che una madre ogni due ore muoia di parto.

O le violenze che continuano a crescere insieme con omicidi e suicidi. Ciò che succede in Afghanistan arriva soltanto in minima parte in Occidente, le stime infatti vanno prese con le pinze. Quando nei report si parla di aumento delle violenze bisogna considerare che ad incrementare in realtà sono le informazioni che siamo mano a mano in grado di raccogliere.
Invece l’oppressione è una realtà statica che condanna da sempre le donne a segregazione e soprusi. La svolta può quindi arrivare solo se supportata da un serio impegno politico interno e da un cambiamento di valori sociali. Perciò qualsiasi piccolo gesto, come il messaggio lanciato dal poster, apre uno spiraglio di speranza perché per migliorare la condizione femminile locale non c’è altro modo se non quello di partire dal basso, dall’educazione.

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DONNE PER IL CAMBIAMENTO – TERZA TAVOLA ROTONDA

AHRAM – 2 luglio 2017

19620563 1978875602334248 6182377477585739863 oLa terza tavola rotonda “La donna per il cambiamento” si è tenuta il 29 giugno 2017 a Radio Salam ed è stata trasmessa lunedì 3 luglio 2017. Questa tavola rotonda fa parte della campagna “Donne per il cambiamento”, lanciata da Cospe, Hawca e Cshrn con l’obiettivo di promuovere i diritti umani, concentrata sulle donne quali artefici di cambiamento e difensori dei loro diritti, nel quadro del progetto Ahram (Azione e mobilitazione per i diritti umani in Afghanistan), cofinanziato dall’Unione Europea.

Gli oratori della tavola rotonda erano:
Sig.ra Selay Ghaffar, portavoce del Partito di Solidarietà dell’Afghanistan (SPA); e Sima Joyenda, ex governatore della provincia di Ghor
Sono state affrontati i seguenti temi:
– Come possiamo superare le sfide a livello distrettuale per le donne nelle elezioni parlamentari, dei consigli provinciali e comunali, queste sfide sono: l’analfabetismo, l’insicurezza, la mancanza di informazioni relative alle candidature femminili alle elezioni e sulla campagna elettorale. E come possiamo offrire un terreno migliore Per le donne elette. Il governo afghano dice di aver raggiunto dei successi relativamente alla partecipazione elettorale delle donne: qual è la tua opinione?
– Qual è il piano del Partito della solidarietà dell’Afghanistan (SPA) per promuovere a partecipazione politica delle donne alle prossime elezioni per il parlamento nazionale?
– Secondo te, quali tipi di procedure dovrebbero essere adottate da partiti politici, dalla società civile e dagli attivisti della comunità per il coinvolgimento delle donne nel processo elettorale?
– Hai governato la provincia di Ghor, hai lavorato con il governo, cosa ha fatto il governo per il coinvolgimento delle donne nella politica e nelle decisioni?
– Cosa pensate delle elezioni del 2018? È una buona occasione per le donne?

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Medicine per il Rojava, piazze per il Kurdistan.

Popoff Quotidiano – di Alessio Di Florio – 29 giugno 2017.

MG 1142 copia e1474791162352Kurdistan, manifestazione a Roma il 28 ottobre e il 6 settembre la partecipazione della rete italiana al processo contro Demirtas (HDP) ad Ankara. Urgono medicinali in Rojava.

Il Kurdistan e la resistenza del popolo curdo contro l’ISIS e l’oppressione turca non cattura la grande attenzione mediatica. I fari dell’informazione main stream, che mai hanno fino in fondo compreso l’esperimento del Confederalismo democratico e la lotta del popolo curdo, ormai guardano altrove. In televisione quotidianamente ci parlano di terrorismo e ISIS ma l’unica lotta veramente vincente non interessa.

E questo dovrebbe già indurre a molte riflessioni. Ancor di più nel paese dove non dimentichiamolo mai un Presidente del Consiglio, Massimo D’Alema (che oggi qualcuno incredibilmente vuol proporre tra i leader della ricostruzione della sinistra … ) consegnò alla Turchia il principale leader curdo, Abdullah Ocalan, violando il suo diritto ad essere rifugiato politico nel nostro Paese. Ma c’è chi, invece, non dimentica e continua a schierarsi con i curdi. Nella recente assemblea nazionale, tenutasi a Roma il 17 e 18 giugno scorso, la Rete Italiana di solidarietà con il popolo curdo ha lanciato un nuovo calendario di iniziative.

Si inizia già, con una mobilitazione diffusa nei territori, il 1° luglio per chiedere la liberazione di Ocalan. Per il 23 settembre è previsto, con un concerto al CSOA ex SniaViscosa, di un disco prodotto dalla staffetta sanitaria per raccogliere fondi a favore della costruzione dell’ospedale in Rojava. L’ultimo appuntamento è una nuova assemblea nazionale della Rete il 18 novembre. Intanto, il 28 ottobre a Roma sarà convocata una manifestazione nazionale “per la democrazia in Medioriente, a sostegno della resistenza del popolo curdo e per la liberazione del Presidente Öcalan”.

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Afghanistan, allarme per gli italiani: la Cooperazione lascia Kabul.

La Repubblica – di GIAMPAOLO CADALANU – 7 luglio 2017
Sempre meno occidentali nella capitale, dopo l’attentato del 31 maggio nella “zona verde”. La diplomazia: “Solo una misura di sicurezza”

164107070 c775f151 1036 446d ad91 0f750cea686eÈ massima allerta per gli italiani in Afghanistan: seguendo l’esempio delle altre rappresentanze occidentali, nelle prossime ore il personale della Cooperazione verrà evacuato quasi completamente, mentre il lavoro diplomatico è ridotto al minimo. All’origine della decisione ci sarebbe la segnalazione di nuovi possibili attentati contro le rappresentanze europee, dopo l’attacco del 31 maggio che ha devastato la “zona verde”, il quartiere delle ambasciate occidentali che si riteneva sicuro. In quell’occasione un camion bomba con 1500 chili di esplosivo ha fatto quasi duecento morti. Fra gli addetti si mormora a mezza voce che stavolta potrebbe esserci un allarme specifico per l’Italia.

Al momento, per la Cooperazione sono presenti nella sede di Kabul quindici persone: dovrebbero restarne solo un paio, con tutta probabilità un logista e un amministrativo, per le necessità insormontabili. Anche l’impegno diplomatico andrà ridotto, mentre la sicurezza della struttura sarà aumentata con nuove protezioni passive (in sostanza, muri più elevati). Agli Esteri parlano di “misure cautelative”, di carattere provvisorio: il personale rientrerà quando la situazione sarà più stabile.

Ma pensare all’Afghanistan come un Paese sulla via della pacificazione è quanto meno illusorio: negli ultimi mesi all’attività terroristica per così dire “abituale”, firmata dai Taliban, si è affiancata una serie di attentati di diversa matrice, di volta in volta attribuita alla rete Haqqani o a gruppi locali affiliati all’Isis. Caratteristica di questi attacchi è l’assoluta ferocia: mentre i Taliban seguono le indicazioni a suo tempo lasciate dal mullah Omar, con l’attenzione a non provocare vittime civili non necessarie, i “nuovi” attentatori non si fanno scrupoli di alcun genere, e il bilancio dei civili uccisi è sempre altissimo.

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Lotta al terrorismo: ok dell’Afghanistan alle operazioni congiunte con il Pakistan

In Terris – A. Tuno 5/7/2017

img800 lotta al terrorismo ok dellafghanistan alle operazioni congiunte con il pakistan 123114Il governo dell’Afghanistan ha dato il suo benestare alla proposta riguardante operazioni militari congiunte con il Pakistan alla frontiera comune sotto la supervisione degli Stati Uniti.
Lo ha annunciato il presidente afghano Ashraf Ghani. Durante un incontro con una delegazione del Senato statunitense guidata da John McCain che presiede il Comitato senatoriale sulle Forze Armate, riferisce 1TvNews, il capo dello Stato ha segnalato che le tensioni con Islamabad hanno costretto Kabul a diversificare le proprie rotte commerciali che ora si avvalgono anche di un corridoio aereo con l’India. Prima di giungere a Kabul la delegazione statunitense aveva visitato il Pakistan dove McCain aveva dichiarato che non vi sarebbe potuta essere pace in Afghanistan senza la cooperazione pachistana. Le tensioni afghano-pachistane sono cresciute negli ultimi tempi per le accuse reciproche di scarso impegno nella repressione del terrorismo transfrontaliero.

Proseguono intanto le operazioni anti jihad. Nei giorni scorsi almeno 42 militanti talebani sono stati uccisi durante alcune azioni aeree e terrestri delle forze di sicurezza afghane nella provincia meridionale di Helmand. In un comunicato l’ufficio stampa del governo provinciale ha indicato che ad essere colpite con l’appoggio aereo della missione Resolute Support della Nato sono state tre basi degli insorti nel distretto di Nawa. “Importanti comandanti dei talebani – si dice infine – di nome Haji Ahmad, Faizi, Saqib e Haqbin sono fra le vittime fatali, mentre altri quattro sono considerati dispersi“.
Da parte sua un anziano tribale locale consultato dall’Ansa ha sostenuto che in questa epoca di raccolto del papavero da oppio, i talebani sono giunti numerosi in Helmand da altre province“.

PAKISTAN. Un muro dividerà Islamabad e Kabul.

AGCNews – di Lucia Giannini, 5 luglio 2017

05afpakconfine05 696x433Le forze armate pakistane hanno iniziato a costruire una barriera lungo il confine del paese con l’Afghanistan per fermare l’infiltrazione transfrontaliera e migliorare la sicurezza nella regione.

Secondo la sicurezza pakistana, riporta Press tv, nella prima fase sono state costruite almeno 43 postazioni di confine nella regione tribale nordoccidentale lungo il confine, mentre altre 63 sono in costruzione nella zona di Dir Lower, Bajaur, Mohmand Agency e nella Khyber Agency. Il piano prevede la costruzione di 338 posti di confine e fortificazioni dell’esercito lungo il confine.

«Ci sono diversi percorsi legali per attraversare l’Afghanistan a Chitral, Dir, Bajaur, Mohmand, Tor Kham Khyber, Kurram, Nord e Sud Waziristan e Chaman nel Balochistan, ma malgrado queste vie legali, ci sono oltre 300 punti di attraversamento illegali, e i terroristi passano sempre attraverso questi percorsi difficili e montuosi per compiere attacchi in Pakistan e ora l’esercito li chiuderà», riporta Press Tv che cita fonti della sicurezza pachistana. La mossa di sigillare il confine ha lo scopo di limitare il movimento dei militanti e impedire loro di entrare nel paese, Daesh in primis.

Entrambi i paesi hanno da tempo promesso di migliorare la sicurezza nella regione di confine e stanare i gruppi militanti basati sulle zone confinanti e montuose. Ma l’esatta ubicazione del confine è stata a lungo discussa da Kabul. L’anno scorso il Pakistan ha iniziato a costruire una barriera al confine principale della frontiera nella città nord-occidentale di Torkham, scatenando le proteste afgane.

L’esercito pakistano ha respinto le critiche afgane del piano, dicendo che l’attività si svolge bene all’interno del territorio pakistano.

I due paesi stanno discutendo la demarcazione dei confini, campo di battaglia principale nella lotta contro i talebani e altri gruppi militanti islamici.

Islamabad riconosce la linea Durand, il confine britannico mandato dal 1896 tra i due paesi vicini, ma Kabul dice che l’attività su entrambi i lati lungo la linea deve essere approvata da entrambi i paesi. I governi successivi in Afghanistan non hanno mai riconosciuto la linea di confine dell’epoca coloniale britannica e Pakistan e Afghanistan regolarmente si accusano l’un l’altro di proteggere i loro nemici. Entrambe le parti, ovviamente, negano una simile accusa, accusandosi anche di non fare abbastanza per fermare i militanti impegnati nelle incursioni transfrontaliere.

Ammesse a una competizione in Usa: negato il visto a sei ragazze afgane.

La Repubblica – di RAFFAELLA SCUDERI, 3 luglio 2017

103705652 1384907a 7046 4f5f 80af db654667e51dHERAT – Sono state ammesse alla competizione internazionale di luglio a Washington, hanno costruito il loro robot con materiale di fortuna, hanno percorso per richiedere il visto 800 chilometri a piedi, da Herat a Kabul e ritorno. Ma non possono partire, la loro richiesta è stata negata. L’Afghanistan non rientra nel sei Paesi soggetti al muslim ban, ma a sei ragazze afgane non è stato permesso entrare negli Stati Uniti. Saranno costrette a partecipare al contest via Skype da Herat.

Tutto sembra aver congiurato contro queste giovani adolescenti. A cominciare dal materiale. Un kit standard per la realizzazione del prodotto era stato inviato a tutti i competitori a marzo. Non lo hanno mai ricevuto. La merce è rimasta bloccato per mesi alla dogana americana per il timore che l’Isis potesse usare in modo improprio questi aggeggi.

Ma loro non si sono arrese. Sono riuscite a recuperare materiale di recupero. E nonostante tutto hanno assemblato il robot, ideato per lo smistamento di palle.

Le aspiranti scienziate hanno versato lacrime amare quando hanno saputo di essere state rifiutate dal Governo americano per il contest annuale, First Global Challenge, che richiama giovani scienziati da tutto il mondo.

Roya Mahboob, la prima donna manager nel settore tecnologico, fondatrice dell’azienda di software Citadel, aveva organizzato tutto. Ha raccontato a Forbes che le ragazze hanno pianto tutto il giorno: “Questo è un messaggio molto importante per la nostra gente. La robotica è materia nuova in Afghanistan”.

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