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Autore: Anna Santarello

RAWA commemora il 29° anniversario del martirio di Meena a Kabul.

Rawa News – 5 febbraio 2016 Kabul

meena cover 29th martyrdom anniversary englishL’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane (RAWA) ha commemorato il 29° anniversario dell’uccisione della sua leader, Meena, con una cerimonia a Kabul. Hanno partecipato un piccolo numero dei membri ed i sostenitori.

Si è cominciato leggendo un poema del poeta rivoluzionari afghano, Daud Sarmad, che fu sepolto vivo dai suoi assassini Khalq e Parcham.

Dopo, un membro di RAWA ha parlato della lotta per l’emancipazione delle donne di Meena e della situazione disastrosa delle donne e del paese. Ha detto: “Meena fondò l’associazione in un momento di grande oppressione nel paese e lavorò duramente per organizzare e mobilitare giovani e donne.
Aveva dato addio alla sua vita privata ed ai suoi problemi familiari e aveva affidato la sua unica figlia ad un’altra famiglia, per potere, così, essere libera di dedicarsi alla lotta.”

Ha continuato dicendo: “La condizione femminile in Afghanistan è peggiore che in ogni altro paese. Le donne sono oppresse nello stesso modo oggi dal governo nazionale come lo erano al tempo di Karzai. La violenza contro le donne è dilagante in questo paese. Si è cominciato questo nuovo anno con la tragedia di proporzioni incredibili quando Farkhunda è stata uccisa due giorni prima dell’ultimo dell’anno da teppisti Khadi-Jehadi a Kabul.

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KNK: La guerra totale del governo turco contro i kurdi

UIKI – (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia) – 4 febbraio 2016

ozeltim 599x275Il Presidente turco Erdogan: “Presidenza o caos”Dal 24 Luglio 2015, lo stato turco ha avviato una guerra totale e sporca contro i curdi. Fino ad ora, centinaia di civili sono stati uccisi in questa guerra, tra cui 58 bambini e 39 donne. Lo Stato turco sta usando carri armati, artiglieria pesante, elicotteri, forze speciali e l’esercito in questi attacchi.

A causa di questi attacchi alle città curde, 1,5 milioni di abitanti sono stati colpiti e 300.000 sono stati evacuati forzatamente dalle loro case. Le case liberate dagli inquilini sono state completamente distrutte dai colpi di artiglieria. L’obiettivo è quello di accertarsi che le persone non tornino in queste aree e che queste città possano essere dichiarate zone militari.

I Sindaci e gli altri funzionari che rappresentano la volontà di milioni di persone sono stati arrestati e centinaia di consiglieri e membri delle assemblee del popolo sono stati imprigionati e torturati. Il governo dell’AKP si propone di governare l’intero paese attraverso un colpo di stato politico-militare, coordinato dallo stesso presidente Erdogan. In risposta alla domanda pacifica del popolo kurdo di autogovernarsi Erdogan parla di annientare i curdi e impartisce ordini a tal fine.

Le 28 persone ferite nel distretto di Cizre sono state uccise? Nessuna notizia…
Negli ultimi quattro giorni nessuno è riuscito ad avere notizie dalle persone ferite, intrappolate nello scantinato di una casa a Cizre. Negli account dei social media appartenenti all’AKP sono stati pubblicate le immagini di 8 cadaveri in uno scantinato. Dieci donne, tra cui le madri dei feriti nello scantinato, hanno marciato verso l’edificio quattro giorni fa alzando una bandiera bianca. Sono riuscite a raggiungere il giardino dell’edificio. Ayse Guven, una delle donne, ha riferito: “L’edificio è circondato dai carri armati. Abbiamo urlato, abbiamo pensato che i nostri figli ci avrebbero sentito, ma non ha risposto nessuno.” Le foto dei cadaveri dello scantinato di Cizre sono state pubblicate sui social media dell’AKP la notte scorsa.

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Cizre, l’ordine della pulizia etnica

Enrico Campofreda – 3 febbraio 2016 dal suo BlogBlog

6 300x200Pattuglie in marcia fra edifici scarnificati. Le case sventrate, incenerite preventivamente sotto il fitto tambureggiare di granate. Nera pece tutt’attorno, dentro e fuori i locali che plumbee nubi incorniciano all’orizzonte. Anche il tempo meteorologico s’è vestito a lutto nelle cittadine di Cizre e Şırnak, spettrali icone dei mesi d’assedio e guerra.

Certo guerra, quella che c’è stata per settimane fra le truppe inviate da Erdoğan per “ripulire i luoghi dai terroristi”, e terroristi per il presidente turco sono tutti i kurdi del sud-est, compresi i neonati, uccisi fra le braccia delle loro madri e assieme a loro.

Questo è accaduto, ma pochi, pochissimi ne parlano. I media occidentali sono concentrati sui massacri siriani, drammi non inferiori prodotti da satrapi al comando di entità prosciugate, invasati sanguinari che inseguono nuove pazzie, cinici calcolatori dei propri interessi economici e geopolitici, mascherati da vigili statisti di aree trasformate in orrifiche bolge.

Nella regione uno di questi alchimisti è proprio Recep Tayyip Erdoğan, che ha alacremente lavorato affinché la distruzione, presente ai confini dell’uscio turco, si riaffacciasse drammaticamente in casa. Ma sulle case dei nemici kurdi.

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Attacchi aerei hanno colpito una stazione radio dell’IS in Afghanistan

BBC World-Asia – 2 febbraio 2016

88053715 95ed8446 2320 497f 8a10 b869a2d2a978Combattenti filo governativi contro l’IS ad Achin

Attacchi aerei americani nell’est dell’Afghanistan hanno distrutto una stazione radio del gruppo militare IS, così hanno dichiarato ufficiali americani ed afghani. Gli attacchi dei droni ad Achin nel remoto distretto di Nangarhar hanno colpito la  stazione radio “Voce del Califfato” condotta dall’IS.

L’IS si è diffuso in Afghanistan lo scorso anno ed ha cominciato trasmissioni in FM per reclutare nuovi combattenti. Si sono scontrati sia con le forze armate afghane che con i Talebani. I membri dell’IS hanno anche ucciso numerose persone, infatti la popolazione locale racconta di terribili atrocità.

Gli attacchi aerei hanno avuto luogo dalle 19:00 alle 20:00 lunedì, ha dichiarato un portavoce della provincia di Nangarhar alla BBC.

 

88053713 78e2d35a 3f04 416f abd5 7aeca6f0d7a0Afghani che ascoltano le trasmissioni radio dell’IS nel dicembre scorso

Ci sono stati 4 attacchi di droni che hanno colpito la stazione radio, un centro di controllo internet ed altri obiettivi IS.

21 membri dell’IS sono stati uccisi, inclusi gli operatori della stazione radio. La “Voce del Califfato” trasmetteva in lingua Pashto, Dari e Arabo, facendo propaganda anti governativa e inviti ad unirsi allo Stato Islamivo ai giovani afghani.

La radio è in più diffuso mezzo d’intrattenimento e fonte di notizie in Afghanistan, dove ci sono più di 170 stazioni radio. Lo Stato Islamico annunciò nel gennaio 2015 di essersi introdotto in Afghanistan ed aver iniziato un conflitto con i Talebani.

I Talebani dicono di aver istituito delle “forze speciali” di circa 1000 combattenti per distruggere l’IS. Il mese scorso il Presidente Ashraf Ghani ha promesso di “seppellire l’IS”, dicendo alla BBC che le atrocità commesse avevano “alienato la popolazione”.

Dacci oggi il nostro sangue talebano

Enrico Campofreda – 2 febbraio 2016 dal suo blog

AfghanistanPiù che fratelli d’Italia talebani italiani, visto che l’uomo del civilissimo Paese occidentale, teorizzatore della famiglia vecchio stile, ripropone ora, nel Terzo Millennio, una donna talmente oggetto buona da accoltellare, sgozzare, bruciare secondo i modelli più retrivi della cultura dei patriarchi.
Diciamo anche sgozzare perché accade, un’azione che fa ribrezzo nella vita prima che in politica, associata a quel fanatismo a cavallo fra pseudo interpretazione religiosa e pratica militante, e che egualmente insanguina occidentalissime mani.

In tale comune mondo l’alterità femminile esiste solo in subordine del potente-padrone. Il nostro vivere, che si fa vanto di civiltà, serba una cultura inumana lì dove il “gentil sesso” è proprietà di famiglie, genitore, consorte, consanguinei. Era così e continua a esserlo, come in altri angoli della terra. Né più né meno.

Nello scontro di civiltà in cui i teorici del buon vecchio continente affilano armi dialettiche contro la barbarie proveniente dal sud del sud del mondo, e dalla la sua vasta riserva orientale, il sapientissimo intellettuale di sostegno ai poteri che devono contare, distingue e castiga. Dicendo noi e loro.

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Ventinovesimo anniversario del martirio di Meena

rand meenaIl 4 febbraio 2016 RAWA celebra il ventinovesimo anniversario del martirio di Meena.Iil Cisda ha inviato loro un messaggio per ricordare questa donna straordinaria

Care compagne, amiche, sorelle,

vi trovate qui oggi per ricordare insieme a noi il martirio di Meena… Una donna straordinaria che ha ispirato milioni di persone nel mondo, di cui ci ricordiamo ad ogni passo, che riempie i nostri cuori e le nostre menti di amore e rispetto.

L’unico posto dove avremmo voluto essere oggi è proprio questo, a ricordare Meena con voi. Grazie a lei, grazie a voi care sorelle, Meena è uscita dai confini della vostra nazione per diventare un’icona universale.
Lei per prima ci ha fatto capire che il lavoro umanitario deve essere inserito in un progetto di cambiamento politico della società, altrimenti non serve a nulla. Lei per prima ci ha fatto capire che ognuna di noi – piccola o grande che sia – diventa il motore inarrestabile di questo cambiamento.

Abbiamo fondato il CISDA, questa piccola ma forte associazione italiana, principalmente per sostenere RAWA e per ricordare il sacrificio di Meena; abbiamo seguito le vostre orme e dopo 15 anni di attività possiamo dirci orgogliose di questa strada.

L’amore che proviamo per voi è PER SEMPRE e diventa più forte ogni giorno che passa.

Care compagne, nel nome di Meena, continuate a illuminare questa strada, continuate a combattere con noi, costruiamo insieme il mondo in cui vogliamo vivere!

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Rapporto annuale HRW: un Afghanistan in caduta libera.

Dal Blog di Enrico Campofreda – 29 gennaio 2016.

corteoantiisisCombattimenti aumentati, insicurezza totale, civili ancora massacrati, usurpazione e violenza a scandire giorni e ore di chi vive nella terra dell’Hindu Kush. Il rapporto annuale di Human Rights Watch raccoglie e testimonia tutto ciò senza far sconti al cosiddetto governo di unità nazionale con cui l’amministrazione Obama ha cercato d’inventarsi l’ennesimo esecutivo fantoccio. Maggiormente mascherato rispetto ai governi Karzai, eppure non meno inquietante sul fronte dei problemi irrisolti e addirittura aumentati.

Chi controlla cosa – I distretti finiti sotto il totale controllo talebano sono sensibilmente aumentati. Il rapporto non li quantifica, nei mesi scorsi alcuni analisti hanno contato 20 se non addirittura 24 province a giurisdizione talebana, calcolando probabilmente anche quelle dove le milizie degli insorgenti sono semplicemente presenti e battagliano contro l’Afghan National Security Army.

Sta di fatto che ampie zone che il governo di unità nazionale afferma di dirigere, compresa la capitale, non sono affatto sicure. Le stesse Nazioni Unite ammettono che metà del territorio afghano è diventato estremamente pericoloso. Chiunque rischia di saltare in aria sui numerosissimi Ieds disseminati in fasce sempre più vaste del territorio, più che durante i grandi attacchi talebani alle forze Nato del biennio 2009-2010. Per ragioni d’opportunismo, prima che d’opportunità politica, Ghani e i suoi protettori d’Oltreoceano vendono la storiella d’una nazione in evoluzione alla ricerca d’una dimensione democratica. Di fatto non esistono princìpi che possano sostenere tale versione. Accanto agli ordigni di terra, agli attentati kamikaze, ai bombardamenti dal cielo, usurpazione e violenza continuano a devastare l’esistenza dei civili, causandone il 70% dei decessi.

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I DIRITTI UMANI NEL MONDO

Rapporto 2016 – Human Rights Watch – 2 – 9 gennaio 2016

world report 2016 cover front flat rgb 1Il rapporto di Human Rights Watch sui diritti umani nel mondo mette in evidenza la tragica situazione dell’Afghanistan, a 15 anni dall’invasione del paese da parte degli eserciti USA e NATO.

[Di seguito la traduzione a cura di Cisda del primo paragrafo del Rapporto sull’Afghanistan che si trova a pagina 55]

Afghanistan
Nel 2015, gli scontri armati tra i talebani e le forze governative sono drammaticamente aumentati. L’episodio più eclatante è stata la presa di Kunduz da parte dai talebani, durata circa due settimane, prima che riprendesse il controllo della città la Afghan National Security Forces (ANSF) con l’aiuto delle forze statunitensi di terra e di aria.

I talebani hanno conquisto diversi centri urbani in vari distretti e hanno minacciato seriamente le città capoluogo di alcune province. L’ONU stima che circa metà delle province del Paese corrono un rischio molto elevato di cadere in mano talebana.
L’escalation di violenza ha avuto conseguenze devastanti per i civili, vittime di attacchi suicidi, di attentati con esplosivi e aggressioni di vario tipo perpetrate da talebani e altri gruppi estremisti. Il 70% delle vittime civili è dovuto a queste violenze.
È aumentato anche il numero delle vittime civili delle operazioni militari condotte dalle forze governative, in particolare in quelle di terra.

Mentre sia il presidente Ashraf Ghani e il primo ministro Abdullah Abdullah affermano pubblicamente il loro impegno per il rispetto dei diritti umani, il loro governo di Unità nazionale (National Unity Government) ha completamente mancato nel porre rimedio alle violazioni più preoccupanti, come le violazioni dei diritti delle donne e gli attacchi ai giornalisti. Il governo ha lanciato un piano d’azione per reprimere le torture e ha varato una legge che vieta il reclutamento di bambini soldato, ma l’impunità per entrambi questi crimini è tuttora reale.

Le elezioni parlamentari e amministrative previste per il 2015 sono state rimandate a data da definirsi, mentre si attende la definizione di riforme per altro assai contestate del sistema elettorale.
Il numero degli sfollati interni al Paese a causa del conflitto è aumentato ancora, raggiungendo per la prima volta negli ultimi 13 anni quello del 2002. Con i circa 100.000 sfollati in più del 2015, il numero complessivo degli sfollati ha raggiunto il milione.

Afghanistan e IS: a che punto siamo?

Il Caffè Geopolitico di Federico Zenari – 26 gennaio 2016.

flagChe il sedicente Stato Islamico (IS) si stia rafforzando in Medio Oriente sembra essere, agli occhi di buona parte dei media e delle opinioni pubbliche “occidentali”, un timore sempre più concreto – soprattutto dopo l’effetto mediatico degli attentati di Parigi. In verità in pochi contesti regionali il jihadismo nero sta guadagnando terreno. Uno di questi sembra essere l’Afghanistan, dove da mero reclutamento si è passati, da diversi mesi, alla presenza di cellule del sedicente Califfato attive sul campo.

UNA “NUOVA” MINACCIA – A conferma di ciò è stata proclamata nel Khorasan, un’area da sempre tristemente nota alle cronache di guerra, la Wilayat al-Khorasan (provincia del Khorasan), che da mesi addestra e coordina (ancora superficialmente) diversi combattenti jihadisti e anche dei gruppi di Talebani, sia afgani che pakistani, che hanno giurato fedeltà al Califfo. Le stime sul numero degli affiliati che operano nell’Est e nel Sud del Paese sono molto approssimate, e le opinioni sull’importanza di tale minaccia sono inevitabilmente contrastanti.

Dalle reazioni del Presidente afgano Ashraf Ghani si evince che il Governo è sinceramente preoccupato per la presenza di questo “nuovo” nemico, ancora più intransigente e intrattabile dei Talebani.
Non a caso IS non è benvisto neppure da molti leader talebani, che non condividono né l’ideale politico del califfato né parte dell’ideologia religiosa. Raramente i Talebani hanno sostenuto l’idea di espandersi al di là dei confini nazionali di Afghanistan e Pakistan, mentre il jihadismo sovranazionale ha come obiettivo primario la “riconquista” dei territori di massima espansione del Dar al-Islam e, successivamente, l’estensione territoriale anche al di fuori di questo.

Per quanto riguarda l’ideologia religiosa, anche se nessuno mette in dubbio l’intransigenza dimostrata dai Talebani, vi sono delle differenze legate alla specificità degli Islam autoctoni che, sebbene siano da anni assoggettati alle predicazioni wahabbite di provenienza saudita e influenzati dalla presenza di Al-Qaeda, mantengono ancora delle caratteristiche proprie, essendo legati a regole tribali e culturali diverse. Inoltre, il sostrato etnico in Afghanistan è infinitamente spezzettato, e un’ideologia allogena e totalitaria come quella dell’IS non può che cozzare con la frammentazione identitaria e culturale del Paese.

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INVITO PER UNA CAMPAGNA PER LA PACE DA PARTE DELLE DONNE E GRUPPI LGBTI TURCHI

Come si può o non si può sapere il processo di risoluzione che è stato avviato nel 2012 per una soluzione politica alla questione curda in Turchia ha subito una battuta d’arresto. Negli ultimi sei mesi siamo tornati in guerra – con un livello sempre crescente di violenza. Il 16 Gennaio 2015, 20 distretti di sette diverse province hanno subito 56 coprifuoco, rimanendo sotto coprifuoco per 304 giorni.
Attualmente gli assedi su Cizre e Silopi hanno raggiunto 34 giorni, mentre il quartiere Sud di Diyarbakır è stato sotto assedio per 46 giorni. In questi sei mesi centinaia di persone – civili, guerriglieri, soldati, forze di polizia – sono stati uccisi o feriti.

Nelle zone in cui gli scontri sono intensi e i coprifuoco sono stati dichiarati a causa di operazioni militari, decine di migliaia di persone sono state costrette senza altra scelta a lasciare le loro case, diventando migranti, cioè sfollati interni. Decine di migliaia di civili non sono stati in grado di andarsene, o hanno scelto di rimanere nelle loro case, nei loro quartieri, nonostante gli intensi attacchi da parte delle forze di sicurezza. Le loro vite sono in pericolo e tutti i loro beni subiscono gravi danni.

Sono in un stato in cui hanno difficoltà a soddisfare i bisogni fondamentali. Vivono senza elettricità e persino senza fornelli. Decine di famiglie sono costrette a rifugiarsi in scantinati affollati a causa dei bombardamenti militari, senza niente da mangiare se non un pezzo di pane secco da condividere. Le donne incinte o partoriscono presto o abortirscono.

Molte persone muoiono perché non sono in grado di raggiungere gli ospedali a causa del fuoco dei cecchini. I corpi di coloro che sono morti restano nelle strade per giorni poichè le persone non sono autorizzate dallo Stato a rivendicare i loro morti. Le famiglie non hanno il diritto di seppellire i loro cari.

In questi ultimi sei mesi più di cento persone sono state uccise da attacchi ISIS in Suruç , Diyarbakı, Ankara e ad Istanbul la scorsa settimana.

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