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Autore: Anna Santarello

Afghanistan: talebani, spostate nel Paese unità direttive.

SWI.swissinfo.ch – 26 novembre 2016.

image 20161126phf9134Importanti unità direttive dei talebani, e probabilmente la stessa ‘Shura’ (Consiglio) di Quetta, sono stati trasferiti in Afghanistan dal Pakistan dove si trovavano da anni.

Lo ha confermato oggi all’ANSA il portavoce centrale dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, Zabihullah Mujahid.
Reagendo a notizie di stampa riguardanti l’abbandono del Pakistan da parte dei vertici politici e religiosi talebani afghani, Mujahid ha sostenuto che “tutte le nostre unità direttive sono state in passato e sono oggi in Afghanistan”.

Tuttavia, ha concluso, “le sezioni importanti che ancora non erano nel Paese, sono state adesso trasferite in Afghanistan”.
Il portavoce dei talebani non ha precisato dove le massime unità direttive sono state trasferite, ma Asad Afghan, autorevole comandante militare degli insorti ha indicato ad una agenzia internazionale che si tratta della provincia meridionale di Helmand.

Alludendo a questa provincia in cui negli ultimi mesi gli scontri con le forze di sicurezza sono stati più intensi, il comandante ha indicato che “siamo nelle ultime fasi della guerra e stiamo andando avanti”.
Il rientro dei vertici talebani avviene in un momento in cui prende consistenza l’ipotesi dell’avvio di un dialogo di pace fra gli insorti, la comunità internazionale e il governo del presidente Ashraf Ghani.

Due giorni fa un responsabile dell’Ufficio politico dei talebani in Qatar ha dichiarato al quotidiano Express Tribune di Islamabad che la decisione di entrare in una trattativa di pace sarà presa “a livello nazionale” e che per questo “le consultazioni sono in corso a tutti i livelli politici e militari”.

 

Dossier: HDP, Il partito democratico del popolo.

UIKI onlus – 27 novembre 2016

hdpsecom 700x325 599x275IL PARTITO DEMOCRATICO DEL POPOLO
”Un rapporto sulla conformazione del Parlamento turco dopo la sospensione dell’immunità parlamentare”

Premessa generale

Il 20 Maggio 2016 la Grande Assemblea Generale Nazionale della Turchia (GNAT) ha votato per spogliare un quarto dei deputati del paese dell’immunità parlamentare.
Ciò è stato possibile grazie all’alleanza fortemente nazionalista contro i curdi formata da AKP, partito al governo ed il movimento nazionalista (MHP). I capi del partito repubblicano (CHP) hanno a loro volta approvato il cosiddetto “conto immunità” pur dichiarando allo stesso tempo di considerarlo anticostituzionale. Questa posizione, nella dichiarazione del partito CHP, non era comunque un porsi a fianco del partito democratico del popolo ( HDP), che era l’obiettivo principale dell’intervento del governo e delle violenze nazionaliste organizzate dal Presidente della Repubblica dal giorno delle elezioni del Giugno 2015,

Il “conto dell’immunità”del 20 Maggio permette la punizione di 139 deputati tra i 798 casi votati dal Parlamento.

Comunque, chiunque legga il dibattito sul “conto” fatto dal Presidente Erdogan, è chiaro che l’obiettivo apertamente e specificatamente era l’HDP. Il “conto” era la strada per condannare 55 deputati dei 59 di HDP per le loro opinioni ed azioni al momento della loro formazione. Ciò corrisponde al 93% della loro rappresentanza parlamentare.

HDP rappresenta l’opposizione parlamentare curda, i gruppi aleviti e cristiani e le altre comunità religiose minoritarie, organizzazioni di lavoratori e di donne, di minoranze sessuali e di gruppi ecologisti ed ambientalisti radunati sotto i valori della difesa dei diritti umani, di pluralismo, democrazia, pace, giustizia ed uguaglianza.

HDP ha avuto un ruolo molto attivo in parlamento nello sfidare il governo di AKP nell’assediare le città curde, contro l’endemica violenza della polizia contro i dimostranti, la crescente violenza contro i gender ed i casi di abusi minorili nelle istituzioni chiuse.

Dalle elezioni del 2015, i deputati di HDP hanno documentato gravi violazioni dei diritti umani contro i civili curdi, inclusi i capi locali e gli ufficiali municipali uccisi, torturati e/o trattenuti dalla polizia o dall’esercito nelle città assediate. Hanno sfidato i deputati di AKP nelle commissioni opponendosi alla proposta di legge per i matrimonio legale dei minori e per la formazione di un corpo di polizia di Stato per la religione.

Mr. Erdogan ed il suo partito senza reticenze ha dichiarato che il taglio dell’immunità che riguardava i casi fino ad allora esaminati era stato votato contro HDP. Tale mossa politica era motivata dalla necessità di escludere i curdi e le minoranze rappresentate da HDP dal Parlamento turco. Comunque sia AKP che CHP erano sostenuti da molti analisti politici in questa votazione, anche questo un colpo contro il Parlamento, come parte del tentativo di Mr. Erdogan di sottomettere tutte le branchie del governo,legislativo, esecutivo e giudiziario.

Questo colpo è un passo ulteriore per sostituire ad una debole democrazia un “sistema presidenziale alla turca” in cui i poteri legislativi, esecutivi e giudiziari siano monopolizzati dal Presidente stesso, come lo stesso Erdogan ha apertamente dichiarato.
Nel contesto critico, noi invitiamo tutte le persone e le istituzioni ad abbracciare i valori democratici universali per osservare meticolosamente i processi politici e legali in Turchia ed essere solidali alla lotta contro gli attacchi totalitaristici all’HDP ed al futuro del nostro paese.

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Le soldate dell’Afghanistan.

Internazionale – 25 novembre 2016.

131850 hd“Ho deciso di arruolarmi nell’esercito per difendere il mio paese”, dice Jafari, una soldata dell’accademia militare di Kabul, in Afghanistan.

Nel centro di addestramento della capitale afgana le iscritte seguono allenamenti fisici, studiano le tattiche di guerra, fanno pratica sull’uso delle armi da fuoco e imparano il soccorso medico.

Secondo le Nazioni Unite, l’Afghanistan è uno degli stati al mondo in cui le donne godono di meno diritti. Da un sondaggio dell’organizzazione no profit Asia foundation è emerso che il 60 per cento degli uomini non accetta che le donne lavorino nell’esercito e nella polizia.

Gli Stati Uniti, che hanno almeno settemila truppe in Afghanistan, impiegate nella missione Nato, hanno stanziato quasi 94 milioni di dollari nel 2016 per cercare di aumentare il numero delle soldate afgane. Ma nonostante questo investimento, sono meno di 900 le donne che lavorano sul campo.

Le soldate allenate dagli statunitensi spiegano di avere abbandonato gli addestramenti a causa dei bassi stipendi, della discriminazione che subiscono da parte dei colleghi, e della mancanza di sicurezza sul lavoro.

Le foto sono state scattate da Mohammad Ismai, ad ottobre del 2016.

Dietro le parole dure di Erdogan, una leadership debole.

ilsole24ore.com – di Alberto Negri – 24 novembre 2016

5f20117fa616e25b143e9213760c8e2f kR0F 835x437IlSole24Ore WebLa Turchia è un malato sotto osservazione, così la definisce un documento della diplomazia europea che in modo assai chiaro afferma di non sapere qual è la strategia di Erdogan e quale misure prendere per contenere la sua deriva autoritaria. Ma prima di perdersi in chiacchiere dopo il voto, non vincolante, del Parlamento europeo sul congelamento dei negoziati di adesione all’Ue, ecco alcuni dati che dovrebbero far riflettere gli europei e soprattutto la leadership turca, assai più vulnerabile di quanto non facciano credere i proclami del suo presidente e le ambizioni espansionistiche in Siria e in Iraq dove tenere impegnate in un conflitto esterno le forze armate, alquanto depresse dopo le purghe del governo seguite al fallito golpe del 15 luglio scorso.

Il 45% dell’export turco è diretto in Europa, il 22% in Medio Oriente e nel Golfo, il 7,5% in Asia. Quindi se Erdogan vuole lanciarsi verso l’Asia per aderire al gruppo di Shangai come alternativa all’Europa deve sapere che non troverà vita facile per le sue esportazioni.
Ma da dove vengono i soldi del boom economico turco, che per altro si sta sgonfiando, mentre la lira è sotto pressione sui mercati? Dal 2002, inizio dell’era Akp, quando andò al potere il partito islamico, il 75% degli investimenti esteri in Turchia è venuto dall’Europa, il 15% dagli Usa, un altro 15% dall’Asia, compreso il 7% dal Golfo (dati delle Banca centrale di Ankara). Si affloscia quindi anche il mito dei soldi di emiri e sceicchi, nonostante i forti investimenti nel settore bancario e finanziario del Qatar.
Non solo. Il 70% dei debiti del settore privato sono stati contratti con l’Europa: le aziende turche sono indebitate fino al collo con l’Europa e in particolare con la City di Londra. Quindi gli europei oggi danno un buffetto a Erdogan con i quali sono troppo esposti per non scendere a patti.

Tutto questo significa che senza investimenti e prestiti europei (26 miliardi di euro arrivati soltanto dall’Eib dal 2002) la Turchia frena o si ferma, con o senza la retorica di Erdogan. Il quale nell’ottobre scorso ha detto chiaro e tondo anche al ministro italiano degli esteri Gentiloni che per la Turchia l’ingresso nell’Unione è un obiettivo secondario: «Quello che conta per noi – ha affermato – è ottenere i visti di ingresso, che per noi equivalgono a un’adesione». E ha accompagnato questa sentenza con la minaccia di far saltare gli accordi con Finmeccanica sulle batterie anti-missile se le municipalità italiane non smettono di insignire della cittadinanza onoraria Abdullah Ocalan, il leader curdo del Pkk in carcere sull’isola di Imrali. Così vanno le cose quando si entra ad Ankara nel palazzo dalle mille stanze del presidente.

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Risoluzione del Parlamento europeo sulle relazioni UE-Turchia, approvata a Strasburgo il 24 novembre 2016.

UIKI onlus – 24 novembre 2016

EuroParl 599x275Il Parlamento europeo,

  • viste le sue precedenti risoluzioni, in particolare quelle del 27 ottobre 2016 sulla situazione dei giornalisti in Turchia e del 14 aprile 2016 sulla relazione 2015 sulla Turchia,
  • vista la relazione annuale 2016 sulla Turchia, pubblicata dalla Commissione il 9 novembre 2016 (SWD(2016)0366),
  • visto il quadro negoziale dell’UE per la Turchia del 3 ottobre 2005,
  • ​viste le conclusioni del Consiglio del 18 luglio 2016 sulla Turchia,
  • visto il regolamento (UE) n. 231/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA II),
  • ​visto il diritto alla libertà di espressione sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR), di cui la Turchia è parte;
  • visti i memorandum del Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa,
  • vista la dichiarazione rilasciata il 26 luglio 2016 dal Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa riguardo alle misure adottate nel contesto dello stato di emergenza in Turchia,
  • visto l’articolo 123, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

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La co-presidente dell’HDP Yüksekdağ manda una lettera alle donne per il 25 novembre.

Rete Kurdistan Italia – 23 novembre 2016.

figen 630x325La co-presidente dell’HDP Figen Yüksekdağ tramite i suoi avvocati ha mandato una lettera in occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale contro la Violenza contro le Donne.La co-presidente dell’HDP Figen Yüksekdağ tramite i suoi avvocati ha mandato una lettera in occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale contro la Violenza contro le Donne.

Questa è la lettera di Figen Yüksekdağ:

“Noi, nonostante tutto, continuiamo a dire libertà, pace e democrazia, sia quel che sia. Il 25 novembre [Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne] in particolare, la linea delle donne che conducono una lotta quotidiana contro la violenza, la persecuzione e la discriminazione, svolgerà un ruolo fondamentale. Le donne inizieranno a illuminare questa oscurità. Saluto la lotta unitaria che si è sviluppata negli ultimi giorni contro la proposta di legge di amnistia per gli abusi sessuali [sui bambini].

Il momento e il futuro saranno determinati da chi, contro ogni tipo di violenza, raccoglie la resistenza e solidarietà delle donne in tutte le sue forme… Se è un crimine credere in una vita pacifica e giusta per le donne e per tutta l’umanità contro coloro i quali adorano la violenza dello Stato maschile, contro coloro i quali consacrano questa violenza, lo stupro e gli abusi, allora continueremo insieme a commettere questo “crimine”…

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La Turchia ritira la legge sul perdono degli stupratori.

La Stampa.it – di GIORDANO STABILE – 22 novembre 2016.

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Stop alla proposta di legalizzare il fenomeno delle “spose bambine”

Il governo turco ritirerà la legge che prevedeva la cancellazioni della pena per gli stupratori che avevano commesso abusi su minori, nel caso avessero sposato la vittima. La legge era passata in prima lettura in Parlamento giovedì e oggi ci doveva essere una seconda votazione.

Il ritiro è stato annunciato dal premier turco Binali Yildirim. La legge proposta dal partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, l’Akp, prevedeva la cancellazione della condanna dei responsabili di abusi su minorenni se sposano la vittima. In Turchia sono migliaia le spose minorenni ogni anno. La proposta di legge ha suscitato proteste e manifestazioni in tutto il Paese.

 

Fatma Kaşan: Il Congresso delle Donne Libere è stato vietato per queste ragioni.

UIKI onlus – 22 novembre 2016.

fatmaFatma Kaşan, componente del Congresso delle Donne Libere KJA, appena chiuso per decreto di emergenza, prende posizione sulle nuove regole sulla violenza contro le donne che il governo ha portato in Parlamento. “L’unica ragione del divieto delle organizzazioni delle donne è che così è più facile (per l’AKP) far passare leggi del genere“, così Fatma Kaşan.

Il Congresso delle Donne Libere (Kongreya Jinên Azad, KJA), fondato nel 2015 come confederazione delle donne curde e chiuso e sigillato alcuni giorni fa e il Consiglio delle Donne del Partito Democratico delle Regioni DPB, il 20 novembre faranno un’assemblea di donne. Le donne che partono dall’idea che gli attacchi rafforzati contro le donne non vanno considerati solo come problema regionale, ma come risultato di un’aggressione generalizzata, hanno invitato tutte le donne a schierarsi. Come risultato della discussione tra tutte le componenti del KJA chiuso dallo Stato e delle organizzazioni affilate, tutte le organizzazioni delle donne si uniscono con lo slogan „Non potrete mai mettere fine alla nostra lotta mettendo un lucchetto“. Fatma Kaşan, componente del KJA ora chiuso, ha parlato di questi temi ed ha inviato tutte le donne all’azione comune.

Kaşan ha rappresentato che si sta tentando di salvare il rigido stato nazionale sulla base di un „fascismo ornato di religiosità“ e che a questo scopo avviene un attacco alla struttura sociale. Quando il modello di uno stato nazionale rigido e le omologazioni che lo accompagnano devono avere successo, tutte le strutture sociali vanno riformate in base al nazionalismo, all’androcentrismo e alla religiosità“, così Kaşan, “Per questo riorganizzano le lotte rigide e il patriarcalismo. Lo organizzano attraverso sette/ordini e forze militari. Per avere successo mettono pesantemente sotto tiro le donne. In questo contesto va intesa anche la chiusura del KJA che rappresenta un’espressione concreta del movimento delle donne e delle istituzioni collegate. Inizialmente con la nomina di amministratori fiduciari al posto dei sindaci puntavano al sistema della co-presidenza (N.d.T.: ogni incarico viene ricoperto sia da un uomo che da una donna). Soprattutto le co-presidenti donne sono state sottoposte a forti pressioni e molte sono state vittima dell’ondata di arresti. La dove (dall‘AKP) è stato nominato un amministratore fiduciario, la prima cosa che ha fatto è stata chiudere i presidi politici delle donne, di centri di consulenza per le donne e di istituzioni sociali per le donne. Tutte le cooperative create in questo ambito per rafforzare le donne a livello economico sono state completamente scardinate. Consideriamo la chiusura di organizzazioni delle donne non una parte dell’attacco generale, ma al contrario come precondizione. Perché gli attacchi politici possano avere successo e raggiungano il loro obiettivo, (l‘AKP) deve prima arginare i movimenti delle donne, reprimerle e liquidarle“, ha spiegato Kaşan.

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Afghanistan, calcio e dibattito sui diritti delle donne e violenza di genere.

OnuItalia.com – di Anna Serafini – 21 novembre 2016.

Afghanistan, calcio e dibattito sui diritti delle donne e violenza di genere

le compaginiHERAT – 21 Novembre – Lo sport come uno dei veicoli grazie ai quali abbattere le barriere culturali che sono alla radice della violenza contro le donne. Il Train Advise Assit Command West (TAAC W) ha organizzato a Herat una partita di calcio femminile per sensibilizzare al rispetto dei diritti delle donne afgane, della loro libertà di espressione, tra cui in particolare la possibilità di socializzare. In campo anche alcune rappresentanti del contingente militare italiano.

La manifestazione, alla sua terza edizione, dal titolo “A Match for Women’s Rights”, è stata preceduta da un meeting sulle questioni di genere, presieduto dal Comandante del TAAC W, Generale di Brigata Gianpaolo Mirra, durante il quale si sono evidenziate le conquiste delle donne in campo politico, economico e sociale, ma anche che discriminazioni e violenze ai loro danni sono tuttora un grave problema.

Alla partita, che si è svolta a Camp Arena, sede del TAAC W, hanno assistito autorità civili e militari locali, tra cui donne appartenenti all’Esercito ed alle Forze di Polizia afgane.

La vittoria è andata al Bastan Football Club, una squadra di calcio composta da giovani afgane, e milita nei campionati locali, alla società, in occasione della partita disputata presso Camp Arena, è stata fatta, dalla cooperazione civile militare Italiana, una donazione di materiale sportivo.

Kabul, strage di sciiti in moschea.

Corriere.it – Esteri, 21 novembre 2016.

0513c28fb4348459e78e0a641e0da8f3 knLF U43250109735004WiE 1224x916Corriere Web Sezioni 593x443Un kamikaze si fa esplodere durante una cerimonia: almeno 28 morti, tra questi donne e bambini. L’attacco più sanguinoso dopo quello di luglio rivendicato dall’Isis. I talebani: noi non c’entriamo.

L’attentatore è entrato in moschea e si è fatto esplodere lanciandosi contro un gruppo di sciiti che stavano partecipando a una cerimonia. Un boato assordante e brandelli di corpi per aria: è strage a Kabul, con bambini e donne tra le vittime. Lo ha riferito Fridune Obadi, capo dell’anticrimine della capitale afghana. Il bilancio ancora provvisorio è salito a 28 morti e 45 feriti nella moschea sciita di Baqir-ul-Olom.

L’ombra dell’Isis
I talebani, che stanno cercando di riguadagnare terreno dopo la loro cacciata nel 2001, negano ogni responsabilità. «Non abbiamo mai attaccato moschee, non è nei nostri programmi » ha fatto sapere il portavoce Zabihullah Mujahidn.

Non è la prima volta che gli hazara — comunità sciita minoritaria in Afghanistan e a lungo perseguitata in questo Paese a maggioranza sunnita — finiscono sotto tiro. Il 23 luglio scorso sempre a Kabul, durante una marcia da loro organizzata più kamikaze si sono fatti esplodere, uccidendo oltre 80 persone: la strage più sanguinosa dal 2001, il primo massacro rivendicato dall’Isis nella capitale afghana. Gli uomini del Califfo (sunniti) sono andati in Afghanistan per far concorrenza ai talebani, altri sunniti.