Le coraggiose e pungenti osservazioni di Belquis Roshan in un incontro con Richard Bennett, il relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan
In solidarietà con le donne afghane oppresse dai talebani le donne turche dell’EŞİK lanciano una campagna per il riconoscimento dell’apartheid di genere nel diritto internazionale
EŞİK (Piattaforma delle donne per l’uguaglianza), 15 agosto 2023
Il divieto di visitare il parco nazionale di Band-E-Amir è l’ultimo di una lunga serie di attività impedite alle donne da quando i talebani sono tornati al potere nell’agosto 2021
Prosegue la pubblicazione del saggio che Tariq Marzbaan ha scritto per Al Maydeen sulla supremazia talebana-pashtun in Afghanistan.
I due ostacoli incontrati nella seconda parte di questo saggio nella spinta alla pashtunizzazione della società (la geografia etnica e la lingua persiana) non solo hanno galvanizzato le élite pashtun a persistere nella loro repressione – non tanto efficace – della lingua, della cultura e dell’istruzione persiane, ma le hanno condotte a ricorrere a un altro metodo collaudato nel tempo…
PARTE 2: La “nazione afghana” e la questione dell’identità
Tirapiedi…
I popoli dell’Afghanistan sono sempre stati visti come tirapiedi dai loro governanti (e anche da loro stessi), e sono stati affrontati e trattati come tali.
Amanollah Khan ha usato per la prima volta il termine “nazione” per riferirsi alla popolazione nel 1919, ma il termine “afghano” è stato applicato per legge a tutti i cittadini nella costituzione del 1964.
Ciononostante, la maggior parte delle persone non pashtun continua ancora oggi a distinguere tra “afghani” (pashtun) e se stessi nella vita quotidiana – con grande disappunto dei cittadini filogovernativi; solo all’estero dicono di essere “afghani” – ovviamente per forza.
Pubblicheremo nei prossimi giorni un approfondimento (in 4 parti) sull’Afghanistan e i Taleban che Tariq Marzbaan sta curando per Al Mayadeen. Di seguito la prima parte dal titolo: “Il disco rotto dei Taleban”
PRIMA PARTE
L'(in)capacità e l'(in)disponibilità dei Taleban
Sono passati quasi due anni da quando ai Taleban è stato conferito il potere statale. All’inizio si è parlato di “Taleban 2.0” – sottintendendo che non sono più i “Taleban 1.0” di circa 27 anni fa… che sono cambiati e sono diventati un po’ più moderati (beh, almeno ci deve essere qualcuno che è cambiato)… che bisogna semplicemente dar loro tempo ed essere pazienti.
E poi ci sono state notizie di improvvise lotte intestine all’interno dei Taleban. Si sperava, e si spera ancora, che la fazione “moderata” vinca la lotta per il potere e che le loro politiche cambino.
Gli operatori umanitari in Afghanistan sono costantemente esposti a rischi mortali mentre cercano di portare soccorso e assistenza alle persone colpite dalla crisi. In un contesto così complesso, il loro impegno e la loro dedizione sono degni di ammirazione e rispetto, soprattutto se si considera che ben 38 di questi operatori hanno perso la vita negli ultimi due anni, evidenziando la pericolosità del loro lavoro e le sfide che devono affrontare quotidianamente.
Secondo resoconti attendibili, queste donne stavano partecipando a una protesta tenutasi in una residenza situata nella zona di Khairkhana, nel nord di Kabul, quando le forze talebane le hanno arrestate.
INCONTRO. Stefano Sozza, direttore del programma di Emergency in Afghanistan, intervistato questa volta a distanza, fa il punto sulla situazione nel paese mediorientale
«In Afghanistan c’è stata una guerra provocata da un’invasione e un’occupazione durata 20 anni. Per portare la democrazia si è lacerato e distrutto, per poi andarsene in quattro e quattr’otto chiudendo il rubinetto dei fondi di un Paese flagellato anche per la nostra presenza. È motivo per rimanere con ancora più attenzione e cercare di allentare i nodi di una matassa aggrovigliata anche da noi, invece di voltare le spalle e dire ’sono problemi vostri’ in modo del tutto irresponsabile. L’imperativo umanitario impone di scegliere da che parte stare».
Il sistema sanitario dell’Afghanistan sottoposto a un’enorme tensione e il divieto scolastico influirà sulla futura formazione sanitaria.
Illustrazione di Stefano Misesti
Dopo un decennio di lezioni in un’università afghana, l’ex economista Shabana Sediqian sta per riqualificarsi come infermiera: non è un cambiamento di carriera che aveva mai previsto, ma almeno le permetterà di uscire di nuovo di casa. Un numero crescente di donne professioniste si sta iscrivendo a corsi per infermiere e ostetriche, stufe di essere rinchiuse nelle loro case da quando i talebani hanno preso il potere due anni fa – e hanno bisogno di soldi dopo aver perso il lavoro.