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Autore: Anna Santarello

Weeda Ahmad, l’attivista che dà voce ai desaparecidos afgani

di Barbara Ciolli – Lettera43 – 10 Dicembre 2016

9Donne lapidate. Fosse comuni di bambini. Pulizia etnica. Una ragazza chiede giustizia e memoria raccogliendo un archivio di 8 mila scomparsi in 40 anni di guerre. Il racconto della sua battaglia a Lettera43.it.

Weeda Ahmad è una ragazza afgana di 32 anni che studia Filosofia all’università di Kabul e gira l’Europa. Ha appena parlato anche in Italia alla Camera dei deputati per denunciare le migliaia di afgani scomparsi rinvenuti nelle fosse comuni e di bambini, donne e famiglie vittime di 40 anni di devastazioni. L’invasione russa, i mujaheddin, i talebani, la guerra degli americani, la violenza contro i civili anche sotto le ultime presidenze. Perché, racconta a Lettera43.it, «se i governi trattano con i talebani e pure alcuni criminali siedono in parlamento poi non si possono far rispettare i diritti umani».

“Da noi si muore quasi per tutto e se una volta dobbiamo farlo allora è meglio per una causa giusta”

d38624c1 62b2 4285 b0cb 7eeb14cd9873 225x300Weeda Ahmad

Weeda fa qualcosa di eccezionale, ma in Afghanistan le istituzioni non la aiutano. Non capiva ancora l’inglese quando, nel 2007, nella periferia della capitale venne scoperta una grande fossa comune dell’invasione sovietica e, con alcuni compagni di studi, fondò la Social association of afghan justice seekers (Saajs) per ottenere memoria e giustizia per quei morti: ha raccolto un archivio inedito di oltre 8 mila foto delle vittime di guerra dagli Anni 70 alle bombe dei droni Usa e i parenti dei desaparecidos sfilano con lei alle dimostrazioni. «Il 20% del Paese è formato da criminali», spiega, «ma l’80% vuole pace, giustizia e democrazia e non trova ascolto dal governo».

 

PER LE VITTIME COME FARKHUNDA.

Per il Saajs Weeda collabora con Organizzazioni non governative (Ong) europee e in Italia con la onlus Cospe, che a Kabul ha aperto due strutture per proteggere le donne: per loro dal 3 al 18 dicembre 2016 è possibile contribuire alla campagna “Vite preziose” con un sms al 45526. Va anche in tivù a difendere vittime come Farkhunda Malikzada, la 27enne linciata, lapidata, infine bruciata dalla folla nel 2015 per aver (le recriminavano a torto i mullah) incendiato il Corano. «Cosa farebbero allora a me?» ironizza ridendo. L’attivista rischia la vita, ma «da noi si muore quasi per tutto e se una volta dobbiamo farlo», chiosa, «allora è meglio per una causa giusta».

47a69094 5ce2 426f b07e 0398de8823fb large 1024x685Parenti dei desaparecidos con le foto dei loro cari scomparsi.

DOMANDA. Qui in Italia non porta il velo: non è musulmana?
RISPOSTA. Invece sì, la nostra è una famiglia musulmana, ma di musulmani normali. A volte lo indosso, dipende. In alcune zone a Kabul è meglio coprirsi tutto il corpo. Eppure nella nostra capitale ci sono anche delle prostitute cinesi. Incredibile no?

D. L’Afghanistan è considerato il Paese più pericoloso per le donne, che hanno un tasso di analfabetismo vicino al 90%. La condizione femminile è un po’ migliorata negli ultimi anni: potete uscire, lavorare, studiare?
R. Direi di no, lo dimostra l’orrore che è accaduto a Farkhunda in pieno centro a Kabul. Nella capitale, rispetto ai tempi del regime dei talebani, ci sono donne che vogliono frequentare le scuole e cercarsi un lavoro e riescono a farlo. Nelle province invece è più difficile, mancano le strutture e attorno c’è sempre un occhio che ti guarda.

D. E a Kabul?
R. Anche lì qualcuno può sempre vederti e riferire ai fondamentalisti i tuoi comportamenti: si può essere colpiti per poco. In alcuni quartieri la vita sembra normale, in realtà non si è mai al sicuro anche perché le reti criminali controllano il territorio. Furti e sequestri di persona sono frequenti.

D. Persino il fratello dell’ex presidente Hamid Karzai era accusato di forti e lucrosi legami con i cartelli della droga.
R. Sì, la famiglia Karzai è famosa per questi giri, anche perché viene dalla regione dove si coltiva la droga, per così dire, migliore. Ma in generale tutta l’economia afgana è in mano ai gruppi di fondamentalisti criminali, i cosiddetti signori della guerra, con i quali anche personaggi delle istituzioni e della politica hanno rapporti di convenienza. Questi clan dei signori della guerra sono molto ricchi, mentre la popolazione è poverissima.

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Il nostro Afghanistan, 8 donne raccontano

di Viviana Mazza inviata a Kabul – Corriere.it – 5 Dicembre 2016

Dopo 15 anni di guerra, gli occidentali si ritirano. Siamo andati a vedere cosa è cambiato per le ragazze, madri, insegnanti, avvocate, sostenute dall’associazione italiana Cospe.

L’atmosfera a Kabul è da fine di un’era. Il rombo degli elicotteri militari è continuo, le barriere di cemento sono sempre più alte intorno alla «zona verde». I diplomatici non escono più e volano, anziché guidare, anche all’aeroporto, per evitare rapimenti, autobomba o piccole ma letali “sticker bomb” attaccate ai fianchi dell’auto da bimbi mendicanti pagati dai miliziani.

Quindici anni dopo l’inizio della guerra in Afghanistan, c’è grande insicurezza nella capitale, per non parlare delle province controllate al 30% dai talebani. Le truppe della NATO sono ridotte a 13mila, tra cui 8.400 americani e circa 800 italiani. Il governo è debole, corrotto e diviso, i soldati afghani caduti sono migliaia, l’economia è a pezzi. L’intervento nel 2001 fu motivato dall’11 settembre ma presentato anche come una opportunità di aiutare le afghane, oppresse dai talebani. Sono state elette in parlamento, ci sono leggi sulla carta che le proteggono, ma molte conquiste sono fragili e reversibili.

Per questo, 15 anni dopo, ascoltiamo le loro voci, in collaborazione con Cospe , associazione italiana che realizza con l’organizzazione femminile afghana Hawca progetti di cooperazione a sostegno dei difensori dei diritti umani e delle donne in particolare. Anche la presidente della Camera Laura Boldrini dovrebbe andare in Afghanistan il 10 dicembre per gli auguri di Natale al contingente italiano a Herat (crisi di governo permettendo).

saley politica opposizione kEsG U43250707094102QYE 593x443Corriere Web SezioniSelay, la politica contro la corruzione
«Non è importante la quantità di donne in Parlamento o quante escono con la sciarpa anziché il burqa. Quel che conta è il numero di lapidazioni, l’assenza di ospedali in Nouristan e di scuole femminili a Farah, le donne avvelenate a Kandahar, le detenute innocenti. Il sistema giudiziario è il pilastro più corrotto.

E il presidente Ghani non è meglio di Karzai. Ha fatto la pace con Gilbuddin Hekmatyar, il macellaio di Kabul che gettava l’acido in faccia alle donne. Il ministro della Giustizia appartiene al suo partito».

Selay Ghaffar è la portavoce del Partito della Solidarietà, laico e di sinistra. Ha lasciato il mondo delle Ong: «Ci usano per le photo opportunity. Se le 69 parlamentari avessero scioperato, forse ci sarebbe stata giustizia per Farkhunda, ma invece si mobilitano per il loro salario».

avvocata minacciata kV0G U43250707094102aEF 593x443Corriere Web SezioniLatifa, l’avvocatessa che aiuta le donne picchiate
Latifa Sharifi fa l’avvocato per Hawca, storica associazione femminile afghana. «Dopo la caduta dei talebani, ci sono stati molti cambiamenti», dice. Ma alle sue spalle un poster denuncia le auto-immolazioni: darsi fuoco per tante donne vittime di violenza domestica è tuttora l’unica ribellione. Latifa le aiuta a ottenere il divorzio. «Devi provare di essere stata picchiata. Ma alcune madri, quando scoprono che i figli dopo i 7 anni e le figlie dai 9 restano col padre, preferiscono sopportare le botte». Latifa non racconta al marito delle continue minacce che riceve, da altri uomini o da talebani. «Temo che non mi permetta più di lavorare». Cosa accadrà se gli occidentali lasciano l’Afghanistan? «Sarà molto peggio. Anche ora ci danno i soldi ma non abbiamo auto blindate né guardie».

foo t kEsG U43250707094102vJE 593x443Corriere Web SezioniMalalai, la calciatrice in nazionale
Malalai si toglie il velo a pois, rivelando una bella chioma bionda, comune tra le ragazze del Nouristan, provincia innevata al confine pachistano, e indossa la divisa della nazionale di calcio. Ha 19 anni, lo stesso nome dell’eroina che lottò contro i britannici e della Nobel pachistana Malala Yousafzai. «Sono la prima calciatrice del Nouristan», dichiara con orgoglio. «Le mie coetanee sono sposate, hanno tanti figli e non hanno il permesso di studiare». Ma alla morte del padre, lo zio che ha sposato sua madre ha lasciato che lei e le sorelle fossero accolte dall’orfanotrofio Afceco di Kabul. Protette da mura e guardie armate, studiano, fanno sport e suonano strumenti musicali. «Mio zio sa che gioco a calcio, la tribù no. I talebani una volta lo hanno arrestato perché studiamo, è libero grazie agli anziani». Malalai corre nello stadio tra ragazze pashtun, tagike, hazara. E in questo istante dimentica il rombo degli elicotteri e il dirigibile carico di telecamere che sorveglia preoccupato Kabul.

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Merkel ci ripensa: Non possiamo ospitare tutto l’Afghanistan. Via in 100mila.

di Redazione Blitz – 30 novembre 2016

angela merkel pensosa ansa 300x193BERLINO – La Germania sta pianificando il rimpatrio di 100.000 persone a cui è stato negato l’asilo politico, dopo che la Merkel ha ammesso: “Non è possibile che tutti i giovani dall’Afghanistan si rifugino da noi”.

Circa 60.000 persone verranno rimandate in patria grazie al programma di rientro volontario, mentre il resto dovrà affrontare la deportazione obbligatoria; dalla Germania hanno annunciato che ai profughi verrà dato del denaro, che fungerà da “start up” per aiutarli a sistemarsi nuovamente nel proprio paese, così come il biglietto aereo.

Le parole della cancelliera tedesca sono state riportate dal Die Welt, dopo la conferenza regionale cristiano democratica tenutasi a Neumunster. Angela Merkel è stata precedentemente e fortemente attaccata per la sua politica “a porte aperte”, in quella che è la peggior crisi migratoria europea dalla Seconda Guerra Mondiale.

All’inizio di questo mese, la cancelliera ha annunciato che si candiderà nuovamente alle elezioni del prossimo anno: se dovesse vincere, cosa che molti danno per certa, il suo mandato verrà rinnovato per altri quattro anni, superando quello del suo mentore Helmut Kohl, che ricopriva il ruolo nel 1989, durante la caduta del Muro.

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Progetto dei Bimbi di Kobane: continua la solidarietà verso gli orfani di guerra

dal sito di Uiki – 10 Dicembre 2016

26127 599x275Tra tante difficoltà e mille ostacoli, Kobane sta rinascendo. Le attività di ricostruzione della città, dei suoi spazi urbani e del suo tessuto sociale continuano senza sosta. Il prezioso lavoro del “Kobane Reconstruction Board” non si ferma, anche grazie alla solidarietà che arriva dall’estero.

Anche il progetto Bimbi di Kobane sta facendo la sua parte. Ormai sono piu di 800 i piccoli rimasti senza genitori che, grazie al sostegno arrivato dall’Italia, si trovano in una situazione un po’ meno difficile. Pochi giorni fa, l’associazione SARA, che si occupa dei bimbi di kobane nella città di Kobane, ha inviato un LETTERA comunicando la ricezione di altri 4.500 euro, già distribuiti a favore dei bimbi, e ringraziando alcune delle associazioni italiane che sostengono il progetto.

Tra queste troviamo: Circolo Legambiente “Vento in Faccia”; Cuori e mani per il Kurdistan; Associazione Marzabotto; Associazione Italia-Cuba; Circolo ricreativo dei lavoratori del Po; Fonti di pace; Donne per la sinistra; Comitato fiorentino fermiamo la guerra; Coordinamento basta morti nel Mediterraneo. Tra i sostenitori anche una realtà istituzionale: il Comune di Mantova e tante famiglie italiane.

Insieme alla lettera di ringraziamento, SARA ha inviato anche le foto di una giornata speciale, vissuta poche settimane fa da molti dei bimbi sostenuti dal progetto. Le attiviste dell’associazione hanno organizzato una gita al parco, dove gli orfani hanno potuto giocare insieme e trascorrere una giornata serena, tra scherzi e sorrisi, come a tanti di loro non capitava da molto tempo. Tutti i bambini sono stati molto contenti di questa iniziativa: nonostante le cose pian piano migliorino, la loro situazione rimane sempre molto difficile. Gli orfani soffrono ancora il trauma della perdita dei familiari e anche una semplice giornata come questa è una grande occasione per distrarsi e divertirsi.

902ae7 7f7b4b5854064ecdbccc9be0ba312807 mv2Mentre si avvicina Natale, chiediamo uno sforzo di solidarietà ulteriore. Invece di alimentare la macchina del consumismo e acquistare altre merci, invitiamo, chi è solito fare regali in questa occasione, a sostenere i bimbi di Kobane e la solidarietà attiva con il popolo curdo.

Con 30 euro al mese è possibile rendere la vita di uno degli orfani meno difficile. Sono ancora una settantina quelli che hanno bisogno del sostegno a distanza. Si può fare il versamento in una quota annuale (360 euro) o semestrale (180 euro per due volte l’anno). È anche possibile fare delle donazioni libere, che devolveremo ai bambini sommandole tra loro. PARTECIPA al progetto…

Fino ad adesso sono stati inviati 45mila euro dal Italia per sostegno a distanza ai bimbi di kobane. Nei prossimi mesi, seguiranno altri aggiornamenti sul progetto.

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Appello per costruire delegazioni di osservatori per Parigi

dal sito di Retekurdistan

nLuT3Vk0 400x400Inizio del processo contro Ömer Güney, accusato dell’omicidio di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez il 9 gennaio 2013 a ParigiIl 9 gennaio 2013 le politiche curde Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Şaylemez sono state assassinate nella capitale francese Parigi su incarico dei servizi segreti turchi MIT. E così il numero di coloro che a Parigi sono stati assassinati per le loro posizioni e attività politiche prevalentemente su incarico dello Stato Turco, è salito a 25.

L’obiettivo di questi assassinii per la maggior parte delle volte è lo stesso: l’intimidazione di persone attive, la vanificazione di processi di pace e di democratizzazione, la distruzione delle speranze di libertà e autodeterminazione. Comune è anche il fatto che questi assassinii non vengono risolti, cioè la mancata condanna degli autori e dei loro mandanti. I delitti di Stato la maggior parte delle volte restano impuniti. Nessuno degli assassini dei politici e delle politiche libanesi, tunisini, palestinesi e tamil è stato catturato e/o condannato, i loro casi sono stati archiviati in fretta.

Nel caso delle tre politiche curde gli ampi sforzi e le proteste delle donne curde e degli uomini curdi in tutto il mondo hanno potuto impedire un corso di questo tipo. Anno per anno nell’anniversario della morte decine di migliaia di persone sono accorse a Parigi, settimana per settimana curde e curdi si sono riuniti davanti alle ambasciate francesi in Europa per chiedere la soluzione dei casi di assassinio, la condanna del responsabile e l’individuazione dei suoi mandanti.

Così il presunto colpevole del reato, Ömer Güney, il 17.03.13, non da ultimo grazie agli sforzi della comunità curda, è stato arrestato. Le indagini sul caso sono durate tre anni e sono state accompagnate da numerosi imprevisti e contrattempi che fanno pensare che anche questi assassinii devono rimanere irrisolti. Ad esempio nel corso di un’effrazione nella casa della giudice competente è stato rubato il computer con la documentazione relativa al caso. Anche un tentativo di evasione del presunto colpevole grazie ad aiuti dall’esterno genera dubbi. Il collegamento di Ömer Güney con i servizi segreti turchi del MIT si evince dagli atti.

Le indagini ora sono chiuse e lo svolgimento del processo a Parigi è fissato nel periodo dal 23 gennaio al 24 febbraio 2017.

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Amnesty International pubblica il suo rapporto ‘Sur’

dal sito di Uiki – 6 Dicembre 2016

amnesty logo 599x275Amnesty International (AI) ha pubblicato il suo rapporto su Sur, dove continuano coprifuoco e attacchi genocidi. Nel suo rapporto AI afferma che almeno 40mila persone sono state costrette a migrare ed elenca richieste dei civili sfollati.

Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto su Sur, dove nello scorso anno si sono verificati attacchi genocidi e coprifuoco. Un’unità di Amnesty che ha esaminato la situazione e fatto interviste a Sur nel corso del 2016 ha prodotto il rapporto.

Di seguito le parti importanti del rapporto di Amnesty:

  • Funzionari municipali stimano che i civili costretti a migrare da SUR siano circa 40mila.
  • Almeno il 60 percento del distretto di Sur è stato espropriato secondo un progetto di trasformazione the espelle i residenti del distretto senza consultazione.
  • Una donna intervistata ha raccontato ad Amnesty che il coprifuoco era in atto nella strada dove si trovava la sua casa e che dopo averla lasciata, la sua casa è stata saccheggiata e i mobili distrutti.
  • Indubbiamente i residenti di Sur non hanno abbandonato volontariamente le proprie case e sono stati costretti a migrare.
  • Molte persone hanno perso il lavoro dato che sono state espulse.
  • Persone che vivevano in case in affitto a Sur nelle aree nelle quali sono state costrette a migrare pagano affitti che sono il doppio o il triplo di quelli che pagavano.
  • Dopo un esame complessivo della situazione nella regione, si vede che i residenti sono stati ricollocati e che le case sono state distrutte come parte di un piano per garantire la sicurezza attraverso modifiche infrastrutturali e trasferimenti della popolazione.
  • Nel maggio 2016, il governatorato di Diyarbakır ha informato Amnesty che entro il 9 marzo 2016 a Sur erano stati trovati i cadaveri di 65 soldati e poliziotti e di 65 persone collegate al PKK.
  • I funzionari governativi hanno affermato che i servizi sono stati interrotti perché gli scontri hanno danneggiato le infrastrutture del distretto, ma locali hanno dichiarato che i funzionari hanno interrotto di proposito i servizi pubblici. In un’intervista ad Amnesty, un funzionario di polizia ha confermato le affermazioni della popolazione locale e ha detto che elettricità e acqua sono stati interrotti per demoralizzare la popolazione che combatteva contro i militari.
  • Dovrebbero essere create condizioni per il ritorno o la ricollocazione dei residenti di Sur in modo onorevole e volontario.
  • Dovrebbe essere messa fine ai coprifuoco immediatamente e andrebbero prese misure per il ritorno dei residenti espulsi, la riapertura delle attività e la ricostruzione della vita economica.
  • Sia padroni di casa sia affittuari dovrebbero ricevere la garanzia di poter scegliere di ritornare nel distretto dopo il completamento dei progetti di ricostruzione.
  • Una donna ha detto ad Amnesty che dopo essere stata espulsa, lei, suo marito e cinque bambini hanno perso ogni speranza e ha detto ‘Ho vissuto in povertà per tutta la vita. La mia casa era l’unica cosa che possedevo. Il mio unico desiderio era che mio figlio andasse all’università. Ora non ho più né la mia casa, né la speranza di mandare mio figlio all’università.‘
  • I residenti di Sur dovrebbero essere informati sugli espropri e consultati prima di prendere misure che riguardano il futuro del distretto.

Richiesta di condanne a secoli di carcere e a ergastoli per i politici curdi in Turchia

UIKI Onlus – di Karzan Sulaivany 1/12/2016.

hdp 2 1024x724 599x275I pubblici ministeri in Turchia hanno chiesto recentemente condanne a centinaia anni di detenzione e l’ergastolo aggravato per i deputati curdi e i sindaci con varie accuse correlate al ”terrorismo”, come prescritto dalla legge turca. Martedì un pubblico ministero nella città di Bingol ha intentato una causa contro il deputato del Partito Democratico dei Popoli (HDP) e capo del gruppo parlamentare Idris Baluken.

La causa include una richiesta di ergastolo aggravato per Baluken e 15 anni di carcere sulla base di quattro differenti accuse: ”Disgregare l’unità dello Stato e l’integrità territoriale del paese, appartenenza ad un gruppo terroristico, propaganda per organizzazione terroristica, e partecipazione a manifestazioni e assemblee illegali” sono state le accuse contro il deputato che rappresenta la sua provincia di Bingol.

Il 4 novembre unità di polizia antiterrorismo hanno condotto perquisizioni di abitazioni e hanno arrestato Baluken insieme a una decina di deputati di HDP inclusi i co-presidenti del partito Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag. Bluken era parte del gruppo che aveva condotto la trattativa tra l’incarcerato leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e il governo turco, durante i colloqui di pace 2013-2015.

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Afghanistan, Onu: è emergenza sfollati privi di aiuti umanitari

Radio vaticana – 1 dicembre 2016

AFP6038876 ArticoloPiù di mezzo milione di sfollati nell’ultimo anno in Afghanistan che, sommandosi a quelli già presenti all’interno del Paese, fanno un totale di 1,3 milioni: è l’ultimo dato allarmante di cui parla l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari della Nazioni Unite (Ocha) a Kabul, sottolineando che la condizione più preoccupante è quella di un incremento costante di questi numeri, raddoppiati rispetto al 2014 e quadruplicati dal 2013.
Per la prima volta inoltre, sostiene l’Ocha, in un Paese dove sempre più distretti sono colpiti dagli scontri tra ribelli, talebani e Daesh – sono 198 su 399 quelli interessati dal conflitto – gli sfollati si trovano sparsi in 34 province. Francesco Gnagni ne ha parlato con Marco Lombardi, responsabile dei progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica di Milano:

R. – Il numero degli sfollati in Afghanistan sta aumentando e sta aumentando con delle conseguenze indirette rilevanti: per esempio recentemente Kabul è stata dichiarata area sicura e questo permette che ci sia una forma formale di deresponsabilizzazione nell’accoglienza dei nuovi rifugiati che l’Afghanistan produrrà.
D’altra parte la situazione afghana è in deterioramento e non ci aspettiamo che le cose migliorino: l’Afghanistan, abbandonato a se stesso, è diventato un luogo di incertissima governance da parte del governo afghano; è diventato un luogo di conquista non solo da parte dei vecchi talebani, perché sta anche subendo le pressioni del Daesh e del terrorismo che noi conosciamo.
Quindi il risultato è quello di avere un progressivo numero in aumento di persone che lasciano i loro luoghi di residenza. La gente ha paura; la gente non vede un futuro; la gente è incerta; la gente non vede un governo che possa dare qualche sicurezza; la gente vede soprattutto un governo che è sempre molto corrotto: è quindi gente che scappa! 

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Il freddo e le intense nevicate “hanno ucciso almeno 20 persone” nel nord dell’Afghanistan

RFE / RL – 25 Novembre, 2016

woman walks in cold snow winter afghanistan 300x191Le gelide temperature e le abbondanti nevicate hanno ucciso almeno 20 persone, soprattutto bambini, questa settimana in una remota provincia settentrionale Afghana.

Il 25 Novembre il governatore distrettuale Rahmatullah Hashar ha rilasciato un’intervista nella quale ha dichiarato che i decessi si sono verificati nel distretto rurale di Darzab della Provincia Jawzjan.

Tutte le vittime erano profughi interni che avevano lasciato i loro villaggi nelle regioni limitrofe a causa della violenza e mancanza di sicurezza.

Hashar e funzionari locali hanno detto che circa 100 famiglie nelle remote zone di montagna vivono al momento in condizioni difficili in “moschee e spazi aperti” e non hanno accesso alle strutture sanitarie.

I funzionari Darzab dicono che la strada che collega la zona con il capoluogo di provincia, Sheberghan, è stata interrotta dai talebani. Le autorità dichiarano che sono in attesa di un miglioramento delle condizioni climatiche prima di consegnare gli aiuti per via aerea.

Il Governatore della provincia, Lutfullah Azizi, ha invitato i residenti locali ad offrire riparo agli sfollati in Jawzjan.

Weeda Ahmad: “Ostacolare i criminali di guerra con una rete internazionale di sostegno”

Blog di E. Campofreda – 29/11/2016

WeedaAhmadinuncomizioWeeda Ahmad è la presidente dell’associazione afghana Saajs (Social Association Afghan Justice Seekers) da anni impegnata a raccogliere testimonianze sui crimini di guerra compiuti da figure politiche afghane tuttora presenti sulla scena nazionale e internazionale con incarichi istituzionali.

Ha partecipato assieme ad altri attivisti dei diritti: l’egiziano Malek Adly (in video), l’irachena Nibras Almamuri, l’indiano Assem Trivedi, il siriano Zaidoun al Zoabi, il mauritano Biram Dah Abeid, al convegno “Difendiamoli!” organizzato ieri presso la Camera dei Deputati da diverse associazioni che sostengono la protezione dei Diritti Umani.

Weeda è utile confrontarsi con attivisti di altre nazioni sul tema dei diritti umani negati?

Il dialogo e la collaborazione fra chi si batte per il rispetto dei diritti umani nei vari Paesi sono indispensabili, i difensori delle libertà rappresentano un mezzo formidabile di sostegno reciproco a livello internazionale. Proprio perché i profanatori di questi diritti e i criminali sono uniti fra loro, trovo giusto coordinare le attività di chi si difende.

Cosa s’aspetta l’associazione Saajs da simili convegni?

Ci aspettiamo che le testimonianze e i propositi che qui si confrontano non restino rinchiusi nei recinti d’un salone, pur importante come questo del Parlamento Italiano. Non vorremmo che terminato l’ennesimo convegno tutto venga archiviato, poiché in tal modo si favorisce l’oblìo. Auspichiamo la nascita di comitati permanenti che possano sviluppare confronti e un percorso comune.

Così da portare al cospetto del Tribunale Internazionale dell’Aja le nefandezze di più Paesi?

Sarebbe giusto. Certo, prendiamo l’esempio afghano: il nostro governo dal 2003, sotto la prima presidenza Karzai, ha riconosciuto il Tribunale dell’Aja però si dichiarava competente per crimini avvenuto dopo quell’anno; lasciando, dunque, scoperta tutta la fase della guerra civile (1992-96) in cui i signori della guerra dal hanno massacrato 80.000 concittadini e tralasciando il periodo del terrore talebano fino al 2001. Negli anni successivi al 2003 a Kabul è stato creato un comitato governativo che doveva rapportarsi alla Corte dell’Aja, in questa struttura è presente Salahuddin Rabbani, figlio dell’ex signore della guerra che fu anche presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan, ed è attuale ministro degli esteri dell’amministrazione Ghani. Strutture che vedono la presenza di questi uomini ovviamente non lavoreranno per inseguire la giustizia sulle atrocità del passato.

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