Weeda Ahmad, l’attivista che dà voce ai desaparecidos afgani
di Barbara Ciolli – Lettera43 – 10 Dicembre 2016
Donne lapidate. Fosse comuni di bambini. Pulizia etnica. Una ragazza chiede giustizia e memoria raccogliendo un archivio di 8 mila scomparsi in 40 anni di guerre. Il racconto della sua battaglia a Lettera43.it.
Weeda Ahmad è una ragazza afgana di 32 anni che studia Filosofia all’università di Kabul e gira l’Europa. Ha appena parlato anche in Italia alla Camera dei deputati per denunciare le migliaia di afgani scomparsi rinvenuti nelle fosse comuni e di bambini, donne e famiglie vittime di 40 anni di devastazioni. L’invasione russa, i mujaheddin, i talebani, la guerra degli americani, la violenza contro i civili anche sotto le ultime presidenze. Perché, racconta a Lettera43.it, «se i governi trattano con i talebani e pure alcuni criminali siedono in parlamento poi non si possono far rispettare i diritti umani».
“Da noi si muore quasi per tutto e se una volta dobbiamo farlo allora è meglio per una causa giusta”
Weeda Ahmad
Weeda fa qualcosa di eccezionale, ma in Afghanistan le istituzioni non la aiutano. Non capiva ancora l’inglese quando, nel 2007, nella periferia della capitale venne scoperta una grande fossa comune dell’invasione sovietica e, con alcuni compagni di studi, fondò la Social association of afghan justice seekers (Saajs) per ottenere memoria e giustizia per quei morti: ha raccolto un archivio inedito di oltre 8 mila foto delle vittime di guerra dagli Anni 70 alle bombe dei droni Usa e i parenti dei desaparecidos sfilano con lei alle dimostrazioni. «Il 20% del Paese è formato da criminali», spiega, «ma l’80% vuole pace, giustizia e democrazia e non trova ascolto dal governo».
PER LE VITTIME COME FARKHUNDA.
Per il Saajs Weeda collabora con Organizzazioni non governative (Ong) europee e in Italia con la onlus Cospe, che a Kabul ha aperto due strutture per proteggere le donne: per loro dal 3 al 18 dicembre 2016 è possibile contribuire alla campagna “Vite preziose” con un sms al 45526. Va anche in tivù a difendere vittime come Farkhunda Malikzada, la 27enne linciata, lapidata, infine bruciata dalla folla nel 2015 per aver (le recriminavano a torto i mullah) incendiato il Corano. «Cosa farebbero allora a me?» ironizza ridendo. L’attivista rischia la vita, ma «da noi si muore quasi per tutto e se una volta dobbiamo farlo», chiosa, «allora è meglio per una causa giusta».
Parenti dei desaparecidos con le foto dei loro cari scomparsi.
DOMANDA. Qui in Italia non porta il velo: non è musulmana?
RISPOSTA. Invece sì, la nostra è una famiglia musulmana, ma di musulmani normali. A volte lo indosso, dipende. In alcune zone a Kabul è meglio coprirsi tutto il corpo. Eppure nella nostra capitale ci sono anche delle prostitute cinesi. Incredibile no?
D. L’Afghanistan è considerato il Paese più pericoloso per le donne, che hanno un tasso di analfabetismo vicino al 90%. La condizione femminile è un po’ migliorata negli ultimi anni: potete uscire, lavorare, studiare?
R. Direi di no, lo dimostra l’orrore che è accaduto a Farkhunda in pieno centro a Kabul. Nella capitale, rispetto ai tempi del regime dei talebani, ci sono donne che vogliono frequentare le scuole e cercarsi un lavoro e riescono a farlo. Nelle province invece è più difficile, mancano le strutture e attorno c’è sempre un occhio che ti guarda.
D. E a Kabul?
R. Anche lì qualcuno può sempre vederti e riferire ai fondamentalisti i tuoi comportamenti: si può essere colpiti per poco. In alcuni quartieri la vita sembra normale, in realtà non si è mai al sicuro anche perché le reti criminali controllano il territorio. Furti e sequestri di persona sono frequenti.
D. Persino il fratello dell’ex presidente Hamid Karzai era accusato di forti e lucrosi legami con i cartelli della droga.
R. Sì, la famiglia Karzai è famosa per questi giri, anche perché viene dalla regione dove si coltiva la droga, per così dire, migliore. Ma in generale tutta l’economia afgana è in mano ai gruppi di fondamentalisti criminali, i cosiddetti signori della guerra, con i quali anche personaggi delle istituzioni e della politica hanno rapporti di convenienza. Questi clan dei signori della guerra sono molto ricchi, mentre la popolazione è poverissima.