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Autore: Anna Santarello

Conferenza globale contro la guerra e le servitù militari, Vicenza, Presidio No Dal Molin – sabato 14 gennaio 2016

Globalproject – 3 gennaio 2017

presidioUna delle iniziative principali, nelle due settimane che accompagneranno il ritorno al Presidio No Dal Molin, si terrà sabato 14 gennaio e vedrà confrontarsi attivisti ed esperti di ogni parte del mondo sul tema della guerra e delle servitù militari.

L’inferno vissuto ad Aleppo a dicembre, punta dell’escalation di violenza della guerra in Siria, è ancora sotto gli occhi di tutti. Non solo in Siria, ma anche in moltissimi altri paesi, una guerra guerreggiata o a bassa intensità, a causa delle permanenti occupazioni militari, sta producendo vittime e servitù militari. Afghanistan, Egitto, Guam, Hawaii, Filippine, Turchia sono solo alcuni dei nomi in cui l’azione bellica ha provocato vittime e distruzione, oppure in cui ha sottomesso intere comunità forzando l’accoglienza di basi militari e industrie belliche, i cui prodotti sono tutti orientati alla guerra da fare all’esterno delle potenze mondiali. Gli interessi economici e politici delle oligarchie al potere sono ben rappresentati dalle strategie geopolitiche degli attori potenti del mondo, vecchi e attori, dagli Usa e Russia fino alla Cina e all’Iran, passando per l’Unione Europea.

Dal Presidio No Dal Molin vogliamo parlare di tutto questo, perché solo se si comprende come viene portata avanti la guerra possiamo trovare i mezzi giusti per contrastarla e costruire l’alternativa di pace e giustizia sociale. Ma per farlo abbiamo bisogno di condividere pratiche e ragionamenti con tutte le realtà che combattono da anni contro la guerra e le servitù militari, in ogni angolo del globo. Come dice Terzani, «se vogliamo capire il mondo in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista». Ecco, partiamo dal nostro punto di vista per metterlo accanto agli altri e trovare le parole giuste, valide per tutti, che possano finalmente contrastare le politiche di morte e di distruzione.

Conferenza globale contro le guerra e le servitù militari
Vicenza- Presidio No dal Molin
Sabato 14 gennaio – Inizio lavori ore 15.30
Interventi dal vivo e in web conference:
David Vine (USA), David Swanson (USA), Toby Blomè (USA), Corazon Fabros (Filippine), Selay Ghaffar (Afghanistan), Loohan Paik (Haway), Michel Bevacqua (Guam), Amy Holmes (Egitto), Sabrina Jean (Inghilterra), Antonio Mazzeo (Sicilia), Attivisti No Muos (Sicilia), Attivisti Sardi contro le servitù Militari (Sardegna), Attivisti No dal Molin (Vicenza).

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Rojava | Il Partito dell’Unione democratica (PYD) e l’autodeterminazione kurda

Antonio Moscato – 3 gennaio 2017 – Agoravox.it

I kurdi della Siria, cioè del Kurdistan occidentale (Rojava) sono ormai diventati gli ineludibili protagonisti del processo combinato di rivoluzione, controrivoluzione, guerra civile e autodecisione in corso nel paese.

di Uraz Aydin

Kobane poster1 3e445Il PYD aveva, di fatto, già assunto il controllo nelle enclaves prima di Kobane, poi di Afrin e di Jazira dopo il ritiro delle truppe del regime di Assad nel luglio 2012, e nel gennaio 2014 aveva dichiarato l’autonomia in questa regione, in reazione al loro mancato invito alla Conferenza di Ginevra.

Ma è soprattutto con l’assedio di Kobane da parte dello Stato islamico e l’audace resistenza delle Unità di protezione popolare (YPG), in particolare delle donne combattenti nelle file dell’YPJ, che le forze legate al PYD e l’esperienza dell’autodeterminazione nel Rojava hanno ottenuto una legittimazione e godono di un sostegno a livello internazionale. Come è noto, l’assedio di Kobane alla fine è stato infranto con l’appoggio di militanti kurdi e turchi che hanno oltrepassato di forza il confine turco-siriano, dei peshmerga iracheni e certamente delle forze aeree statunitensi. In seguito, le Forze democratiche siriane (FDS), di cui gli YPG costituiscono il nucleo militare principale, sorretto dagli Stati Uniti e, in una certa misura, dalla Russia, svolgono un ruolo cruciale nella guerra contro lo Stato islamico.

In questo articolo, cercheremo di esporre brevemente le radici politiche del PYD, la sua collocazione nel movimento nazionale kurdo di Siria, la linea ideologica, le sue posizioni nella rivoluzione, nonché le principali modalità e difficoltà del processo di autodecisione in corso nel Rojava.

Il nazionalismo kurdo sotto il Baath

Il nazionalismo kurdo in Siria rappresenta un paesaggio fortemente frammentato. La moltitudine di partiti va ben oltre quel che si può vedere in altre parti del Kurdistan. Se è difficile seguire i raggruppamenti e le scissioni perpetue, si può sicuramente dire che attualmente sono attivi più di una quindicina di partiti kurdi. La maggior parte di essi deriva dal Partito democratico del Kurdistan di Siria (PDKS), fondato nel 1957 e da cui si sono rapidamente distaccate tendenze di “sinistra” e di “destra” che si sono scisse per dar vita a distinti partiti intorno al 1965. Lo sviluppo frazionista nei partiti kurdi dell’Irak (preso come modello), le condizioni di attività clandestine, le accuse di collaborazione con il regime e le infiltrazioni e gli interventi dei servizi segreti hanno perpetuato le scissioni. Le divergenze politiche dipendevano essenzialmente dal tono assunto verso il regime e dagli obiettivi politici che andavano dal riconoscimento dei diritti culturali, linguistici e civili al riconoscimento costituzionale dei Kurdi come minoranza. Tuttavia, è importante sottolineare che l’autonomia non è mai stata praticamente rivendicata prima del 2011 (a parte il partito Yekiti). Facciamo comunque notare che la cittadinanza è una questione cruciale, visto che dopo il censimento eccezionale del 1962 oltre 120.000 Kurdi si sono visti ritirare la loro nazionalità e sono stati classificati o come “stranieri” muniti di una specifica carta di identità, o come “maktumin”, non registrato, senza carta di identità e senza diritti.

La moltitudine di partiti ha portato negli anni Novanta del secolo scorso ad alcuni raggruppamenti. Ad esempio, i partiti vicini alla corrente irachena-kurda di Jalal Talabani si sono raccolti nell’Alleanza democratico kurda di Siria (“Hevbendi”), mentre quelli legati a Mesut Barzani hanno costituito il Fronte democratico kurdo di Siria (“Eniya”). Fra i partiti non provenienti originariamente dal PDKS, va sicuramente annoverato in primo luogo il PKK e il suo “partito fratello”, il PYD, fondato nel 2003. Il leader del PKK, Abdullah Öcalan, insieme alla sua organizzazione, aveva goduto dell’appoggio di Hafez al-Assad – nel quadro della sua rivalità con il vicino turco – fino alla fine degli anni Novanta; i campi del PKK erano insediati in Siria dall’inizio degli anni Ottanta. Quindi la questione kurda in Siria non era all’ordine del giorno del PKK e solo dopo che il regime cessò di offrire riparo a Öcalan e la fondazione del PYD, quest’ultimo prese a interessarsi della politica siriana.

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“Storia di una pallottola”, un giorno a Kabul

Notizie | GR24  25 dicembre 2016 – AUDIO – ASCOLTA IL RADIODOCUMENTARIOVIDEO

fotohome1T1 1024x425Un diario di un giorno, lungo quindici anni

Quindici anni di conflitto in Afghanistan hanno fatto migliaia di vittime civili. Milioni di pallottole sparate e 5 milioni di feriti curati con la volontà di voler abolire la guerra. “Storia di una pallottola” è un documentario su chi negli ospedali da campo ha prestato soccorso alle vittime. Le testimonianze di chi ha operato in Afghanistan.

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9 Gennaio – Verità e giustizia per Sakine, Fidan e Leyla

Uikionlus.com – 2 gennaio 2017

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“La forza della verità vincerà contro il potere dei dittatori”

Sono passati ormai quattro anni da quel 9 gennaio del 2013 quando Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Şaylemez furono assassinate a Parigi. Le tre rivoluzionarie curde sono state uccise per ordine del governo dell’AKP dai servizi segreti turchi MIT. Eppure lo stato francese e la sua giustizia per tanto tempo hanno cercato di tenere nascoste le proprie responsabilità sul caso e i collegamenti e la complicità dello stato turco.

Solo la tenacia di quanti vogliono “verità e giustizia” per Sakine, Fidan, Leyla ha costretto il tribunale francese a non chiudere il caso e a individuare, con prove palesi, Ömer Güney tra i responsabili del massacro. Il processo però non si farà mai, perché lo stesso Ömer Güney è morto qualche settimana fa in carcere. Lo stato francese era a conoscenza dello stato di salute dell’indagato ed ha più volte ritardato l’inizio del dibattimento, che sarebbe dovuto iniziare solo il prossimo mese.

Il movimento europeo delle donne curde TJKE ci ricorda che “Il governo francese ha agito in conformità con i propri interessi politici ed economici, senza permettere che l’unico sospettato comparisse di fronte al giudice e alla giuria per essere giudicato, ritardando il caso, in modo che la verità non venisse fuori, con la complicità dello stato turco. Lo stato francese e quello turco hanno collaborato per impedire che le indagini sul massacro fossero svolte in modo corretto. Facciamo appello a tutte le donne curde, al popolo curdo e ai loro amici perché dimostrino la rabbia contro le azioni dello Stato francese per chiedere giustizia. Ci rivolgiamo a tutte e tutti per organizzare e partecipare alle manifestazioni di massa nelle ambasciate francesi.”

Raccogliendo questo appello, vi invitiamo il 9 gennaio, nel giorno del quarto anniversario del massacro di Parigi, a un doppio appuntamento nelle strade di Roma.

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«Voglio essere felice»: i disegni delle donne afghane.

Viviana Mazza – Corriere.it – 17 dicembre 2016

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 A fine ottobre, quindici anni dopo l’inizio della guerra in Afghanistan, ho trascorso otto giorni a Kabul. Volevamo raccontare la situazione delle donne nel Paese. L’intervento nel 2001 fu una risposta agli attentati dell’11 settembre ma fu presentato anche come un’opportunità per aiutare le donne afghane oppresse dai talebani. Sul Corriere della Sera abbiamo dato voce a otto di loro, supportate dall’associazione italiana «Cospe».

Ci hanno raccontato una realtà dove le leggi, sulla carta, garantiscono oggi parecchi diritti, ma di fatto la violenza — dentro casa e fuori — è rimasta parte integrante della quotidianità. I disegni che pubblichiamo in questo post lo spiegano molto bene. Li abbiamo trovati nella stanza da letto di una casa rifugio gestita da «Hawca», storica organizzazione femminile afghana che collabora con «Cospe». Li hanno fatti donne che si nascondono qui perché sono scappate da mariti che le picchiavano o da padri che volevano costringerle a sposarsi. In questi luoghi segreti trovano protezione, ma si tratta anche di un limbo, perché una volta lasciata la famiglia è «come se fossero morte» — spiegava una di loro —: nei casi migliori non le rivogliono indietro, nei casi peggiori tentano di ucciderle per «onore».

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UIKI: Comunicato sulle delegazioni e il Processo di Parigi

dal sito di UIKI – 23 Dicembre 2016

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Come UIKI, insieme al Movimento delle Donne Curde il 17 novembre con un APPELLO URGENTE avevamo chiesto di costituire delegazioni di osservatrici e osservatori dall’Italia per Parigi indicando le date dal 23-27 Gennaio – 30-03 e Febbraio – 6-10 Febbraio – 13-17 Febbraio – 20-24 Febbraio.

Come avete saputo dal COMUNICATO delle famiglie di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylamez il 17 dicembre, Omer Guney che il 9 gennaio 2013 ha assassinato le tre compagne è improvvisamente morto. Essendo l’unico imputato nel processo che doveva avere inizio tra il 23 gennaio e il 24 febbraio non ci sarà.

Teniamo a ringraziare per il grande interesse che avete dimostrato per partecipare come osservatrici/osservatori al processo e mantenerlo vivo per chiedere insieme verità e giustizia con l’obiettivo di far aprire un nuovo processo contro i mandati dell’assassinio delle tre compagne.

In considerazione del fatto che questo è un lavoro tutto da costruire, per il momento il programma di delegazioni internazionali è annullato.

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Jihadisti e taliban: conflitto per la supremazia

Enrico Campofreda dal suo Blog – 15 dicembre 2016

milizianiihad del Khorasan – Se certi talebani rappresentano l’attuale boa di salvataggio del governo Ghani, che per corteggiarli ha chiesto i buoni uffici d’un fondamentalista doc come Hekmatyar, c’è un pezzo di jihadismo radicale afghano che, partendo dalla resistenza alle invasioni straniere, continua a sostenere il progetto d’un proprio Califfato contro i piani del governo di Kabul e dell’ingombrante vicino posizionato nei palazzi di Islamabad. Ne avevamo parlato in occasione di attentati destabilizzanti che i due Paesi continuano a subire e della comparsa del marchio dello Stato Islamico, insinuatasi da circa un biennio anche nel cuore del Grande Medio Oriente.

Nella sigla degli irriducibili locali della guerra santa (Islamic State Khorasan Province) il riferimento all’area geografica che comprende tutto l’Afghanistan, il nord est iraniano e un tratto pakistano, unisce le radici del passato a un sogno futuro contro la disgregazione apostata del presente. Su queste basi e con l’ausilio della tecnologia il progetto dell’Iskp cerca nemici da combattere non solo nel governo fantoccio (Ghani) sostenuto dagli Stati Uniti e in quello a lui prossimo e subalterno (Sharif), ma negli stessi comandanti talebani che usurperebbero il ruolo che fu del mullah Omar.

Per non parlare di certi signori della guerra (Sayyaf, Dostum) che avrebbero smarrito ogni vena jihadista. Questo sostengono i combattenti del Khorasan. Chi pensava di usare Hekmatyar come ambasciatore per stabilizzare il potere ha già davanti a sé ideologi integerrimi. Bisognerà vedere se altrettanto strutturati sul piano militare.

Radio e social media – Per ora – come evidenziano meticolosi analisti d’un network locale – una buona dose del conflitto sul vero jihadismo si sviluppa attorno alla propaganda che attualmente mostra i miliziani dell’Iskp più organizzati dei taliban. Com’è accaduto per l’informazione dell’Isis diffusa in Medio Oriente, nel Nord Africa marocchino, tunisino, egiziano e in Europa i comunicatori del jihadismo asiatico mostrano spiccate doti tecniche e un piglio  documentaristico e pubblicitario di estrema efficacia. Sorpassano i Talib per padronanza dei mezzi utilizzati, in primo luogo il web, s’insinuano in Facebook, Twitter, Istagram.

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Faryadi Sarwar Zardad: il Regno Unito deporta il signore della guerra che torturò migliaia di afghani.

BBC.com Asia – 17 dicembre 2016

92951651 259df116 9b9c 4657 84f4 83bc7f93f4d8Uno dei signori della guerra è stato deportato dalla Gran Bretagna dopo essere stato in prigione per le torture compiute durante la guerra civile degli anni ’90.

Faryadi Sarwar Zardad fu messo in prigione nel 2005 e fu condannato per 20 anni in un processo che è una pietra miliare per la legge delle Nazioni Unite contro la tortura.
Era fuggito nel Regno Unito nel 1998 sotto falso nome e richiese asilo ma fu finalmente rintracciato dalla BBC.
Circa 100 sostenitori si sono radunati all’aeroporto di Kabul per salutare Zardad che era un comandante Hezb-e-Islami e chiederne il rilascio….
Gruppi in difesa dei diritti umani hanno detto che molte delle sue vittime avrebbero sofferto per i saluti di benvenuto.

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Bambini afghani presi di mira dai trafficanti di droga.

Azara Aziz IWPR, Rawanews – 7 dicembre 2016

children drug trade us forces afghanistan sAttivisti ed ufficiali nella provincia di Herat hanno lanciato l’allarme per il numero sempre crescente di bambini reclutati come corrieri della droga dai trafficanti locali.
I bambini di strada sono particolarmente vulnerabili, c’è un enorme aumento di minori drogati nella provincia occidentale.
L’aumento dell’industria della droga significa che questa è facilmente reperibile e circa l’11 per cento della popolazione ha problemi di abuso. A Herat l’afflusso dei rifugiati che tornano dal vicino Iran, dove il livello di tossicodipendenza è alto, ha aumentato il problema.

Sir Majid, il direttore del carcere minorile di Herat, ha detto che più di 30 dei detenuti sono stati condannati per traffico di stupefacenti.
Alcuni minoi che sono stati coinvolti nel traffico sono diventati loro stessi drogati.

Nel 2014 un sondaggio fatto da un’organizzazione non governativa ha documentato che c’erano almeno 3.000 minori drogati a Herat.
La cifra pare sia raddoppiata negli ultimi 2 anni, secondo WASA oggi ci sono 70.000 tossicodipendenti Herat, di cui 5.500 sono bambini.
A volte sono gli stessi genitori a dare loro la droga per coinvolgerli così nel traffico dello spaccio per poterne ricavare del denaro… altre volte sono gli stessi trafficanti a drogarli per renderli dipendenti e reclutarli per lo spaccio.

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Afghanistan, il nuovo presidio ostetrico intitolato a Valeria Solesin

Repubblica.it – 8 dicembre 2016

161330842 70bc6d42 9317 4962 8ade 30b67e60f269ANABAH (Afghanistan) – Con oltre 500 parti al mese, il Centro di maternità di Anabah, nel nord dell’Afghanistan, stava diventando troppo piccolo. Per questo, EMERGENCY ha deciso di costruirne uno nuovo con quattro sale parto, due sale operatorie, una terapia intensiva e una sub-intensiva neonatali, una terapia intensiva per le donne che hanno avuto complicazioni durante il parto, un ambulatorio, un reparto di ginecologia, un’area per i follow-up e una per il travaglio. Il nuovo centro è stato inaugurato oggi, 8 dicembre. La nuova struttura permetterà di offrire cure gratuite a un numero ancora maggiore di mamme e di bambini in un’area molto vasta del nord del Paese, abitata da almeno 250.000 persone, dove non esistono altri centri specializzati e gratuiti.

Il centro porterà il nome di Valeria Solesin. D’accordo con la famiglia, il nuovo Centro di maternità è dedicato a Valeria Solesin, uccisa nell’attentato al Bataclan di Parigi il 13 novembre 2015. “Anabah è stata la prima casa di Emergency in Afghanistan nel 1999 – dice Rosella Miccio, coordinatrice dell’Ufficio Umanitario di Emergency – dopo 17 anni e 5 milioni di pazienti curati, oggi inauguriamo la nuova maternità e siamo felici di dedicarla a Valeria Solesin, che è stata parte della famiglia di Emergency. Valeria ha testimoniato durante la sua vita i valori della pace: siamo molto contenti di poterla ricordare con questo atto concreto di pace. Emergency – ha detto ancora Rossella Miccio – aveva aperto il primo Centro di maternità ad Anabah nel 2003. Quando è stato aperto le perplessità erano grandi, qualcuno l’aveva definita una pazzia. Eppure la necessità di una struttura simile era ed è tuttora evidente: in Afghanistan la mortalità materna è 115 volte più alta di quella registrata in Italia, il tasso di mortalità infantile 24 volte più alto”.

Unico luogo dove è garantita l’assistenza in gravidanza.  In questo contesto, il Centro di maternità di EMERGENCY rappresenta per numerose donne l’unica possibilità di essere seguite durante la gravidanza e l’unico luogo in cui poter partorire in sicurezza e sotto la supervisione di personale medico e sanitario. Secondo il ministro della Salute afgano, Ferozudin Feroz, presente all’inaugurazione: “Costruire qui in Afghanistan questo genere di strutture contribuisce a garantire alti standard di cure, a migliorare la salute materna e a ridurne la mortalità. Questo ospedale non è utile solo per questa area ma anche per altre province. È per questo che ci auguriamo che Emergency continui ad espandere le sue attività anche in altre regioni”.

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